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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti

Israele 47-51 , 112-118 , 154 , 433 , 435 , 439-449 , 805
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L’Antico Testamento
[47]  Gli eventi prendono avvio con alcuni pastori nomadi, in cui successivamente il popolo di Israele riconoscerà i propri antenati: Abramo, Isacco e Giacobbe. Il primo di loro viene presentato come grande amico di Dio e padre dei credenti. Dio lo chiama fuori della sua terra di origine e lo benedice con una promessa di portata universale: «Renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare... Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra» (Gen 22,1718).
[48]  A questi antichi patriarchi si ricollegano alcune tribù, che in Egitto finiscono per trovarsi in una condizione intollerabile di schiavitù e fuggono verso il Sinai. Le guida Mosè, un uomo straordinario, al quale nella solitudine del deserto Dio ha rivelato il suo nome misterioso: JHWH
nota
Scriviamo così il nome di Dio rivelato a Mosè. Il tetragramma sacro andrebbe letto “Jahvèh”, ma la tradizione ebraica considera questo nome impronunziabile e suggerisce di dire in suo luogo “Adonài”, cioè “Signore”, o di pronunziare un altro titolo divino. Per rispetto ai nostri fratelli ebrei, questo catechismo invita a fare altrettanto e in ogni caso riduce all’indispensabile l’uso del tetragramma sacro.
, «Io sono colui che sono!» (Es 3,14). Ora, nel deserto, con il dono dell’alleanza e della legge, Dio plasma un popolo, Israele, come sua proprietà, segno della sua presenza davanti alle nazioni: «Voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,5-6).
Al cammino nel deserto fa seguito l’insediamento nella terra di Canaan, l’epoca di Giosuè e dei Giudici, segnata dai contatti e dai conflitti con le popolazioni del luogo. Il popolo nomade si trasforma lentamente in un popolo residenziale di agricoltori. Sorprendentemente, non assume la religione politeista del paese, incentrata sulle energie della natura e della fecondità; ne respinge, sia pure con fatica, la tentazione seducente e conserva il culto del suo unico Dio, JHWH.
[49] Intorno al 1000 a.C. la federazione delle tribù diventa un regno organizzato. Però, contrariamente a ciò che accade presso le nazioni circostanti, il re non viene divinizzato; rimane sottoposto a giudizio e contestazione. Dio guida il popolo soprattutto attraverso i profeti, da lui chiamati e fortificati con una speciale manifestazione della sua presenza; lo conduce avanti per strade non facili verso esperienze inedite.
[50]  Duri di cuore, inclini all’idolatria, all’ingiustizia e alla corruzione, 2-39.pnggli israeliti entrano nei giochi delle potenze politiche e militari del tempo: assiri, egiziani, babilonesi. Finiscono per ricadere nella schiavitù e vengono condotti in esilio, lungo «i fiumi di Babilonia» (Sal 137,1). Per opera dei profeti, animati dallo Spirito di Dio, la sventura diventa purificazione. La religione dei vinti non scompare, come di solito accade; matura al contrario come un monoteismo più consapevole e con più elevate esigenze etiche. La speranza nel futuro non solo non si spegne, ma diventa attesa di un intervento definitivo di Dio, capace di produrre un rinnovamento totale. Perduta l’indipendenza politica, si accentua la consapevolezza di essere soprattutto una comunità religiosa. Con il ritorno dall’esilio, all’epoca dell’impero persiano, il popolo di Dio ritrova in Gerusalemme il proprio centro religioso, ma non la capitale di un regno, prospero e duraturo. Si sviluppa, invece, il fenomeno della “diaspora”, la dispersione di comunità israelite in mezzo alle nazioni pagane. Intanto Dio continua ad educare il suo popolo con l’insegnamento dei saggi; lo prepara ad accogliere il Messia; mantiene desta la speranza.
[51]  Il lungo cammino di Israele è una vera storia umana, con persone e 2-40.pngistituzioni, vicende private e pubbliche, episodi di bontà e di iniquità, di grandezza e di miseria. È anche una storia sorprendente per più aspetti: il monoteismo appassionato ed eticamente esigente, la personalità originale dei profeti, l’attesa del Messia salvatore. Caratteristica, soprattutto, è la consapevolezza di essere il popolo dell’alleanza: nella sua vicenda secolare, Israele sa di aver fatto l’esperienza della fedeltà di Dio, malgrado la propria infedeltà
nota
Cf. Os 2,4-25.
.
Una aspirazione diffusa
[112]  Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell’aria, come fa intuire l’evangelista Luca con sobrie annotazioni: «il popolo era in attesa» (Lc 3,15); «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Tale aspettativa era maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall’esodo.
La regalità di Dio nell’Antico Testamento
[113]  Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall’Egitto il popolo ebraico
nota
Cf. Es 15,18.
; gli fece dono della sua alleanza e della sua legge; gli procurò il possesso di una terra fertile, dove scorreva latte e miele. Il suo disegno era quello di costituire una comunità, governata dalla sua legge e depositaria delle sue promesse, dove fosse riconosciuta la sua sovranità: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19,4-6).
[114]  Israele vide nell’esodo dall’Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: «Il Signore regna!» (Sal 96,10). Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso Gerusalemme l’attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terra
nota
Cf. Is 2,2-5.
.
Arrivò invece un’altra sciagura nazionale, l’esilio a Babilonia, amaro frutto di una serie interminabile di ribellioni contro Dio e di ingiustizie contro il prossimo. Nell’ora della desolazione si levò la voce del profeta Ezechiele a confortare e incoraggiare: il Signore manifesterà ancora la santità e la potenza del suo nome; guiderà Israele personalmente e per mezzo di un nuovo David; lo radunerà, lo purificherà, gli darà il suo Spirito, perché possa osservare i comandamenti, lo risusciterà a nuova vita. Mentre l’esilio si protraeva, un altro grande profeta, che noi oggi siamo soliti chiamare il “secondo Isaia”, portò finalmente una buona notizia, un vangelo: Dio interverrà presto, come ai giorni dell’esodo, per liberare e risanare il suo popolo; si metterà alla sua testa come un re e lo ricondurrà attraverso il deserto fino a Gerusalemme.
Ci fu il ritorno; ma il successo fu mediocre e provvisorio. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace; «Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome» (Zc 14,9); farà brillare la sua luce in Gerusalemme davanti a tutti i popoli; stabilirà il suo regno per sempre, affidandolo a un personaggio misterioso, «simile ad un figlio di uomo», e «al popolo dei santi dell’Altissimo» (Dn 7,1327).
L’ambiente contemporaneo
[115]  I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore 3-69.png l’appassionata invocazione: «Sii presto re sopra di noi»
nota
Preghiera delle diciotto benedizioni, 11.
. Tutti i gruppi e i movimenti religiosi del tempo, eccettuati forse i sadducei, si aspettavano a breve scadenza qualcosa di grande da parte di Dio a vantaggio di Israele. Ognuno poi si raffigurava a modo suo quello che Dio avrebbe fatto: i farisei e gli esseni pensavano a un trionfo della legge mosaica e si preparavano con l’osservanza scrupolosa e l’ascesi personale; gli zeloti e gran parte della gente comune miravano a una restaurazione politica contro il dominio di Roma; i circoli apocalittici erano protesi verso un rivolgimento di dimensioni cosmiche con cieli nuovi e terra nuova.
Il ministero di Giovanni Battista
[116]  Tra le tante voci si distingueva, per il tono austero e minaccioso, quella di Giovanni Battista. Proclamava come imminente l’intervento decisivo di Dio nella storia di Israele; intimava di prepararsi ad accoglierlo con una pronta e seria conversione: «La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,9). Quelli che si recavano da lui e si riconoscevano peccatori, li battezzava nel fiume Giordano. A tutti dava la testimonianza di una vita ascetica, di digiuno e di preghiera, insieme con i suoi discepoli.
CCC, 523
La posizione di Gesù
[117]  Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno.
Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l’esodo dall’Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali
nota
Cf. Mt 6,33.
.
Tempo di Avvento
[118] È sempre attuale, anche per noi oggi, la necessità di prepararsi ad accogliere il Regno, educando desideri e domande. Ogni anno, in particolare, la liturgia dell’Avvento ripropone l’attesa dell’Antico Testamento, culminante in Giovanni Battista, e ci offre la grazia che dispone all’incontro con Dio.
CCC, 524
[154] Il regno di Dio è il regno della libertà o della legge? Gesù abolisce o irrigidisce le prescrizioni dell’Antico Testamento? In che senso perfeziona la Legge e la porta a compimento? Sono domande importanti per capire Gesù e la sua opera.
Israele
[433]  Dio ha voluto avere un popolo santo in mezzo ai popoli della terra
nota
Cf. Dt 7,6.
. Ha scelto Israele, perché fosse sua proprietà e seguisse una particolare forma di vita, confidando solo nel Signore per avere la salvezza. L’Antico Testamento mostra però quanto ricorrente sia per lui la tentazione di costruirsi da solo il proprio destino e di inseguire miraggi mondani. Come ogni altro popolo, Israele ricerca una terra, un re, una dinastia, un esercito, una capitale, un tempio, una cultura. Ripetutamente deve sperimentare la precarietà di queste mete umane. Dio lo porta a camminare faticosamente in avanti, verso una terra che è sempre più in là. Abramo viene chiamato a lasciare la casa di suo padre e parte «senza sapere dove andava» (Eb 11,8). I suoi discendenti diventano in Egitto un popolo numeroso, ma finiscono schiavi
nota
Cf. Es 1,714.
. Liberati, entrano in possesso della terra promessa, hanno una legge, un re e un tempio; ma la prosperità li trascina all’infedeltà e alla sventura. Tornati dall’esilio, ricostruiscono il tempio e la vita nazionale, ma cadono sotto l’oppressione dei re ellenisti e degli imperatori romani
nota
Cf. Dn 3,26-45.
. Al tempo delle origini cristiane, molti alimentano ancora propositi di riscossa nazionale. Ma i “poveri di JHWH”, una minoranza, si aprono a un’attesa più pura e spirituale, che si trova in sintonia con l’esperienza di Gesù e dei suoi discepoli.
[435]  Sebbene nuova sia l’alleanza, di cui Cristo è mediatore
nota
Cf. Eb 9,15.
, l’idea di un “nuovo” popolo di Dio non ha alcun rilievo negli scritti del Nuovo Testamento. Non c’è la sostituzione di Israele, ma il suo perfezionamento: Dio non ricomincia daccapo, va avanti.
Israele è “la radice santa”, dalla quale si sviluppa il cristianesimo; è “l’olivo buono”, sul quale vengono innestati i pagani, perché portino frutto
nota
Cf. Rm 11,1624.
. Gesù rimane il Messia di Israele
nota
Cf. At 3,20.
. La prima comunità, composta di giudeo-cristiani, rappresenta “il resto” di Israele
nota
Cf. Rm 11,5.
. Nel libro dell’Apocalisse, la continuità viene messa in evidenza mediante la figura della donna, che indica il popolo eletto prima e dopo la venuta del Messia
nota
Cf. Ap 12,1-17.
, e mediante l’immagine della città santa, aperta ad accogliere i pagani che vengono in pellegrinaggio.
Se già nell’antica alleanza Israele ha ricevuto il nome di assemblea di Dio, a maggior ragione merita questo nome il definitivo popolo di Dio. “Chiesa” significa precisamente “assemblea”: assemblea radunata dal Padre intorno a Cristo con il dono dello Spirito, Chiesa «di Dio in Gesù Cristo» (1Ts 2,14).
La Chiesa è dunque la forma definitiva del popolo di Dio nella storia, capace di attirare tutte le genti. «La legge e la parola sono usciti da Gerusalemme... e noi ci siamo rifugiati presso il Dio di Israele. Sebbene fossimo esperti nella guerra, nell’assassinio, in ogni specie di mali, abbiamo trasformato le spade in aratri, le lance in falci; e ora costruiamo il timor di Dio, la giustizia, la solidarietà, la fede e la speranza»
nota
San Giustino, Dialogo con Trifone, 18, 2-3.
.
Quanti con il battesimo vengono inseriti in Cristo, formano il popolo dei “santi”, «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1Pt 2,9).
Una lunga separazione
[439]  Secondo gli Atti degli apostoli, Gesù risorto, attraverso i suoi discepoli, fa un ultimo tentativo di radunare intorno a sé l’intero Israele, per attirare poi anche i pagani.11-220.pngAlla gente di Gerusalemme, sbalordita per la guarigione dello storpio, Pietro dice: «Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l’ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità» (At 3,26).
Il tentativo all’inizio sembra riuscire con la crescita prodigiosa della comunità cristiana di Gerusalemme. Ma il successo non dura a lungo. Si diffonde un clima di ostilità. Le conversioni degli ebrei diminuiscono; si moltiplicano invece quelle dei pagani. Ad Antiòchia di Pisidia, Paolo e Barnaba così si rivolgono ai propri connazionali: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani» (At 13,46).
[440]  Davanti alla predicazione di Gesù e degli apostoli, Israele si divide: quelli che credono, entrano nella nuova alleanza e costituiscono il nucleo iniziale della Chiesa; gli altri formano l’«Israele secondo la carne» (1Cor 10,18). Progressivamente la frattura si allarga. Dapprima i seguaci di Gesù, chiamati «nazorei» (At 24,5), vengono considerati una nuova setta dentro il giudaismo. Poi appaiono all’opinione pubblica come una setta mista di ebrei e greci, e ad Antiòchia, per la prima volta, sono chiamati «cristiani» (At 11,26). Ben presto, già al tempo di Nerone, vengono senz’altro identificati come una nuova religione, diversa dall’ebraismo e presa subito di mira con una sanguinosa persecuzione. Verso la fine del I secolo e l’inizio del II si accentua nei loro confronti l’aggressività degli ambienti giudaici, con accuse presso le autorità romane e violenze
nota
Cf. San Giustino, Prima apologia, 31, 5; 36, 3.
.
D’altra parte nei secoli successivi, soprattutto durante il medioevo, si sviluppa nel mondo cristiano una mentalità ostile agli ebrei, considerati ingiustamente deicidi e maledetti da Dio, disprezzati e temuti per la loro diversità sociale, fatti oggetto di molti pregiudizi. Infine, alimentato da apporti culturali estranei al cristianesimo, spunta il moderno antisemitismo razzista.
[441]  Il concilio Vaticano II ha riprovato severamente pregiudizi, ingiustizie e violenze del passato, cercando di avviare un nuovo rapporto tra cristiani ed ebrei: «Questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura... La Chiesa, che condanna tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei e spinta non da motivi politici ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
.
Tutti i peccatori, di tutti i tempi e di tutti i popoli, sono causa della morte di Gesù. La responsabilità storica della sua morte coinvolge solo una parte delle autorità ebraiche e degli abitanti di Gerusalemme di quel tempo; soprattutto vi hanno un ruolo decisivo anche le autorità romane. Immotivata è l’accusa di deicidio, proprio perché la condanna di Gesù partiva dal mancato riconoscimento della sua divinità.
Nessun testo della Scrittura giustifica poi l’affermazione che Dio abbia maledetto il popolo ebraico; al contrario, i doni e l’elezione di Israele sono irrevocabili: «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio» (Rm 11,2).
La Chiesa condanna tutte le forme di persecuzione degli ebrei nella storia, fino allo sterminio programmato di cui sono stati vittime nel XX secolo. Il rifiuto di ogni discriminazione e il riconoscimento delle responsabilità, anche dei cristiani, sono il presupposto per impedire il diffondersi dell’antisemitismo e per aprirsi ad una reciproca comprensione.
CCC, 595-598
Parentela spirituale
[442]  La necessità di un dialogo, amichevole e costruttivo, trova 11-222.pngfondamento non solo nel rispetto dovuto a ogni persona umana, ma anche nel particolare legame che unisce le due religioni, legame di vera parentela spirituale. Il cristianesimo ha le sue radici nell’ebraismo: la fede cristiana ha ereditato l’Antico Testamento e continua a nutrirsi di esso; il Figlio di Dio si è fatto uomo ebreo, ha predicato agli ebrei e rimane per sempre ebreo; la prima Chiesa è nata ebrea e ha trasmesso alle generazioni successive numerosi elementi liturgici, istituzionali e spirituali di origine ebraica. Giustamente Giovanni Paolo II ha chiamato gli ebrei nostri «fratelli maggiori»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso alla comunità ebraica nella sinagoga di Roma, 13 marzo 1986.
.
[443]  Gli ebrei in gran parte non hanno accettato il vangelo; ma il ruolo di Israele permane nella storia della salvezza. Secondo l’immagine usata da Paolo, sono rami tagliati dall’olivo; ma rimangono della sua stessa natura, partecipano ancora della sua santità
nota
Cf. Rm 11,1624.
: «Sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,28-29).
L’antica alleanza «non è mai stata revocata»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica a Magonza, 17 novembre 1980.
, ma perfezionata dalla nuova. Gli ebrei, intimamente solidali con la comunità cristiana, rimangono popolo di Dio. Congiunti pertanto al mistero della Chiesa, che ha la pienezza dei mezzi di salvezza, cooperano anch’essi all’edificazione del regno di Dio; svolgono «un servizio all’umanità intera»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica dell’Alsazia a Strasburgo, 9 ottobre 1988.
. Non si può parlare di due vie parallele di salvezza, ma neppure di sostituzione di una con l’altra.
Segno della fedeltà di Dio
[444]  Gli ebrei rimangono depositari e testimoni delle promesse di Dio
nota
Cf. Rm 9,4.
. La loro mancata adesione a Cristo è un monito anche per i cristiani a mantenersi umili, a non presumere troppo di se stessi. Destinati ad essere reintegrati in Cristo e ad essere salvati dopo che «saranno entrate tutte le genti» (Rm 11,25), costituiscono un segno permanente della fedeltà di Dio, segno ancor più persuasivo se si tiene conto delle gravi minacce portate in ogni tempo alla loro stessa esistenza.
CCC, 674
[445] C’è chi nelle persecuzioni subite dagli ebrei vuole vedere un castigo divino e una conseguenza dell’infedeltà all’alleanza. Una tale interpretazione potrebbe valere per la storia di ogni popolo. Non va dimenticato piuttosto che più volte gli ebrei vengono perseguitati per la loro fedeltà religiosa alla Legge e danno prova di coraggio fino al martirio. Bisogna piuttosto vedere in questa storia di sofferenza il segno della precarietà umana, che trova sostegno presso Dio. Già in epoca biblica questo piccolo popolo rischia ripetutamente di essere distrutto dai potenti vicini e ripetutamente, contro ogni ragionevole previsione, riesce a salvarsi: così con gli egiziani, con i filistei, con gli assiri, con i babilonesi, con Antioco Epìfane. Le aggressioni proseguono nei secoli della nostra èra. Non è possibile dimenticare le ribellioni duramente represse dai romani, i sanguinosi tumulti popolari antigiudaici nel medioevo, la cacciata dalla Spagna nel secolo XV, l’insurrezione cosacca nel secolo XVII, infine lo sterminio nazista di milioni di ebrei. Una tragica catena di violenze, una tradizione di martirio. È davvero sorprendente che sopravviva e conservi la propria identità una minoranza, privata della sua terra, dispersa in mezzo a molte nazioni, emarginata e perseguitata. La Bibbia, per quanto riguarda le crisi più antiche, attribuisce esplicitamente l’imprevedibile salvezza alla fedeltà di Dio: è da pensare la stessa cosa per quelle successive. Con la sua storia di passione, il popolo eletto partecipa al mistero del Cristo redentore e incarna emblematicamente la figura profetica del Servo che espia i peccati del mondo.
Dialogo fraterno
[446] Il dialogo tra cristiani ed ebrei deve mirare innanzitutto a una migliore conoscenza reciproca, premessa indispensabile per la fiducia e la collaborazione. Noi cristiani dobbiamo considerare non solo l’antico Israele, ma anche gli sviluppi dell’ebraismo post-biblico: il giudaismo rabbinico e la sua feconda tradizione etica e giuridica; la Qabbalah, mistica dell’unità, in cui confluiscono speculazione cosmologica, allegoria biblica e attesa messianica; il chassidismo, religiosità semplice, intensa e gioiosa; infine le correnti moderne, come l’ebraismo ortodosso e quello riformato.
[447]  La diversità va presa sul serio e rispettata. Ma ci dobbiamo anche rendere conto che il comune patrimonio spirituale è grande: un solo Dio, creatore, signore della storia, trascendente e presente; bontà del mondo creato, sviluppo proteso a un compimento ultimo, risurrezione dei morti e vita eterna; tradizione orale accanto alla Scrittura
nota
Cf. Dt 17,8-13.
, istituzioni ecclesiali derivate dalla sinagoga; etica dell’amore verso Dio e il prossimo, senso della famiglia, della giustizia e della solidarietà; liturgia come memoriale, lettura dell’Antico Testamento e preghiera dei Salmi, feste ebraiche come la Pasqua e la Pentecoste attualizzate con nuovo significato, elementi rituali di derivazione ebraica come il battesimo, la preghiera eucaristica di benedizione, la stessa struttura complessiva della Messa. Conoscere la religione ebraica giova a conoscere meglio anche la religione cristiana. Alla reciproca conoscenza è dedicata ogni anno la giornata per il dialogo ebraico-cristiano del 17 gennaio.
[448] Motivo fondamentale di divisione rimane la diversa posizione riguardo al Messia. Per noi cristiani egli è già venuto in Gesù di N‡zaret; per gli ebrei non si è ancora manifestato. Tuttavia, gli uni e gli altri attendiamo una sua venuta futura al termine della storia. L’interpretazione cristiana dell’economia salvifica distingue la promessa, il compimento parziale e il compimento ultimo: sul primo e sul terzo di questi momenti è possibile trovare convergenze tra cristiani ed ebrei. Ampia soprattutto può essere la collaborazione nella prassi, per la promozione della giustizia e della pace. Per gli uni e per gli altri, pur con diversa consapevolezza, si tratta in definitiva di preparare l’umanità ad accogliere il Messia e il regno di Dio.
[449] I cristiani sono legati agli ebrei da una speciale parentela spirituale: hanno in comune con loro un patrimonio religioso da mettere a frutto nel dialogo e nella collaborazione.
L’antica alleanza
[805] Chiamati a prendere parte alla vita di Dio, dobbiamo renderci consapevoli di che cosa comporti propriamente questa partecipazione.
Nelle diverse religioni il rapporto con Dio a volte assume la forma 21-403.pngdella distanza e della quasi estraneità; altre volte la forma della identificazione e dell’assorbimento totale. Nella Bibbia è inteso come alleanza e comunione, cioè come unità nell’alterità.
La forma arcaica da cui si parte è quella di un patto di vassallaggio. Con questa figura, presa dall’esperienza sociale e giuridica, si vuole indicare una speciale reciproca appartenenza tra Dio e Israele. Dio fa dono di una sua particolare presenza e promette benedizione, prosperità, pace: «Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,12). Israele da parte sua si obbliga a rispondere con la fede e il culto esclusivo, con l’obbedienza alla legge: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (Es 19,8). Il patto, stabilito mediante Mosè, viene rinnovato nei momenti cruciali con Giosuè, David, Giosìa, Esdra e Neemìa.
CCC, 62-64CCC 2060