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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
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Catechismo degli Adulti

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La sete del cuore
[3] Una donna di Samarìa va al pozzo ad attingere acqua e vi incontra Gesù di Nàzaret. A lui, che avvia il dialogo, risponde ripetutamente con ironia e apparente sicurezza.
Gesù cerca di far emergere in lei una sete diversa, una sete nascosta nel profondo del cuore, per la quale occorre un’altra acqua. Le mette davanti il disordine della sua vita, perché ne prenda coscienza. La donna rimane colpita, ma tenta ancora di sfuggire e deviare il discorso.
Finalmente Gesù le prospetta un rapporto nuovo con Dio, «in spirito e verità» (Gv 4,24); si rivela a lei come il Messia atteso, l’unico in grado di dare l’acqua che disseta per sempre. La donna allora lascia la brocca al pozzo e corre con entusiasmo a chiamare i suoi concittadini: «Venite a vedere» (Gv 4,29). Intuisce di aver trovato ciò che, forse inconsapevolmente, cercava da sempre
nota
Cf. Gv 4,5-30.
.
La Samaritana ci rappresenta. Ogni uomo ha sete e passa da un pozzo all’altro: un vagare incessante, un desiderio inesauribile, rivolto ai molteplici beni del corpo e dello spirito.
[4]  Nel nostro tempo questa ricerca sembra diventare addirittura 1-18.pnguna corsa tumultuosa: produrre e consumare, possedere molte cose e fare molte esperienze, cercare impressioni sempre nuove, il piacere e l’utile immediato, tutto e subito. Molti però hanno la sensazione di correre senza una meta, di riempirsi di cose, che risultano vuote. Molti lamentano un impoverimento dei rapporti umani: anonimato, estraneità, incontri superficiali e strumentali, emarginazione dei più deboli, conflittualità e delinquenza. Tutto contrasta con quello che sembra essere il nostro anelito più profondo: essere amati e amare.
[5]  Molto attuale è un testo biblico, che mette a nudo la logica di 1-19.pnguna mentalità materialistica: «La nostra vita è breve e triste... Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati... La nostra esistenza è il passare di un’ombra... Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano... Spadroneggiamo sul giusto povero, non risparmiamo le vedove, nessun riguardo per la canizie ricca d’anni del vecchio. La nostra forza sia regola della giustizia, perché la debolezza risulta inutile» (Sap 2,1256-810-11). Sentimento del nulla, bramosia di piacere, prepotenza: una logica coerente, ma triste.
Ricerca coraggiosa
[6] Abbiamo un’acuta consapevolezza della nostra libertà. Ma la libertà non è forse sterile se non persegue obiettivi degni dell’uomo? Non si riduce a un vano agitarsi davanti alla morte? Per essere davvero liberi, non dobbiamo forse cercare la verità e il bene?
CdA, 801
CONFRONTAVAI
[7] Nutriamo oggi un’alta considerazione per le scienze che ricercano e procurano un crescente dominio sui fenomeni naturali e sociali. Ma possono tali scienze indicare i fini a cui deve essere indirizzato il potere che ci mettono nelle mani? È ragionevole prestare attenzione solo a ciò che si può vedere e toccare, calcolare e controllare sperimentalmente? Non si lascia fuori così il nucleo centrale della propria e dell’altrui persona: la fiducia, l’amore, la bellezza, la bontà, la gioia, tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta?
[8]  Occorre liberarsi dai pregiudizi e dal conformismo; occorre essere sinceri e onesti con se stessi. È necessario prendere sul serio le grandi domande, che ognuno di noi si porta dentro
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 10.
: chi sono? da dove vengo? Dove sto andando? E ancora: la realtà è assurda o intelligibile? La vita è un dono, un destino cieco o un caso? perché questa sete che nessuna conquista riesce ad estinguere? che cosa posso sperare e che cosa devo fare? Se vengo dal nulla e vado verso il nulla, sembra che non ci sia nulla da sperare e nulla da fare, se non lasciarsi andare alla deriva. Se invece vengo dall’Amore infinito e vado verso l’Amore infinito, ecco che mi si apre davanti un cammino, difficile forse, ma pieno di significato.
«L’ordine del pensiero sta nel cominciare dal proprio io, dal proprio autore, dal proprio fine»
nota
B. Pascal, Pensieri, 146.
. Chi evita le domande fondamentali, fugge da se stesso. Chi dice: «Non c’è niente dopo la morte», sa di non averne alcuna prova e forse avverte un’angoscia inconfessata. Indifferenza, edonismo e attivismo non sono una soluzione, ma un’evasione irresponsabile.
«Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17).
[9] Le domande fondamentali, quelle che riguardano il senso della vita, meritano la più attenta riflessione. Sarebbe stoltezza trascurarle per superficialità o indifferenza.
Ambiguità dell’esistenza
[13]  Di ambiguità analoga a quella della storia universale sono cariche anche le storie personali, che in essa si incontrano, si 1-22.pngallontanano, si rincorrono. Ciascuna è illuminata da esperienze positive, come lo stupore davanti alla verità e alla bellezza, la gioia di essere amati e di amare, il piacere del gioco, dell’arte, del lavoro riuscito. Ciascuna è offuscata da esperienze negative: dolore e miseria, egoismo e ingiustizia, errore, isolamento, paura. Il nonsenso sembra prevalere, perché i mali sono avvertiti più intensamente dei beni e, secondo il proverbio, un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce; soprattutto, la morte minaccia di vanificare gli stessi valori positivi.
È stato detto: la morte non conta, perché, quando ci siamo noi, lei non c’è ancora e, quando c’è lei, non ci siamo più noi. Questo, al più, potrebbe essere vero per gli animali. L’uomo, invece, sa di morire. La morte è «la sua cupa compagna di viaggio»
nota
F. Nietzsche, La gaia scienza, 4, 278.
: giorno e notte, come un tarlo nascosto, con il sentimento dell’angoscia insidia ogni gioia e conquista.
CdA, 1186
CONFRONTAVAI
Disincanto del saggio
[14]  Nella Bibbia, il libro di Qoèlet, scritto prima che la divina rivelazione illuminasse pienamente il destino ultraterreno dell’uomo, mette in evidenza l’enigma della condizione umana in tutta la sua apparente assurdità. Qoèlet afferma che l’esperienza offre valori genuini anche se effimeri, come la sapienza, l’azione, lo stare insieme, l’allegria della mensa, la bellezza, il successo, il benessere. Ma questi beni sono mescolati con i mali: «Ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c’è l’iniquità e al posto della giustizia c’è l’empietà» (Qo 3,16), c’è «il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli» (Qo 4,1). E poi, tutti i valori sono ridotti a nulla dalla morte: «Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e l’empio, per il puro e l’impuro, per chi offre sacrifici e per chi non li offre, per il buono e per il malvagio» (Qo 9,2)
nota
Cf. Qo 2,15-21.
.
Sebbene molte singole cose siano sensate, la vita nel suo insieme non ha un senso comprensibile. L’uomo è sempre in cammino, «non conosce riposo né giorno né notte» (Qo 8,16), ma non approda a niente. Arriva l’inverno della vecchiaia e sulla casa fatiscente calano oscurità e silenzio, mentre si aggirano intorno figure spettrali, in attesa che avvenga il crollo definitivo e «si rompa il cordone d’argento e la lucerna d’oro s’infranga e si rompa l’anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo» (Qo 12,6). La ricerca rimane perennemente incompiuta, come un movimento interminabile e vuoto: «Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro meta, i fiumi riprendono la loro marcia. Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l’occhio di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire» (Qo 1,2-8).
La visione di Qoèlet è parziale, non falsa. Ha la provvidenziale funzione di demolire l’ottimismo superficiale e illusorio. Considerata in un orizzonte puramente terreno, l’esistenza umana risulta problematica, senza fondamento e senza meta: inutile appare l’immane fatica degli uomini e delle cose.
Un nuovo modo di pensare e di agire
[142]  Convertirsi significa assumere un diverso modo di pensare e di 4-82.pngagire, mettendo Dio e la sua volontà al primo posto, pronti all’occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere
nota
Cf. Mt 6,33.
. Significa liberarsi dagli idoli che ci siamo creati e che legano il cuore: benessere, prestigio sociale, affetti disordinati, pregiudizi culturali e religiosi.
La decisione deve essere netta, senza riserve: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te... E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te» (Mt 5,2930). Tuttavia Gesù conosce la fragilità umana e sa essere paziente. Lo rivela narrando di un padrone, il quale aveva nel campo un magnifico albero, che da tre anni però non gli dava frutti; ordinò al contadino di tagliarlo; ma questi gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,8-9).
Una vita più bella
[143]  Chi si converte, si apre alla comunione: ritrova l’armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose; riscopre un bene originario, che in fondo da sempre attendeva. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse a Gèrico, non aveva fatto altro che accumulare ricchezze, sfruttando la gente e procurandosi esecrazione da parte di tutti. Quando Gesù gli si mostra amico e va a cena da lui, comincia a vedere la vita con occhi nuovi: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Zaccheo deve rinunciare, almeno in parte, alle sue ricchezze; ma non si tratta di una perdita. Solo adesso, per la prima volta, è veramente contento, perché si sente rinascere come figlio di Dio e come fratello tra i fratelli
nota
Cf. Lc 19,1-10.
.
La bellezza e il fascino del regno di Dio consentono di compiere con gioia le rinunce e le fatiche più ardue. Il bracciante agricolo che è andato a lavorare a giornata e zappando ha scoperto un tesoro, corre a vendere tutti i suoi averi per acquistare il campo e quindi impadronirsi del tesoro; il mercante, che ha trovato una perla di grande valore, vende tutto quello che possiede per poterla comprare. Il discepolo, che ha preso su di sé il «giogo» di Gesù, lo porta agevolmente, come un «carico leggero» (Mt 11,29-30).
Le rinunce, che Gesù chiede, sono in realtà una liberazione per crescere, per essere di più. Il sacrificio è via alla vera libertà, nella comunione con Dio e con gli altri. Chi riconosce Dio come Padre e fa la sua volontà, sperimenta subito il suo regno e riceve energie per una più alta moralità, per una storia diversa, personale e comunitaria, che ha come meta la vita eterna.
CdA, 948
CONFRONTAVAI
Partecipi della vita trinitaria
[348] Per noi uomini la Trinità è l’origine, il sostegno, la direzione e la meta del nostro cammino. Siamo creati a sua immagine e chiamati a partecipare alla sua vita di amore.
Siamo soggetti singoli e irripetibili; ma ci apparteniamo gli uni gli altri. Tendiamo ad affermare la nostra identità personale, la nostra libertà e originalità; non però nell’isolamento. Per essere noi stessi e sentirci vivi, abbiamo bisogno che altre persone ci accettino e riconoscano il nostro valore; abbiamo bisogno di comunicare con loro e di condividere le cose, gli atteggiamenti, perfino i segreti più intimi. Ciò si può realizzare solo nella reciprocità dell’amore, non certo in altri rapporti umani caratterizzati dalla violenza, dal dominio, dal possesso.
Secondo un detto di Gesù, non riferito dai Vangeli canonici, ma 9-177.pngattribuito a lui dall’antica tradizione cristiana, il regno di Dio viene «quando due diventano uno»
nota
Clemente d’Alessandria, Stromati, 3, 13.
. Come il Padre è donazione e il Figlio è accoglienza nell’unità dello Spirito Santo, così noi viviamo davvero e cresciamo nella misura in cui impariamo a donare noi stessi e ad accogliere gli altri, in uno scambio incessante per attuare la comunione nel rispetto delle persone e della loro libertà e originalità. «Il Signore Gesù, quando prega il Padre, perché “tutti siano uno... come anche noi siamo uno” (Gv 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci suggerisce una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 24.
.
CdA, 808
CONFRONTAVAI
L’antica alleanza
[805] Chiamati a prendere parte alla vita di Dio, dobbiamo renderci consapevoli di che cosa comporti propriamente questa partecipazione.
Nelle diverse religioni il rapporto con Dio a volte assume la forma 21-403.pngdella distanza e della quasi estraneità; altre volte la forma della identificazione e dell’assorbimento totale. Nella Bibbia è inteso come alleanza e comunione, cioè come unità nell’alterità.
La forma arcaica da cui si parte è quella di un patto di vassallaggio. Con questa figura, presa dall’esperienza sociale e giuridica, si vuole indicare una speciale reciproca appartenenza tra Dio e Israele. Dio fa dono di una sua particolare presenza e promette benedizione, prosperità, pace: «Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,12). Israele da parte sua si obbliga a rispondere con la fede e il culto esclusivo, con l’obbedienza alla legge: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (Es 19,8). Il patto, stabilito mediante Mosè, viene rinnovato nei momenti cruciali con Giosuè, David, Giosìa, Esdra e Neemìa.
CCC, 62-64CCC 2060
La nuova alleanza
[806]  Gesù Cristo attua la nuova alleanza, che è unione sponsale con la Chiesa
nota
Cf. Ef 5,22-32.
, reciproco dono di sé e comunione di vita in virtù dello Spirito Santo. I credenti vi partecipano mediante i sacramenti, specialmente il battesimo e l’eucaristia: in loro, come in un tempio, viene ad abitare Dio.
CCC, 610-611CCC 1965
Il tempio vivo
[807]  Nelle religioni il tempio è uno spazio terrestre, coperto dal tetto o spalancato al cielo, riservato alla divinità; un luogo santo, dove Dio si fa presente in modo speciale e gli uomini vanno ad onorarlo con gesti e parole rituali, diversi da quelli ordinari. I primi cristiani, esclusi dal tempio di Gerusalemme e senza templi propri, non esitano a dichiarare che il tempio della definitiva presenza di Dio è il corpo risorto di Cristo e con lui la Chiesa e ognuno dei suoi membri personalmente. Sono consapevoli che non solo i riti religiosi, ma tutti gli impegni della vita quotidiana si svolgono al cospetto dell’Altissimo come «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1).
CCC, 797-798
Abitati dalla Trinità
[808]  Questa nuova presenza interiore, che i teologi chiamano “inabitazione”, viene attribuita innanzitutto allo Spirito Santo. Ma con lui vengono ad abitare nell’uomo anche il Figlio e il Padre: «Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Il Padre è nel Figlio e il Figlio è nei discepoli, mediante lo Spirito, perché diventino una sola cosa e siano perfetti nell’unità.
Entriamo così in una dimensione misteriosa e sublime, la comunione trinitaria
nota
Cf. 1Gv 1,3.
. Elevati dallo Spirito Santo e assimilati a Dio nell’essere e nell’agire, partecipiamo alla sua conoscenza e al suo amore; ci apriamo alle divine persone con una esperienza ancora oscura, ma già protesa alla visione beatifica. La loro presenza, quando nei mistici diventa luminosa e trasparente, si manifesta come una realtà meravigliosa e inebriante, che nessuna parola può descrivere. Che cosa sarà allora l’ultimo compimento di questa alleanza nuziale dell’Agnello con la Chiesa, sua sposa?
Siamo chiamati a entrare in relazione non solo con le persone e le cose di questo mondo, ma anche e soprattutto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, già adesso e poi nell’eternità. Sta qui la nostra più alta dignità
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 19.
e il valore inaudito del nostro faticoso cammino.
CCC, 260CdA, 348
CONFRONTAVAI
CdA 744
CONFRONTAVAI
[809] La nostra sublime vocazione è vivere in comunione di amore con Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, prima nell’oscurità della fede e poi nello splendore della visione.
Le divine persone si comunicano a noi interiormente e stabiliscono in noi una nuova meravigliosa presenza.
Morti e risorti con Cristo
[671]  Il significato del battesimo va ben oltre il simbolismo naturale del lavare con acqua, che indica una purificazione; lo si può cogliere 16-319.pngsolo alla luce della storia della salvezza.
Molti eventi nell’Antico Testamento prefigurano questo sacramento. Sulle acque della creazione aleggia lo Spirito di Dio, per suscitare la vita in tutte le sue forme
nota
Cf. Gen 1,2.
. Dalle acque del diluvio, come da un battesimo cosmico, esce un’umanità nuova. Attraversate le acque del mar Rosso, gli Israeliti si lasciano dietro le spalle la schiavitù e diventano il popolo di Dio, portatore dell’alleanza. Sfiniti dalla sete nel deserto, riprendono vita bevendo l’acqua scaturita miracolosamente dalla roccia
nota
Cf. Es 17,1-7.
. Bagnandosi sette volte nel fiume Giordano, Nàaman viene guarito dalla lebbra e recupera la freschezza di un bambino. Immersi da Giovanni Battista nelle acque del Giordano, i peccatori manifestano la loro volontà di conversione e ottengono la promessa di essere salvati nel giorno imminente del giudizio
nota
Cf. Lc 3,1-18.
.
[672]  Uniti e configurati a Cristo, formiamo la Chiesa suo mistico corpo: un solo battesimo, un solo Dio Padre, un solo Signore Gesù Cristo, un solo corpo ecclesiale, animato da un solo Spirito Santo
nota
Cf. Ef 4,4-5.
. Consacrati con il carattere battesimale, siamo resi partecipi della missione profetica, regale e sacerdotale del Messia, così che ognuno di noi può dire con lui: «Lo Spirito del Signore è sopra di me... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio... per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18)
nota
Cf. Is 61,1-2.
. Siamo abilitati a professare la fede con le parole e le opere, a ordinare secondo giustizia e carità le relazioni con gli altri, a offrire in unione al sacrificio eucaristico il lavoro, la sofferenza, l’esistenza intera.
CdA, 497
CONFRONTAVAI
CdA 742-744
CONFRONTAVAI
Nuova nascita
[673]  L’inserimento in Cristo e nella Chiesa, attuato dallo Spirito Santo, 16-321.pngimplica un profondo rinnovamento interiore
nota
Cf. Tt 3,3-7.
, che è liberazione dal peccato originale e da tutti i peccati personali eventualmente commessi
nota
Cf. Concilio di Firenze, Bolla di unione degli Armeni “Exsultate Deo” - DS 1316.
e soprattutto dono della grazia santificante, in virtù della quale partecipiamo addirittura alla vita divina della Trinità fin da adesso
nota
Cf. 2Pt 1,4.
, siamo «chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (1Gv 3,1), diventiamo eredi dei beni eterni, dal momento che, «se siamo figli, siamo anche eredi» (Rm 8,17). Il battesimo «non è un semplice suggello alla conversione, quasi un segno esteriore che la dimostri e l’attesti»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 47.
, ma comporta una nuova nascita e nuovi legami con le persone divine. Fa sì che il battezzato sia una nuova creatura e abbia nuove possibilità. Non per niente nella Chiesa delle origini i cristiani si considerano «santi» (2Cor 1,1), cioè appartenenti a Dio, e sono consapevoli di dover vivere «come si addice a santi» (Ef 5,3) e di doversi rivestire come «amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3,12).
CdA, 399
CONFRONTAVAI
CdA 808
CONFRONTAVAI
CdA 827-828
CONFRONTAVAI
[1014] Il rapporto filiale con Dio non passa solo attraverso la preghiera, ma anche attraverso le relazioni tra gli uomini. Il cristiano sa che ogni persona è preziosa davanti al Padre, vale per se stessa. Perciò ama la vita, quella degli altri non meno della propria. L’ama sempre, nella prosperità come nella sofferenza. L’aiuta a svilupparsi, la difende dai pericoli e da ogni forma di violenza, privata e pubblica. Diventa così testimone e cooperatore di Dio, salvatore dell’uomo.
L’uomo vale per se stesso
[1015] La mentalità materialistica celebra la vita solo nella misura in cui raggiunge il successo, l’efficienza, la ricchezza, il piacere. Non le riconosce un valore in sé e per sé. Perciò finisce per alimentare una cultura di morte, che trova le sue manifestazioni nel disprezzo e nell’emarginazione dei più deboli, nell’aborto, nell’eutanasia, nell’omicidio anche per futili motivi.
CCC, 356-357
Valore della vita fisica
[1016]  Un valore assoluto va riconosciuto a quella vita di comunione, 26-487.png di cui Gesù ha detto: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Non ha invece un valore assoluto la vita fisica, che all’occorrenza, secondo l’insegnamento del Maestro, bisogna essere pronti anche a sacrificare, per riaverla in pienezza nella vita eterna
nota
Cf. Gv 12,25.
. Il cristiano promuove innanzitutto la propria e l’altrui crescita spirituale; non investe tutta la sua speranza nella salute, nell’efficienza e nella bellezza esteriore; non cade nell’idolatria del corpo.
D’altra parte la vita fisica, pur non essendo il bene supremo, fa da supporto a tutti gli altri beni e ne consente l’attuazione. Va perciò rispettata dal concepimento alla morte naturale. Va curata e servita in modo che tutti possano avere cibo, vestito, abitazione, lavoro, tempo libero, assistenza sanitaria. Va difesa da ogni forma di violenza e preservata dai pericoli che la minacciano, quali l’alcolismo, la droga, gli incidenti prevedibili.
CCC, 2288-2291
Unità di anima e di corpo
[1017]  La coscienza cristiana avverte lucidamente questi doveri, perché ha un’alta considerazione del corpo, elemento costitutivo della persona umana, «destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 14.
.
Secondo la concezione biblica, l’uomo è «spirito, anima e corpo» (1Ts 5,23), cioè un soggetto partecipe di energia divina, vivo e pieno di desideri, inserito nel mondo e sottomesso alla caducità. La nostra tradizione culturale preferisce invece parlare di anima e di corpo. Ma quel che conta è affermare l’unità dell’uomo, unico soggetto che vive a vari livelli, posto tra cielo e terra, uditore di Dio e interprete delle cose materiali
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 14.
.
CCC, 362-368CdA, 366-367
CONFRONTAVAI
[1018] Il corpo umano è senz’altro un oggetto cosmico tra innumerevoli altri, un punto effimero nell’immensità dell’universo. Ma non si può ridurre a una particella di materia. Già dal punto di vista biologico appare meravigliosamente complesso. Inoltre, fatto ancor più significativo, è integrato nell’esperienza soggettiva della persona.
Io non solo osservo il mio corpo dall’esterno, ma lo vivo consapevolmente dall’interno: nell’agire, nel soffrire, nel toccare, in tutte le mie sensazioni. Io sono il mio corpo. Mediante il corpo ricevo influssi esterni, modifico le cose, comunico con gli altri, esprimo e realizzo me stesso. Una contrazione muscolare diventa nella coscienza un grido di dolore; realtà biologiche come il nascere e il morire, il mangiare e il bere, la sessualità e la malattia si caricano simbolicamente di significati esistenziali. Viceversa, un atteggiamento spirituale diventa gesto concreto: l’amicizia si fa sorriso, sguardo, abbraccio; la fede si fa testimonianza di parole e di opere.
Il corpo è linguaggio; è il dinamico inserirsi del soggetto nel mondo, per incontrare gli altri e rivolgersi a Dio. Partecipa alla dignità della persona ed è chiamato alla gloria eterna. Il rispetto dovuto alla persona si estende dunque anche al suo corpo. «Glorificate Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,20).
[1019] La persona umana, immagine vivente di Dio, ha valore per se stessa: va rispettata e amata incondizionatamente.
Il corpo è espressione della persona e partecipa del rispetto ad essa dovuto.
Rifiuto della sofferenza
[1020] Fa parte della mentalità di chi è cresciuto nella civiltà del benessere rivendicare il diritto alla felicità, a un’elevata qualità della vita. Non si deve più soffrire. Se capita una malattia, ci deve essere una soluzione; la scienza deve trovarla. Si fa eccessivo consumo di farmaci; si ricorre con ossessiva frequenza agli esami clinici. Basta una qualsiasi contrarietà a rendere nervosi e tristi. Timore ed ansia fanno diradare le relazioni sociali intorno al malato grave e alla sua famiglia. Si arriva a dichiarare che accettare la sofferenza è immorale. Non si è capaci di dare un senso a questa esperienza umana fondamentale. Ma quale senso può avere la sofferenza?
Pazienza cristiana
[1021]  Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte 26-488.png come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un’alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. «Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano»
nota
San Cipriano di Cartagine, A Demetriano, 18.
.
La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall’altra trova nella sofferenza un’occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell’amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento.
Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri
nota
Cf. Col 1,24.
: «Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo»
nota
Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 19.
.
CdA, 130-132
CONFRONTAVAI
CdA 373-374
CONFRONTAVAI
CdA 855-856
CONFRONTAVAI
Alcune attenzioni
[1022]  La sofferenza costituisce una sfida a crescere nella fede e nell’amore; ne è la verifica più sicura: «L’amore vero e puro si dimostra fra mille pene... Chi vuol l’amore, cerchi il patire»
nota
Santa Veronica Giuliani, Diario, 26.12.1694.
. Una volta scoperta questa grande possibilità, si può essere perfino «afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Così il male è vinto dall’interno, sperimentandolo. Nell’apparente fallimento ci realizziamo più che mai. Occorre però assumere consapevolmente la propria situazione. Per questo in linea di principio è bene che un malato conosca la dura verità della sua malattia. Magari la prudenza consiglierà di manifestarla gradualmente e allusivamente, cercando di prevenire il più possibile il pericolo di scoraggiamento e di depressione.
[1023] Nella prospettiva di un rispetto incondizionato per la persona e di una valorizzazione della stessa sofferenza si collocano alcune particolari attenzioni. I disabili devono essere accolti e inseriti il più possibile nel vivo delle relazioni familiari, ecclesiali e sociali. Gli anziani vanno apprezzati per la loro esperienza e aiutati con un’adeguata assistenza e con iniziative capaci di suscitare il loro interesse. Meritano grande considerazione le professioni degli operatori sanitari, compiute in spirito di servizio, l’impegno per umanizzare le istituzioni, la generosa attività del volontariato, ogni presenza amica accanto a chi soffre.
[1024] Il cristiano apprezza e ama la vita propria e degli altri, anche quando è sfigurata dalla sofferenza e appare assurda. Anzi, nella povertà e nella debolezza riconosce una speciale presenza di Cristo e una possibilità preziosa di crescita e di fecondità spirituale.
No alla violenza
[1025]  Il cristiano non ricorre mai alla violenza, a meno che non vi sia costretto per necessità di legittima difesa. Non la considera una via praticabile per sradicare il male e costruire la giustizia. Non se ne serve neppure per reagire a una violenza subita: perdona le offese, anzi ama i nemici così come sono, accetta di convivere con loro, esponendosi ad ulteriori rischi, sperando nella loro conversione. Resiste con forza al male, ma in modo diverso, cercando di vincere il male con il bene
nota
Cf. Rm 12,21.
.
Rispetto della vita innocente
[1026]  Non si può attenuare il comandamento di Dio: «Non uccidere» (Es 20,13). Chi non rispetta la vita di tutti, rinnega la 26-490.pngpropria dignità di uomo. Per nessuna ragione può essere giustificata la soppressione diretta di un innocente. La persona umana è un valore assoluto, al quale si deve dare testimonianza a qualsiasi costo. Il soldato che in tempo di guerra si rifiuta di sparare per rappresaglia sui civili inermi, preferendo morire con loro piuttosto che uccidere, non salva nessuna vita, anzi ne perde una in più, la propria; ma intuiamo che compie il suo dovere.
Tuttavia, in caso di necessità, per tutelare un bene di estrema importanza, può essere tollerata l’uccisione indiretta. È lecito, per salvare una madre, asportare l’utero malato di tumore, anche se ciò comporta la morte del bambino. Tollerare la morte non è la stessa cosa che uccidere.
CCC, 1737
Legittima difesa
[1027] Diversa, rispetto a quella dell’innocente, è la posizione dell’ingiusto aggressore.
Il precetto evangelico di porgere l’altra guancia non può essere interpretato come remissività verso qualsiasi attentato alla convivenza umana. Superando l’antica legge del taglione, Gesù vieta la ritorsione violenta: fa riferimento a casi concreti, allora assai frequenti, e chiede di rinunciare a vendicarsi di oltraggi, estorsioni, soprusi, seccature, cercando piuttosto di conquistare con generosa magnanimità il cuore dell’avversario
nota
Cf. Mt 5,38-42.
. Propriamente il precetto della non violenza proibisce la vendetta per il male subìto; non riguarda la legittima difesa, rivolta a impedire che il male venga commesso.
Secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa, la difesa da un ingiusto aggressore è lecita, a volte perfino doverosa, purché sia proporzionata ai beni minacciati e alla gravità del pericolo; anzi, in caso di rischio imminente per la vita propria o di altre persone innocenti e in assenza di una diversa via di uscita, può arrivare anche all’uccisione dell’ingiusto aggressore.
Pena di morte
[1028]  Con riferimento a qualche testo biblico
nota
Cf. Rm 13,4.
, di solito è stato riconosciuto all’autorità pubblica il diritto di comminare la pena di morte ai delinquenti, identificati come responsabili di gravissimi delitti dopo un regolare processo. Oggi l’accresciuta consapevolezza riguardo alla dignità di ogni uomo, ancorché criminale, induce ad abolire questa pena. L’unica ragione che si potrebbe addurre per giustificarla, cioè l’assenza di concrete alternative per la legittima difesa della società, viene di fatto a mancare in uno stato moderno organizzato.
Tantomeno questa pena può essere utilizzata lecitamente come deterrente contro l’espandersi della criminalità. Anzi, il carcere stesso deve essere umanizzato e deve mirare alla rieducazione, e, ove possibile, al reinserimento nella società.
Questa sensibilità per la dignità e il valore della persona umana esprime in maniera più adeguata la visione biblica dell’uomo e della misericordia di Dio verso il peccatore: «Come è vero ch’io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33,11).
Aborto
[1029]  Non può certo essere considerato un ingiusto aggressore l’individuo 26-491.pngumano appena formato nel grembo materno, così da poterne giustificare la soppressione diretta con l’aborto. «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51.
. La pena della scomunica sottolinea la gravità e il pericolo di una facile diffusione dell’aborto.
L’ovulo fecondato ha immediatamente una sua autonomia biologica, in quanto possiede un programma genetico scritto nel DNA dei cromosomi, in base al quale realizzerà il successivo sviluppo fisico e psichico. Dipende dalla madre per il nutrimento e la protezione, ma non è parte del suo corpo, né una sua proprietà. Non hanno solido fondamento i tentativi di datare l’ominizzazione dopo le prime due settimane, in cui l’embrione può dividersi per dare origine ai gemelli, o più tardi ancora, dopo la formazione della corteccia cerebrale. L’unica cosa sicura è la perfetta continuità biologica dal concepimento alla nascita, dalla nascita alla morte.
Basta questo per esigere il rispetto della vita appena concepita: nessuno può permettersi di uccidere un individuo, anche solo nel dubbio che si tratti di un uomo. La tradizione cristiana, malgrado le diverse opinioni teologiche circa il momento della creazione dell’anima, ha sempre condannato senza esitazione l’aborto.
26-492.png Inconsistenti appaiono le teorie, secondo cui il feto non sarebbe ancora uomo, perché non è cosciente o non è ancora inserito nella società. Neppure un bambino appena nato è pienamente cosciente; un cerebroleso non lo diventa mai; un addormentato cessa di esserlo temporaneamente. Quanto alla società, non ha certo il potere di stabilire chi è uomo e chi non lo è.
Eventuali motivi di equilibrio psichico della madre o di equilibrio familiare e sociale passano in secondo ordine rispetto al dovere di rispettare la vita e devono trovare soluzioni compatibili con esso. L’aborto non è un diritto per nessuno. La legge civile non può rendere onesto quello che non lo è. Anziché autorizzare in determinati casi l’interruzione volontaria della gravidanza, dovrebbe piuttosto riconoscere il diritto dei piccoli indifesi a una speciale cura e protezione, prima e dopo la nascita.
La comunità cristiana rifiuta con fermezza l’aborto e ogni connivenza con la mentalità abortista, ma sa pure di dover essere segno della misericordia di Dio, che non esclude nessuno. Deve esserlo anche mediante una concreta accoglienza sia delle madri in difficoltà sia di quanti fossero caduti in tale peccato, magari per pressioni psicologiche o sociali, per smarrimento o debolezza.
Manipolazioni genetiche
[1030] Il rispetto dovuto alla persona umana consente gli interventi sull’embrione umano solo a scopo terapeutico. Non tollera la manipolazione genetica delle cellule germinali, che aprirebbe la strada a uno sconvolgimento della specie. Esige massima prudenza anche nel modificare il patrimonio genetico delle specie animali e vegetali, per non turbare in modo irreparabile gli ecosistemi assai complessi.
CCC, 2292-2295
Trapianti
[1031]  La dignità dell’uomo postula che sia salvaguardata la sua integrità 26-493.pngfisica. Tuttavia è lecito amputare una parte per la salute di tutto l’organismo o donare un organo a chi ne abbia necessità, purché non si tratti di trapiantare un organo singolo e vitale come il cuore, nel qual caso il prelievo deve avvenire solo dopo accertata la morte del donatore. La donazione di organi è una nuova via che si apre per la solidarietà e la carità; occorre però combattere ogni tentazione di vergognoso commercio. È necessario a questo riguardo educare le coscienze e promuovere un’adeguata legislazione.
CCC, 2296
Suicidio
[1032] È da considerare un grave disordine il suicidio, che implica il rifiuto del dono di Dio e del compito da lui affidato. Molto spesso però ai suicidi manca la piena responsabilità, a causa dell’angoscia opprimente e del crollo delle energie psichiche. Per questo oggi si concedono spesso anche le esequie religiose.
Eutanasia
[1033] Disordine delittuoso è anche l’eutanasia vera e propria, che consiste nella soppressione indolore, direttamente voluta, di una vita giudicata non più degna di essere vissuta, di solito a motivo di qualche malattia dolorosa e inguaribile. Un eventuale sentimento soggettivo di pietà in colui che la compie non potrebbe cambiarne la qualità morale negativa.
Terapia del dolore
[1034] Non vanno però confuse con l’eutanasia le cure terminali che mirano ad alleviare il dolore, anche se indirettamente possono a volte abbreviare la vita. Esse sono lecite per motivi proporzionati. Non bisogna comunque dimenticare che l’aiuto migliore per i morenti rimane l’accompagnamento personale, pieno di carità e di speranza. Un volto e una mano amica non possono essere surrogati dalle apparecchiature sofisticate.
Accanimento terapeutico
[1035] Neppure la rinuncia al cosiddetto “accanimento terapeutico” va confusa con l’eutanasia. Le cure enormemente costose e senza consistenti vantaggi per il paziente vengono omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto a morire con dignità.
[1036] «Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti... Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,1821).
Residuo di barbarie
[1037]  Per affermare i suoi diritti, veri o presunti, la comunità politica ricorre talvolta alla violenza collettiva, organizzata, pubblica. È la guerra, «il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti»
nota
Giovanni Paolo II, Messaggio per la XV Giornata mondiale della pace (1 gennaio 1982), 12.
. Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l’arbitrato internazionale
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 52.
. Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie.
Agli occhi del cristiano la guerra contraddice il disegno di Dio sulla storia, la sua iniziativa di riconciliazione in Cristo, «nostra pace» (Ef 2,14). Non c’è conquista che possa giustificarla. La pace è preferibile alla vittoria
nota
Cf. Sant’Agostino,La città di Dio, 4, 15.
.
Difesa armata e suoi limiti
[1038]  Tuttavia, in caso di estrema necessità, qualora ogni altro mezzo 26-494.png si sia rivelato impraticabile, non si può negare ai popoli quel diritto alla legittima difesa che non si nega neppure ai singoli uomini
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
. Per motivi analoghi è consentita l’ingerenza umanitaria armata da parte di un paese neutrale o di un’istanza internazionale, per mettere fine a una strage crudele tra due fazioni o due popoli in lotta. L’intervento armato dovrà in ogni caso essere proporzionato ai beni da salvaguardare e limitato agli obiettivi militari.
«La potenza bellica non rende legittimo ogni suo uso militare o politico»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
. Altro è servirsene per difendere giusti diritti conculcati, altro è farlo per imporre il proprio dominio. Altro è mirare ai soli bersagli militari, tollerando a malincuore eventuali danni che indirettamente possano derivarne ai civili, altro è colpire direttamente la popolazione, per scoraggiare la resistenza. La guerra totale, indiscriminata, «è delitto contro Dio e contro la stessa umanità»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 80.
. Purtroppo oggi la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto diventa facilmente guerra totale. Appare pertanto urgente promuovere nell’opinione pubblica il ricorso a forme di difesa non violenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale.
CCC, 2243CCC 2266
Terrorismo
[1039] Come la guerra totale, merita una netta condanna anche il terrorismo, sebbene abbia una capacità distruttiva molto più limitata. In quanto uccisione diretta e indiscriminata di innocenti, è giustamente ritenuto un metodo criminale di lotta, anche quando l’obiettivo perseguito fosse giusto.
Gravissime sono anche le forme di criminalità organizzata quali mafia, ‘ndrangheta, camorra.
CCC, 2297-2298
Edificare la pace
[1040]  La pace non si riduce all’assenza di guerra. È una costruzione politica e prima ancora un fatto spirituale
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 82.
.
È dovere dei politici organizzare la pace: eliminare le armi di 26-495.pngdistruzione di massa e tenere a basso livello le altre, destinare le risorse risparmiate con il disarmo allo sviluppo dei popoli, sostituire sempre più la collaborazione alla concorrenza. È dovere di tutti i cittadini educare se stessi alla pace: rispettare il pluralismo politico, sociale, culturale e religioso, favorire il dialogo e la solidarietà in ambito locale e a dimensione planetaria, tenere un sobrio tenore di vita che consenta di condividere con gli altri i beni della terra. «Non è possibile che la pace sussista se non prospera prima la virtù»
nota
San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Efesini, 9, 4.
. In questo contesto risalta il significato educativo che può avere la scelta degli obiettori di coscienza di testimoniare il valore della non violenza sostituendo il servizio civile a quello militare, senza peraltro recare pregiudizio al valore e alla dignità del servizio dei militari quando operano come «servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
.
Le contese tra gli uomini non cesseranno; la pace perfetta verrà al di là della storia. Il cristiano sa di non avere soluzioni definitive; ma si impegna ugualmente con totale serietà, per attuare un’anticipazione profetica della salvezza: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
CdA, 1164-1165
CONFRONTAVAI
[1041] «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,4).
L’uomo vale per se stesso
[1015] La mentalità materialistica celebra la vita solo nella misura in cui raggiunge il successo, l’efficienza, la ricchezza, il piacere. Non le riconosce un valore in sé e per sé. Perciò finisce per alimentare una cultura di morte, che trova le sue manifestazioni nel disprezzo e nell’emarginazione dei più deboli, nell’aborto, nell’eutanasia, nell’omicidio anche per futili motivi.
CCC, 356-357
Valore della vita fisica
[1016]  Un valore assoluto va riconosciuto a quella vita di comunione, 26-487.png di cui Gesù ha detto: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Non ha invece un valore assoluto la vita fisica, che all’occorrenza, secondo l’insegnamento del Maestro, bisogna essere pronti anche a sacrificare, per riaverla in pienezza nella vita eterna
nota
Cf. Gv 12,25.
. Il cristiano promuove innanzitutto la propria e l’altrui crescita spirituale; non investe tutta la sua speranza nella salute, nell’efficienza e nella bellezza esteriore; non cade nell’idolatria del corpo.
D’altra parte la vita fisica, pur non essendo il bene supremo, fa da supporto a tutti gli altri beni e ne consente l’attuazione. Va perciò rispettata dal concepimento alla morte naturale. Va curata e servita in modo che tutti possano avere cibo, vestito, abitazione, lavoro, tempo libero, assistenza sanitaria. Va difesa da ogni forma di violenza e preservata dai pericoli che la minacciano, quali l’alcolismo, la droga, gli incidenti prevedibili.
CCC, 2288-2291
Unità di anima e di corpo
[1017]  La coscienza cristiana avverte lucidamente questi doveri, perché ha un’alta considerazione del corpo, elemento costitutivo della persona umana, «destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 14.
.
Secondo la concezione biblica, l’uomo è «spirito, anima e corpo» (1Ts 5,23), cioè un soggetto partecipe di energia divina, vivo e pieno di desideri, inserito nel mondo e sottomesso alla caducità. La nostra tradizione culturale preferisce invece parlare di anima e di corpo. Ma quel che conta è affermare l’unità dell’uomo, unico soggetto che vive a vari livelli, posto tra cielo e terra, uditore di Dio e interprete delle cose materiali
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 14.
.
CCC, 362-368CdA, 366-367
CONFRONTAVAI
[1018] Il corpo umano è senz’altro un oggetto cosmico tra innumerevoli altri, un punto effimero nell’immensità dell’universo. Ma non si può ridurre a una particella di materia. Già dal punto di vista biologico appare meravigliosamente complesso. Inoltre, fatto ancor più significativo, è integrato nell’esperienza soggettiva della persona.
Io non solo osservo il mio corpo dall’esterno, ma lo vivo consapevolmente dall’interno: nell’agire, nel soffrire, nel toccare, in tutte le mie sensazioni. Io sono il mio corpo. Mediante il corpo ricevo influssi esterni, modifico le cose, comunico con gli altri, esprimo e realizzo me stesso. Una contrazione muscolare diventa nella coscienza un grido di dolore; realtà biologiche come il nascere e il morire, il mangiare e il bere, la sessualità e la malattia si caricano simbolicamente di significati esistenziali. Viceversa, un atteggiamento spirituale diventa gesto concreto: l’amicizia si fa sorriso, sguardo, abbraccio; la fede si fa testimonianza di parole e di opere.
Il corpo è linguaggio; è il dinamico inserirsi del soggetto nel mondo, per incontrare gli altri e rivolgersi a Dio. Partecipa alla dignità della persona ed è chiamato alla gloria eterna. Il rispetto dovuto alla persona si estende dunque anche al suo corpo. «Glorificate Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,20).
Rifiuto della sofferenza
[1020] Fa parte della mentalità di chi è cresciuto nella civiltà del benessere rivendicare il diritto alla felicità, a un’elevata qualità della vita. Non si deve più soffrire. Se capita una malattia, ci deve essere una soluzione; la scienza deve trovarla. Si fa eccessivo consumo di farmaci; si ricorre con ossessiva frequenza agli esami clinici. Basta una qualsiasi contrarietà a rendere nervosi e tristi. Timore ed ansia fanno diradare le relazioni sociali intorno al malato grave e alla sua famiglia. Si arriva a dichiarare che accettare la sofferenza è immorale. Non si è capaci di dare un senso a questa esperienza umana fondamentale. Ma quale senso può avere la sofferenza?
Pazienza cristiana
[1021]  Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte 26-488.png come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un’alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. «Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano»
nota
San Cipriano di Cartagine, A Demetriano, 18.
.
La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall’altra trova nella sofferenza un’occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell’amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento.
Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri
nota
Cf. Col 1,24.
: «Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo»
nota
Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 19.
.
CdA, 130-132
CONFRONTAVAI
CdA 373-374
CONFRONTAVAI
CdA 855-856
CONFRONTAVAI
Alcune attenzioni
[1022]  La sofferenza costituisce una sfida a crescere nella fede e nell’amore; ne è la verifica più sicura: «L’amore vero e puro si dimostra fra mille pene... Chi vuol l’amore, cerchi il patire»
nota
Santa Veronica Giuliani, Diario, 26.12.1694.
. Una volta scoperta questa grande possibilità, si può essere perfino «afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Così il male è vinto dall’interno, sperimentandolo. Nell’apparente fallimento ci realizziamo più che mai. Occorre però assumere consapevolmente la propria situazione. Per questo in linea di principio è bene che un malato conosca la dura verità della sua malattia. Magari la prudenza consiglierà di manifestarla gradualmente e allusivamente, cercando di prevenire il più possibile il pericolo di scoraggiamento e di depressione.
[1023] Nella prospettiva di un rispetto incondizionato per la persona e di una valorizzazione della stessa sofferenza si collocano alcune particolari attenzioni. I disabili devono essere accolti e inseriti il più possibile nel vivo delle relazioni familiari, ecclesiali e sociali. Gli anziani vanno apprezzati per la loro esperienza e aiutati con un’adeguata assistenza e con iniziative capaci di suscitare il loro interesse. Meritano grande considerazione le professioni degli operatori sanitari, compiute in spirito di servizio, l’impegno per umanizzare le istituzioni, la generosa attività del volontariato, ogni presenza amica accanto a chi soffre.
[1024] Il cristiano apprezza e ama la vita propria e degli altri, anche quando è sfigurata dalla sofferenza e appare assurda. Anzi, nella povertà e nella debolezza riconosce una speciale presenza di Cristo e una possibilità preziosa di crescita e di fecondità spirituale.
Quinto comandamento
[885]  Il quinto comandamento “Non uccidere” prescrive con forza il rispetto della vita, che è sacra e viene da Dio: solo Dio è il Signore della vita, dal suo inizio al suo termine. Il comandamento vieta le azioni contrarie alla vita, alla salute e all’integrità, propria e altrui. Proibisce dunque il suicidio, l’omicidio, l’aborto, l’eutanasia, ogni forma di violenza che non sia per legittima difesa. Comanda di promuovere la pace e di evitare la guerra.
CCC, 2258-2317CdA, 1015-1040
CONFRONTAVAI
No alla violenza
[1025]  Il cristiano non ricorre mai alla violenza, a meno che non vi sia costretto per necessità di legittima difesa. Non la considera una via praticabile per sradicare il male e costruire la giustizia. Non se ne serve neppure per reagire a una violenza subita: perdona le offese, anzi ama i nemici così come sono, accetta di convivere con loro, esponendosi ad ulteriori rischi, sperando nella loro conversione. Resiste con forza al male, ma in modo diverso, cercando di vincere il male con il bene
nota
Cf. Rm 12,21.
.
Rispetto della vita innocente
[1026]  Non si può attenuare il comandamento di Dio: «Non uccidere» (Es 20,13). Chi non rispetta la vita di tutti, rinnega la 26-490.pngpropria dignità di uomo. Per nessuna ragione può essere giustificata la soppressione diretta di un innocente. La persona umana è un valore assoluto, al quale si deve dare testimonianza a qualsiasi costo. Il soldato che in tempo di guerra si rifiuta di sparare per rappresaglia sui civili inermi, preferendo morire con loro piuttosto che uccidere, non salva nessuna vita, anzi ne perde una in più, la propria; ma intuiamo che compie il suo dovere.
Tuttavia, in caso di necessità, per tutelare un bene di estrema importanza, può essere tollerata l’uccisione indiretta. È lecito, per salvare una madre, asportare l’utero malato di tumore, anche se ciò comporta la morte del bambino. Tollerare la morte non è la stessa cosa che uccidere.
CCC, 1737
Legittima difesa
[1027] Diversa, rispetto a quella dell’innocente, è la posizione dell’ingiusto aggressore.
Il precetto evangelico di porgere l’altra guancia non può essere interpretato come remissività verso qualsiasi attentato alla convivenza umana. Superando l’antica legge del taglione, Gesù vieta la ritorsione violenta: fa riferimento a casi concreti, allora assai frequenti, e chiede di rinunciare a vendicarsi di oltraggi, estorsioni, soprusi, seccature, cercando piuttosto di conquistare con generosa magnanimità il cuore dell’avversario
nota
Cf. Mt 5,38-42.
. Propriamente il precetto della non violenza proibisce la vendetta per il male subìto; non riguarda la legittima difesa, rivolta a impedire che il male venga commesso.
Secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa, la difesa da un ingiusto aggressore è lecita, a volte perfino doverosa, purché sia proporzionata ai beni minacciati e alla gravità del pericolo; anzi, in caso di rischio imminente per la vita propria o di altre persone innocenti e in assenza di una diversa via di uscita, può arrivare anche all’uccisione dell’ingiusto aggressore.
Difesa armata e suoi limiti
[1038]  Tuttavia, in caso di estrema necessità, qualora ogni altro mezzo 26-494.png si sia rivelato impraticabile, non si può negare ai popoli quel diritto alla legittima difesa che non si nega neppure ai singoli uomini
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
. Per motivi analoghi è consentita l’ingerenza umanitaria armata da parte di un paese neutrale o di un’istanza internazionale, per mettere fine a una strage crudele tra due fazioni o due popoli in lotta. L’intervento armato dovrà in ogni caso essere proporzionato ai beni da salvaguardare e limitato agli obiettivi militari.
«La potenza bellica non rende legittimo ogni suo uso militare o politico»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
. Altro è servirsene per difendere giusti diritti conculcati, altro è farlo per imporre il proprio dominio. Altro è mirare ai soli bersagli militari, tollerando a malincuore eventuali danni che indirettamente possano derivarne ai civili, altro è colpire direttamente la popolazione, per scoraggiare la resistenza. La guerra totale, indiscriminata, «è delitto contro Dio e contro la stessa umanità»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 80.
. Purtroppo oggi la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto diventa facilmente guerra totale. Appare pertanto urgente promuovere nell’opinione pubblica il ricorso a forme di difesa non violenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale.
CCC, 2243CCC 2266
Pena di morte
[1028]  Con riferimento a qualche testo biblico
nota
Cf. Rm 13,4.
, di solito è stato riconosciuto all’autorità pubblica il diritto di comminare la pena di morte ai delinquenti, identificati come responsabili di gravissimi delitti dopo un regolare processo. Oggi l’accresciuta consapevolezza riguardo alla dignità di ogni uomo, ancorché criminale, induce ad abolire questa pena. L’unica ragione che si potrebbe addurre per giustificarla, cioè l’assenza di concrete alternative per la legittima difesa della società, viene di fatto a mancare in uno stato moderno organizzato.
Tantomeno questa pena può essere utilizzata lecitamente come deterrente contro l’espandersi della criminalità. Anzi, il carcere stesso deve essere umanizzato e deve mirare alla rieducazione, e, ove possibile, al reinserimento nella società.
Questa sensibilità per la dignità e il valore della persona umana esprime in maniera più adeguata la visione biblica dell’uomo e della misericordia di Dio verso il peccatore: «Come è vero ch’io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33,11).
Sesto comandamento
[886]  Il sesto comandamento “Non commettere atti impuri”, alla luce del progetto di Dio e nella prospettiva della sua chiamata all’amore e alla comunione, afferma l’autentico valore della sessualità, tutela la fedeltà coniugale ed educa alla castità in ogni stato di vita. Proibisce di conseguenza quanto la offende e non la rispetta nel comportamento personale e di coppia: masturbazione, atti di omosessualità, fornicazione, prostituzione, stupro, incesto, contraccezione, adulterio, divorzio, poligamia, libere unioni, ogni attuazione della sessualità genitale fuori del matrimonio.
CCC, 2331-2391CdA, 1042-1084
CONFRONTAVAI
Aborto
[1029]  Non può certo essere considerato un ingiusto aggressore l’individuo 26-491.pngumano appena formato nel grembo materno, così da poterne giustificare la soppressione diretta con l’aborto. «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51.
. La pena della scomunica sottolinea la gravità e il pericolo di una facile diffusione dell’aborto.
L’ovulo fecondato ha immediatamente una sua autonomia biologica, in quanto possiede un programma genetico scritto nel DNA dei cromosomi, in base al quale realizzerà il successivo sviluppo fisico e psichico. Dipende dalla madre per il nutrimento e la protezione, ma non è parte del suo corpo, né una sua proprietà. Non hanno solido fondamento i tentativi di datare l’ominizzazione dopo le prime due settimane, in cui l’embrione può dividersi per dare origine ai gemelli, o più tardi ancora, dopo la formazione della corteccia cerebrale. L’unica cosa sicura è la perfetta continuità biologica dal concepimento alla nascita, dalla nascita alla morte.
Basta questo per esigere il rispetto della vita appena concepita: nessuno può permettersi di uccidere un individuo, anche solo nel dubbio che si tratti di un uomo. La tradizione cristiana, malgrado le diverse opinioni teologiche circa il momento della creazione dell’anima, ha sempre condannato senza esitazione l’aborto.
26-492.png Inconsistenti appaiono le teorie, secondo cui il feto non sarebbe ancora uomo, perché non è cosciente o non è ancora inserito nella società. Neppure un bambino appena nato è pienamente cosciente; un cerebroleso non lo diventa mai; un addormentato cessa di esserlo temporaneamente. Quanto alla società, non ha certo il potere di stabilire chi è uomo e chi non lo è.
Eventuali motivi di equilibrio psichico della madre o di equilibrio familiare e sociale passano in secondo ordine rispetto al dovere di rispettare la vita e devono trovare soluzioni compatibili con esso. L’aborto non è un diritto per nessuno. La legge civile non può rendere onesto quello che non lo è. Anziché autorizzare in determinati casi l’interruzione volontaria della gravidanza, dovrebbe piuttosto riconoscere il diritto dei piccoli indifesi a una speciale cura e protezione, prima e dopo la nascita.
La comunità cristiana rifiuta con fermezza l’aborto e ogni connivenza con la mentalità abortista, ma sa pure di dover essere segno della misericordia di Dio, che non esclude nessuno. Deve esserlo anche mediante una concreta accoglienza sia delle madri in difficoltà sia di quanti fossero caduti in tale peccato, magari per pressioni psicologiche o sociali, per smarrimento o debolezza.
Manipolazioni genetiche
[1030] Il rispetto dovuto alla persona umana consente gli interventi sull’embrione umano solo a scopo terapeutico. Non tollera la manipolazione genetica delle cellule germinali, che aprirebbe la strada a uno sconvolgimento della specie. Esige massima prudenza anche nel modificare il patrimonio genetico delle specie animali e vegetali, per non turbare in modo irreparabile gli ecosistemi assai complessi.
CCC, 2292-2295
Trapianti
[1031]  La dignità dell’uomo postula che sia salvaguardata la sua integrità 26-493.pngfisica. Tuttavia è lecito amputare una parte per la salute di tutto l’organismo o donare un organo a chi ne abbia necessità, purché non si tratti di trapiantare un organo singolo e vitale come il cuore, nel qual caso il prelievo deve avvenire solo dopo accertata la morte del donatore. La donazione di organi è una nuova via che si apre per la solidarietà e la carità; occorre però combattere ogni tentazione di vergognoso commercio. È necessario a questo riguardo educare le coscienze e promuovere un’adeguata legislazione.
CCC, 2296
Sesto comandamento
[886]  Il sesto comandamento “Non commettere atti impuri”, alla luce del progetto di Dio e nella prospettiva della sua chiamata all’amore e alla comunione, afferma l’autentico valore della sessualità, tutela la fedeltà coniugale ed educa alla castità in ogni stato di vita. Proibisce di conseguenza quanto la offende e non la rispetta nel comportamento personale e di coppia: masturbazione, atti di omosessualità, fornicazione, prostituzione, stupro, incesto, contraccezione, adulterio, divorzio, poligamia, libere unioni, ogni attuazione della sessualità genitale fuori del matrimonio.
CCC, 2331-2391CdA, 1042-1084
CONFRONTAVAI
Suicidio
[1032] È da considerare un grave disordine il suicidio, che implica il rifiuto del dono di Dio e del compito da lui affidato. Molto spesso però ai suicidi manca la piena responsabilità, a causa dell’angoscia opprimente e del crollo delle energie psichiche. Per questo oggi si concedono spesso anche le esequie religiose.
Sesto comandamento
[886]  Il sesto comandamento “Non commettere atti impuri”, alla luce del progetto di Dio e nella prospettiva della sua chiamata all’amore e alla comunione, afferma l’autentico valore della sessualità, tutela la fedeltà coniugale ed educa alla castità in ogni stato di vita. Proibisce di conseguenza quanto la offende e non la rispetta nel comportamento personale e di coppia: masturbazione, atti di omosessualità, fornicazione, prostituzione, stupro, incesto, contraccezione, adulterio, divorzio, poligamia, libere unioni, ogni attuazione della sessualità genitale fuori del matrimonio.
CCC, 2331-2391CdA, 1042-1084
CONFRONTAVAI
Eutanasia
[1033] Disordine delittuoso è anche l’eutanasia vera e propria, che consiste nella soppressione indolore, direttamente voluta, di una vita giudicata non più degna di essere vissuta, di solito a motivo di qualche malattia dolorosa e inguaribile. Un eventuale sentimento soggettivo di pietà in colui che la compie non potrebbe cambiarne la qualità morale negativa.
Terapia del dolore
[1034] Non vanno però confuse con l’eutanasia le cure terminali che mirano ad alleviare il dolore, anche se indirettamente possono a volte abbreviare la vita. Esse sono lecite per motivi proporzionati. Non bisogna comunque dimenticare che l’aiuto migliore per i morenti rimane l’accompagnamento personale, pieno di carità e di speranza. Un volto e una mano amica non possono essere surrogati dalle apparecchiature sofisticate.
Accanimento terapeutico
[1035] Neppure la rinuncia al cosiddetto “accanimento terapeutico” va confusa con l’eutanasia. Le cure enormemente costose e senza consistenti vantaggi per il paziente vengono omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto a morire con dignità.
Residuo di barbarie
[1037]  Per affermare i suoi diritti, veri o presunti, la comunità politica ricorre talvolta alla violenza collettiva, organizzata, pubblica. È la guerra, «il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti»
nota
Giovanni Paolo II, Messaggio per la XV Giornata mondiale della pace (1 gennaio 1982), 12.
. Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l’arbitrato internazionale
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 52.
. Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie.
Agli occhi del cristiano la guerra contraddice il disegno di Dio sulla storia, la sua iniziativa di riconciliazione in Cristo, «nostra pace» (Ef 2,14). Non c’è conquista che possa giustificarla. La pace è preferibile alla vittoria
nota
Cf. Sant’Agostino,La città di Dio, 4, 15.
.
Difesa armata e suoi limiti
[1038]  Tuttavia, in caso di estrema necessità, qualora ogni altro mezzo 26-494.png si sia rivelato impraticabile, non si può negare ai popoli quel diritto alla legittima difesa che non si nega neppure ai singoli uomini
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
. Per motivi analoghi è consentita l’ingerenza umanitaria armata da parte di un paese neutrale o di un’istanza internazionale, per mettere fine a una strage crudele tra due fazioni o due popoli in lotta. L’intervento armato dovrà in ogni caso essere proporzionato ai beni da salvaguardare e limitato agli obiettivi militari.
«La potenza bellica non rende legittimo ogni suo uso militare o politico»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
. Altro è servirsene per difendere giusti diritti conculcati, altro è farlo per imporre il proprio dominio. Altro è mirare ai soli bersagli militari, tollerando a malincuore eventuali danni che indirettamente possano derivarne ai civili, altro è colpire direttamente la popolazione, per scoraggiare la resistenza. La guerra totale, indiscriminata, «è delitto contro Dio e contro la stessa umanità»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 80.
. Purtroppo oggi la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto diventa facilmente guerra totale. Appare pertanto urgente promuovere nell’opinione pubblica il ricorso a forme di difesa non violenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell’esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale.
CCC, 2243CCC 2266
Terrorismo
[1039] Come la guerra totale, merita una netta condanna anche il terrorismo, sebbene abbia una capacità distruttiva molto più limitata. In quanto uccisione diretta e indiscriminata di innocenti, è giustamente ritenuto un metodo criminale di lotta, anche quando l’obiettivo perseguito fosse giusto.
Gravissime sono anche le forme di criminalità organizzata quali mafia, ‘ndrangheta, camorra.
CCC, 2297-2298
Edificare la pace
[1040]  La pace non si riduce all’assenza di guerra. È una costruzione politica e prima ancora un fatto spirituale
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 82.
.
È dovere dei politici organizzare la pace: eliminare le armi di 26-495.pngdistruzione di massa e tenere a basso livello le altre, destinare le risorse risparmiate con il disarmo allo sviluppo dei popoli, sostituire sempre più la collaborazione alla concorrenza. È dovere di tutti i cittadini educare se stessi alla pace: rispettare il pluralismo politico, sociale, culturale e religioso, favorire il dialogo e la solidarietà in ambito locale e a dimensione planetaria, tenere un sobrio tenore di vita che consenta di condividere con gli altri i beni della terra. «Non è possibile che la pace sussista se non prospera prima la virtù»
nota
San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Efesini, 9, 4.
. In questo contesto risalta il significato educativo che può avere la scelta degli obiettori di coscienza di testimoniare il valore della non violenza sostituendo il servizio civile a quello militare, senza peraltro recare pregiudizio al valore e alla dignità del servizio dei militari quando operano come «servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 79.
.
Le contese tra gli uomini non cesseranno; la pace perfetta verrà al di là della storia. Il cristiano sa di non avere soluzioni definitive; ma si impegna ugualmente con totale serietà, per attuare un’anticipazione profetica della salvezza: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
CdA, 1164-1165
CONFRONTAVAI
[1041] «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,4).
[1167] Lungi dal ridursi a impegno etico o sociale, la vita cristiana è tutta protesa nella speranza verso il compimento ultimo della storia umana. La carità, che anima i figli di Dio, anela a compiersi nella perfetta comunione con le Persone divine. Mentre nella fatica di ogni giorno risana i vari ambiti dell’esistenza, prepara l’avvento del Regno, in cui troverà riposo e festa eterna.
Nella storia della salvezza Dio si fa presente come Dio dell’alleanza e della promessa. Attraverso le meraviglie della creazione, dell’incarnazione redentrice e della santificazione, mira a unificare e pacificare in Cristo risorto con la potenza dello Spirito il mondo intero, per essere «tutto in tutti» (1Cor 15,28). Solo il futuro di Dio illumina l’enigma del presente, intessuto di bene e di male, caratterizzandolo come tempo della preparazione e della prova.
[1168] Schiere interminabili di uomini passano ogni giorno da questo mondo al Padre, come stormi di uccelli che migrano verso la terra del sole. Ma che cosa sappiamo noi della vita oltre la morte? Possiamo prefigurarla in qualche modo?
Sebbene al presente, nei doni di Dio, si possano già pregustare «le meraviglie del mondo futuro» (Eb 6,5), la novità e la sorpresa saranno senza pari: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). Come il bambino chiuso nell’utero materno non immagina il multiforme spettacolo che lo attende dopo la nascita, così noi non possiamo comprendere e descrivere la realtà ultima nelle sue modalità concrete. La divina rivelazione non intende soddisfare la curiosità, ma accendere il desiderio e orientare l’azione nella direzione giusta. Le analogie, i simboli e le immagini evocano la realtà senza pretendere di definirla, un po’ come il sussurro della conchiglia ci porta l’eco del mare.
L’amore di Dio accolto è vita eterna; l’amore di Dio rifiutato è perdizione eterna. L’eternità beata non sarà prolungamento indefinito dell’esistenza attuale, così povera e frammentaria, ma pienezza di vita, quale oggi possiamo solo presentire attraverso le esperienze più intense di meraviglia, di amore e di gioia. Sarà totale liberazione dai mali fisici, spirituali e sociali, perfetta armonia con Dio, con gli altri, con le cose e con se stessi.
[1169] Caratterizzando come speranza operosa l’atteggiamento del cristiano, metteremo in evidenza il collegamento tra la storia e il compimento trascendente (capitolo 31). Formuleremo poi con un linguaggio attento ai rapporti interpersonali la dottrina tradizionale sulle ultime realtà (capitolo 32).
[1170] La speranza cristiana è rivolta al compimento definitivo, che si prepara nella storia e si realizza oltre la storia. Di qui il serio impegno per le realtà terrene, unito a un sereno distacco.
La salvezza come dono
[1171] L’uomo è desiderio di vivere. Per attuare questo desiderio, il credente si appoggia a Dio. Attende la salvezza come dono, non come conquista. Mentre la cultura oggi dominante confida nel progresso quale risultato automatico di forze immanenti alla storia, il cristiano spera in un “avvento”, che porti per grazia nuove possibilità di vita e recuperi ciò che è perduto. La sua posizione non è rinunciataria; spinge anzi all’impegno, come cooperazione con Dio.
CdA, 136-138
CONFRONTAVAI
Speranze storiche
[1172]  La speranza biblica in epoca antica è rivolta a realtà storiche, frutto della benedizione divina e della libera risposta dell’uomo. Ad Abramo Dio promette una terra e una discendenza, purché si metta subito in cammino: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò» (Gen 12,1-2). A Israele offre la liberazione dalla schiavitù, la protezione dai nemici, il benessere e una patria «dove scorre latte e miele» (Es 3,8), insieme con una sua particolare vicinanza e predilezione
nota
Cf. Es 19,4-6.
; ma gli chiede di conseguire questi doni partendo dall’Egitto e osservando la legge dell’alleanza. Più tardi, per mezzo dei profeti, apre prospettive ancora più grandiose: un nuovo esodo, una nuova Gerusalemme, un re giusto e saggio, la pace messianica per tutte le genti. Israele però deve convertirsi e praticare la giustizia.
CCC, 522-524CCC 711-716
Speranza escatologica
[1173]  Con la letteratura sapienziale e apocalittica la speranza si estende anche ai morti: i giusti continuano a vivere nell’amicizia di Dio e nell’ultimo giorno risorgeranno con il corpo a nuova vita, mentre crollerà il vecchio mondo e dalle sue rovine ne germoglierà uno più bello. Intanto bisogna essere fedeli e perseveranti.
CCC, 992-996
Inaugurazione del Regno
[1174]  Gesù di Nàzaret porta la buona notizia che il regno di Dio e il 31-567.pngmondo nuovo sono già inaugurati in lui e in quanti si convertono e credono, malgrado il vecchio mondo prosegua la sua vicenda. Si tratta di una nuova vicinanza di Dio mediante Gesù stesso, che dà inizio a un rinnovamento destinato a raggiungere la perfezione completa con la risurrezione nell’ultimo giorno. Viene chiesta una responsabile cooperazione, un’attesa laboriosa come quella dei servi fedeli che fanno fruttificare i talenti.
CCC, 541-542CCC 2816-2818CdA, 105-126
CONFRONTAVAI
CdA 141
CONFRONTAVAI
La parusia
[1175]  La Chiesa delle origini crede che il Signore Gesù, morto e risorto, ha aperto una storia di salvezza universale, cosmica. Il regno di Dio è impersonato in lui. Attendere il Regno significa attendere la “Parusia” del Signore. Con questa parola, usata comunemente per indicare la visita ufficiale di un sovrano in qualche città, i credenti designano la venuta pubblica e manifesta del Cristo glorioso. Non si tratta di un ritorno, quasi che adesso sia assente, ma del compimento e della manifestazione suprema di quella presenza che ha avuto inizio con la sua umile vicenda terrena e che continua oggi nascosta nel mistero dell’eucaristia, della Chiesa, della carità e dei poveri.
La parusia è la meta della storia. Porterà la perfezione totale dell’uomo e del mondo. Dio infatti ha voluto «ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10), «per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,20). La nostra risurrezione è prolungamento della sua
nota
Cf. 1Cor 15,20.
. Significativamente nei primi secoli le assemblee cristiane preferivano pregare rivolte a oriente, da dove sorgerà il sole che inaugurerà il giorno eterno. La stessa fede viene professata ai nostri giorni dal concilio Vaticano II: «Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di tutti i cuori, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Nel suo Spirito vivificati e coadunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 45.
.
CCC, 673-674CCC 100CdA, 276-277
CONFRONTAVAI
CdA 1211
CONFRONTAVAI
[1176]  Per mezzo di Cristo l’umanità viene ricondotta «al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,18). Il Padre è origine prima e termine ultimo: crea, santifica, glorifica e attrae a sé attraverso il Figlio, che eternamente è rivolto a lui nello Spirito. Il suo disegno si attua in tutto il corso della storia: creazione, diffusione dei popoli, elezione di Israele, inaugurazione del regno in Cristo, espansione di esso mediante la Chiesa in mezzo alle nazioni della terra, fino a quando la parusia del Signore Gesù coronerà queste opere meravigliose in una grande pasqua cosmica. Allora la famiglia umana, dopo tanto faticoso peregrinare, entrerà nel riposo di Dio
nota
Cf. Eb 4,9-11.
e Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28).
[1177] La presenza nel mondo del Figlio di Dio fatto uomo, inaugurata con l’incarnazione redentrice, culminerà con la parusia, la venuta gloriosa che porterà a compimento la storia in una pasqua cosmica, in cui i morti risusciteranno e il bene trionferà definitivamente sul male.
Criteri per il discernimento
[1178]  Il mondo, distinto e dipendente da Dio, è storia protesa al compimento in lui. Quanto di buono cresce nella storia fiorisce nell’eternità. Tutto è prezioso, anche «un bicchiere di acqua fresca» (Mt 10,42) dato con amore.
In quanto preparazione e anticipo del Regno, la storia è il luogo dove agisce la Provvidenza divina e di questa azione è possibile discernere i segni indicatori: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?» (Mt 16,2-3). I segni, ai quali Gesù fa riferimento, sono la sua stessa presenza, la sua predicazione e le sue opere. Ne preannuncia altri in un prossimo futuro: la rovina di Gerusalemme e la diffusione del vangelo attraverso la Chiesa
nota
Cf. Mt 24,1-36.
.
I segni pubblici e non ambigui si riducono in definitiva a uno solo: Cristo annunciato e testimoniato dalla Chiesa. In base a questo criterio occorre operare il discernimento riguardo a tutte le altre realtà storiche, per evitare di confondere i germi del Regno con le linee di tendenza prevalenti in una determinata epoca. Altrimenti il discorso sui segni dei tempi si ridurrebbe a un’ideologia, per giustificare l’adeguamento al mondo e benedire ogni presunto progresso. La Chiesa deve orientare la storia, non andarne a rimorchio. Insieme al grano cresce ancora la zizzania; Cristo combatte ancora contro le potenze ostili.
D’altra parte, se Dio creatore e redentore agisce nella storia e in lui «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28), bisogna ritenere che «tutto quello che è vero, nobile, giusto» (Fil 4,8) deriva da lui e manifesta le ricchezze del mistero di Cristo. L’autenticità umana costituisce così un criterio sussidiario e subordinato, che integra il criterio principale.
Procedendo secondo queste indicazioni, è possibile individuare i segni della Provvidenza nel nostro tempo. Il concilio Vaticano II considera tali il rinnovamento della liturgia
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 43.
, l’ecumenismo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 4.
, il riconoscimento del diritto alla libertà di religione
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 15.
, il crescente senso di solidarietà tra tutti i popoli
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 14.
. Ovviamente se ne potrebbero addurre molti altri.
CCC, 2820CdA, 365
CONFRONTAVAI
Anticipo della salvezza
[1179]  Ciò che è dono della Provvidenza è anche frutto della libera 31-569.pngcooperazione dell’uomo. Gli uomini contribuiscono a preparare il futuro e a disegnarne la figura: «L’attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova, che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 39.
. Se i contenuti tecnici, economici e politici del progresso appartengono alla figura di questo mondo che passa, invece i beni morali, in essi incorporati, sono destinati ad essere assunti e perfezionati: «Non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l’universo»; ma resterà «la carità con i suoi frutti» e ritroveremo «purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati» i valori che avevamo diffuso nel mondo, «quali la dignità dell’uomo, la fraternità e la libertà»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 39.
.
La speranza cristiana non fa concorrenza alle speranze terrene autentiche, anzi risveglia e mette a loro disposizione preziose energie. A chi cerca la salvezza eterna, i beni storici sono dati in aggiunta
nota
Cf. Mt 6,33.
.
CCC, 2046CCC 2819
[1180] I segni dei tempi sono i germi del regno di Dio che crescono nella storia, gli eventi in cui si manifesta la divina Provvidenza.
«È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo»
nota
Concilio Vaticano II , Gaudium et spes, 4.
.
Serietà dell’impegno
[1181]  La salvezza nella storia e oltre la storia fonda l’originalità 31-570.png dell’atteggiamento cristiano nei riguardi delle realtà terrene.
Innanzitutto si tratta di impegno serio. L’apostolo Paolo non approva che si trascurino le attività ordinarie, neppure quando immagina che la parusia del Signore sia imminente. Anzi, ne trae motivo per esortare ad essere più che mai operosi nel bene.
I cristiani dei primi secoli sono fieri di essere presenti in tutti gli ambienti della società, con uno stile di vita peraltro assai diverso rispetto ai pagani: «Vivono nella carne, ma non secondo la carne; dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo»
nota
Cf. Lettera a Diogneto, 5, 9.
. La spiritualità della “fuga dal mondo” viene introdotta solo con la teologia di Origene e con il monachesimo. In ogni caso non implica indifferenza o disprezzo totale.
Il concilio Vaticano II raccomanda di non sottovalutare i doveri terreni perché la fede «obbliga ancor di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno» e obbliga a compierli con coerenza: «Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna»
nota
Concilio Vaticano II,Gaudium et spes, 43.
.
Rispetto al non credente, il credente ha motivi più forti per impegnarsi. Non lavora per un’idea astratta, come la giustizia o il progresso, ma per Gesù Cristo, per essere insieme a lui operatore di liberazione e di salvezza per tutti. Lavora con la certezza che incontrare gli altri è già incontrare il Signore che viene
nota
Cf. Mt 25,4045.
, amarli è già passare dalla morte alla vita
nota
Cf. 1Gv 3,14.
, perdere la propria vita è in realtà acquistarla
nota
Cf. Lc 9,24.
.
L’impegno deve mirare a inserire nel tessuto delle relazioni umane un dinamismo orientato alla meta definitiva. In altre parole si tratta di affermare la centralità della persona, la libertà e la solidarietà, salvaguardando nello stesso tempo la legittima autonomia delle realtà terrene.
CdA, 841-842
CONFRONTAVAI
CdA 953
CONFRONTAVAI
Sereno distacco
[1182]  La trascendenza del Regno impedisce di adagiarsi sugli obiettivi raggiunti e stimola una riforma continua, un rinnovamento creativo incessante. Anzi, accanto alla serietà dell’impegno, esige un sereno distacco. «Il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, 31-571.png vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!» (1Cor 7,29-31). La famiglia, il lavoro, la cultura, la politica sono importanti: nessuna indifferenza nei loro confronti. Ma non sono tutto: perciò il cristiano vi partecipa con misura e all’occorrenza sa anche tirarsi fuori. La partecipazione non significa assolutizzazione; la rinuncia non significa disprezzo.
Dio dona questi beni come preparazione a un bene più grande, ma con la morte, e spesso anche prima, li toglie, perché vuol donare se stesso e attirare a sé il desiderio dell’uomo. Occorre rimanere sempre disponibili, non lasciarsi mai imprigionare da valori parziali: «Venga la grazia e passi questo mondo»
nota
Didachè, 10, 6.
. L’impegno storico stesso cessa di essere autentico, quando assorbe tutte le energie: basti pensare come diventa totalitaria e pericolosa la politica elevata a messianismo.
La speranza cristiana non perde di vista i limiti e la provvisorietà delle conquiste economiche, sociali, politiche e culturali. Accanto al lavoro promuove la festa, per contemplare e celebrare il significato supremo della vita. Conferisce valore all’azione, ma più ancora alla sofferenza, in cui la persona non solo mantiene la sua dignità, ma può crescere umanamente e fare dono di se stessa a Dio e ai fratelli.
CdA, 546-547
CONFRONTAVAI
[1183] Sapendo di preparare il regno di Dio con il suo impegno storico, il cristiano agisce con grande serietà e nello stesso tempo con sereno distacco.
«Affrettiamoci a compiere ogni opera buona. Imitiamo in ciò il Creatore e Signore di tutte le cose che gioisce delle sue opere»
nota
San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 33, 1-2.
.
[1184] Da Dio Padre veniamo e a lui ritorniamo, al seguito di Cristo, sostenuti dalla grazia dello Spirito. Dio nel suo amore è giudizio, perché in rapporto a lui si definisce la nostra identità; è purificazione, perché egli completa la nostra conversione e ci rende degni di sé; è risurrezione, perché porta a perfezione l’uomo in tutte le sue dimensioni; è perdizione per chi lo rifiuta definitivamente; è paradiso, perché dona se stesso e ogni beatitudine. La sua promessa ci fa camminare saldi nella fede, come vedendo l’invisibile.
La morte nella nostra cultura
[1185] Da sempre la morte è guardata con rispetto e timore, perché radicalmente contraria all’istinto di conservazione. Oggi, come fenomeno generale, è oggetto di attenzione e di curiosità; a volte la si banalizza, mostrandola crudamente per televisione. Si evita invece come un tabù il discorso sulla propria morte e quindi anche la domanda sul senso della propria vita. Come se non ci riguardasse da vicino!
Quanto all’aldilà, circolano molti dubbi. Nel nostro paese numerose persone, pur credendo in Dio, dichiarano di non credere nella sopravvivenza, nella risurrezione, nel paradiso, nell’inferno. Ci si preoccupa più della sofferenza, che di solito precede la morte, che non delle realtà che vengono dopo di essa. Si considera addirittura preferibile una morte improvvisa, non consapevole. Invece il vero cristiano desidera innanzitutto rendere preziosa la propria morte.
Apparente fallimento
[1186]  Ma ha un senso la morte, o meglio l’uomo che muore? All’apparenza sembrerebbe di no. L’uomo è tutto un desiderio di vivere e con tutto se stesso rifiuta la morte, ma essa si avvicina inesorabile. La caducità ci appartiene per natura. In un certo senso si comincia a morire quando si comincia a vivere, e si finisce di morire quando si finisce di vivere: le cellule dell’organismo si invecchiano, si perdono e non tutte vengono reintegrate; le esperienze personali si consumano in fretta. «L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (Gb 14,1-2). Prima o poi, improvvisa o preceduta da intensa sofferenza, arriva la morte. La persona sembra svanire nel nulla. Il desiderio insopprimibile di vivere sembra votato al fallimento. Di qui senso di smarrimento e di impotenza, angoscia. «Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire» (Sal 88,9-10).
CdA, 13-15
CONFRONTAVAI
Conseguenza del peccato
[1187]  Anche se la caducità è naturale, la morte, vissuta come solitudine angosciosa e impotente, non rientra nel disegno della creazione: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi» (Sap 1,13). Appartiene invece alla condizione storica dell’umanità peccatrice, alienata dalla originaria comunione con Dio: «il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte» (Rm 5,12). Da qui derivano il suo carattere di violenza e di minaccia, il suo pungiglione velenoso.
CdA, 373-374
CONFRONTAVAI
La morte di Gesù
[1188]  Gesù, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé la comune condizione umana. Ha provato «paura e angoscia» (Mc 14,33), «con forti grida e lacrime» (Eb 5,7). Ma si è abbandonato con fiducia alla volontà del Padre, ha offerto tutto se stesso per il bene degli uomini. Ha fatto del suo morire un atto personale pieno di senso. La risurrezione ha rivelato la fecondità della sua dedizione e ha dato solido fondamento alla speranza dei credenti. La sua testimonianza li provoca a seguirlo, fiduciosi nel Padre onnipotente e misericordioso, pieni di amore per i fratelli, pronti a credere nella vita fin dentro le tenebre della morte
CdA, 237-239
CONFRONTAVAI
La morte del cristiano
[1189]  Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini.
Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
[1190] Accettando liberamente la morte per attuare il disegno salvifico del Padre, Gesù ha fatto di essa l’atto supremo di amore al Padre e ai fratelli. Ai credenti dà la possibilità di condividere con fiducia la sua totale dedizione.
Alleanza con Dio e retribuzione ultraterrena
[1191]  Israele, in epoca antica, sperava da Dio benedizione e prosperità per 32-578.pngla vita presente. Quanto all’aldilà, pensava, insieme ad altre culture arcaiche, che i morti sopravvivono in una triste condizione di debolezza e di isolamento, come ombre evanescenti: «Non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza negli inferi, dove stai per andare» (Qo 9,10). «Nel paese dell’oblio» (Sal 88,13) il defunto non ha più rapporti con Dio e con il mondo; «soltanto i suoi dolori egli sente e piange sopra di sé» (Gb 14,22).
Più tardi la fede comincia a rischiarare anche la vita ultraterrena. Si fa strada la convinzione che l’alleanza con Dio si prolungherà dopo la morte, in modo da assicurare ai giusti una sorte felice, diversa da quella dei malvagi. «Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16,8-11). «Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria. Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio» (Sal 73,23-28). C’è dunque un premio per i giusti e un castigo per gli empi già subito dopo la morte, anche se la retribuzione completa si avrà nel giorno dell’ultimo giudizio e della risurrezione. «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace... Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro» (Sap 2,24-3,8).
Comunione con Gesù e vita eterna
[1192]  Gesù, nella parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro come anche nella promessa al ladrone pentito, mostra di condividere la stessa concezione. La novità è il ruolo decisivo che riveste la sua persona. La comunione con lui è più forte della morte, si prolunga per l’eternità: «Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia» (Gv 6,48-50); «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte» (Gv 8,51). Chi crede nel Figlio di Dio, già adesso possiede la vita eterna e nell’ultimo giorno riceverà la salvezza completa con la risurrezione
nota
Cf. Gv 6,4047.
.
CCC, 1020
[1193]  La Chiesa dei primi tempi vive questa gioiosa certezza. Stefano, mentre viene ucciso, esclama: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59). Paolo è ancora più esplicito: sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore e viviamo insieme a lui; sulla terra ci troviamo in esilio, perché non possiamo vederlo
nota
Cf. 2Cor 5,6-8.
; per noi è molto meglio morire, per «abitare presso il Signore» (2Cor 5,8). La comunione con il Risorto, e attraverso di lui con il Padre, vince ogni ostacolo
nota
Cf. Rm 8,35-39.
. Perfino i giusti delle passate generazioni vengono da lui raggiunti, portati alla perfezione e introdotti nel santuario celeste.
CdA, 242
CONFRONTAVAI
CdA 753
CONFRONTAVAI
la vita non è tolta
[1194]  Nel corso dei secoli, la Chiesa, con l’invocazione dei santi e il suffragio per i defunti, ha mostrato di credere che i morti vivono ancora e «la vita non è tolta, ma trasformata»
nota
Messale Romano, Prefazio dei defunti I.
. Il magistero della Chiesa ha definito, con Benedetto XII nel 1336, la retribuzione immediata dopo la morte
nota
Cf. Benedetto XII, Benedictus Deus - DS 1000-1002.
e, con il concilio Lateranense V nel 1513, la sopravvivenza di ogni singolo uomo
nota
Cf. Concilio Lateranense V, Costituzione “Apostolici regiminis” - DS 1440.
.
[1195] Possiamo concludere che dopo la morte sopravvive l’io personale, dotato di coscienza e di volontà. Se si vuole chiamarlo “anima”, bisogna intendere questa parola alla maniera biblica. Esso perde il corpo, cioè l’insieme dei suoi rapporti sensibili con il mondo naturale e umano, ma continua a sussistere nella sua singolarità, in attesa di raggiungere la completa perfezione, al termine della storia, con la risurrezione. Se, come dicono i testimoni di Geova, la morte fosse un annientamento e la risurrezione una seconda creazione dal nulla, allora l’uomo risorto non sarebbe più identico all’uomo terreno: potrebbe magari essere una copia uguale in tutto, ma non sarebbe lo stesso uomo, lo stesso io personale irripetibile.
Il soggetto umano percorre una vicenda lineare di partecipazione alla vita del Signore risorto. Comincia a risuscitare già adesso sulla terra con un’esistenza di fede e di carità: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14). Al termine della sua vita terrena passa a un’esistenza ancora più alta, dando la sua adesione definitiva a Dio, senza più pericolo di perderlo. Infine, al termine della storia, la risurrezione si estenderà alla dimensione corporea e cosmica.
[1196] Ogni singolo soggetto personale continua a vivere oltre la morte in una forma di esistenza, cosciente e libera, diversa da quella corporea e cosmica precedente. Tale soggetto può essere chiamato anima, secondo il significato che questa parola ha nella Bibbia.
Il giudizio di Dio nella storia
[1197]  Il giudizio di Dio opera già adesso, nella storia delle persone e delle comunità, per promuovere il bene e liberare dal male. La Bibbia lo vede compiersi nei confronti dell’Egitto, di Israele, di Babilonia e delle nazioni pagane; poi, in modo decisivo, nella passione e risurrezione del Cristo: «Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori» (Gv 12,31). Ogni incontro con il Signore ha carattere di giudizio, in quanto provoca l’uomo a decidersi per lui o contro di lui e a manifestare il segreto del proprio cuore
nota
Cf. Lc 2,34-35.
.
[1198]  La giustizia di Dio, rivelata in Cristo, è diversa da quella degli uomini: vuole rendere giusto anche chi non lo è; offre a tutti la sua grazia, indipendentemente dai meriti, perché possano convertirsi. Ma la conversione deve avvenire, altrimenti ci si esclude dalla salvezza. L’amore rifiutato diventa condanna. «Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19).
Il giudizio definitivo
[1199]  Il giudizio opera già in questo mondo, ma va verso un momento supremo: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2Cor 5,10). È il giudizio definitivo, che per le singole persone avviene al termine della vita terrena (“giudizio particolare”) e per il genere umano, nel suo insieme, al termine della storia (“giudizio universale”).
CdA, 1215-1216
CONFRONTAVAI
La retribuzione personale al termine della vita
[1200]  La sopravvivenza dei defunti non è indifferenziata, ma felice per i giusti, triste per i malvagi. Lo indicano la parabola del ricco e del 32-580.pngpovero Lazzaro, le dichiarazioni dell’apostolo Paolo, la promessa di Gesù al ladrone pentito: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). Il magistero della Chiesa da parte sua insegna che subito dopo la morte i peccatori non convertiti “scendono all’inferno” e i giusti “salgono in cielo”, a meno che non abbiano ancora bisogno di purificazione
nota
Cf. Benedetto XII, Benedictus Deus - DS 1000-1002.; Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1305-1306.; Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 48.
: retribuzione immediata dunque nell’incontro con Cristo giudice. Davanti a lui, finito il tempo della prova, si manifesta e si fissa per sempre l’atteggiamento di ciascuno nei confronti di Dio: o con lui o contro di lui. Cadono le maschere; viene alla luce, con il bene e il male compiuto, anche la più profonda identità di ogni persona.
Giudizio di Dio e autogiudizio
[1201]  Solo nella comunione con Cristo la vita è autentica; su di lui si misura ciò che vale e ciò che non vale. Le cose terrene, cercate in modo disordinato e con tanta fatica, riveleranno la loro inconsistenza, come pula o fumo portati dal vento, come traccia lasciata da una nave sul mare o da una freccia nell’aria
nota
Cf. Sap 5,4-14.
. I peccatori «mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni» (Pr 1,31). «L’empio è preda delle sue iniquità, è catturato con le funi del suo peccato» (Pr 5,22). «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna» (Gal 6,7-8). L’egoismo genera morte; la carità fa vivere. Il Signore, mentre causa direttamente la perfezione e la gioia di quelli che si salvano, causa solo indirettamente la rovina di quelli che si perdono, in quanto essi, rifiutando il suo amore, rifiutano la verità e la pienezza della vita.
CdA, 246
CONFRONTAVAI
CdA 257
CONFRONTAVAI
CdA 354-355
CONFRONTAVAI
CdA 802
CONFRONTAVAI
CdA 928
CONFRONTAVAI
Cristianesimo e reincarnazione
[1202]  La vita terrena è breve e preziosa. Ci è concessa per maturare la scelta di Dio, una scelta definitiva, irreversibile. Si vive e si muore una sola volta
nota
Cf. Eb 9,27.
e si decide un destino eterno. La reincarnazione, intesa come ripetizione e rimessa in questione dell’esistenza, è inconciliabile col cristianesimo; possono essere accettate solo le attese di sopravvivenza e di purificazione in essa contenute. Ma è la grazia di Dio che ci purifica, senza necessità di ricominciare da capo.
L’uomo, consapevole dei suoi difetti, può morire ugualmente 32-581.pngsereno, confidando che Dio lo purificherà e lo porterà a perfezione in Cristo.
Purtroppo l’idea della reincarnazione seduce molti. In occidente essa si presenta come possibilità di progresso spirituale indefinito, mettendo a frutto le esperienze fatte in precedenti esistenze. Questa interpretazione contraddice la dottrina orientale originaria, che considera il ciclo delle rinascite un male, una dura necessità da cui liberarsi. D’altra parte essa appare senza fondamento. Dove sono i ricordi delle precedenti esistenze? Dove sono le esperienze acquisite? Come possiamo servircene, se neppure le ricordiamo?
CdA, 588
CONFRONTAVAI
CdA 592
CONFRONTAVAI
CdA 595
CONFRONTAVAI
[1203] Dio è nostro giudice in quanto è la nostra vita e il nostro bene. Donandosi a noi nell’amore, ci provoca a scegliere: o con lui o contro di lui.
La nostra scelta diventa irreversibile e si manifesta pienamente nell’ora della morte.
Purificazione dei defunti e suffragi
[1204]  Siamo chiamati a conformarci sempre più a Cristo, crescendo nella carità, orientando al bene tutte le nostre energie, purificandoci dai 32-582.pngnostri peccati. Il tempo del pellegrinaggio terreno ci è dato perché, attraverso i sacramenti, la preghiera, le opere buone e le sofferenze liberamente accettate, possiamo avvicinarci a Dio e prepararci ad accogliere il dono di sé che egli vuol farci nell’eternità.
Ma l’esistenza terrena può non bastare. Chi al termine di essa non è in piena sintonia con il Signore Gesù, dovrà proseguire la propria liberazione dal peccato, per essere «senza macchia né ruga» (Ef 5,27) come tutta la Chiesa, che Cristo introduce alla presenza immediata del Padre. Tutto in noi deve essere degno della sua compiacenza. Si chiama purgatorio la completa purificazione dal peccato di quanti muoiono in grazia di Dio, ma non sono ancora pronti per la comunione perfetta e definitiva con lui.
[1205]  Poco prima dell’era cristiana si diffuse nel mondo ebraico l’intercessione per la purificazione dei defunti, rimasti sostanzialmente fedeli all’alleanza ma con qualche incoerenza: Giuda Maccabeo, dopo una battaglia, fa pregare e manda ad offrire un sacrificio al tempio, perché i caduti siano purificati dai peccati, in vista della risurrezione nell’ultimo giorno. Gesù stesso sembra alludere a una possibilità di perdono nel secolo futuro.
Il cristianesimo antico, in continuità con la tradizione ebraica, coltiva la pietà verso i defunti: preghiera, elemosina, digiuno e soprattutto celebrazione dell’eucaristia. Col volgere dei secoli si sovrappongono credenze popolari e vivaci rappresentazioni riguardanti il luogo, la durata e la natura del purgatorio. Ma l’insegnamento del magistero ecclesiale si mantiene estremamente sobrio e si può così riassumere: al termine di questa vita terrena, è concessa ai defunti, che ne hanno ancora bisogno, una purificazione preliminare alla beatitudine celeste, nella quale possono essere aiutati dai suffragi della Chiesa e dei singoli cristiani, soprattutto dalla santa Messa
nota
Cf. Concilio di Lione II, Professione di fede dell’imperatore Michele Paleologo - DS 856.; Concilio di Firenze, Bolla di unione degli Armeni “Exsultate Deo” - DS 1324.; Concilio di Trento, Sess. VI, Decr. Sulla giustificazione, Can. 30 - DS 1580.; Id., Sess. XXV, Decr. Sul purgatorio - DS 1820.
.
Bisogno di perfezione
[1206]  Se consideriamo l’infinita santità di Dio, appare del tutto ragionevole che la perfetta comunione con lui in Cristo comporti un rinnovamento assai più esigente di quello che ci è dato osservare ordinariamente nelle stesse persone generose e impegnate. Occorre un risanamento totale. Solo l’amore gratuito del Padre, che ci raggiunge per mezzo di Cristo nello Spirito, può guarire la nostra personalità, come il fuoco affina l’oro e l’argento. Esso provoca nell’uomo, oltre la gioia di avvicinarsi a Dio, la sofferenza di non essergli pienamente conforme. È una sofferenza che nasce dall’amore e, come tale, è assolutamente diversa da quella dei dannati che nasce dall’odio. Il purgatorio non è un inferno temporaneo; la purificazione non ha niente a che fare con la perdizione.
Intercessione solidale
[1207]  Appare ragionevole ammettere anche l’efficacia dei suffragi, se la collochiamo nel contesto dell’essenziale socialità dell’uomo, che si attua pienamente 32-583.pngnella comunione dei santi. Solo in relazione agli altri si vive e si cresce. Per questo la solidarietà dei credenti e della comunità cristiana ha un potere di intercessione presso Dio per facilitare la purificazione dei defunti. Ovviamente tale potere è concesso da Dio stesso, il quale ci vuole solidali davanti a sé e ci chiede di cooperare con la sua grazia.
Questa solidarietà trova espressione particolare nelle esequie cristiane: con la preghiera, il rito della benedizione e soprattutto la celebrazione eucaristica accompagniamo i fratelli all’incontro con il Padre, nella luce del mistero della Pasqua di morte e risurrezione.
CCC, 1475CCC 1683
[1208] Al termine della vita terrena, i giusti che ancora hanno bisogno di purificazione per entrare nella beatitudine della perfetta comunione con Dio vengono liberati da ogni ombra di peccato in virtù della grazia di Dio, con la solidarietà di tutta la Chiesa.
Giorno del Signore e risurrezione
[1209] Sebbene ciascuno con la morte raggiunga la propria salvezza definitiva o la perdizione eterna, salvezza e perdizione diventano complete, secondo tutte le dimensioni della persona, solo alla fine del mondo.
Dio dirige la storia e la porta a termine. I profeti dell’Antico Testamento annunziano il giorno del Signore, suprema manifestazione della sua gloria su tutta la terra, per punire i nemici, per purificare e salvare i fedeli. Sarà vittoria totale, separazione definitiva del bene dal male.
Sullo sfondo di questa attesa emerge progressivamente la fede nella risurrezione dei morti: «Quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna» (Dn 12,2). I sette fratelli, di cui narra il secondo Libro dei Maccabei, muoiono con la certezza di essere risuscitati da Dio nell’ultimo giorno.
[1210]  L’insegnamento di Gesù conferma la fede nella risurrezione: «A riguardo dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi!» (Mc 12,26-27). Alla risurrezione sarà congiunto il giudizio universale, separazione del buon grano dalla zizzania, delle pecore dai capri. Anzi Gesù dichiara di aver ricevuto dal Padre il potere di risuscitare e di giudicare; perciò «verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29).
Dalla risurrezione di Gesù alla nostra
[1211]  La vittoria di Dio si compie per mezzo del Signore Gesù; il giorno di Dio è il «giorno del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,8). La risurrezione dei giusti è un prolungamento della sua, perché «tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22). «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,9-11). Gli stessi reprobi, nella misura in cui ne sono capaci, ricevono da Cristo l’energia per vivere e operare, ma in loro tutto è stravolto a causa del peccato: la loro “risurrezione” merita piuttosto il nome di «seconda morte» (Ap 20,14).
CdA, 1175-1176
CONFRONTAVAI
[1212]  Il legame tra la risurrezione di Gesù e la nostra è così stretto, che i primi cristiani ne arguirono, a torto, che avvenuta l’una fosse ormai imminente anche l’altra. Presto si accorsero che il “giorno del Signore” tardava a venire. Ma non si scandalizzarono: «davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo» (2Pt 3,8). Rimase il desiderio che il disegno di Dio si compisse e l’urgenza interiore di cooperare con lui.
Quale corpo?
[1213]  Sempre il cuore dei credenti rimane proteso verso l’ultima perfezione. Non arriva però a raffigurarla nei suoi lineamenti. Il Nuovo Testamento, pur mettendo la risurrezione al centro della fede, non la descrive mai nelle sue modalità concrete. Alla richiesta esplicita: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo?» (1Cor 15,35), l’apostolo Paolo risponde che risuscitano con un corpo identico a quello attuale e nello stesso tempo diverso. Muore il chicco di grano e rinasce come pianticella. Il corpo umano, che ora è debole, corruttibile e gravato di limiti, risorgerà incorruttibile, trasfigurato dalla forza dello Spirito Santo a immagine del Cristo glorioso. La trasformazione sarà profonda, perché «ciò che è corruttibile non può ereditare l’incorruttibilità» (1Cor 15,50); tuttavia sarà proprio questo nostro corpo a rivestire l’immortalità
nota
Cf. 1Cor 15,54.
. A motivo dell’identico soggetto personale, esso rimarrà quello di prima, nonostante il profondo cambiamento, come durante la vita terrena rimaneva se stesso nel variare della statura e nella continua sostituzione delle singole cellule.
CdA, 269-270
CONFRONTAVAI
[1214]  Sebbene non si possa immaginare la condizione del corpo glorificato, tuttavia dobbiamo ritenere che essa comporti ancora un legame con il mondo materiale, anzi la perfezione definitiva del rapporto con il mondo. L’uomo e il mondo si appartengono reciprocamente; perciò la creazione sarà «liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
Salvezza totale e perdizione totale
[1215]  Nel corso dei secoli il magistero della Chiesa ha proclamato molte volte la fede nella risurrezione dei morti e nel giudizio universale. Così si esprime il concilio Lateranense IV: «Gesù Cristo... verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le proprie opere, sia ai reprobi che agli eletti. Tutti risorgeranno con i propri corpi, gli stessi di adesso, per ricevere ciascuno secondo le loro opere, cattive o buone, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri con Cristo la gloria eterna»
nota
Concilio Lateranense IV, Costituzione1 “De fide catholica” - DS 801.
.
[1216]  A ben riflettere, risurrezione di vita e risurrezione di condanna sembrano coincidere con il giudizio universale, in quanto significano la salvezza e la perdizione dell’uomo nella sua totalità, comprese le dimensioni comunitaria e cosmica. Si tratta di un solo avvenimento, conclusivo della storia umana, l’ora della messe
nota
Cf. Mt 13,39.
. Il corpo è capacità di presenza agli altri e al mondo; risurrezione dei morti nel proprio corpo significa dunque suprema attuazione di questa capacità di presenza, per i giusti a loro maggiore perfezione e felicità, per i reprobi a loro maggiore umiliazione. Questi si sentiranno lacerati e oppressi in tutta la loro personalità; quelli, nella comunione con Dio e tra loro, dispiegheranno una mirabile creatività, senza più ansia, fatica e lotta. La vittoria di Dio sarà la completa attuazione del suo disegno di amore.
[1217] La risurrezione dei morti e il giudizio universale concluderanno la storia del genere umano; estenderanno la vittoria del bene sul male, in modo definitivo e completo, alle dimensioni corporea, sociale e cosmica dell’uomo.
Tragica possibilità
[1218]  La nostra libertà ha una drammatica serietà: siamo chiamati alla vita eterna, ma possiamo cadere nella perdizione eterna. «Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,17). Dio vuole che tutti siano salvati e vivano come suoi figli in Cristo
nota
Cf. 1Tm 2,4-6.
, eppure per ciascuno c’è la triste possibilità di dannarsi: mistero inquietante, ma richiamato tante volte nella Bibbia, con parole accorate di minaccia e di ammonimento. Riguardo al diavolo e ai suoi angeli, sappiamo che sono già condannati di fatto
nota
Cf. Mt 25,41.
. Per gli uomini invece si tratta di un rischio reale. La Scrittura non fa previsioni, ma rivolge appelli pressanti alla conversione, come volesse dire: ecco che cosa vi può succedere, ma non deve assolutamente accadere. Anche questa rivelazione è un atto di misericordia.
CdA, 42
CONFRONTAVAI
CdA 381-382
CONFRONTAVAI
CdA 575
CONFRONTAVAI
Pena eterna
[1219]  La pena dell’inferno è per sempre: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,4146). «Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9,48)
nota
Cf. Is 66,24.
. «Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia» (Ap 14,11). L’eternità dell’inferno fa paura. Si è cercato di metterla in dubbio, ma i testi biblici sono inequivocabili e altrettanto chiaro è l’insegnamento costante della Chiesa
nota
Cf. Formula “Fides Damasi” - DS 72.; Sinodo di Costantinopoli, Condanne contro Origene, Can. 9 - DS 411.; Concilio Lateranense IV, Costituzione1 “De fide catholica” - DS 801.
.
Perdita definitiva della comunione con Dio
[1220]  In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco
nota
Cf. Mt 18,9.
, fornace ardente
nota
Cf. Mt 13,42.
, stagno di fuoco, tenebre, verme che non muore
nota
Cf. Mc 9,48.
, pianto e stridore di denti
nota
Cf. Mt 24,51.
, morte seconda. La terribile serietà di questo linguaggio va interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell’essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere.
[1221]  Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V
nota
Cf. Concilio Lateranense V, Apostolici regiminis - DS 1440.
. Del resto neppure il diavolo è annientato, ma tormentato «giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap 20,10) insieme con i suoi angeli. Quando la Sacra Scrittura parla di perdizione, rovina, distruzione, corruzione, morte seconda, si riferisce a un fallimento della persona, a una vita completamente falsata.
[1222]  Piuttosto la pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: «Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!» (Lc 13,27). «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2Ts 1,9). L’esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l’amore di Dio: «Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati»
nota
Origene, I principi, 2, 10, 4.
. L’inferno è il peccato diventato definitivo e manifestato in tutte le sue conseguenze, la completa incapacità di amare, l’egoismo totale. La pena è eterna, perché il peccato è eterno.
Il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, «stridore di denti» (Lc 13,28), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l’opposizione ad esso.
L’amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e (Cf. Dt 4,24Is 10,17) consuma; lo sguardo di Cristo brucia come fiamma. Dio ama il peccatore, ma ovviamente non si compiace di lui: la sua riprovazione pesa terribilmente.
Rifiuto della creazione
[1223]  Rifiutando Dio, si rifiutano anche gli altri uomini e l’intera creazione. Più l’opera di Dio è bella, più il peccatore la trova insopportabile: sebbene l’aria sia limpida e luminosa, il pesce vi rimane asfissiato. Mentre nella vita terrena era possibile rinunciare a Dio e avere soddisfazioni dalle creature, ora da nessuna parte si può trovare refrigerio e rifugio, «come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde» (Am 5,19). L’inferno è dunque la sofferenza di non poter amare nessuna cosa, il rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, del mondo e di se stessi, in contraddizione con la vocazione originaria a vivere in comunione. I reprobi sono uomini falliti, stravolti in tutta la loro personalità.
Indiretta testimonianza della grandezza di Dio
[1224]  Tuttavia, con il loro stesso rifiuto, i dannati manifestano ancora la grandezza della libertà che ricevono in dono, e quindi la grandezza del Creatore. Con il loro tormento affermano la meravigliosa bellezza della grazia che non accettano, la potenza dell’amore che li attrae e che respingono. Come si può intuire, il male è integrato anch’esso nella gloria di Dio: anche se non è soppresso, è vinto per sempre. Tutti vengono da Dio e tutti tornano a lui, o nell’amore o nel terrore: «Dio è unito a tutti, secondo la disposizione intima di ogni persona»
nota
San Massimo il Confessore,A Talassio, 59.
.
[1225] L’inferno è il peccato divenuto definitivo, il rifiuto eterno di Dio e del mondo creato, in lacerante contraddizione con la nativa vocazione a vivere in comunione.
Immagini della beatitudine
[1226]  La suprema perfezione e felicità è ineffabile. Per evocarla, la Bibbia si serve di immagini derivate dalle esperienze più gratificanti: cielo, città di pietre preziose, giardino, convito, nozze, festosa liturgia
nota
Cf. Ap 7,10-12.
, canto. Ma i frammenti di bellezza e di gioiosa comunione che germogliano sulla terra sono soltanto un tenue barlume.
Incontro immediato con Dio uno e trino, totale comunione con gli altri, armoniosa integrazione con il mondo: ecco la meta, verso cui gli uomini sono incamminati. «Stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita» (Ap 7,15-17). «Vidi un nuovo cielo e una nuova terra... Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”» (Ap 21,1-5). «La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello... Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte... e regneranno nei secoli dei secoli» (Ap 21,2322,3-5).
Comunione immediata con Dio
[1227]  Per inaudita condiscendenza del suo amore, Dio che abita «una luce inaccessibile» (1Tm 6,16) si china sull’uomo e lo innalza fino all’immediatezza della sua presenza. Prima ci viene incontro nella storia con l’incarnazione del Figlio e l’effusione dello Spirito, ci rende suoi figli e ci dispone a entrare nella sua intimità; poi, dopo la morte, perfeziona in noi la vita di grazia e apre il nostro spirito, perché possiamo vederlo e amarlo direttamente come è in se stesso. «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2).
Il cielo cresce nel seno della terra. Un bambino nel grembo materno è già dotato di intelligenza e volontà, ma deve crescere, perché possa effettivamente intendere e volere. Così noi nella vita terrena siamo già assimilati a Dio, orientati e uniti a lui mediante la grazia santificante, la fede, la speranza e la carità, ma occorre un ulteriore sviluppo perché possiamo incontrarlo in modo manifesto: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1Cor 13,12).
Il magistero della Chiesa precisa che Dio si offrirà a noi direttamente senza il tramite di alcuna creatura e ci introdurrà nel segreto della vita trinitaria. I beati «vedono chiaramente Dio, uno e trino, come egli è, più o meno perfettamente a seconda dei loro meriti»
nota
Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1305.
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La comunione immediata di conoscenza e di amore coronerà la vicinanza inaugurata nella storia. Saremo associati pienamente a Cristo risorto dallo Spirito Santo e accolti con lui presso il Padre: «Per mezzo di lui possiamo presentarci... al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,18). Si realizzerà per intero la preghiera del Signore Gesù: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17,23). Non è pensabile per l’uomo un destino più alto della visione beatifica: partecipare alla comunione trinitaria; conoscere, amare, essere felici come Dio conosce, ama, è felice.
CdA, 313
CONFRONTAVAI
CdA 348
CONFRONTAVAI
CdA 808
CONFRONTAVAI
[1228]  Nella beatitudine celeste, come già nel cammino terreno, sarà sempre Gesù Cristo la porta di accesso al Padre. Il Signore crocifisso e risorto, comunicando in modo definitivo il suo Spirito, ci unirà perfettamente a sé e ci renderà pienamente figli di Dio, capaci di vedere il Padre «come egli è» (1Gv 3,2). Dio «sarà visto nel regno dei cieli nella pienezza della sua paternità. Lo Spirito infatti prepara gli uomini nel Figlio. Il Figlio li conduce al Padre. Il Padre dona l’incorruttibilità e la vita eterna, che derivano dalla visione di Dio»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 20, 5.
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Assemblea festosa
[1229]  Il compimento in Dio comporta la comunione universale con gli uomini e gli angeli fedeli
nota
Cf. Mt 25,31.
. La Chiesa sarà «tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,27). Gli uomini abiteranno nella celeste Gerusalemme in festosa convivialità e Dio abiterà con essi
nota
Cf. Ap 21,2-3.
. Troverà appagamento la loro tendenza a incontrarsi e comunicare, il movimento di tutta la storia verso l’unità. Saranno sublimati tutti i rapporti autenticamente umani, avviati durante il pellegrinaggio terreno, i legami intrecciati nell’amore, nella conoscenza e nel lavoro. Le esperienze attuali più riuscite di comunione tra amici, tra coniugi, tra genitori e figli prefigurano l’universale comunione dei santi in Dio, ma sono ben poca cosa al confronto di essa. Se è meravigliosa già adesso la compagnia delle persone buone e intelligenti, che cosa sarà la compagnia di tanti fratelli «portati alla perfezione» (Eb 12,23)?
Armonia cosmica
[1230]  La salvezza, poiché riguarda l’uomo intero, include anche un nuovo rapporto con il mondo, un’armonia e una presenza nuova. Il mondo è il mondo dell’uomo: nulla andrà perduto; tutto sarà trasformato
nota
Cf. Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5, 32, 1; San Tommaso d’Aquino, Somma contro i gentili, IV, 7.
. «Insieme con l’umanità, verrà pienamente restaurato in Cristo l’intero universo, che è intimamente unito all’uomo e raggiunge il suo fine per mezzo dell’uomo»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 48.
. Il mondo è dell’uomo, l’uomo è di Cristo e Cristo è di Dio e Dio è tutto in tutte le cose
nota
Cf. 1Cor 15,28.
. Non ha senso però situare il paradiso in qualche parte dell’universo piuttosto che in altre. Il cielo, nel linguaggio religioso, è un simbolo per indicare Dio e, secondo la fede cristiana, «la vita è essere con Cristo: dove è Cristo, lì è la vita, lì è il Regno»
nota
Sant’Ambrogio, Commento al Vangelo secondo Luca, 10, 121.
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CCC, 1046-1047
Piena attuazione personale
[1231]  Introdotti con Cristo nel mistero della Trinità divina, saremo pienamente noi stessi. La perfezione non comporterà un assorbimento del proprio io in un tutto indistinto, ma uno stare insieme nella conoscenza e nell’amore reciproco. «Saremo sempre con il Signore» (1Ts 4,17). I santi formeranno una comunità di persone e non una massa collettiva senza volto. Ognuno sarà introdotto alla festa con un invito personalissimo: avrà «una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve» (Ap 2,17). Anche la perfezione sarà diversa secondo i doni ricevuti nella vita terrena e la corrispondenza verso di essi. Tutti però saranno beati secondo la loro capacità e tutti si rallegreranno del bene degli altri come del proprio.
Armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stessi: nel gaudio eterno si quieterà il desiderio illimitato del cuore; sarà il riposo, la festa, il giorno del Signore senza tramonto. «Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza! Oh vita integra d’amore e di pace! Oh senza brama sicura ricchezza!»
nota
Dante Alighieri, Paradiso, XXVII, 7-9.
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CCC, 1045
[1232] La persona umana ottiene il suo compimento gioioso nel paradiso, esperienza immediata di Dio, comunione perfetta di amore con lui, con gli angeli e i santi nell’armonia universale del mondo creato.
Meravigliosa rivelazione
[1233]  «Disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”» (Gv 14,6).
Il Signore Gesù è l’unica via per arrivare al Padre, perché è la rivelazione di Dio in questo mondo e la comunicazione della sua vita agli uomini. È la via, perché è anche la meta: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30).
L’originalità del cristianesimo è proprio questa: Dio si è fatto uomo e ci chiama a vivere eternamente con sé; si è donato nella storia, perché vuole donarsi nell’eternità. Le altre religioni intuiscono che esiste la divinità, sorgente misteriosa di ogni cosa; avvertono che, dopo la morte, ci deve essere un premio per i giusti e un castigo per i malvagi. Ma sono lontane dal pensare che Dio abbia condiviso personalmente la nostra condizione umana, legandosi a noi per sempre, e che il premio destinato ai giusti sia la partecipazione alla vita stessa di Dio.
CdA, 38
CONFRONTAVAI
Lieti nella speranza
[1234]  «Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11). Se crediamo che Dio è arrivato a dare il Figlio unigenito e lo Spirito Santo per attirarci a sé, dobbiamo anche noi amare senza misura e costruire la Chiesa come comunità di carità al servizio di tutto il mondo. Cristo è la via «nuova e vivente» (Eb 10,20) da seguire e la meta dove incontreremo il Padre. Lo Spirito Santo ci unisce sempre più a lui e ci rende «lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli» (Rm 12,12-13). «Canta dunque come il viaggiatore, canta e cammina, senza deviare, senza indietreggiare, senza voltarti. Qui canta nella speranza, lassù canterai nel possesso. Questo è l’alleluia della strada, quello l’alleluia della patria»
nota
Sant’Agostino, Discorsi, 256, 3.
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[1235] «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen»
nota
Messale Romano , Preghiera eucaristica.
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