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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
Z



Catechismo degli Adulti


Gli avversari
[225]  I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione 6-123.pngla dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
nota
Cf. Gv 12,42.
, erano in genere sempre più ostili verso di lui e consideravano religiosamente deviante la sua attività, anche se egli frequentava le sinagoghe e il tempio, e si comportava ordinariamente come un giudeo devoto.
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
nota
Cf. Gv 9,16.
. Secondo costoro, Gesù sovvertiva la Legge, violava il sabato, praticava la magia con la forza del demonio per sviare il popolo. Per questi reati era prevista la pena di morte, mediante lapidazione.
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
La consapevolezza di Gesù
[226]  Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
Festa del Regno che viene
[228]  Al sopraggiungere della pasqua ebraica, Gesù si mette a mensa con i Dodici
nota
Cf. Mc 14,17.
, che rappresentano l’Israele degli ultimi tempi, e durante il banchetto manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte imminente.
CdA, 198
CONFRONTAVAI
CdA 685
CONFRONTAVAI
[229]  Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà.
La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio.
Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo. Ora, di fronte alla incombente minaccia di morte, egli celebra il banchetto, nella ferma fiducia che il Regno sta venendo, nonostante l’apparente fallimento: «Da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio» (Lc 22,18). I Dodici sederanno ancora a mensa con lui; le dodici tribù si raccoglieranno nell’unità intorno a lui: neppure la morte potrà impedirgli di offrire commensalità e comunione ai suoi amici. Dio infatti «non è un Dio dei morti ma dei viventi!» (Mc 12,27) e non abbandona i giusti nella morte.
Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
[231]  Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli
nota
Cf. Gv 13,1-15.
, e ha detto «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27): un gesto e una parola che sintetizzano il senso della sua vita e della sua morte, come servizio a Dio a favore dell’umanità; un appello ai credenti perché seguano il suo esempio e diano testimonianza ogni giorno all’amore senza limiti con cui Dio ha amato il mondo. La cena viene ad essi consegnata come “memoriale”, ricordo e attualizzazione, nel rito, della sua dedizione: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Dall’eucaristia, sacramento del suo sacrificio, riceveranno forza per fare di se stessi un dono al Padre e ai fratelli.
CdA, 691-693
CONFRONTAVAI
CdA 697
CONFRONTAVAI
[232] Nell’ultima cena Gesù manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte: ferma fiducia che il regno di Dio verrà in pienezza e consegna di se stesso per la salvezza di tutti.
Il processo
[233]  Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo
nota
Cf. Mc 14,1043.
.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse. Al mattino seguente si riunisce il sinedrio e lo condanna a morte, quale falso profeta che sovverte la legge e il tempio, e come bestemmiatore che usurpa prerogative divine. Ma la sentenza non può essere eseguita senza l’approvazione dell’autorità romana; allora il sinedrio lo consegna in catene al governatore Ponzio Pilato
nota
Cf. Mc 15,1.
, con la falsa accusa di essere un agitatore politico e un pretendente Messia in senso nazionalistico.
[234]  Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
nota
Cf. Lc 23,6-11.
.
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
nota
Cf. Mc 15,15.
. La motivazione ufficiale, secondo la scritta da fissare sopra la croce, è: «Il re dei giudei» (Mc 15,26), cioè un ribelle politico.
La morte in croce
[235]  Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
nota
Cf. Dt 21,23.
. Il suo cadavere non finisce nella fossa comune, solo perché alcuni amici, dopo averne coraggiosamente fatto richiesta al governatore, lo seppelliscono con onore in una tomba nuova
nota
Cf. Gv 19,41.
.
[236] Gesù viene ingiustamente condannato a morte dal sinedrio, come falso profeta e bestemmiatore, e da Ponzio Pilato, come ribelle politico; viene flagellato, coronato di spine e crocifisso; muore nel dolore e nell’umiliazione, come uno scomunicato e un maledetto da Dio.
Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Sul Calvario
[238]  Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
nota
Cf. Sal 22,1.
. Alla luce del salmo, l’assenza di Dio, che Gesù sperimenta, va intesa come consegna nelle mani dei nemici. Ma l’abisso dell’abbandono è ancora più profondo.
[239]  Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
nota
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2.
; «Sono sprofondata in questa orribilissima tenebra, priva di Dio, dove pare sia venuta meno ogni speranza di bene... Dio mi è chiuso, del tutto nascosto, così che non posso ricordarlo, né ricordare il ricordo che ne ho avuto, né credere che sia lui a permettere ciò»
nota
Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147.
.
Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l’abbandono di Dio, non cessa di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46)
nota
Cf. Sal 31,6.
.
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» ( Mc 14,36 ); «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» ( Mc 15,34 ).
Gli avversari
[225]  I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione 6-123.pngla dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
nota
Cf. Gv 12,42.
, erano in genere sempre più ostili verso di lui e consideravano religiosamente deviante la sua attività, anche se egli frequentava le sinagoghe e il tempio, e si comportava ordinariamente come un giudeo devoto.
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
nota
Cf. Gv 9,16.
. Secondo costoro, Gesù sovvertiva la Legge, violava il sabato, praticava la magia con la forza del demonio per sviare il popolo. Per questi reati era prevista la pena di morte, mediante lapidazione.
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
La consapevolezza di Gesù
[226]  Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
Festa del Regno che viene
[228]  Al sopraggiungere della pasqua ebraica, Gesù si mette a mensa con i Dodici
nota
Cf. Mc 14,17.
, che rappresentano l’Israele degli ultimi tempi, e durante il banchetto manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte imminente.
CdA, 198
CONFRONTAVAI
CdA 685
CONFRONTAVAI
[229]  Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà.
La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio.
Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo. Ora, di fronte alla incombente minaccia di morte, egli celebra il banchetto, nella ferma fiducia che il Regno sta venendo, nonostante l’apparente fallimento: «Da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio» (Lc 22,18). I Dodici sederanno ancora a mensa con lui; le dodici tribù si raccoglieranno nell’unità intorno a lui: neppure la morte potrà impedirgli di offrire commensalità e comunione ai suoi amici. Dio infatti «non è un Dio dei morti ma dei viventi!» (Mc 12,27) e non abbandona i giusti nella morte.
Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
[231]  Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli
nota
Cf. Gv 13,1-15.
, e ha detto «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27): un gesto e una parola che sintetizzano il senso della sua vita e della sua morte, come servizio a Dio a favore dell’umanità; un appello ai credenti perché seguano il suo esempio e diano testimonianza ogni giorno all’amore senza limiti con cui Dio ha amato il mondo. La cena viene ad essi consegnata come “memoriale”, ricordo e attualizzazione, nel rito, della sua dedizione: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Dall’eucaristia, sacramento del suo sacrificio, riceveranno forza per fare di se stessi un dono al Padre e ai fratelli.
CdA, 691-693
CONFRONTAVAI
CdA 697
CONFRONTAVAI
[232] Nell’ultima cena Gesù manifesta il suo atteggiamento davanti alla morte: ferma fiducia che il regno di Dio verrà in pienezza e consegna di se stesso per la salvezza di tutti.
Il processo
[233]  Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo
nota
Cf. Mc 14,1043.
.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse. Al mattino seguente si riunisce il sinedrio e lo condanna a morte, quale falso profeta che sovverte la legge e il tempio, e come bestemmiatore che usurpa prerogative divine. Ma la sentenza non può essere eseguita senza l’approvazione dell’autorità romana; allora il sinedrio lo consegna in catene al governatore Ponzio Pilato
nota
Cf. Mc 15,1.
, con la falsa accusa di essere un agitatore politico e un pretendente Messia in senso nazionalistico.
[234]  Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
nota
Cf. Lc 23,6-11.
.
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
nota
Cf. Mc 15,15.
. La motivazione ufficiale, secondo la scritta da fissare sopra la croce, è: «Il re dei giudei» (Mc 15,26), cioè un ribelle politico.
La morte in croce
[235]  Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
nota
Cf. Dt 21,23.
. Il suo cadavere non finisce nella fossa comune, solo perché alcuni amici, dopo averne coraggiosamente fatto richiesta al governatore, lo seppelliscono con onore in una tomba nuova
nota
Cf. Gv 19,41.
.
[236] Gesù viene ingiustamente condannato a morte dal sinedrio, come falso profeta e bestemmiatore, e da Ponzio Pilato, come ribelle politico; viene flagellato, coronato di spine e crocifisso; muore nel dolore e nell’umiliazione, come uno scomunicato e un maledetto da Dio.
Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Sul Calvario
[238]  Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
nota
Cf. Sal 22,1.
. Alla luce del salmo, l’assenza di Dio, che Gesù sperimenta, va intesa come consegna nelle mani dei nemici. Ma l’abisso dell’abbandono è ancora più profondo.
[239]  Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
nota
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2.
; «Sono sprofondata in questa orribilissima tenebra, priva di Dio, dove pare sia venuta meno ogni speranza di bene... Dio mi è chiuso, del tutto nascosto, così che non posso ricordarlo, né ricordare il ricordo che ne ho avuto, né credere che sia lui a permettere ciò»
nota
Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147.
.
Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l’abbandono di Dio, non cessa di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46)
nota
Cf. Sal 31,6.
.
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» ( Mc 14,36 ); «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» ( Mc 15,34 ).