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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti


Ambiguità dell’esistenza
[13]  Di ambiguità analoga a quella della storia universale sono cariche anche le storie personali, che in essa si incontrano, si 1-22.pngallontanano, si rincorrono. Ciascuna è illuminata da esperienze positive, come lo stupore davanti alla verità e alla bellezza, la gioia di essere amati e di amare, il piacere del gioco, dell’arte, del lavoro riuscito. Ciascuna è offuscata da esperienze negative: dolore e miseria, egoismo e ingiustizia, errore, isolamento, paura. Il nonsenso sembra prevalere, perché i mali sono avvertiti più intensamente dei beni e, secondo il proverbio, un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce; soprattutto, la morte minaccia di vanificare gli stessi valori positivi.
È stato detto: la morte non conta, perché, quando ci siamo noi, lei non c’è ancora e, quando c’è lei, non ci siamo più noi. Questo, al più, potrebbe essere vero per gli animali. L’uomo, invece, sa di morire. La morte è «la sua cupa compagna di viaggio»
nota
F. Nietzsche, La gaia scienza, 4, 278.
: giorno e notte, come un tarlo nascosto, con il sentimento dell’angoscia insidia ogni gioia e conquista.
CdA, 1186
CONFRONTAVAI
Apparente fallimento
[1186]  Ma ha un senso la morte, o meglio l’uomo che muore? All’apparenza sembrerebbe di no. L’uomo è tutto un desiderio di vivere e con tutto se stesso rifiuta la morte, ma essa si avvicina inesorabile. La caducità ci appartiene per natura. In un certo senso si comincia a morire quando si comincia a vivere, e si finisce di morire quando si finisce di vivere: le cellule dell’organismo si invecchiano, si perdono e non tutte vengono reintegrate; le esperienze personali si consumano in fretta. «L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (Gb 14,1-2). Prima o poi, improvvisa o preceduta da intensa sofferenza, arriva la morte. La persona sembra svanire nel nulla. Il desiderio insopprimibile di vivere sembra votato al fallimento. Di qui senso di smarrimento e di impotenza, angoscia. «Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire» (Sal 88,9-10).
CdA, 13-15
CONFRONTAVAI
Gli avversari
[225]  I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione 6-123.pngla dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
nota
Cf. Gv 12,42.
, erano in genere sempre più ostili verso di lui e consideravano religiosamente deviante la sua attività, anche se egli frequentava le sinagoghe e il tempio, e si comportava ordinariamente come un giudeo devoto.
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
nota
Cf. Gv 9,16.
. Secondo costoro, Gesù sovvertiva la Legge, violava il sabato, praticava la magia con la forza del demonio per sviare il popolo. Per questi reati era prevista la pena di morte, mediante lapidazione.
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
La consapevolezza di Gesù
[226]  Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
Il processo
[233]  Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo
nota
Cf. Mc 14,1043.
.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse. Al mattino seguente si riunisce il sinedrio e lo condanna a morte, quale falso profeta che sovverte la legge e il tempio, e come bestemmiatore che usurpa prerogative divine. Ma la sentenza non può essere eseguita senza l’approvazione dell’autorità romana; allora il sinedrio lo consegna in catene al governatore Ponzio Pilato
nota
Cf. Mc 15,1.
, con la falsa accusa di essere un agitatore politico e un pretendente Messia in senso nazionalistico.
[234]  Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
nota
Cf. Lc 23,6-11.
.
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
nota
Cf. Mc 15,15.
. La motivazione ufficiale, secondo la scritta da fissare sopra la croce, è: «Il re dei giudei» (Mc 15,26), cioè un ribelle politico.
La morte in croce
[235]  Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
nota
Cf. Dt 21,23.
. Il suo cadavere non finisce nella fossa comune, solo perché alcuni amici, dopo averne coraggiosamente fatto richiesta al governatore, lo seppelliscono con onore in una tomba nuova
nota
Cf. Gv 19,41.
.
[236] Gesù viene ingiustamente condannato a morte dal sinedrio, come falso profeta e bestemmiatore, e da Ponzio Pilato, come ribelle politico; viene flagellato, coronato di spine e crocifisso; muore nel dolore e nell’umiliazione, come uno scomunicato e un maledetto da Dio.
Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Sul Calvario
[238]  Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
nota
Cf. Sal 22,1.
. Alla luce del salmo, l’assenza di Dio, che Gesù sperimenta, va intesa come consegna nelle mani dei nemici. Ma l’abisso dell’abbandono è ancora più profondo.
[239]  Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
nota
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2.
; «Sono sprofondata in questa orribilissima tenebra, priva di Dio, dove pare sia venuta meno ogni speranza di bene... Dio mi è chiuso, del tutto nascosto, così che non posso ricordarlo, né ricordare il ricordo che ne ho avuto, né credere che sia lui a permettere ciò»
nota
Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147.
.
Gesù crocifisso, sebbene sperimenti l’abbandono di Dio, non cessa di abbandonarsi a lui con fiducia assoluta: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46)
nota
Cf. Sal 31,6.
.
La morte di Gesù
[1188]  Gesù, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé la comune condizione umana. Ha provato «paura e angoscia» (Mc 14,33), «con forti grida e lacrime» (Eb 5,7). Ma si è abbandonato con fiducia alla volontà del Padre, ha offerto tutto se stesso per il bene degli uomini. Ha fatto del suo morire un atto personale pieno di senso. La risurrezione ha rivelato la fecondità della sua dedizione e ha dato solido fondamento alla speranza dei credenti. La sua testimonianza li provoca a seguirlo, fiduciosi nel Padre onnipotente e misericordioso, pieni di amore per i fratelli, pronti a credere nella vita fin dentro le tenebre della morte
CdA, 237-239
CONFRONTAVAI
Tra i morti
[241]  Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù, morendo, «discese agli inferi». Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti
nota
Cf. Gb 30,23.
. Al tempo di Gesù si riteneva che vi fossero sedi e condizioni diverse per i giusti e per i malvagi
nota
Cf. Lc 16,23.
, mentre gli uni e gli altri attendevano la piena retribuzione nel giudizio finale.
Vittoria sulla morte
[242]  Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. Ha 6-128.pngraggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: «È stata annunziata la buona novella anche ai morti» (1Pt 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono «la perfezione» (Eb 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto.
Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L’icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti.
[243] Entrando nella morte, Gesù ha comunicato la pienezza della vita ai giusti che erano in attesa.
Sacrificio
[255]  “Sacrificio” è la morte di Gesù in quanto porta a compimento «una volta per tutte» (Eb 7,27) il senso dei riti sacrificali dell’Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l’olocausto, l’oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il sacrificio dell’agnello pasquale. Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico obiettivo: attuare la comunione dell’uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità.
Primizia dei risuscitati
[276]  La risurrezione di Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione 7-144.png generale al termine della storia.
I discepoli, come gran parte degli ebrei del tempo, aspettavano certamente la risurrezione dei morti. Ma Gesù risorto fu per loro un avvenimento imprevisto, carico di misteriosa novità, in quanto anticipazione di un evento atteso solo per gli ultimi giorni: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,20-22).
L’offerta delle primizie, nel culto ebraico, significava la consacrazione a Dio di tutto il raccolto. Gesù di Nàzaret è risuscitato non come individuo isolato, ma come capo e rappresentante dell’umanità; è la primizia dei risorti e include virtualmente la liberazione di tutti dal peccato e dalla morte; contiene in sé la risurrezione universale, attesa per la fine dei tempi. Tutto comincia a compiersi.
La morte di Gesù
[1188]  Gesù, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé la comune condizione umana. Ha provato «paura e angoscia» (Mc 14,33), «con forti grida e lacrime» (Eb 5,7). Ma si è abbandonato con fiducia alla volontà del Padre, ha offerto tutto se stesso per il bene degli uomini. Ha fatto del suo morire un atto personale pieno di senso. La risurrezione ha rivelato la fecondità della sua dedizione e ha dato solido fondamento alla speranza dei credenti. La sua testimonianza li provoca a seguirlo, fiduciosi nel Padre onnipotente e misericordioso, pieni di amore per i fratelli, pronti a credere nella vita fin dentro le tenebre della morte
CdA, 237-239
CONFRONTAVAI
Pena di morte
[1028]  Con riferimento a qualche testo biblico
nota
Cf. Rm 13,4.
, di solito è stato riconosciuto all’autorità pubblica il diritto di comminare la pena di morte ai delinquenti, identificati come responsabili di gravissimi delitti dopo un regolare processo. Oggi l’accresciuta consapevolezza riguardo alla dignità di ogni uomo, ancorché criminale, induce ad abolire questa pena. L’unica ragione che si potrebbe addurre per giustificarla, cioè l’assenza di concrete alternative per la legittima difesa della società, viene di fatto a mancare in uno stato moderno organizzato.
Tantomeno questa pena può essere utilizzata lecitamente come deterrente contro l’espandersi della criminalità. Anzi, il carcere stesso deve essere umanizzato e deve mirare alla rieducazione, e, ove possibile, al reinserimento nella società.
Questa sensibilità per la dignità e il valore della persona umana esprime in maniera più adeguata la visione biblica dell’uomo e della misericordia di Dio verso il peccatore: «Come è vero ch’io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33,11).
Accanimento terapeutico
[1035] Neppure la rinuncia al cosiddetto “accanimento terapeutico” va confusa con l’eutanasia. Le cure enormemente costose e senza consistenti vantaggi per il paziente vengono omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto a morire con dignità.
La morte nella nostra cultura
[1185] Da sempre la morte è guardata con rispetto e timore, perché radicalmente contraria all’istinto di conservazione. Oggi, come fenomeno generale, è oggetto di attenzione e di curiosità; a volte la si banalizza, mostrandola crudamente per televisione. Si evita invece come un tabù il discorso sulla propria morte e quindi anche la domanda sul senso della propria vita. Come se non ci riguardasse da vicino!
Quanto all’aldilà, circolano molti dubbi. Nel nostro paese numerose persone, pur credendo in Dio, dichiarano di non credere nella sopravvivenza, nella risurrezione, nel paradiso, nell’inferno. Ci si preoccupa più della sofferenza, che di solito precede la morte, che non delle realtà che vengono dopo di essa. Si considera addirittura preferibile una morte improvvisa, non consapevole. Invece il vero cristiano desidera innanzitutto rendere preziosa la propria morte.
[373] Questa solidarietà negativa non solo inclina a commettere i peccati personali, che causano molte sofferenze, ma impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura. Molte volte, più che il soffrire pesa il soffrire inutilmente, senza un significato. L’universale alienazione da Dio priva l’animo della forza e della gioia, che deriverebbero da un’intensa comunione con lui e sarebbero capaci di riempire e trasfigurare le stesse esperienze dolorose.
[374]  Secondo l’intenzione del Creatore, l’uomo dovrebbe vivere in un paradiso terrestre, in una condizione di perfetta armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. L’offerta originaria della grazia includeva i doni dell’integrità e dell’immortalità. L’amicizia con Dio sarebbe stata così intima e tangibile da orientare con facilità al bene tutte le energie e le tendenze spontanee e da preservare dalla sofferenza e dalla morte angosciosa, come noi attualmente la sperimentiamo. Purtroppo questa condizione è stata perduta a causa del peccato.
Apparente fallimento
[1186]  Ma ha un senso la morte, o meglio l’uomo che muore? All’apparenza sembrerebbe di no. L’uomo è tutto un desiderio di vivere e con tutto se stesso rifiuta la morte, ma essa si avvicina inesorabile. La caducità ci appartiene per natura. In un certo senso si comincia a morire quando si comincia a vivere, e si finisce di morire quando si finisce di vivere: le cellule dell’organismo si invecchiano, si perdono e non tutte vengono reintegrate; le esperienze personali si consumano in fretta. «L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (Gb 14,1-2). Prima o poi, improvvisa o preceduta da intensa sofferenza, arriva la morte. La persona sembra svanire nel nulla. Il desiderio insopprimibile di vivere sembra votato al fallimento. Di qui senso di smarrimento e di impotenza, angoscia. «Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire» (Sal 88,9-10).
CdA, 13-15
CONFRONTAVAI
La morte del cristiano
[1189]  Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini.
Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
Alleanza con Dio e retribuzione ultraterrena
[1191]  Israele, in epoca antica, sperava da Dio benedizione e prosperità per 32-578.pngla vita presente. Quanto all’aldilà, pensava, insieme ad altre culture arcaiche, che i morti sopravvivono in una triste condizione di debolezza e di isolamento, come ombre evanescenti: «Non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza negli inferi, dove stai per andare» (Qo 9,10). «Nel paese dell’oblio» (Sal 88,13) il defunto non ha più rapporti con Dio e con il mondo; «soltanto i suoi dolori egli sente e piange sopra di sé» (Gb 14,22).
Più tardi la fede comincia a rischiarare anche la vita ultraterrena. Si fa strada la convinzione che l’alleanza con Dio si prolungherà dopo la morte, in modo da assicurare ai giusti una sorte felice, diversa da quella dei malvagi. «Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16,8-11). «Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria. Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio» (Sal 73,23-28). C’è dunque un premio per i giusti e un castigo per gli empi già subito dopo la morte, anche se la retribuzione completa si avrà nel giorno dell’ultimo giudizio e della risurrezione. «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace... Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro» (Sap 2,24-3,8).
Comunione con Gesù e vita eterna
[1192]  Gesù, nella parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro come anche nella promessa al ladrone pentito, mostra di condividere la stessa concezione. La novità è il ruolo decisivo che riveste la sua persona. La comunione con lui è più forte della morte, si prolunga per l’eternità: «Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia» (Gv 6,48-50); «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte» (Gv 8,51). Chi crede nel Figlio di Dio, già adesso possiede la vita eterna e nell’ultimo giorno riceverà la salvezza completa con la risurrezione
nota
Cf. Gv 6,4047.
.
CCC, 1020
[1193]  La Chiesa dei primi tempi vive questa gioiosa certezza. Stefano, mentre viene ucciso, esclama: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59). Paolo è ancora più esplicito: sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore e viviamo insieme a lui; sulla terra ci troviamo in esilio, perché non possiamo vederlo
nota
Cf. 2Cor 5,6-8.
; per noi è molto meglio morire, per «abitare presso il Signore» (2Cor 5,8). La comunione con il Risorto, e attraverso di lui con il Padre, vince ogni ostacolo
nota
Cf. Rm 8,35-39.
. Perfino i giusti delle passate generazioni vengono da lui raggiunti, portati alla perfezione e introdotti nel santuario celeste.
CdA, 242
CONFRONTAVAI
CdA 753
CONFRONTAVAI
la vita non è tolta
[1194]  Nel corso dei secoli, la Chiesa, con l’invocazione dei santi e il suffragio per i defunti, ha mostrato di credere che i morti vivono ancora e «la vita non è tolta, ma trasformata»
nota
Messale Romano, Prefazio dei defunti I.
. Il magistero della Chiesa ha definito, con Benedetto XII nel 1336, la retribuzione immediata dopo la morte
nota
Cf. Benedetto XII, Benedictus Deus - DS 1000-1002.
e, con il concilio Lateranense V nel 1513, la sopravvivenza di ogni singolo uomo
nota
Cf. Concilio Lateranense V, Costituzione “Apostolici regiminis” - DS 1440.
.
[1195] Possiamo concludere che dopo la morte sopravvive l’io personale, dotato di coscienza e di volontà. Se si vuole chiamarlo “anima”, bisogna intendere questa parola alla maniera biblica. Esso perde il corpo, cioè l’insieme dei suoi rapporti sensibili con il mondo naturale e umano, ma continua a sussistere nella sua singolarità, in attesa di raggiungere la completa perfezione, al termine della storia, con la risurrezione. Se, come dicono i testimoni di Geova, la morte fosse un annientamento e la risurrezione una seconda creazione dal nulla, allora l’uomo risorto non sarebbe più identico all’uomo terreno: potrebbe magari essere una copia uguale in tutto, ma non sarebbe lo stesso uomo, lo stesso io personale irripetibile.
Il soggetto umano percorre una vicenda lineare di partecipazione alla vita del Signore risorto. Comincia a risuscitare già adesso sulla terra con un’esistenza di fede e di carità: «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14). Al termine della sua vita terrena passa a un’esistenza ancora più alta, dando la sua adesione definitiva a Dio, senza più pericolo di perderlo. Infine, al termine della storia, la risurrezione si estenderà alla dimensione corporea e cosmica.
[1196] Ogni singolo soggetto personale continua a vivere oltre la morte in una forma di esistenza, cosciente e libera, diversa da quella corporea e cosmica precedente. Tale soggetto può essere chiamato anima, secondo il significato che questa parola ha nella Bibbia.
Il giudizio definitivo
[1199]  Il giudizio opera già in questo mondo, ma va verso un momento supremo: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male» (2Cor 5,10). È il giudizio definitivo, che per le singole persone avviene al termine della vita terrena (“giudizio particolare”) e per il genere umano, nel suo insieme, al termine della storia (“giudizio universale”).
CdA, 1215-1216
CONFRONTAVAI
La retribuzione personale al termine della vita
[1200]  La sopravvivenza dei defunti non è indifferenziata, ma felice per i giusti, triste per i malvagi. Lo indicano la parabola del ricco e del 32-580.pngpovero Lazzaro, le dichiarazioni dell’apostolo Paolo, la promessa di Gesù al ladrone pentito: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). Il magistero della Chiesa da parte sua insegna che subito dopo la morte i peccatori non convertiti “scendono all’inferno” e i giusti “salgono in cielo”, a meno che non abbiano ancora bisogno di purificazione
nota
Cf. Benedetto XII, Benedictus Deus - DS 1000-1002.; Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1305-1306.; Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 48.
: retribuzione immediata dunque nell’incontro con Cristo giudice. Davanti a lui, finito il tempo della prova, si manifesta e si fissa per sempre l’atteggiamento di ciascuno nei confronti di Dio: o con lui o contro di lui. Cadono le maschere; viene alla luce, con il bene e il male compiuto, anche la più profonda identità di ogni persona.
Giudizio di Dio e autogiudizio
[1201]  Solo nella comunione con Cristo la vita è autentica; su di lui si misura ciò che vale e ciò che non vale. Le cose terrene, cercate in modo disordinato e con tanta fatica, riveleranno la loro inconsistenza, come pula o fumo portati dal vento, come traccia lasciata da una nave sul mare o da una freccia nell’aria
nota
Cf. Sap 5,4-14.
. I peccatori «mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni» (Pr 1,31). «L’empio è preda delle sue iniquità, è catturato con le funi del suo peccato» (Pr 5,22). «Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna» (Gal 6,7-8). L’egoismo genera morte; la carità fa vivere. Il Signore, mentre causa direttamente la perfezione e la gioia di quelli che si salvano, causa solo indirettamente la rovina di quelli che si perdono, in quanto essi, rifiutando il suo amore, rifiutano la verità e la pienezza della vita.
CdA, 246
CONFRONTAVAI
CdA 257
CONFRONTAVAI
CdA 354-355
CONFRONTAVAI
CdA 802
CONFRONTAVAI
CdA 928
CONFRONTAVAI
Giorno del Signore e risurrezione
[1209] Sebbene ciascuno con la morte raggiunga la propria salvezza definitiva o la perdizione eterna, salvezza e perdizione diventano complete, secondo tutte le dimensioni della persona, solo alla fine del mondo.
Dio dirige la storia e la porta a termine. I profeti dell’Antico Testamento annunziano il giorno del Signore, suprema manifestazione della sua gloria su tutta la terra, per punire i nemici, per purificare e salvare i fedeli. Sarà vittoria totale, separazione definitiva del bene dal male.
Sullo sfondo di questa attesa emerge progressivamente la fede nella risurrezione dei morti: «Quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna» (Dn 12,2). I sette fratelli, di cui narra il secondo Libro dei Maccabei, muoiono con la certezza di essere risuscitati da Dio nell’ultimo giorno.
[1210]  L’insegnamento di Gesù conferma la fede nella risurrezione: «A riguardo dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi!» (Mc 12,26-27). Alla risurrezione sarà congiunto il giudizio universale, separazione del buon grano dalla zizzania, delle pecore dai capri. Anzi Gesù dichiara di aver ricevuto dal Padre il potere di risuscitare e di giudicare; perciò «verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29).
Dalla risurrezione di Gesù alla nostra
[1211]  La vittoria di Dio si compie per mezzo del Signore Gesù; il giorno di Dio è il «giorno del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,8). La risurrezione dei giusti è un prolungamento della sua, perché «tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22). «Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,9-11). Gli stessi reprobi, nella misura in cui ne sono capaci, ricevono da Cristo l’energia per vivere e operare, ma in loro tutto è stravolto a causa del peccato: la loro “risurrezione” merita piuttosto il nome di «seconda morte» (Ap 20,14).
CdA, 1175-1176
CONFRONTAVAI
[1212]  Il legame tra la risurrezione di Gesù e la nostra è così stretto, che i primi cristiani ne arguirono, a torto, che avvenuta l’una fosse ormai imminente anche l’altra. Presto si accorsero che il “giorno del Signore” tardava a venire. Ma non si scandalizzarono: «davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo» (2Pt 3,8). Rimase il desiderio che il disegno di Dio si compisse e l’urgenza interiore di cooperare con lui.
Quale corpo?
[1213]  Sempre il cuore dei credenti rimane proteso verso l’ultima perfezione. Non arriva però a raffigurarla nei suoi lineamenti. Il Nuovo Testamento, pur mettendo la risurrezione al centro della fede, non la descrive mai nelle sue modalità concrete. Alla richiesta esplicita: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo?» (1Cor 15,35), l’apostolo Paolo risponde che risuscitano con un corpo identico a quello attuale e nello stesso tempo diverso. Muore il chicco di grano e rinasce come pianticella. Il corpo umano, che ora è debole, corruttibile e gravato di limiti, risorgerà incorruttibile, trasfigurato dalla forza dello Spirito Santo a immagine del Cristo glorioso. La trasformazione sarà profonda, perché «ciò che è corruttibile non può ereditare l’incorruttibilità» (1Cor 15,50); tuttavia sarà proprio questo nostro corpo a rivestire l’immortalità
nota
Cf. 1Cor 15,54.
. A motivo dell’identico soggetto personale, esso rimarrà quello di prima, nonostante il profondo cambiamento, come durante la vita terrena rimaneva se stesso nel variare della statura e nella continua sostituzione delle singole cellule.
CdA, 269-270
CONFRONTAVAI
[1214]  Sebbene non si possa immaginare la condizione del corpo glorificato, tuttavia dobbiamo ritenere che essa comporti ancora un legame con il mondo materiale, anzi la perfezione definitiva del rapporto con il mondo. L’uomo e il mondo si appartengono reciprocamente; perciò la creazione sarà «liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
Salvezza totale e perdizione totale
[1215]  Nel corso dei secoli il magistero della Chiesa ha proclamato molte volte la fede nella risurrezione dei morti e nel giudizio universale. Così si esprime il concilio Lateranense IV: «Gesù Cristo... verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le proprie opere, sia ai reprobi che agli eletti. Tutti risorgeranno con i propri corpi, gli stessi di adesso, per ricevere ciascuno secondo le loro opere, cattive o buone, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri con Cristo la gloria eterna»
nota
Concilio Lateranense IV, Costituzione1 “De fide catholica” - DS 801.
.
[1216]  A ben riflettere, risurrezione di vita e risurrezione di condanna sembrano coincidere con il giudizio universale, in quanto significano la salvezza e la perdizione dell’uomo nella sua totalità, comprese le dimensioni comunitaria e cosmica. Si tratta di un solo avvenimento, conclusivo della storia umana, l’ora della messe
nota
Cf. Mt 13,39.
. Il corpo è capacità di presenza agli altri e al mondo; risurrezione dei morti nel proprio corpo significa dunque suprema attuazione di questa capacità di presenza, per i giusti a loro maggiore perfezione e felicità, per i reprobi a loro maggiore umiliazione. Questi si sentiranno lacerati e oppressi in tutta la loro personalità; quelli, nella comunione con Dio e tra loro, dispiegheranno una mirabile creatività, senza più ansia, fatica e lotta. La vittoria di Dio sarà la completa attuazione del suo disegno di amore.
[1217] La risurrezione dei morti e il giudizio universale concluderanno la storia del genere umano; estenderanno la vittoria del bene sul male, in modo definitivo e completo, alle dimensioni corporea, sociale e cosmica dell’uomo.