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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
Z



Catechismo degli Adulti

Rivelazione divina 36-37 , 38 , 53 , 75 , 42 , 43 , 44 , 45 , 55 , 46 , 47-51 , 52 , 53 , 55-57 , 62 , 58 , 612 , 60 , 620-621 , 73 , 74-85 , 86-94 , 619

Dialogo possibile e desiderato
[36]  La ricerca di Dio per la via delle religioni e della ragione procede con molte incertezze e deviazioni. Dio, benché sia vicinissimo, sembra lontano, senza volto e senza nome: il «Dio ignoto» (At 17,27).
Ma l’apertura razionale al mistero infinito è il presupposto per poter ricevere il dono incomparabilmente più grande della rivelazione storica: «Dio non avrebbe potuto rivelarsi all’uomo, se questi non fosse già stato naturalmente capace di conoscere qualcosa di vero a suo riguardo»
nota
Giovanni Paolo II, Catechesi del 20 marzo 1985.
. Ecco, invece, che le creature sono in se stesse adatte a manifestare Dio in qualche modo, perché le loro molteplici perfezioni riflettono la sua perfezione infinita. E, a sua volta, l’intelligenza dell’uomo è in grado di ricevere questa iniziale manifestazione indiretta. Non si può, quindi, escludere in partenza che nella storia emergano segni particolarmente trasparenti della personale e libera iniziativa di salvezza da parte di Dio.
CdA, 44-45
CONFRONTAVAI
CdA 76-85
CONFRONTAVAI
[37]  Per il fatto di essere aperto a Dio attraverso le creature, l’uomo spontaneamente sente il desiderio esplicito di conoscerlo direttamente in se stesso: cosa impossibile alle sue forze; ma chissà che a Dio non sia possibile? chissà che dopo i doni di questo mondo, non voglia farci il dono di se stesso? chissà che non voglia parlarci da persona a persona? Avremmo allora un orientamento sicuro, una solida nave per attraversare il mare della vita e non più la fragile zattera della filosofia
nota
Cf. Platone, Fedone, 35.
.
La pretesa cristiana
[38] L’annuncio della Chiesa è precisamente questo: il Mistero infinito ci ha rivolto la parola e addirittura ci è venuto incontro personalmente, con il nome e il volto di un uomo, Gesù di Nàzaret, e ci ha chiamati a vivere insieme con lui per l’eternità. Dio fatto uomo, l’uomo innalzato fino a Dio: nessun’altra religione ha una notizia simile, nessuna offre una speranza più audace. Mentre i grandi uomini religiosi, i profeti e i santi avvertono il proprio nulla davanti alla grandezza di Dio e si sentono peccatori, Gesù di Nàzaret con tranquilla sicurezza si è presentato come Figlio di Dio, uguale al Padre: una follia e una bestemmia sulla bocca di qualsiasi altro.
La pretesa è inaudita, ma duemila anni di storia la rendono degna almeno di essere presa in considerazione. Vale la pena esaminarla, senza pregiudizi: un pensiero è veramente libero quando non scarta in partenza nessuna ipotesi.
Gesù ha detto: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 37). In lui trovano risposta le domande più profonde dell’uomo e la ricerca religiosa dei popoli; in lui il viandante assetato trova l’«acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14), come la trovò un giorno la donna di Samarìa.
CdA, 52
CONFRONTAVAI
Pienezza definitiva
[53] In Gesù Cristo Dio ha portato a compimento la sua rivelazione. Ha detto e dato se stesso; ha comunicato quanto aveva da comunicare. Nulla si può aggiungere come ulteriore perfezione, fino al giorno in cui la condizione umana sarà trasfigurata oltre la storia e il Signore si manifesterà nella sua venuta gloriosa.
[75]  È vero: in questa storia, per chi non vuol vedere, c’è abbastanza oscurità; ma c’è anche abbastanza luce per chi vuol vedere
nota
Cf. B. Pascal, Pensieri, 430.
. Al centro di essa sta la figura di Gesù di Nàzaret, che irradia in ogni direzione la forza della verità e dell’amore: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Cristo è il grande segno di Dio; egli è il rivelatore e nello stesso tempo il motivo di credibilità della rivelazione. Egli completa la rivelazione e ne conferma l’autenticità con la sua stessa presenza, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua morte e risurrezione, con la manifestazione dello Spirito Santo nella comunità dei credenti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 4.
.
Una illuminazione comune
[42] La religiosità è un primo orientamento verso il mistero. Nella misura in cui non è inquinata da errori e deviazioni, suppone la iniziale comunicazione che Dio fa a tutti gli uomini mediante la creazione e la sua continua, benevola vicinanza.
Da sempre gli uomini cercano Dio con la loro sete di vita, di verità, di sicurezza e di felicità. Da sempre Dio li illumina, li assiste e li sostiene in questa ricerca; li attrae segretamente a sé per le molte strade delle religioni e delle culture. La sua provvidenza salvifica si estende a tutta la storia umana
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 3.
. La sua grazia guida il cammino delle persone e dei popoli; anche tra i pagani suscita dei giusti come il centurione Cornelio
nota
Cf. At 10,1-3.
. Fin dalle origini Dio «ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro che cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 3.
.
Frutto di questa illuminazione da parte di Dio sono gli elementi di verità e di bontà presenti nella religiosità umana. In essa, di solito, prevale un atteggiamento di dipendenza creaturale, una consapevolezza di precarietà e un desiderio di protezione. La fede cristiana, invece, si colloca a un livello più elevato. Assume i valori positivi della religiosità umana, ma ha una sua specificità. È la risposta, altamente impegnativa, a una più perfetta comunicazione di Dio, alla quale viene riservato il nome di rivelazione in senso proprio.
CdA, 24
CONFRONTAVAI
CdA 401
CONFRONTAVAI
CdA 575
CONFRONTAVAI
Rivelazione
[43]  La rivelazione è una speciale iniziativa divina. In un ambito storico particolare, Dio liberamente esce dal silenzio
nota
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Magnesia, 8, 2.
e apre un dialogo esplicito e diretto. Si pone di fronte all’uomo come interlocutore personale; gli va incontro, gli rivolge la parola, lo chiama apertamente a sé e gli manifesta progressivamente il suo progetto di salvezza, incentrato su Gesù Cristo.
Autotestimonianza e autodonazione
[44]  Non si conosce una persona come fosse un oggetto, osservando e calcolando. Nel suo nucleo più intimo, può essere conosciuta 2-37.pngsolo se si esprime liberamente, se comunica agli altri i suoi sentimenti e le sue intenzioni, i suoi pensieri e le sue decisioni, in un dialogo fatto di parole e di azioni, cioè in una storia concreta. Mentre i segreti della natura vengono raggiunti dall’esterno con l’osservazione scientifica, il segreto proprio di un soggetto cosciente e libero si apre dall’interno, per la via dell’autotestimonianza.
Qualcosa di simile avviene nella rivelazione che Dio fa di se stesso e del suo disegno di amore verso l’uomo. Nella sua intima vita personale Dio non può essere conosciuto per via di intuizione o riflessione umana, ma solo per sua libera iniziativa. Perciò, «per il suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé»; pur rimanendo invisibile, parla e si dona attraverso «eventi e parole intimamente connessi tra loro»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 2.
e complementari, cioè attraverso una storia.
Eventi e parole
[45]  Gli eventi contengono la realtà significata dalle parole. Confermano e verificano le parole. Riguardano un popolo o singole persone all’interno di esso. Sono pubblici o privati, miracolosi o ordinari. Si compiono «una volta per sempre» (Eb 9,12), cioè in un tempo preciso e irripetibile, ma con valore perenne e universale. Sono nuovi e imprevedibili, ma si inseriscono nella continuità storica, secondo un progetto unitario e in vista di una meta definitiva.
Il significato e la connessione profonda degli avvenimenti vengono 2-38.pngindicati da Dio ai suoi messaggeri attraverso una comunicazione interiore, chiara e indubitabile, che poi si traduce in parole pronunciate e infine scritte. Le parole interpretano gli eventi come opera di Dio e a volte li provocano efficacemente. Chiamano, promettono e comandano, perché gli eventi si compiano; li raccontano e li spiegano, perché accadano di nuovo.
Attraverso gli eventi e le parole si svolge la trama di una concreta storia terrena, in cui Dio stesso liberamente porta avanti il suo dialogo con gli uomini per dare loro speranza e futuro. Progressivamente egli si fa conoscere e si dona, fino a comunicare pienamente se stesso in Gesù Cristo; rende gli uomini capaci di rispondergli, di accogliere la sua presenza e di partecipare alla sua vita.
CdA, 103
CONFRONTAVAI
CdA 176
CONFRONTAVAI
CdA 608
CONFRONTAVAI
Tradizione e Scrittura in Israele
[55]  La rivelazione di Dio è comunicazione viva, in una storia 2-41.pngintessuta di avvenimenti, personali e collettivi, e di parole, affidate originariamente ai suoi inviati. Il messaggio da questi portato entra in una tradizione comunitaria. Ogni civiltà è tradizione che passa da una generazione all’altra. Ogni religione è tradizione. Il popolo di Dio non fa eccezione: in Israele si trasmettono ricordi storici, convinzioni religiose, riti, canti, preghiere, leggi, sentenze sapienziali. È un patrimonio considerato sacro, perché alla sua origine c’è la rivelazione, consegnata da Dio ai suoi inviati. Viene custodito gelosamente e si accresce nel tempo, con il progredire della rivelazione. Per assicurarne una trasmissione più facile e fedele, viene anche messo per iscritto. Le Sacre Scritture diventano regola di fede e di vita; sono accolte come ispirate da Dio stesso.
Sviluppo della rivelazione
[46] Le vicende hanno come centro una piccola regione, posta quasi a cerniera fra l’Asia, l’Africa e l’Europa, una regione che nell’antichità ha avuto diversi nomi: terra di Canaan, terra d’Israele, Palestina. È un ambiente umile, in conformità allo stile di Dio, ma in una posizione ideale per la diffusione del suo messaggio.
In questa storia si distinguono due fasi: il tempo della preparazione, l’Antico Testamento, e quello del compimento, il Nuovo Testamento.
L’Antico Testamento
[47]  Gli eventi prendono avvio con alcuni pastori nomadi, in cui successivamente il popolo di Israele riconoscerà i propri antenati: Abramo, Isacco e Giacobbe. Il primo di loro viene presentato come grande amico di Dio e padre dei credenti. Dio lo chiama fuori della sua terra di origine e lo benedice con una promessa di portata universale: «Renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare... Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra» (Gen 22,1718).
[48]  A questi antichi patriarchi si ricollegano alcune tribù, che in Egitto finiscono per trovarsi in una condizione intollerabile di schiavitù e fuggono verso il Sinai. Le guida Mosè, un uomo straordinario, al quale nella solitudine del deserto Dio ha rivelato il suo nome misterioso: JHWH
nota
Scriviamo così il nome di Dio rivelato a Mosè. Il tetragramma sacro andrebbe letto “Jahvèh”, ma la tradizione ebraica considera questo nome impronunziabile e suggerisce di dire in suo luogo “Adonài”, cioè “Signore”, o di pronunziare un altro titolo divino. Per rispetto ai nostri fratelli ebrei, questo catechismo invita a fare altrettanto e in ogni caso riduce all’indispensabile l’uso del tetragramma sacro.
, «Io sono colui che sono!» (Es 3,14). Ora, nel deserto, con il dono dell’alleanza e della legge, Dio plasma un popolo, Israele, come sua proprietà, segno della sua presenza davanti alle nazioni: «Voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6).
Al cammino nel deserto fa seguito l’insediamento nella terra di Canaan, l’epoca di Giosuè e dei Giudici, segnata dai contatti e dai conflitti con le popolazioni del luogo. Il popolo nomade si trasforma lentamente in un popolo residenziale di agricoltori. Sorprendentemente, non assume la religione politeista del paese, incentrata sulle energie della natura e della fecondità; ne respinge, sia pure con fatica, la tentazione seducente e conserva il culto del suo unico Dio, JHWH.
[49] Intorno al 1000 a.C. la federazione delle tribù diventa un regno organizzato. Però, contrariamente a ciò che accade presso le nazioni circostanti, il re non viene divinizzato; rimane sottoposto a giudizio e contestazione. Dio guida il popolo soprattutto attraverso i profeti, da lui chiamati e fortificati con una speciale manifestazione della sua presenza; lo conduce avanti per strade non facili verso esperienze inedite.
[50]  Duri di cuore, inclini all’idolatria, all’ingiustizia e alla corruzione, 2-39.pnggli israeliti entrano nei giochi delle potenze politiche e militari del tempo: assiri, egiziani, babilonesi. Finiscono per ricadere nella schiavitù e vengono condotti in esilio, lungo «i fiumi di Babilonia» (Sal 137,1). Per opera dei profeti, animati dallo Spirito di Dio, la sventura diventa purificazione. La religione dei vinti non scompare, come di solito accade; matura al contrario come un monoteismo più consapevole e con più elevate esigenze etiche. La speranza nel futuro non solo non si spegne, ma diventa attesa di un intervento definitivo di Dio, capace di produrre un rinnovamento totale. Perduta l’indipendenza politica, si accentua la consapevolezza di essere soprattutto una comunità religiosa. Con il ritorno dall’esilio, all’epoca dell’impero persiano, il popolo di Dio ritrova in Gerusalemme il proprio centro religioso, ma non la capitale di un regno, prospero e duraturo. Si sviluppa, invece, il fenomeno della “diaspora”, la dispersione di comunità israelite in mezzo alle nazioni pagane. Intanto Dio continua ad educare il suo popolo con l’insegnamento dei saggi; lo prepara ad accogliere il Messia; mantiene desta la speranza.
[51]  Il lungo cammino di Israele è una vera storia umana, con persone e 2-40.pngistituzioni, vicende private e pubbliche, episodi di bontà e di iniquità, di grandezza e di miseria. È anche una storia sorprendente per più aspetti: il monoteismo appassionato ed eticamente esigente, la personalità originale dei profeti, l’attesa del Messia salvatore. Caratteristica, soprattutto, è la consapevolezza di essere il popolo dell’alleanza: nella sua vicenda secolare, Israele sa di aver fatto l’esperienza della fedeltà di Dio, malgrado la propria infedeltà
nota
Cf. Os 2,4-25.
.
Il Nuovo Testamento
[52]  La rivelazione storica di Dio fin dall’inizio era orientata verso una meta. Giunge a compimento in Gesù di Nàzaret: «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4).
Gesù visse in Palestina al tempo degli imperatori romani Augusto e Tiberio. «Passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui... Lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse... a testimoni prescelti» (At 10,38-41). Gesù, «appartenente alla stirpe di David, figlio di Maria, realmente nacque, mangiò e bevve. Realmente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato; realmente fu crocifisso e morì alla presenza del cielo, della terra e degli inferi. Realmente risuscitò dai morti»
nota
Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Tralle, 9, 1-2.
.
In lui Dio comunica personalmente se stesso
nota
Cf. Gv 14,9.
; manifesta il suo disegno di salvezza verso tutto il genere umano
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 2.
; ci induce a riconoscere che «Dio è amore» (1Gv 4,16). Gesù di Nàzaret è la Parola eterna di Dio fatta carne
nota
Cf. Gv 1,14.
, la sua rivelazione storica perfetta e insuperabile.
Pienezza definitiva
[53] In Gesù Cristo Dio ha portato a compimento la sua rivelazione. Ha detto e dato se stesso; ha comunicato quanto aveva da comunicare. Nulla si può aggiungere come ulteriore perfezione, fino al giorno in cui la condizione umana sarà trasfigurata oltre la storia e il Signore si manifesterà nella sua venuta gloriosa.
Tradizione e Scrittura in Israele
[55]  La rivelazione di Dio è comunicazione viva, in una storia 2-41.pngintessuta di avvenimenti, personali e collettivi, e di parole, affidate originariamente ai suoi inviati. Il messaggio da questi portato entra in una tradizione comunitaria. Ogni civiltà è tradizione che passa da una generazione all’altra. Ogni religione è tradizione. Il popolo di Dio non fa eccezione: in Israele si trasmettono ricordi storici, convinzioni religiose, riti, canti, preghiere, leggi, sentenze sapienziali. È un patrimonio considerato sacro, perché alla sua origine c’è la rivelazione, consegnata da Dio ai suoi inviati. Viene custodito gelosamente e si accresce nel tempo, con il progredire della rivelazione. Per assicurarne una trasmissione più facile e fedele, viene anche messo per iscritto. Le Sacre Scritture diventano regola di fede e di vita; sono accolte come ispirate da Dio stesso.
[56]  Gesù di Nàzaret accetta la tradizione di Israele, contenuta nei libri sacri
nota
Cf. Mt 5,17.
; considera però semplicemente umane, e perciò caduche, le pur antiche tradizioni interpretative che gli scribi trasmettono con essa
nota
Cf. Mc 7,5813.
.
La Tradizione apostolica
[57]  A sua volta il Maestro dà avvio alla propria tradizione di insegnamenti e gesti, che i discepoli ricevono e trasmettono. La comunione di vita comporta innanzitutto la trasmissione orale, strumento privilegiato e sicuro della memoria in quel tempo. Gli apostoli «trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca, dal vivere insieme e dalle opere di Cristo, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito Santo»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 7.
. Si sviluppa così la “Tradizione apostolica”, in una varietà di forme: racconti, professioni di fede, inni, formule e riti liturgici, esempi e regole di vita, ordinamenti e istituzioni. Anche questa Tradizione ben presto si deposita in testi scritti, redatti da autori divinamente ispirati in seno alla comunità cristiana delle origini.
CdA, 70-71
CONFRONTAVAI
[62] La Rivelazione, che è comunicazione viva, si trasmette per Tradizione viva nella comunità dei credenti, servendosi della Sacra Scrittura come di un documento divinamente ispirato.
La Tradizione è la comunicazione della verità rivelata attraverso la dottrina, il culto e la vita del popolo di Dio.
Tutto il popolo cristiano, illuminato interiormente dallo Spirito Santo mediante il senso soprannaturale della fede, prende attivamente parte alla Tradizione, in comunione con i pastori, ai quali è affidato il compito di dare l’interpretazione autentica.
Perenne attualità
[58]  Gli apostoli lasciano in eredità alle successive generazioni cristiane la loro testimonianza, viva e scritta, come un sacro deposito da custodire fedelmente e rivivere in situazioni sempre nuove. 2-42.pngLa Tradizione apostolica originaria, comprendente la Sacra Scrittura, si prolunga nella Tradizione ecclesiale posteriore, con il sostegno perenne dello «Spirito di verità» (Gv 14,17) promesso da Gesù.
La rivelazione non può essere accresciuta. Viene però comunicata, esplicitata, attualizzata. La luce della divina rivelazione si propaga attraverso la dottrina, il culto e la prassi della Chiesa, servendosi di vari canali concreti: insegnamento del papa e dei vescovi, predicazione e catechesi, liturgia e arte, comportamento esemplare dei cristiani, soprattutto dei santi.
Nella fede della Chiesa, proclamata, celebrata e vissuta, si esprime in opere e parole la rivelazione di Dio in Cristo, senza aggiunte e senza sottrazioni, ma sempre viva ed operante. Da una generazione all’altra viene trasmessa e ricevuta l’esperienza degli apostoli, che per primi incontrarono il Signore. Solo rivivendo questa esperienza originaria si diventa cristiani
nota
Cf. 1Gv 1,1-3.
. Solo sul fondamento posto dagli apostoli una volta per sempre si può edificare. Per aderire al Signore e partecipare alla sua vita, è necessario ricordare ciò che egli ha operato e insegnato, custodire fedelmente la sua memoria, conformare ad essa i propri atteggiamenti.
CdA, 612-613
CONFRONTAVAI
Rivelazione attualizzata
[612]  Il cristianesimo non è la religione di un libro, per quanto sacro possa essere, ma la religione «della Parola incarnata e vivente»
nota
San Bernardo di Chiaravalle, Lodi alla Beata Vergine Maria che riceve l’annunzio, 4, 11.
.
Nella Chiesa «Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il vangelo»
nota
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 33.
. Lo fa attualizzando incessantemente la rivelazione compiuta «una volta per sempre» e consegnata alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della fede
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 7.
. Quando nella Chiesa sotto la guida dei pastori si legge e si interpreta correttamente la Sacra Scrittura, il Cristo risorto rivolge ancora la sua parola agli uomini, una parola viva, come risuscitata dal libro, carica della forza dello Spirito Santo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 7.
. Non insegna solo una dottrina, ma realizza un incontro e un evento di grazia: suscita la fede; rigenera chi ascolta
nota
Cf. 1Pt 1,23.
e lo fa passare «dalla morte alla vita» (Gv 5,24); raduna il popolo di Dio e lo conduce per le sue vie
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 4.
.
CCC, 79CCC 108CCC 1084CdA, 58
CONFRONTAVAI
Ruolo del Magistero nella Tradizione
[60]  Sia nella Sacra Scrittura sia nella Chiesa risuonano molte voci. Non è sempre facile discernere il genuino messaggio rivelato. A servizio di esso, il Signore ha posto il magistero del papa e dei vescovi. Con l’autorità di Cristo e la grazia speciale dello Spirito, in atteggiamento di umile ascolto e di incondizionata fedeltà, essi hanno il compito di «interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10.
.
CdA, 561
CONFRONTAVAI
CdA 563
CONFRONTAVAI
CdA 618-621
CONFRONTAVAI
Il Magistero
[620]  Il collegio dei vescovi, presieduto dal papa, ha l’ufficio di garantire 14-295.pngla tradizione autentica della fede e di guidare il popolo dei credenti; per questo ha ricevuto in modo speciale «il carisma sicuro della verità»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 26, 2.
e non può sbagliare quando è unanime nell’insegnare la verità rivelata, sia che si trovi disperso su tutta la terra, sia che si trovi solennemente riunito in concilio ecumenico
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 25.
.
Il papa per volontà di Cristo deve confermare i fratelli ed essere “roccia” di sostegno per la Chiesa; perciò è infallibile anche da solo, quando come maestro universale della fede definisce la dottrina da credere.
CCC, 888-892CdA, 60
CONFRONTAVAI
[621]  Accanto all’insegnamento definitivo e infallibile, vi è un 14-296.pnginsegnamento ordinario non definitivo del papa e dei vescovi in materia di fede e di agire morale, che ha lo scopo di guidare il popolo di Dio verso una profonda comprensione e una coerente prassi cristiana. Anche questo insegnamento ordinario non definitivo gode di una particolare assistenza divina. Esige un assenso interiore, non però un’adesione totale di fede come il precedente.
Sacra Scrittura, Tradizione, magistero dei vescovi e del papa sono congiunti insieme «sotto l’azione del medesimo Spirito Santo»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10.
. Il Magistero è l’interprete autentico posto a servizio della Scrittura e della Tradizione: piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone la verità di Dio contenuta in esse
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10.
.
[73] La Sacra Scrittura, documento della rivelazione storica di Dio in eventi e parole, è essa stessa parola di Dio: lo Spirito Santo, che ne è autore, ha ispirato alcuni uomini in modo che, anch’essi veri autori, esprimessero convenientemente e senza errori la verità riguardante la salvezza degli uomini.
La Chiesa, animata dal medesimo Spirito che ha ispirato la Scrittura, ha riconosciuto i libri sacri e ne ha fissato l’elenco; li ha accolti e li accoglie come regola della fede e della vita cristiana; li interpreta fedelmente, perché chiunque cerca Dio lo possa incontrare.
Il grande segno
[74]  In fatto di fede c’è chi si contenta di un sottile pragmatismo: 2-46.pngafferma di credere semplicemente perché lo trova bello, significativo, gratificante. Non basta però che un messaggio sia funzionale ai nostri bisogni, perché sia vero. La fede cristiana è risposta motivata e ragionevole a Dio che ci viene incontro e in qualche modo lascia trasparire la sua presenza nella storia. Ma cosa ha di così rilevante la vicenda di Israele e della Chiesa, perché si possa vedere in essa una speciale manifestazione di Dio? Non presenta forse luci e ombre come ogni altra vicenda umana?
[75]  È vero: in questa storia, per chi non vuol vedere, c’è abbastanza oscurità; ma c’è anche abbastanza luce per chi vuol vedere
nota
Cf. B. Pascal, Pensieri, 430.
. Al centro di essa sta la figura di Gesù di Nàzaret, che irradia in ogni direzione la forza della verità e dell’amore: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Cristo è il grande segno di Dio; egli è il rivelatore e nello stesso tempo il motivo di credibilità della rivelazione. Egli completa la rivelazione e ne conferma l’autenticità con la sua stessa presenza, con le parole e le opere, con i miracoli, con la sua morte e risurrezione, con la manifestazione dello Spirito Santo nella comunità dei credenti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 4.
.
Storicità di Gesù
[76]  Riguardo al carattere storico della rivelazione cristiana, occorre innanzitutto sottolineare che Gesù di Nàzaret non è un’idea, ma una persona concreta. Lo confermano anche documenti di 2-45.pngprovenienza ebraica e pagana. Ma sono in sostanza i quattro Vangeli a farcelo conoscere nella sua vicenda personale, nella sua azione e nel suo insegnamento. Occorre allora chiedersi se ci si può fidare dei Vangeli: non potrebbe trattarsi di racconti leggendari?
I quattro Vangeli hanno valore storico, in quanto riferiscono fedelmente le opere e le parole di Gesù, ripensate alla luce degli eventi pasquali sotto l’influsso dello Spirito Santo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19.
. Essi sono espressione della fede degli evangelisti e della prima comunità cristiana; ma questo non impedisce di considerarli fonte sicura di informazione, perché la fede cristiana si caratterizza proprio per il suo radicarsi nella storia.
La fede cristiana incontra Dio in un uomo in carne ed ossa, visto con gli occhi, udito con gli orecchi e toccato con le mani
nota
Cf. 1Gv 1,1.
; suppone la conoscenza diretta o almeno la parola di testimoni attendibili; è consapevole che, senza avvenimenti garantiti da solide testimonianze, sarebbe vuota illusione. Al credente interessa non solo la perenne attualità salvifica, ma anche la memoria fedele. Di fatto i Vangeli, sebbene non intendano offrire una biografia completa, raccolgono una selezione di fatti e detti di Gesù, ritenuti importanti per il loro significato salvifico e sufficienti ad assicurare una base alla fede nel Figlio di Dio e alla comprensione globale del disegno divino.
[77]  Alla figura storica di Gesù si risale attraverso una verifica attenta, 2-48.pngarticolata in fasi successive: confronto tra le edizioni antiche dei Vangeli, nei papiri e nei codici, per stabilire il testo autentico; studio delle redazioni, per mettere in luce la forma letteraria e la teologia degli evangelisti; esame delle tradizioni utilizzate, per individuare la loro forma più arcaica; controllo delle informazioni in base ad alcuni criteri di attendibilità storica.Si tratta di un cammino a ritroso, attraverso il quale ci si rende conto di come i dati originari furono selezionati, sintetizzati, interpretati e ordinati secondo le esigenze della predicazione nelle varie comunità, ma sempre con la preoccupazione e la convinzione di essere fedeli alla memoria di Gesù e con la garanzia dei responsabili e dei testimoni oculari. Prima di scrivere, si avvertiva l’esigenza di compiere accurate ricerche e di vagliare le testimonianze
nota
Cf. Lc 1,1-4.
: questa preoccupazione di fedeltà trova riscontri nell’esattezza del quadro geografico, storico e sociale. Si sapeva distinguere l’insegnamento di Gesù da quello dei discepoli: così si spiega perché siano stati conservati modi espressivi del Maestro non più usati dalla Chiesa, come “regno di Dio” e “Figlio dell’uomo”, e viceversa non siano stati posti sulla sua bocca problemi molto sentiti nella Chiesa primitiva, ma da lui non trattati esplicitamente, come ad esempio il rapporto tra cristiani di origine ebraica e cristiani di origine pagana.
Possiamo essere sicuri che i Vangeli ci consentono di raggiungere la figura storica di Gesù nei suoi lineamenti principali, nelle costanti del suo insegnamento e della sua prassi, nei momenti cruciali della sua vita pubblica, nella sua assoluta originalità.
Singolarità di Gesù
[78] La figura di Gesù è così singolare che nessuno avrebbe potuto immaginarla, se non si fosse imposta da sé. Gesù è diverso dai grandi uomini religiosi: non manifesta incertezze, non si riconosce peccatore; parla e opera con una sicurezza e un potere senza pari. Identifica concretamente se stesso e il proprio agire con la presenza di Dio e la venuta del suo regno; rivendica un’autorità superiore a quella dei profeti; si considera decisivo per la salvezza, esigendo dedizione incondizionata.
CdA, 213
CONFRONTAVAI
[79]  Gesù è unico. Già durante la vita pubblica, la gente si poneva a suo riguardo un problema che non avrebbe senso per i comuni mortali: «Chi è dunque costui?» (Mc 4,41). E lui stesso sollevava l’insolita domanda: «Chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
CdA, 214
CONFRONTAVAI
Presenza continua
[80]  Secondo il Nuovo Testamento, il Signore risorto continua ad essere presente nella comunità dei credenti con la potenza dello Spirito Santo, fino alla fine del mondo. Tale presenza è nascosta, ma si manifesta indirettamente attraverso molti doni dello Spirito, in particolare la perseveranza nella fede e nella retta dottrina, la santità della vita e la forza dei miracoli, perché la Chiesa sia segno pubblico ed efficace della salvezza.
[81] Se consideriamo le infinite contraddizioni del pensiero umano, è sorprendente che in quasi duemila anni la Chiesa, pur sbagliando e correggendosi in molte cose, sia rimasta sempre fedele alla verità rivelata nella sua professione di fede, malgrado abbia subito, nelle diverse epoche, pressioni culturali, sociali e politiche di ogni genere.
[82]  Ancor più, data la fragilità dell’uomo, meraviglia il fenomeno della santità eroica. Sebbene i credenti risultino in gran parte mediocri e peccatori, tuttavia in ogni epoca, in situazioni e forme diverse, si rinnova la sublime testimonianza di numerosi cristiani totalmente rivolti a Dio e ai fratelli. Nei santi «Dio rivela vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 50.
, perché solo dall’alto può venire la forza che rende possibile l’eroismo permanente, la gioia che il mondo non conosce, capace di alleggerire le fatiche e di illuminare la sofferenza e la morte.
[83]  Parimenti, in ogni epoca, fino ai nostri giorni, continuano a verificarsi nel nome di Gesù «guarigioni, miracoli e prodigi» (At 4,30), come agli inizi. Molte volte si tratta di fantasie popolari; spesso però sono fatti così ben documentati da escludere ogni ragionevole dubbio e riconosciuti scientificamente inspiegabili, in quanto comportano trasformazioni eccezionali e istantanee nell’organismo umano e nella natura. È sorprendente che simili fatti avvengano costantemente in circostanze religiose, in connessione con il Cristo e secondo la sua promessa.
[84] Ci sono ombre e luci nella storia del popolo di Dio; ma è con Gesù di Nàzaret che bisogna fare i conti, non con le deficienze vere o presunte dei suoi seguaci. Nella personalità unica del Cristo si concentra un insieme coerente di segni parziali, che vanno a costituire un solo grande segno, in cui è ragionevole riconoscere la mano potente e misericordiosa di Dio.
[85] È ragionevole credere, perché Gesù Cristo è il grande segno luminoso della presenza e dell’amore di Dio, convergenza di numerosi segni parziali, che emergono nella storia del popolo di Dio.
Adesione totale
[86]  Dio si rivela e si dona in una storia intessuta di parole e avvenimenti. L’uomo lo accoglie liberamente, impegnando tutto se stesso, intelligenza, volontà e cuore
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 5.
, affidando a lui il proprio futuro, assentendo alla verità da lui comunicata. Questa adesione così piena e coinvolgente trascende il comune senso religioso e si chiama fede.
CdA, 830
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Affidamento
[87] La fede è atteggiamento esistenziale: ci dà la convinzione di essere amati, ci libera dalla solitudine e dall’angoscia del nulla, ci dispone ad accettare noi stessi e ad amare gli altri, ci dà il coraggio di sfidare l’ignoto. Ecco come si presenta in alcune figure emblematiche.
Abramo, il padre dei credenti, «ebbe fede sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18); si fidò di Dio e delle sue promesse; lasciò la propria patria e la propria parentela
nota
Cf. Gen 12,1-4.
; affrontò, lui vecchio e senza figli, un lungo viaggio «senza sapere dove andava» (Eb 11,8), per poter ricevere dal Signore una nuova terra e una numerosa discendenza. La sua figura esprime e sintetizza la fede del popolo di Dio: «Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,6).
La Vergine Maria, colei che è beata perché ha creduto nel modo più puro e totale
nota
Cf. Lc 1,45.
, all’annuncio dell’angelo uscì dal suo piccolo mondo di promessa sposa, aprendosi al progetto di Dio: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1,38). Divenuta madre del Messia, avanzò nell’oscurità della fede fino al dramma angoscioso del Calvario.
I due discepoli di Giovanni Battista, che videro passare Gesù, gli andarono dietro, fecero amicizia con lui, corsero ad annunciarlo ad altri, iniziarono una nuova esistenza
nota
Cf. Gv 1,35-42.
.
[88]  Credere è aprirsi, uscire da se stessi, fidarsi, obbedire, rischiare, mettersi in cammino verso le cose «che non si vedono» (Eb 11,1), andare dietro a Gesù «autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2). È assumere un atteggiamento di accoglienza operosa, che consente a Dio di fare storia insieme a noi, al di là delle umane possibilità.
Assenso
[89]  Allo stesso tempo la fede è assenso a un contenuto dottrinale. È conforme alla nostra dignità dar credito alle dichiarazioni e alle promesse di persone oneste; a maggior ragione si deve dar credito a quelle di Dio, che è la veracità stessa. Affidarsi a Dio significa aderire fermamente al suo messaggio, alla dottrina da lui rivelata e proposta autorevolmente in suo nome dalla Chiesa. La fede non è vago sentimento, né solo un impegno pratico; ha un contenuto di verità, che il credente deve conoscere sempre meglio
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 5-6.
.
CdA, 622-623
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Dono di Dio
[90]  La fede è un dono o una scelta? Quando Paolo venne a portare il vangelo in Europa, nella città di Filippi «c’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia... e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14). Non basta l’annuncio esteriore a suscitare la fede; occorre anche una illuminazione interiore.
Già l’Antico Testamento aveva chiara consapevolezza che la fede è 2-51.pngfrutto di una iniziativa di Dio: «Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti... Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele» (Dt 7,79). Gesù stesso ha dichiarato pubblicamente: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44). La fede è dono dello Spirito Santo, che la previene, la suscita, la sostiene, l’aiuta a crescere. È lui che illumina l’intelligenza, attrae la volontà, rivolge il cuore a Dio, facendo accettare con gioia e comprendere sempre meglio la rivelazione storica di Cristo, senza aggiungere ad essa nulla di estraneo
nota
Cf. Gv 16,14.
.
CdA, 811-813
CONFRONTAVAI
[91]  Qualcuno potrebbe pensare: se la fede è un dono, forse io non l’ho ricevuto ed è per questo che non credo. C’è da dire, anzitutto, che i confini tra fede e incredulità nel cuore delle persone non sono ben marcati, un po’ come in quell’uomo che diceva a Gesù: «Credo, aiutami nella mia incredulità» (Mc 9,24). I credenti sono tentati di non credere e i non credenti sono tentati di credere. Qualcuno pensa di non credere e invece crede, almeno a livello di disponibilità e adesione implicita; altri pensano di credere e invece danno soltanto un’adesione teorica, senza vita.
Decisione responsabile
[92]  La fede è una scelta responsabile e ragionevole. Da una parte 2-52.pngprende avvio da un’adesione ragionevole alla rivelazione; dall’altra schiude alla ragione l’orizzonte di una comprensione più profonda della realtà, perché il mistero, anche se rimane in se stesso oscuro, illumina e dà significato e valore a tutto. La fede va oltre la ragione; ma la conoscenza «genera, nutre, difende e fortifica» la fede
nota
Sant’Agostino, La Trinità, 14, 3.
. Non per nulla Gesù faceva spesso appello all’intelligenza dei suoi ascoltatori. È opinione abbastanza diffusa che la fede sia un atteggiamento immaturo e una rinuncia a pensare: se si vuol credere - si dice -, non bisogna fare troppe domande. Non si può negare che a volte il comportamento dei credenti possa dare adito a questa impressione. Ma di per sé la fede cristiana è apertura coraggiosa e sottomissione incondizionata alla verità e pertanto costituisce lo spazio vitale più adatto per lo sviluppo della ricerca razionale e del senso critico. Esige solo la rinuncia, anch’essa ragionevole, alla pretesa di capire tutto.
Esperienza nuova
[93]  Agli occhi del credente la vita si illumina di nuovo significato e appare pienamente degna di essere vissuta. Cristo «rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22.
. Ogni persona acquista valore assoluto, in quanto è chiamata alla comunione con Dio nell’eternità. Ogni dimensione della persona - spirito, corpo, famiglia, società, cultura, lavoro - si mostra nella sua autenticità, orientata allo sviluppo integrale.
La fede «opera per mezzo della carità» (Gal 5,6); non solo manifesta il senso delle cose, ma dà la forza di attuarlo. Il cristiano, mentre anela alla perfezione definitiva oltre la storia, sperimenta già nella vita presente un anticipo di essa, si sente risanato o almeno in via di guarigione, assapora la bellezza di vivere, anche nella fatica e nella sofferenza. Mentre pregusta nella speranza la salvezza eterna, ne pone i segni nella città terrena: libertà, giustizia, solidarietà, sobrio benessere nel rispetto della natura, pace. «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa anche lui più uomo»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 41.
; scopre di essere infinitamente amato e di poter egli stesso amare sempre più.
CdA, 953-954
CONFRONTAVAI
[94] La fede è adesione totale dell’uomo a Dio che si rivela nella storia, affidamento di sé e del proprio futuro a lui, assenso a tutta la verità da lui comunicata e che la Chiesa propone a credere.
La fede è dono di Dio, frutto dell’azione interiore dello Spirito Santo; nello stesso tempo è decisione libera e ragionevole dell’uomo.
Il compito dei teologi
[619] All’interno del popolo di Dio e al suo servizio i teologi hanno la funzione di ricercare un’intelligenza sempre più profonda della rivelazione, in accordo col magistero dei pastori e in armonia con le istanze della ragione e con le acquisizioni delle varie discipline scientifiche.