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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti


Liberazione dalla sofferenza
[130]  Dando compimento all’attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova 3-73.pnge definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli.
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale.
CdA, 712
CONFRONTAVAI
CdA 854-856
CONFRONTAVAI
La cura dei malati
[712]  Profonda è l’unità di spirito e corpo: il disordine del peccato danneggia indirettamente il fisico; viceversa la malattia 17-344.pngdell’organismo colpisce anche lo spirito, in quanto causa sofferenza, senso di impotenza, pericolo di morte, solitudine e angoscia. Il malato ha particolarmente bisogno di sincera solidarietà, che lo aiuti a superare la tentazione di abbattersi, di chiudersi nei confronti degli altri, di ribellarsi a Dio.
[713]  In ogni epoca, «animata da quella carità con cui ci ha amato Dio,... la Chiesa attraverso i suoi figli si unisce agli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri e ai sofferenti, e si prodiga volentieri per loro»
nota
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 12.
. È una storia bellissima, malgrado gli inevitabili limiti umani: strutture ospedaliere, ordini religiosi, associazioni caritative, pastorale degli infermi, dedizione eroica di santi, tra i quali ricordiamo san Camillo de’ Lellis, san Giovanni di Dio, san Vincenzo de’ Paoli, san Giuseppe Cottolengo, il medico san Giuseppe Moscati. Oggi urge qualificare in senso cristiano gli operatori sanitari e promuovere il volontariato, per sottrarre i malati e gli anziani all’isolamento, in cui troppo spesso vengono a trovarsi.
Beatitudini evangeliche
[854]  Nel Nuovo Testamento si incontrano le beatitudini della fede, della scoperta di Gesù, della vigilanza operosa
nota
Cf. Mt 24,46.
, del servizio reciproco
nota
Cf. Gv 13,17.
e altre ancora. Soprattutto risaltano le beatitudini del Regno, che sintetizzano la perfezione cristiana e delineano il ritratto del discepolo di Gesù. Anzi, prima ancora, «sono una specie di autoritratto di Cristo e, proprio per questo, sono inviti alla sua sequela e alla comunione di vita con lui»
nota
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 16.
. Esse indicano una via imprevedibile e paradossale alla felicità: è la via dell’amore crocifisso, che dà significato alla sofferenza anche prima di eliminarla e, quando è possibile, lotta con mezzi pacifici per superarla.
CdA, 127-133
CONFRONTAVAI
La verifica dell’esperienza
[855]  I poveri, i malati, i perseguitati possono essere felici. Con il dono di se stessi nell’amore partecipano alla vita e alla gioia di Dio, che riscatta qualsiasi situazione. L’annuncio di Gesù trova una sorprendente verifica nell’esperienza concreta dei suoi discepoli. Così si esprime Paolo con i cristiani di Corinto: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione» (2Cor 1,3-4); «Afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2Cor 6,10); «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione» (2Cor 7,4); «Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Anche nella comunità ecclesiale Paolo vede coesistere tribolazione e gioia, povertà e generosità
nota
Cf. 2Cor 8,2.
.
La storia della Chiesa abbonda di analoghe testimonianze. Ricordiamo la “perfetta letizia” di San Francesco, che del resto è già un tema biblico
nota
Cf. Gc 1,2.
: «Se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia»
nota
San Francesco d’Assisi, Della vera e perfetta letizia.
. San Filippo Neri, il santo della gioia, amava ripetere: «Un servo di Dio dovrebbe sempre stare allegro». E Santa Teresa di Gesù Bambino arriva a dire: «La nostra gioia cercata e gustata nella sofferenza è una dolcissima realtà»
nota
Santa Teresa di Lisieux, Manoscritti autobiografici, Lettera 190.
.
CdA, 1021-1022
CONFRONTAVAI
Esperienza pasquale
[856]  Questa gioia, che può coesistere anche con la sofferenza, è partecipazione del cristiano alla Pasqua di Cristo: «Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione» (2Cor 1,5); «Abbiamo questo tesoro in vasi di creta... portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,710). Viene così sperimentata nella propria esistenza la conformazione a Cristo morto e risorto, operata dal battesimo e dall’eucaristia.
La via cristiana alla felicità si delinea con particolare nitidezza nella redazione delle beatitudini secondo Matteo, più precisamente nella prima parte di ognuna di esse.
Rifiuto della sofferenza
[1020] Fa parte della mentalità di chi è cresciuto nella civiltà del benessere rivendicare il diritto alla felicità, a un’elevata qualità della vita. Non si deve più soffrire. Se capita una malattia, ci deve essere una soluzione; la scienza deve trovarla. Si fa eccessivo consumo di farmaci; si ricorre con ossessiva frequenza agli esami clinici. Basta una qualsiasi contrarietà a rendere nervosi e tristi. Timore ed ansia fanno diradare le relazioni sociali intorno al malato grave e alla sua famiglia. Si arriva a dichiarare che accettare la sofferenza è immorale. Non si è capaci di dare un senso a questa esperienza umana fondamentale. Ma quale senso può avere la sofferenza?
Pazienza cristiana
[1021]  Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte 26-488.png come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un’alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. «Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano»
nota
San Cipriano di Cartagine, A Demetriano, 18.
.
La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall’altra trova nella sofferenza un’occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell’amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento.
Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri
nota
Cf. Col 1,24.
: «Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo»
nota
Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 19.
.
CdA, 130-132
CONFRONTAVAI
CdA 373-374
CONFRONTAVAI
CdA 855-856
CONFRONTAVAI
Alcune attenzioni
[1022]  La sofferenza costituisce una sfida a crescere nella fede e nell’amore; ne è la verifica più sicura: «L’amore vero e puro si dimostra fra mille pene... Chi vuol l’amore, cerchi il patire»
nota
Santa Veronica Giuliani, Diario, 26.12.1694.
. Una volta scoperta questa grande possibilità, si può essere perfino «afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Così il male è vinto dall’interno, sperimentandolo. Nell’apparente fallimento ci realizziamo più che mai. Occorre però assumere consapevolmente la propria situazione. Per questo in linea di principio è bene che un malato conosca la dura verità della sua malattia. Magari la prudenza consiglierà di manifestarla gradualmente e allusivamente, cercando di prevenire il più possibile il pericolo di scoraggiamento e di depressione.
[1023] Nella prospettiva di un rispetto incondizionato per la persona e di una valorizzazione della stessa sofferenza si collocano alcune particolari attenzioni. I disabili devono essere accolti e inseriti il più possibile nel vivo delle relazioni familiari, ecclesiali e sociali. Gli anziani vanno apprezzati per la loro esperienza e aiutati con un’adeguata assistenza e con iniziative capaci di suscitare il loro interesse. Meritano grande considerazione le professioni degli operatori sanitari, compiute in spirito di servizio, l’impegno per umanizzare le istituzioni, la generosa attività del volontariato, ogni presenza amica accanto a chi soffre.
[1024] Il cristiano apprezza e ama la vita propria e degli altri, anche quando è sfigurata dalla sofferenza e appare assurda. Anzi, nella povertà e nella debolezza riconosce una speciale presenza di Cristo e una possibilità preziosa di crescita e di fecondità spirituale.
Eutanasia
[1033] Disordine delittuoso è anche l’eutanasia vera e propria, che consiste nella soppressione indolore, direttamente voluta, di una vita giudicata non più degna di essere vissuta, di solito a motivo di qualche malattia dolorosa e inguaribile. Un eventuale sentimento soggettivo di pietà in colui che la compie non potrebbe cambiarne la qualità morale negativa.
Terapia del dolore
[1034] Non vanno però confuse con l’eutanasia le cure terminali che mirano ad alleviare il dolore, anche se indirettamente possono a volte abbreviare la vita. Esse sono lecite per motivi proporzionati. Non bisogna comunque dimenticare che l’aiuto migliore per i morenti rimane l’accompagnamento personale, pieno di carità e di speranza. Un volto e una mano amica non possono essere surrogati dalle apparecchiature sofisticate.
Accanimento terapeutico
[1035] Neppure la rinuncia al cosiddetto “accanimento terapeutico” va confusa con l’eutanasia. Le cure enormemente costose e senza consistenti vantaggi per il paziente vengono omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto a morire con dignità.
La cura dei malati
[712]  Profonda è l’unità di spirito e corpo: il disordine del peccato danneggia indirettamente il fisico; viceversa la malattia 17-344.pngdell’organismo colpisce anche lo spirito, in quanto causa sofferenza, senso di impotenza, pericolo di morte, solitudine e angoscia. Il malato ha particolarmente bisogno di sincera solidarietà, che lo aiuti a superare la tentazione di abbattersi, di chiudersi nei confronti degli altri, di ribellarsi a Dio.
[713]  In ogni epoca, «animata da quella carità con cui ci ha amato Dio,... la Chiesa attraverso i suoi figli si unisce agli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri e ai sofferenti, e si prodiga volentieri per loro»
nota
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 12.
. È una storia bellissima, malgrado gli inevitabili limiti umani: strutture ospedaliere, ordini religiosi, associazioni caritative, pastorale degli infermi, dedizione eroica di santi, tra i quali ricordiamo san Camillo de’ Lellis, san Giovanni di Dio, san Vincenzo de’ Paoli, san Giuseppe Cottolengo, il medico san Giuseppe Moscati. Oggi urge qualificare in senso cristiano gli operatori sanitari e promuovere il volontariato, per sottrarre i malati e gli anziani all’isolamento, in cui troppo spesso vengono a trovarsi.
L’unzione e la sua efficacia salvifica
[714]  Secondo una prassi in atto fin dalle origini apostoliche e attestata dalla lettera di Giacomo, la cura dei malati da parte della Chiesa culmina in un rito speciale di natura sacramentale, l’unzione degli infermi: «Chi è malato, chiami a sé i presbìteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15). Questo testo presenta l’unzione dei malati come un evento di guarigione totale, con effetti spirituali e corporali.
Il sacramento è rimasto sempre vivo nella tradizione liturgica, sia in oriente che in occidente, ma con molte variazioni disciplinari e rituali. Il ministro è il sacerdote
nota
Cf. Concilio di Firenze, Bolla di unione degli Armeni “Exsultate Deo” - DS 1325.
. Possono ricevere il sacramento i fedeli il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per malattia o vecchiaia
nota
Cf. Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, Premesse, 8.
. Il conferimento del sacramento si può ripetere quando ve ne sia ragione. Non bisogna riservarlo ai soli moribondi né, d’altra parte, darlo indiscriminatamente a tutti gli anziani, compresi quelli in piena salute e vitalità. Il rito prevede che il ministro del sacramento applichi l’olio sulla fronte e sulle mani, perché l’uomo pensa e agisce, e pronunzi al tempo stesso la seguente formula: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. E, liberandoti dai peccati ti salvi e nella sua bontà ti sollevi»
nota
Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, Premesse, 78.
. Particolarmente utili sono le celebrazioni comunitarie: sia per i malati, che avvertono intorno a sé la preghiera e l’amicizia della comunità, sia per la comunità, che riceve dai malati una testimonianza di fede, di generosità nel sacrificio e di libertà interiore nei confronti delle cose terrene, ed è oltretutto bisognosa di essere aiutata a superare la mentalità che spinge a celebrare l’unzione all’ultimo momento, in fretta e quasi di nascosto.
[715]  Si tratta di una preghiera umile e fiduciosa, che non ha niente a che fare con la magia: la Chiesa «affida gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché egli conceda loro sollievo e salvezza; e li esorta ad associarsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per cooperare al bene del popolo di Dio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11.
. Nel momento in cui le nostre forze vengono meno, il sacramento, con il dono dello Spirito di consolazione, ci conforma a Cristo sofferente e glorioso, perché con lui offriamo noi stessi al Padre; rafforza la nostra fede e ci dà sollievo spirituale; ci purifica dai disordini interiori lasciati dal peccato, proseguendo il rinnovamento iniziato con il sacramento della penitenza; ci libera dai peccati stessi nel caso che sia impossibile confessarsi; infine, se così dispone la Provvidenza, può anche procurarci un miglioramento della salute fisica. La potenza del Signore risorto e del suo Spirito si manifesta sia concedendo ad alcuni la grazia della guarigione fisica sia, e ancor più, concedendo a molti altri la grazia di dare senso alla malattia.
CdA, 1020-1023
CONFRONTAVAI
Il viatico
[716]  Quando la situazione di malattia è particolarmente grave, tanto da far prevedere la morte, è prassi antichissima della Chiesa unire alla celebrazione dell’unzione il conferimento della comunione eucaristica in forma di “viatico”. Cibo per il viaggio, il pane eucaristico sostiene il cristiano nel passaggio da questo mondo al Padre e lo munisce della garanzia della risurrezione, secondo la parola del Signore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). È perciò un atto di vero amore confortare i propri cari con questo sacramento, l’ultimo prima che essi vedano Dio al di là dei segni sacramentali e partecipino alla gioia ineffabile del convito eterno. D’altra parte il morente, ricevendo il viatico, testimonia in modo significativo la fede nella vita eterna, di cui il cristiano è erede dal giorno del suo battesimo.
CdA, 1189
CONFRONTAVAI
[717] Il sacramento dell’unzione dà al malato una grazia di consolazione e di purificazione; lo unisce al Signore Gesù nel suo mistero pasquale, in modo da conferire alla malattia una fecondità spirituale: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
Il viatico
[716]  Quando la situazione di malattia è particolarmente grave, tanto da far prevedere la morte, è prassi antichissima della Chiesa unire alla celebrazione dell’unzione il conferimento della comunione eucaristica in forma di “viatico”. Cibo per il viaggio, il pane eucaristico sostiene il cristiano nel passaggio da questo mondo al Padre e lo munisce della garanzia della risurrezione, secondo la parola del Signore: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). È perciò un atto di vero amore confortare i propri cari con questo sacramento, l’ultimo prima che essi vedano Dio al di là dei segni sacramentali e partecipino alla gioia ineffabile del convito eterno. D’altra parte il morente, ricevendo il viatico, testimonia in modo significativo la fede nella vita eterna, di cui il cristiano è erede dal giorno del suo battesimo.
CdA, 1189
CONFRONTAVAI