CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
A
Abbà, Aborto, Abramo, Adorazione, Adulterio, Aldilà, Alleanza, Ambiente, Amore, Anàmnesi, Angeli, Angoscia, Anima, Anno liturgico, Annuncio, Antico Testamento, Anziani, Apostolato, Apostoli, Apparizioni, Armi, Arte, Ascensione, Ascesi, Assemblea, Associazioni ecclesiali, Assoluzione, Ateismo, Attrizione, Autoerotismo, Autorità, Avvento, Azione Cattolica,
B
C
Canone biblico, Carattere sacramentale, Carisma, Carità, Castità, Catechesi, Catechismo, Catecumenato, Cattolico, Celibato, Cena, Chiesa, Cibo, Civiltà cristiana, Collegialità episcopale, Collettivismo, Comandamenti, Comunicazione, Comunione, Comunità, Concilio, Concupiscenza, Confermazione, Confessione, Conoscenza di Dio, Consacrazione, Consigli evangelici, Contraccezione, Contrizione, Conversione, Coppia, Corpo, Coscienza, Creazione, Credo, Cresima, Criminalità, Cristo, Critica, Croce, Culto, Cultura, Cuore,
Canone biblico
Carattere sacramentale
Carisma
Carità
Castità
Catechesi
Catechismo
Catecumenato
Cattolico
Celibato
Cena
Chiesa
Carattere sacramentale
Carisma
Carità
Castità
Catechesi
Catechismo
Catecumenato
Cattolico
Celibato
Cena
Chiesa
Cibo
Civiltà cristiana
Collegialità episcopale
Collettivismo
Comandamenti
Comunicazione
Comunione
Comunità
Concilio
Concupiscenza
Confermazione
Confessione
Civiltà cristiana
Collegialità episcopale
Collettivismo
Comandamenti
Comunicazione
Comunione
Comunità
Concilio
Concupiscenza
Confermazione
Confessione
Conoscenza di Dio
Consacrazione
Consigli evangelici
Contraccezione
Contrizione
Conversione
Coppia
Corpo
Coscienza
Creazione
Credo
Cresima
Consacrazione
Consigli evangelici
Contraccezione
Contrizione
Conversione
Coppia
Corpo
Coscienza
Creazione
Credo
Cresima
D
E
F
G
I
Idolatria, Illuminismo, Imitazione, Immagini sacre, Immortalità, Impegno, Impresa, Impurità, Incarnazione, Incesto, Indissolubilità, Individuo, Induismo, Indulgenze, Infallibilità, Inferi, Infermi, Inferno, Iniziazione cristiana, Inquinamento ambientale, Intenzione fondamentale, Intercessione, Interpretazione, Invocazione, Islam, Ispirazione, Israele, Istituti secolari,
L
M
Maestro, Magistero, Malattia, Male, Marana tha, Maria, Martirio, Masturbazione, Materia, Materialismo, Matrimonio, Mediazione, Meditazione, Memoriale, Mente, Meriti, Messa, Messia, Ministeri, Ministro, Miracoli, Misericordia, Missione, Mistero, Mistica, Monachesimo, Mondo, Monoteismo, Morale, Morte, Movimenti,
N
O
P
Pace, Padre, Paolo, Papa, Parabole, Paradiso, Parola, Parrocchia, Parusia, Pasqua, Passione, Pastori, Pazienza, Peccato, Pelagianesimo, Pena, Penitenza, Pentecoste, Perdono, Persecuzione, Persona, Piacere, Pietro, Pluralismo, Poligamia, Politeismo, Politica, Popolo, Possessione, Povertà, Predestinazione, Predicazione, Preghiera, Presbitero, Presenza, Primato, Processo, Procreazione responsabile, Profeta, Progresso, Proprietà, Prostituzione, Provvidenza, Prudenza, Pudore, Purgatorio, Purificazione, Puro,
Pazienza
Peccato
Pelagianesimo
Pena
Penitenza
Pentecoste
Perdono
Persecuzione
Persona
Piacere
Pietro
Pluralismo
Peccato
Pelagianesimo
Pena
Penitenza
Pentecoste
Perdono
Persecuzione
Persona
Piacere
Pietro
Pluralismo
Poligamia
Politeismo
Politica
Popolo
Possessione
Povertà
Predestinazione
Predicazione
Preghiera
Presbitero
Presenza
Primato
Politeismo
Politica
Popolo
Possessione
Povertà
Predestinazione
Predicazione
Preghiera
Presbitero
Presenza
Primato
Processo
Procreazione responsabile
Profeta
Progresso
Proprietà
Prostituzione
Provvidenza
Prudenza
Pudore
Purgatorio
Purificazione
Puro
Procreazione responsabile
Profeta
Progresso
Proprietà
Prostituzione
Provvidenza
Prudenza
Pudore
Purgatorio
Purificazione
Puro
R
S
Sacerdozio, Sacramentali, Sacramenti, Sacrificio, Salario, Salmi, Salute, Salvezza, Santi, Santità, Sapienza, Satana, Scienza, Scrittura Sacra, Scuola, Segno, Sentimenti, Servizio, Sessualità, Signore, Simbolo, Sindacato, Società, Soddisfazione, Sofferenza, Solidarietà, Sopravvivenza, Speranza, Spirito Santo, Spiritualità, Sport, Sposi, Stati di vita, Stato, Storia, Successione apostolica, Suffragi, Suicidio, Superstizione,
T
V
Z
Catechismo degli Adulti
Gesù Cristo
101-408
, 102-175
, 105-139
, 108-110
, 122
, 132
, 137-138
, 140-175
, 165-171
, 168
, 176-282
, 178-206
, 179-180
, 181-183
, 189-195
, 196-199
, 200-206
, 207-259
, 207-211
, 213-217
, 218-220
, 221-224
, 225-227
, 228-232
, 233-240
, 241-243
, 244-252
, 260-282
, 261-263
, 264-268
, 272
, 272-274
, 279-282
, 283-408
, 284-314
, 285-288
, 289-292
, 293-296
, 297-300
, 301-305
, 306-314
, 316-323
, 352-357
, 363
, 406-408
, 409
, 421-428
, 518
, 546
, 610-614
, 634
, 643
, 644
, 671
, 688-691
, 735
, 742-745
, 771-784
, 816-820
, 948
, 848
, 865
, 968
, 1175-1176
, 1228
, 865
, 1233-1235
, 74-75
, 76-77
, 78-79
, 80-84
[101] Gesù di Nàzaret, con il suo messaggio e con la sua azione, con il dono di sé fino alla croce e con la sua risurrezione, rivela che Dio è amore e sta attuando nella storia un meraviglioso disegno di salvezza. | |
[102] Gesù di Nàzaret passa attraverso i villaggi e le città della Galilea, della Samarìa e della Giudea per circa tre anni, come un maestro itinerante, accompagnato da un gruppo di discepoli. Insegna negli ambienti e nelle situazioni più diverse, con immediatezza e autorità, ricorrendo a sentenze e parabole, esortazioni e minacce, colloqui e polemiche.
Appare però assai diverso dagli altri maestri del suo tempo e di sempre. Le grandi personalità religiose sono testimoni e guide dell’umanità nella faticosa ricerca dell’Infinito; gli scienziati, gli artisti, i filosofi, i politici parlano il linguaggio dello sforzo umano per edificare un mondo più giusto e più libero; Gesù, invece, annuncia un’iniziativa gratuita, che viene dall’alto e che gli uomini devono accogliere con gioia: il regno di Dio.
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[103]
«Profeta potente in opere e in parole» (Lc 24,19), messaggero e protagonista nello stesso tempo, non solo proclama il Regno, ma comincia ad attuarlo. La sua parola è strettamente legata alla sua azione. La prende veramente sul serio solo chi la mette in pratica. Soltanto così si costruisce qualcosa di solido: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma la casa non crolla, perché è «fondata sopra la roccia» (Mt 7,25).
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[104] La buona notizia, proclamata da Gesù, incontra difficoltà, perché sconvolge il comune modo di pensare e di agire; nello stesso tempo riempie di gioia, perché risponde all’attesa fondamentale di essere amati e di amare. L’avvenimento al quale si riferisce, il regno di Dio, non ha un carattere spettacolare, comincia a realizzarsi nella semplicità della vita quotidiana: solo gli umili sono capaci di riconoscerlo e accoglierlo (capitolo 3). A quanti però vi aderiscono con una decisione ferma e generosa viene concesso il dono dell’autentica libertà nella comunione, un rapporto nuovo con le cose, con gli altri e soprattutto con Dio, sperimentato come Padre (capitolo 4). | |
[105] Gesù di Nàzaret annuncia l’intervento definitivo di Dio nella storia, come re e salvatore. La regalità divina si afferma senza clamore nel tessuto della vita ordinaria; si rivela come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, specialmente agli oppressi e ai peccatori. Chi l’accoglie con umiltà e fede, fa esperienza della beatitudine già tra le angustie della vita presente; cammina con coraggio verso un futuro pieno di speranza.
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Viene il regno di Dio
[106] Capita spesso di leggere o ascoltare una pagina dei Vangeli. Forse ricordiamo qualche parabola e qualche detto, che ci hanno profondamente colpito. Rischiamo però di non coglierne esattamente il significato e la portata, se non li collochiamo nella prospettiva originaria. È importante, allora, scoprire qual era l’obiettivo fondamentale di Gesù, qual era il tema centrale della sua predicazione.
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[107] Gesù di Nàzaret non insegna una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana, un insieme di verità religiose e morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Si presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e in pieno svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: viene il regno di Dio!
Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutta la sua predicazione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Questa è la buona notizia che Gesù ha da comunicare. Questa è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene.
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Messaggero e protagonista
[108]
I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di Dio a favore di Israele, un nuovo esodo. Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo, come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme. Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, «messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7); messaggero «mandato a portare il lieto annunzio ai miseri... per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere» (Is 61,13).
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[109]
Sullo sfondo di queste profezie, Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia
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[110]
Gesù identifica se stesso con la figura del messaggero che annuncia l’inaugurazione del regno di Dio: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ma, oltre che messaggero, si considera anche protagonista del Regno: l’intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli è venuto a radunare le «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24), in modo da attirare anche le nazioni «dall’oriente e dall’occidente» (Mt 8,11). È venuto per dare inizio alla liberazione integrale dell’umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).
Incontrare il Maestro e vivere in comunione con lui significa fare un’esperienza privilegiata, superiore a quella di Giovanni Battista
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[111] Gesù è il messaggero e il protagonista del regno di Dio che viene nella storia. La sua predicazione si può riassumere in questo annuncio e appello: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). | |
Una aspirazione diffusa
[112]
Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell’aria, come fa intuire l’evangelista Luca con sobrie annotazioni: «il popolo era in attesa» (Lc 3,15); «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Tale aspettativa era maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall’esodo.
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La regalità di Dio nell’Antico Testamento
[113]
Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall’Egitto il popolo ebraico
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[114]
Israele vide nell’esodo dall’Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: «Il Signore regna!» (Sal 96,10). Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso Gerusalemme l’attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terra
Arrivò invece un’altra sciagura nazionale, l’esilio a Babilonia, amaro frutto di una serie interminabile di ribellioni contro Dio e di ingiustizie contro il prossimo. Nell’ora della desolazione si levò la voce del profeta Ezechiele a confortare e incoraggiare: il Signore manifesterà ancora la santità e la potenza del suo nome; guiderà Israele personalmente e per mezzo di un nuovo David; lo radunerà, lo purificherà, gli darà il suo Spirito, perché possa osservare i comandamenti, lo risusciterà a nuova vita. Mentre l’esilio si protraeva, un altro grande profeta, che noi oggi siamo soliti chiamare il “secondo Isaia”, portò finalmente una buona notizia, un vangelo: Dio interverrà presto, come ai giorni dell’esodo, per liberare e risanare il suo popolo; si metterà alla sua testa come un re e lo ricondurrà attraverso il deserto fino a Gerusalemme.
Ci fu il ritorno; ma il successo fu mediocre e provvisorio. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace; «Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome» (Zc 14,9); farà brillare la sua luce in Gerusalemme davanti a tutti i popoli
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L’ambiente contemporaneo
[115]
I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore l’appassionata invocazione: «Sii presto re sopra di noi»
Preghiera delle diciotto benedizioni, 11. | |
Il ministero di Giovanni Battista
[116]
Tra le tante voci si distingueva, per il tono austero e minaccioso, quella di Giovanni Battista. Proclamava come imminente l’intervento decisivo di Dio nella storia di Israele; intimava di prepararsi ad accoglierlo con una pronta e seria conversione: «La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,9). Quelli che si recavano da lui e si riconoscevano peccatori, li battezzava nel fiume Giordano. A tutti dava la testimonianza di una vita ascetica, di digiuno e di preghiera, insieme con i suoi discepoli.
| CCC, 523 |
La posizione di Gesù
[117]
Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno.
Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l’esodo dall’Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali
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Tempo di Avvento
[118] È sempre attuale, anche per noi oggi, la necessità di prepararsi ad accogliere il Regno, educando desideri e domande. Ogni anno, in particolare, la liturgia dell’Avvento ripropone l’attesa dell’Antico Testamento, culminante in Giovanni Battista, e ci offre la grazia che dispone all’incontro con Dio.
| CCC, 524 |
Difficoltà a credere
[120]
Il regno di Dio, che Gesù annuncia e inaugura, desta interesse; ma rischia anche di lasciare sconcertati e delusi. Il Maestro se ne rende conto e afferma: «Beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,6).
Perché questa difficoltà a credere, nonostante la lunga preparazione e la viva attesa? Deriva dalla mentalità dell’ambiente o dalla natura stessa del Regno? Riguarda anche noi? Sono domande da considerare con attenzione.
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Il futuro
[121]
Secondo Gesù, il Regno si affermerà pienamente solo nel futuro: adesso comincia appena a realizzarsi. Bisogna ancora pregare con insistenza e invocare: «Venga il tuo regno» (Mt 6,10). Presto, entro la durata di una generazione, accadrà qualcosa di nuovo: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Finalmente, al termine della storia, la gloria del Regno riempirà il mondo intero.
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Il presente
[122]
D’altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28).
Il presente, umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare tutta la pasta.
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[123] Il regno di Dio non si impone in modo clamoroso e spettacolare, come la gente immagina che debba succedere. Non viene in un istante. Non risolve magicamente tutti i problemi. Si propone piuttosto alla nostra cooperazione. Per sperimentarlo, bisogna accoglierlo attivamente, bisogna convertirsi. E, comunque, si tratta sempre di una esperienza germinale, destinata a compiersi perfettamente solo nell’eternità.
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Il vissuto quotidiano
[124] Il Regno è più semplice e umano di quanto gli uomini stessi si aspettino. Si nasconde nella normalità della vita quotidiana e addirittura nella debolezza, nell’apparente fallimento. Non a caso Gesù, per le sue parabole, prende lo spunto dall’esperienza comune di tutti i giorni: il seminatore che esce a seminare, gli operai che lavorano nella vigna, il lievito che la donna mette nella pasta, il figlio che scappa di casa, il pastore che smarrisce una pecora.
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Le parabole
[125]
Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David
Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.
| CCC, 546 |
Una proclamazione di felicità
[127] Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto. Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali condizioni se ne possa fare l’esperienza.
Senz’altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e un’offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca
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Dio difensore degli oppressi
[128]
Nella Bibbia troviamo delineata con tratti impressionanti la condizione dei poveri: duramente sfruttati nei lavori occasionali; derubati del bue, dell’asino e delle pecore; curvati dalle fatiche e dalle umiliazioni; si nutrono di erbe trovate nei campi e di qualche grappolo rimasto nelle vigne dopo la vendemmia; passano la notte nudi e indifesi dal freddo, bagnati di pioggia, quando non trovano neppure una grotta dove rifugiarsi
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[129]
Secondo la Bibbia, un re è giusto quando si fa difensore dei poveri, degli orfani e delle vedove, di quanti non sono in grado di farsi rispettare. A maggior ragione, la giustizia regale di Dio si manifesta a favore degli oppressi: «Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio, creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi. Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione» (Sal 146,5-10).
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Liberazione dalla sofferenza
[130]
Dando compimento all’attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova e definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli.
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale
| CdA, 712 CONFRONTAVAI CdA 854-856 CONFRONTAVAI |
Beati gli ultimi
[131]
Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i primi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né l’indigenza, né l’emarginazione, né la malattia, né l’insuccesso, né l’umiliazione, né la persecuzione, né alcun’altra avversità.
Anzi, una situazione fallimentare può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti e i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Sono disposti a lasciarsi salvare da Dio. Sono portati a misurare il valore della propria persona non dai beni esteriori, ma dall’amore che il Padre ha per loro. Così «passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). Per farne però l’esperienza gioiosa, devono abbandonarsi al suo amore, con umiltà e fiducia, e quindi convertirsi. In tal caso possono essere beati perfino in mezzo alle tribolazioni
| |
La gioia di Gesù
[132]
Gesù stesso è povero e perseguitato, ma pieno di gioia; esulta nello Spirito Santo e loda il Padre
Egli vuole comunicare la sua gioia: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28); «La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11); «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Gesù dona una felicità, che può coesistere anche con la sofferenza, qualora non sia possibile eliminarla; anzi rende piena di significato la stessa sofferenza.
È necessario però condividere la sua comunione con il Padre, essere umili come lui, «poveri in spirito» (Mt 5,3), come egli si esprime. Il Regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni, attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto, mite e misericordioso con gli altri.
| |
Le beatitudini
[133]
Gli atteggiamenti per accogliere il Regno sono ben esplicitati nella redazione delle beatitudini fissata dall’evangelista Matteo. Rimandando alla lettura del testo
“Beati gli umili che confidano solo in Dio, perché ad essi è riservato il suo regno.
Beati coloro che si affliggono per il male presente nel mondo e in loro stessi, perché Dio li consolerà.
Beati i miti, coloro che sono accoglienti, cordiali, pazienti e rinunciano a imporsi agli altri con la forza, perché Dio concederà loro di conquistare il mondo.
Beati quelli che desiderano ardentemente la volontà di Dio per sé e per gli altri, perché Dio li sazierà alla sua mensa.
Beati i misericordiosi, che sanno perdonare e compiere opere di carità, perché Dio sarà misericordioso con loro.
Beati i puri di cuore, che hanno una coscienza retta, perché Dio li ammetterà alla sua presenza nella liturgia celeste.
Beati quelli che costruiscono una convivenza pacifica, giusta e fraterna, perché Dio li accoglierà come figli.
Beati i perseguitati a motivo della nuova giustizia evangelica, perché Dio, re giusto, li salverà”.
| CdA, 857-864 CONFRONTAVAI |
Illusoria autosufficienza
[134] L’attenzione preferenziale agli ultimi non significa esclusione degli altri. Gesù frequenta anche i “ricchi” e i “giusti”, coloro che nella società sono in vista per il benessere materiale o per la devota osservanza della Legge. Verso di loro però usa generalmente un linguaggio severo, perché li vede soddisfatti di sé, chiusi verso Dio e senza misericordia per il prossimo.
| CCC, 2544-2547 |
[135] Beati i poveri, perché Dio li ama, si impegna a liberarli dalla sofferenza e fin d’ora conferisce loro la dignità di suoi figli, che nessuna circostanza esteriore può compromettere.
Chi vive consapevolmente la comunione filiale con Dio, fa esperienza di gioia anche in mezzo alle tribolazioni, come Gesù. È necessario però condividere l’atteggiamento del Maestro «mite e umile di cuore» (
Mt 11,29
) e vivere secondo lo spirito delle beatitudini.
Confidare nella ricchezza, gloriarsi della propria giustizia, considerarsi autosufficienti: ecco ciò che impedisce di accogliere il regno di Dio, che è dono gratuito.
| |
Presunzione e pessimismo [136] Nella mentalità del nostro tempo, condizionato dal mito del progresso, è forte la presunzione di costruire da soli il proprio destino. Malgrado numerose esperienze fallimentari, rimangono in auge l’ottimismo etico di matrice illuminista e l’idolatria della scienza, della tecnica, dell’economia e della politica. D’altra parte cresce un certo scetticismo, una diffidenza per le grandi affermazioni, le grandi speranze, i grandi progetti. Ci si rassegna a vivere alla giornata; ci si contenta di risultati frammentari e provvisori. | |
Un cammino di fede [137]
Gesù, con il suo messaggio, scuote sia la presunzione sia il pessimismo; suscita il coraggio audace dell’umiltà. Il suo è un invito a camminare dietro a lui, verso un futuro misterioso, dono gratuito e certo di Dio, non conquista solitaria e problematica dell’uomo. Dio è già all’opera nella storia per preparare un mondo nuovo. Il fascino della buona notizia fa uscire dalle illusorie sicurezze e dalle paure; attrae i nostri passi su una strada difficile e imprevedibile, ma senz’altro carica di promesse, come quella dei primi discepoli.
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Come i primi discepoli [138]
Sulle rive del lago di Tiberìade quattro pescatori, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono intenti al solito lavoro: aggiustano le reti, preparano le barche, sistemano il pesce da vendere. Si avvicina Gesù di Nàzaret, il giovane maestro che da poco ha cominciato a predicare per le strade di Galilea, e li chiama con autorità: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Ed essi lasciano mestiere e famiglia, il loro piccolo mondo; senza indugio vanno con lui, verso un futuro tutto da scoprire, ben lontani dall’immaginare dove andranno ad approdare.
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La nostra cooperazione
[141] In Gesù, Dio Padre inaugura la sua nuova presenza nella storia e offre a noi la possibilità di entrare in un rapporto di comunione con lui. Il suo regno non ha un carattere spettacolare; ama nascondersi nella semplicità delle cose ordinarie. E tuttavia possiamo farne l’esperienza subito, se lo accogliamo liberamente e attivamente.
Per avere un raccolto soddisfacente, non basta che il seminatore getti il seme con abbondanza; occorre che il terreno sia buono. Il Regno è interamente dono, ma ha bisogno della nostra cooperazione: la esige e la provoca nello stesso tempo. Dio non solo rispetta, ma suscita la libertà; non salva l’uomo dall’esterno, come fosse un oggetto, ma lo rigenera interiormente, e poi attraverso di lui rinnova la società e il mondo. La lieta notizia del regno di Dio che viene implica un appello: «Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). La nuova prossimità di Dio mediante Gesù rende possibile una radicale conversione.
| CdA, 813 CONFRONTAVAI |
Un nuovo modo di pensare e di agire
[142]
Convertirsi significa assumere un diverso modo di pensare e di agire, mettendo Dio e la sua volontà al primo posto, pronti all’occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere
La decisione deve essere netta, senza riserve: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te... E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te» (Mt 5,2930). Tuttavia Gesù conosce la fragilità umana e sa essere paziente. Lo rivela narrando di un padrone, il quale aveva nel campo un magnifico albero, che da tre anni però non gli dava frutti; ordinò al contadino di tagliarlo; ma questi gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,8-9).
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Una vita più bella
[143]
Chi si converte, si apre alla comunione: ritrova l’armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose; riscopre un bene originario, che in fondo da sempre attendeva. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse a Gèrico, non aveva fatto altro che accumulare ricchezze, sfruttando la gente e procurandosi esecrazione da parte di tutti. Quando Gesù gli si mostra amico e va a cena da lui, comincia a vedere la vita con occhi nuovi: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Zaccheo deve rinunciare, almeno in parte, alle sue ricchezze; ma non si tratta di una perdita. Solo adesso, per la prima volta, è veramente contento, perché si sente rinascere come figlio di Dio e come fratello tra i fratelli
La bellezza e il fascino del regno di Dio consentono di compiere con gioia le rinunce e le fatiche più ardue. Il bracciante agricolo che è andato a lavorare a giornata e zappando ha scoperto un tesoro, corre a vendere tutti i suoi averi per acquistare il campo e quindi impadronirsi del tesoro; il mercante, che ha trovato una perla di grande valore, vende tutto quello che possiede per poterla comprare
Le rinunce, che Gesù chiede, sono in realtà una liberazione per crescere, per essere di più. Il sacrificio è via alla vera libertà, nella comunione con Dio e con gli altri. Chi riconosce Dio come Padre e fa la sua volontà, sperimenta subito il suo regno e riceve energie per una più alta moralità, per una storia diversa, personale e comunitaria, che ha come meta la vita eterna
| CdA, 948 CONFRONTAVAI |
[144] Il regno di Dio viene come dono, ma chiede la nostra libera cooperazione; la buona notizia diventa per noi realtà vissuta, se accogliamo l’appello di Gesù: «Convertitevi e credete al vangelo» (
Mc 1,15
).
Convertirsi significa assumere un nuovo modo di pensare e di agire; comporta anche rinunce, ma dischiude una vita più vera e più bella, di comunione con Dio e con gli altri.
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Liberi dalla schiavitù della ricchezza
[145] La vicinanza di Dio dà il coraggio delle scelte radicali. Innanzitutto libera dalla bramosia di possedere.
Gesù non è un asceta alla maniera di Giovanni Battista: «mangia e beve» (Mt 11,19), vive in mezzo alla gente, ha simpatia per il mondo. Però vive per il Padre, ancorato al suo amore, disponibile alla sua volontà. Per testimoniare la fiducia assoluta in lui e dedicarsi totalmente al suo regno, assume una vita povera e itinerante: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Vuole che anche i discepoli vadano a portare la lieta notizia alleggeriti da ogni zavorra: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno» (Lc 9,3). Ammonisce la gente a non lasciarsi suggestionare dalla ricchezza: «Nessuno può servire a due padroni...: non potete servire a Dio e al denaro» (Mt 6,24).
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[146]
La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).
Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste
| CdA, 134 CONFRONTAVAI CdA 1121 CONFRONTAVAI |
[147]
La preoccupazione del benessere va ridimensionata. Ci sono valori più importanti e decisivi che non il cibo e il vestito: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,26-33). Occorre certo seminare e mietere, filare e tessere, progettare e lavorare, ma senza ansia per il domani
Il vangelo comanda di distribuire e mettere in circolazione i propri beni: «Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33). Condanna il possesso egoistico, che non tiene conto delle necessità altrui. Non chiede però di vivere nella miseria. Valore assoluto è la fraternità, non la povertà materiale. Lo conferma l’esperienza della prima Chiesa a Gerusalemme, dove i credenti avevano «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), mettevano le loro cose in comune e così «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4,34).
| CdA, 1122 CONFRONTAVAI |
Liberi dalla sete del potere
[148] Oltre che dalla ricchezza, la vicinanza di Dio libera anche dalla tentazione di dominare sugli altri.
Gesù è venuto non per essere servito, ma per servire
L’autorità, nella comunità cristiana, dovrà essere esercitata come un servizio, e non come un dominio oppressivo alla maniera dei re delle nazioni, che sfruttano la gente e si fanno chiamare benefattori
| CCC, 2235-2236 |
[149]
Il regno di Dio non ha niente a che fare con uno stato teocratico: non impone il diritto e la giustizia con la forza; non si difende con le armi; non fa concorrenza ai regni di questo mondo
| CdA, 1103 CONFRONTAVAI |
Liberi negli affetti
[150]
La liberazione dal possesso egoistico e dall’ambizione non è sufficiente. Il regno di Dio trasforma anche gli affetti familiari e li apre a valori più alti ed universali.
Gesù, con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe
| CdA, 1075-1077 CONFRONTAVAI |
Liberi dall’angoscia
[151] Infine, il regno di Dio libera dalla paura di essere messi al bando dalla società e perfino dal timore di perdere la vita.
Gesù, quando sente dire che Erode Antipa vuole ucciderlo, come ha già fatto con Giovanni Battista, non cambia strada: «Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada» (Lc 13,32-33).
I discepoli sono chiamati a dar prova dello stesso coraggio. Non temano di essere anticonformisti e diversi dagli altri, di essere insultati e perseguitati
| CdA, 847-848 CONFRONTAVAI |
[152]
Chi ha Dio come Padre non può sentirsi mai solo: «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri» (Lc 12,6-7). La sofferenza, anche quella umanamente più inquietante e difficile da accettare, acquista un alto valore e una misteriosa fecondità. Gesù lo afferma con due immagini delicate e suggestive: il chicco di grano cade in terra e muore, ma rinasce moltiplicato
Chi aderisce a Cristo con fede viva e salda, non è più ossessionato dall’ansia di trovare sicurezze e piaceri, per sentirsi vivo; è disponibile al servizio degli altri; sperimenta personalmente che il Figlio di Dio è venuto a liberare «quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,15).
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Gesù perfeziona la Legge
[155]
La posizione di Gesù è molto originale e non può essere affatto qualificata come permissivismo; anzi, per certi aspetti, è assai più esigente di qualsiasi altra: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17). Per accogliere il regno di Dio occorre una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei
Ben sei volte nel discorso della montagna ritorna la formula «Ma io vi dico», per radicalizzare le prescrizioni della legge antica d’Israele e rivelare le esigenze di perfezione contenute nella volontà di Dio: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere... Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,2122); «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27); «Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5,31-32); «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare...; ma io vi dico: non giurate affatto... Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,333437); «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,38-39); «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,43-45).
Gesù condanna non solo l’omicidio e l’adulterio, ma anche l’atteggiamento interiore che sta alla loro radice; dichiara che il divorzio è fuori del progetto di Dio e ristabilisce l’indissolubilità del matrimonio; comanda la limpida veracità nel parlare e l’amore attivo verso i nemici, cercando di vincere il male con il bene. Tanto esigente, forte e autorevole è il suo insegnamento, da lasciare la gente sbalordita
| Cda, 897-900 CONFRONTAVAI |
[156]
Del resto, la sua severità non ha niente a che fare con il legalismo. Se è vero che egli non abolisce la legge antica, è anche vero che non si preoccupa di ripeterla con esattezza e chiaramente la modifica in qualche punto
Nelle sei antitesi del discorso della montagna, illustrate con riferimenti concreti alla vita quotidiana, offre alcune indicazioni esemplificative di questo perfezionamento. Il disegno della nuova giustizia, così tratteggiato, ha il volto della carità, che evita il male e fa il bene verso tutti, compresi i nemici. Urgenti per lui sono soltanto le implicazioni necessarie dell’amore; e la Legge va portata a perfezione risalendo al suo significato originario, al principio ispiratore che è l’amore stesso.
Gesù riprende e concentra tutta la Legge nei due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, tra loro intimamente congiunti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40). Le norme particolari sono più o meno importanti secondo che più o meno si avvicinano al cuore della Legge. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23,23-24).
Su alcune cose Gesù è estremamente severo, su altre è sorprendentemente libero, condiscendente. Ma non c’è in lui nessuna incoerenza: la volontà di Dio è il bene vero e concreto, non un sistema intangibile di regole astratte; le norme cessano di avere valore, quando non favoriscono più la crescita autentica dell’uomo. Colui che inasprisce la condanna dell’adulterio è lo stesso che rifiuta la pena di morte, prevista dalla legge, per la donna adultera
| Cda, 878 CONFRONTAVAI |
Critico verso il formalismo religioso
Gesù prova compassione per il dolore e l’umiliazione che pesano sui lebbrosi; non solo li guarisce, ma, passando sopra alla prescrizione che li relega in uno stato di isolamento e di maledizione
Contesta le esteriorità religiose, come le abluzioni prima dei pasti e la distinzione tra cibi puri e impuri
| CdA, 878 CONFRONTAVAI |
[158]
In questa prospettiva Gesù ridimensiona lo stesso culto incentrato sul tempio di Gerusalemme
È facile capire perché a Gerusalemme tra i sacerdoti e i notabili della setta dei sadducei ci si metta in allarme e si cerchi di farlo morire
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[159]
La novità di Gesù è profonda. Lo riconosce lui stesso: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio... Né si mette vino nuovo in otri vecchi... Ma si versa vino nuovo in otri nuovi» (Mt 9,16-17). Tuttavia Gesù si trova in continuità con l’ispirazione fondamentale dei profeti e opera una liberazione che non ha niente a che fare con il permissivismo: egli responsabilizza al massimo nella concretezza e creatività dell’amore, per la totale fedeltà alla volontà di Dio e al bene dell’uomo.
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[160] Gesù non abolisce la Legge, ma la perfeziona, riconducendola alle esigenze della carità, supremo principio ispiratore.
Subordina all’autentico bene dell’uomo le regole della convivenza civile e contesta il formalismo religioso.
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Convivenza fraterna
[161] Se Gesù di Nàzaret dona e nello stesso tempo esige il distacco dalle ricchezze, dall’ambizione, dagli affetti disordinati, dai pregiudizi culturali e religiosi, lo fa in nome di una libertà che si attua nella comunione con i fratelli e con Dio.
Quelli che si convertono al regno di Dio e obbediscono alla sua volontà, costituiscono una famiglia più salda che non la parentela fondata sui legami di sangue
Neppure tra i seguaci di Gesù mancano egoismi e tensioni, ma la legge che regola i rapporti è quella della carità. Chi decide di seguirlo, sa che deve impegnarsi seriamente per una forma di vita, che prevede servizio scambievole, correzione fraterna, perdono, riconciliazione, attenzione ai più deboli.
| CdA, 850 CONFRONTAVAI |
Premura per tutti
[162]
Questo atteggiamento deve valere verso tutti, anche verso gli estranei: lo insegna con mirabile efficacia la parabola del samaritano
Un uomo viene aggredito dai briganti e lasciato mezzo morto lungo la strada. Lo vedono due passanti della sua stessa religione e nazionalità, ma tirano via senza curarsi di lui. Giunge un samaritano, uno straniero, per di più considerato eretico: si ferma, si avvicina, carica il ferito sulla cavalcatura, lo porta alla locanda, lo fa curare a proprie spese.
È necessario farsi carico di ogni uomo che incontriamo, al di là di qualsiasi differenza razziale, sociale e religiosa. È sbagliato chiedersi chi sia prossimo a noi; siamo noi che dobbiamo farci prossimi di chiunque, anche di chi è estraneo, perfino dei nostri nemici. Il modello è l’amore stesso di Dio: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36).
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Amare concretamente
[163]
Che cosa voglia dire amare, Gesù lo esemplifica nelle parole del giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36); e lo riassume formulando in termini positivi la cosiddetta “regola d’oro”: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12).
Amare, dunque, significa fare concretamente il bene, con premura e creatività. La misura è Gesù stesso: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
| CdA, 871 CONFRONTAVAI |
Nuova rivelazione del Padre [165]
L’esperienza di libertà e fraternità, che Gesù propone a quanti lo seguono, suppone un comune atteggiamento filiale verso Dio. Chi, per seguire Gesù, ha lasciato la propria famiglia, non ha più un padre terreno che provveda alle necessità quotidiane; ha trovato però un altro Padre, quello stesso di Gesù: «E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). Egli è pieno di premura per i suoi figli | |
[166]
Gesù si rivolge a Dio nella sua lingua, l’aramaico, chiamandolo abitualmente «Abbà» (Mc 14,36), che significa “papà”. “Abbà” è parola infantile, una delle primissime parole che il bambino impara a pronunciare: «Non appena egli sente il sapore della culla (cioè quando è divezzato), dice “abbà”, “immà” (papà, mamma)», si legge nella tradizione ebraica. Talmud babilonese, Berakhot, 40a. | CdA, 293-294 CONFRONTAVAI CdA 960 CONFRONTAVAI |
[167]
Israele aveva sperimentato la premurosa bontà di Dio nei suoi confronti e l’aveva paragonata a quella di un padre per il proprio figlio: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,13-4).
Tuttavia, l’Antico Testamento accentuava l’infinita trascendenza di Dio, l’Unico, l’Eterno, il Santo, il Creatore del cielo e della terra: «Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l’oscurità della notte... Signore è il suo nome» (Am 5,8). Anzi i contemporanei di Gesù evitano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e cercano di sostituirlo con modi di parlare che lo evocano senza nominarlo.
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[168]
Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca assoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25-27).
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Paternità universale [169]
Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il «Padre mio» (Mt 7,21) da il «Padre vostro» (Mt 7,11), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli.
Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere “Abbà” anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l’apostolo Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8,15).
Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall’eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa | CdA, 823-825 CONFRONTAVAI |
[170] Non è affatto semplice per l’uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell’ambiente, l’esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l’uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l’esperienza e rivoluziona tutti i rapporti. | |
[171] Gesù vive un’intimità del tutto singolare con Dio e lo chiama familiarmente «Abbà» (Mc 14,36).
Egli rende partecipi i credenti del suo rapporto filiale con il Padre, pieno di gratitudine, fiducia, sottomissione e gioia. | |
Gesù prega [172] Come si vive e si esprime il rapporto filiale con il Padre? Bastano l’obbedienza, il lavoro, la dedizione al prossimo? Oppure è necessario anche il dialogo della preghiera?
Gesù prega, partecipando assiduamente alla liturgia di Israele. Invoca il Padre in pubblico, nel mezzo della sua stessa attività. Soprattutto si ritira lunghe ore in solitudine, nel deserto o sui monti, di notte o di buon mattino. La sua preghiera è stare di fronte al Padre come Figlio, in perfetta reciprocità | |
“Padre nostro” [173]
Il Maestro trasmette ai discepoli il suo atteggiamento filiale verso Dio. Insegna loro la preghiera del “Padre nostro”, come espressione della nuova comunione con Dio e segno distintivo della loro identità.
La preghiera comprende sette domande nella redazione di Matteo e cinque in quella, forse più antica, di Luca; ma in realtà sotto diversi aspetti si chiede una sola cosa, l’unica necessaria: la venuta del regno di Dio in noi e nel mondo. È la preghiera dei figli, che fanno proprio il progetto del Padre e si abbandonano totalmente a lui; è la preghiera degli umili di cuore, protesi verso una salvezza più grande di quella che si può programmare e costruire con le proprie mani. | CdA, 1001-1012 CONFRONTAVAI |
[174]
Nelle parole del “Padre nostro” si può avvertire l’eco della preghiera ebraica, in cui si esprime l’anelito verso il futuro intervento di Dio: «Esaltato e santificato sia il suo grande nome, nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà; venga il suo regno durante la vostra vita...» Qaddish. “Padre nostro, che sei al di sopra di tutto come il cielo, fa’ che il tuo nome sia glorificato e riconosciuto santo.
Mostra davanti a tutti che tu solo sei Dio, radunando definitivamente il tuo popolo disperso e purificandolo dai suoi peccati con il dono del tuo Spirito Venga in pienezza la tua regalità, che porta libertà, giustizia e pace. Si compia il tuo disegno di salvezza in cielo e in terra.
Donaci fin d’ora il nostro pane futuro, un anticipo del convito del Regno Nella tua misericordia perdona i nostri peccati: anche noi siamo pronti a perdonare a chi ci ha fatto del male. Non lasciarci soccombere nella tentazione; fa’ che mai perdiamo la fiducia in te, così da non avvertire più la tua presenza e sentirci abbandonati. Liberaci dal potere del maligno, che si oppone al tuo regno e ci dà la morte”.
Pregare il Padre ci fa sperimentare che siamo figli e ci sollecita a vivere da figli: «Leva, dunque, gli occhi tuoi al Padre... che ti ha redento per mezzo del Figlio e dì: Padre nostro!... Dì anche tu per grazia: Padre nostro, per meritare di essere suo figlio» Sant’Ambrogio, I sacramenti, 5, 19. | |
[176]
La predicazione è solo una parte del ministero di Gesù. Alla parola si aggiunge l’azione. Così comincia a realizzarsi il regno di Dio. Le opere che egli compie, non sono soltanto sue; sono anche del Padre, che agisce per mezzo di lui nella potenza dello Spirito Santo: «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28); «Il Padre che è con me compie le sue opere» (Gv 14,10). Per mezzo di lui Dio vince Satana, guarisce i malati, perdona i peccatori, convoca la comunità.
Gesù insegnando opera e operando insegna. Le sue parole sono efficaci e i suoi gesti sono pieni di significato. Parole e gesti insieme costituiscono il suo ministero, che è servizio e dono di sé, e culmina coerentemente nel mistero pasquale. «Dio è amore» (1Gv 4,16): solo mediante il dono di sé possono essere rivelati il suo volto, la sua gloria, il suo regno.
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[177] Abbiamo parlato, nella sezione precedente, della predicazione di Gesù. Ora presenteremo la sua azione, i suoi gesti, come segni della regalità misericordiosa di Dio (capitolo 5) e poi il mistero della Pasqua, vertice del suo servizio per la nostra salvezza, nei due grandi momenti: la passione e la morte in croce (capitolo 6) e la gloriosa risurrezione (capitolo 7). | |
[178] Il regno di Dio si rivela nell’agire di Gesù come potere benevolo e misericordioso, che libera dal dominio di Satana, opera guarigioni e conversioni, raduna definitivamente il suo popolo. Lodiamo il Signore, perché compie meraviglie, e rendiamoci disponibili perché possa compierle ancora attraverso di noi.
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Solidale con i peccatori
[179]
Con il battesimo al fiume Giordano Gesù compie il suo primo gesto profetico pubblico e si rivela come Messia-Servo.
Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti, ma lo fanno quasi con disagio: si tratta del Figlio di Dio confuso tra la folla dei peccatori, che accorrono da Giovanni Battista per sottomettersi a un rito di penitenza. Il senso di questa scelta si lascia comunque intravedere abbastanza chiaramente nei loro racconti intessuti di immagini simboliche.
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[180] Gesù è il Figlio amato del Padre; ma l’intimità divina, invece di separarlo, lo congiunge ai peccatori: Dio è vicino a chi si riconosce povero e bisognoso di essere salvato. Il Padre si compiace del suo Figlio e gli affida la missione di salvezza; gli comunica la potenza dello Spirito per attuarla.
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Tentato come noi
[181]
Il carattere proprio del regno di Dio e del messianismo di Gesù viene ribadito dal racconto della tentazione. Guidato dallo Spirito Santo, Gesù si reca nel deserto. Là lo attende Satana, il tenebroso «principe di questo mondo» (Gv 12,31), che gli prospetta una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni.
Gesù respinge decisamente la tentazione: no alla facile prosperità materiale, perché si deve cercare «prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33); no all’ambigua popolarità ottenuta con il miracolo spettacolare
| CdA, 381-382 CONFRONTAVAI |
[182]
Si tratta di una scelta decisamente controcorrente. Le proposte di Satana sono anche le aspettative dell’ambiente; corrispondono anzi a ciò che gli uomini di ogni tempo spontaneamente desiderano per realizzarsi. Il regno di Dio è diverso, apparentemente debole; ma «ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).
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[183]
La tentazione è stata reale per Gesù: fu «provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Anche più tardi sperimenterà la violenza della tentazione nell’ora della passione
Gesù si consegna alla misteriosa fedeltà del Padre e aderisce costantemente alla sua volontà
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Tempo di Quaresima
[184] Il cristiano è chiamato a condividere la scelta fondamentale di Gesù. Con le promesse battesimali si impegna a respingere le medesime tentazioni del benessere, del successo e del dominio.
La Chiesa glielo ricorda ogni anno con la celebrazione della Quaresima. È un cammino di essenzialità, in cui l’adesione a Dio scaturisce da scelte di sacrificio.
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[185] Gesù si fa battezzare da Giovanni Battista, per affermare la sua solidarietà con i peccatori e assumere la missione di Messia-Servo. Respingendo la triplice tentazione della ricchezza, del successo e del dominio sugli altri, conferma la scelta di un messianismo basato sul servizio e sul dono di sé.
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Liberatore vittorioso
[186]
Come la scelta iniziale, così tutto il servizio messianico di Gesù si sviluppa in conflitto con «l’impero delle tenebre» (Lc 22,53), fino all’ora decisiva della passione
Dove passa Gesù di Nàzaret, si manifesta una potenza di liberazione, di guarigione e di riconciliazione
«Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8), perché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La vittoria di Gesù e dei suoi discepoli sul peccato e la morte, sulla sofferenza, la malattia e il disordine della natura
| CdA, 382-385 CONFRONTAVAI |
Gli esorcismi di Gesù
[187] A volte la lotta di Gesù contro il male assume la forma di uno scontro diretto, di un esorcismo con l’ordine di lasciare liberi gli indemoniati. Come interpretare questi episodi?
Alcune situazioni che i Vangeli, considerando il legame tra malattia e regno delle tenebre e seguendo la mentalità popolare del tempo, qualificano come possessione diabolica, possono essere ritenute normali malattie fisiche o psichiche, come sembra essere il caso della donna curva da diciotto anni, incapace di raddrizzarsi, che si riteneva “legata” da satana
| CdA, 386 CONFRONTAVAI |
Segni di Dio
[189] I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati «miracoli (opere potenti), prodigi e segni» (At 2,22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l’ultimo.
I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene.
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Umiltà e autorità di Gesù
[190]
Gesù di Nàzaret mostra il suo stile inconfondibile anche nel fare miracoli. Coerente con la sua missione di Messia-Servo, fermo nel respingere le tentazioni della ricchezza, del successo e del dominio, non si serve mai del miracolo per il proprio interesse personale, ad esempio per alleviare la propria fame, sete, stanchezza. Rifiuta le richieste di miracoli spettacolari, che costringano a credere
Gesù come insegna con autorità, così compie i miracoli con autorità, a nome proprio: «Io ti dico» (Mc 5,41); «Ti ordino» (Mc 2,11). Agisce con naturalezza, senza sforzo e senza alcuna preparazione; gli basta una semplice parola. Il risultato è istantaneo, sebbene i casi siano diversissimi: guarigione di lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici, epilettici; risurrezione di morti; moltiplicazione di pani e pesci, trasformazione dell’acqua in vino, una pesca miracolosa, una tempesta sedata. Alla singolarissima autorità si unisce una sorprendente umanità e tenerezza: a volte interviene senza essere richiesto, per compassione; a volte non esita a infrangere le prescrizioni della legge, guarendo in giorno di sabato o toccando i lebbrosi e i morti.
| CCC, 447 |
Significato dei miracoli
[191]
I miracoli di Gesù sono strettamente collegati alla sua predicazione. È sempre in cammino, infaticabile, per città e villaggi della Galilea, «predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23)
Il loro significato è molteplice. Dio si è fatto vicino in modo nuovo, per vincere il peccato, la malattia, la morte e ogni forma di male, per dare all’uomo la salvezza integrale, spirituale, corporea, sociale e cosmica, ora come in un anticipo e poi alla fine della storia in pienezza, facendo «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Gesù è il Messia, «colui che deve venire» (Mt 11,3)
La stessa riluttanza a compiere miracoli, che Gesù manifesta più volte, ha un suo significato. Egli vuole evitare che la gente strumentalizzi Dio ai propri interessi immediati
| CdA, 422-424 CONFRONTAVAI |
Storicità dei miracoli
[192]
Nella Chiesa delle origini i miracoli accompagnano normalmente la diffusione del vangelo e sostengono l’attività missionaria. Tuttavia non vengono sopravvalutati; rimangono in secondo piano rispetto alla vita nuova, alla santità. Gli stessi miracoli compiuti da Gesù durante la vita pubblica vengono narrati con sorprendente sobrietà. È un indizio di autenticità storica. Di indizi ve ne sono anche altri e molto solidi: le numerose sentenze evangeliche, assai antiche e attendibili, che menzionano l’attività taumaturgica di Gesù e il suo significato; le varie controversie con i farisei, che presuppongono guarigioni miracolose effettivamente compiute; le manifestazioni di entusiasmo da parte della gente, altrimenti inspiegabili
Talmud babilonese, Sanhedrin, 43. | |
Il miracolo e la scienza
[193] Del resto, miracoli nel nome di Gesù avvengono nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni, rendendo credibili quelli attribuiti a lui nella sua vita terrena.
Molti nostri contemporanei ritengono che fatti del genere siano incompatibili con la conoscenza scientifica della natura. Al più sono disposti ad ammettere alcuni fenomeni eccezionali, come effetto di suggestione o di altre forze psichiche e fisiche ancora sconosciute.
Una così radicale diffidenza non appare giustificata. Il mondo si presenta come un processo evolutivo, sempre aperto a molte possibilità, caratterizzato dalla continuità e nello stesso tempo dalla novità. In questa prospettiva è possibile concepire il miracolo come superamento creativo di una data situazione, per virtù divina, valorizzando le stesse cause naturali. Non dunque un sovvertimento, ma una ricomposizione dell’ordine delle cose, quasi un anticipo del compimento definitivo.
Quanto alla suggestione, non è difficile rendersi conto che si tratta di una spiegazione insostenibile. Nessuna fiducia, per quanto grande, può causare guarigioni istantanee di gravi malattie organiche, come la lebbra, il cancro, le fratture ossee. Senza dire che a volte vengono guarite persone non coscienti o in coma, vengono risuscitati i morti, viene trasformata la natura inanimata.
È sempre possibile ipotizzare l’intervento di forze sconosciute. Gli scienziati si limitano a constatare che il fatto prodigioso è scientificamente inspiegabile, oltre le costanti della nostra osservazione. L’interpretazione rimane aperta. Ma se l’evento straordinario avviene in un contesto religioso di serietà morale, di bontà, di umile fiducia in Dio, di preghiera, allora diventa un segno inequivocabile. Non per niente Gesù reagisce con indignazione quando gli scribi attribuiscono a Satana i suoi miracoli, che invece sono gesti evidenti di potenza benevola e misericordiosa, liberatrice e dispensatrice di vita
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Aiuto alla fede
[194]
Essendo «segni certissimi della divina rivelazione»
Concilio Vaticano I, Dei Filius, III - DS 3009; cf. Ivi, Canoni III, 3 - DS 3033.
Tuttavia non bastano certo i miracoli a produrre la fede: è l’attrazione interiore del Padre che la suscita
| CdA, 156 CONFRONTAVAI |
Vicino ai peccatori
[196] Il regno di Dio, più ancora che nei miracoli, si manifesta nel perdono concesso ai peccatori, nella loro rigenerazione come uomini nuovi, ricondotti alla comunione con il Padre e con i fratelli.
L’annuncio dei profeti e l’esperienza della preghiera avevano maturato presso il popolo ebraico il senso del peccato e la certezza del perdono di Dio. Ora Gesù indica così il senso della sua missione: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).
Le persone devote si scandalizzano per il comportamento di Gesù; mormorano, protestano, dicono di lui: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). In realtà Gesù è misericordioso, ma non accomodante. Esige conversione: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); addita come norma la santità di Dio: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Se si intrattiene con i peccatori, lo fa perché sentano di essere amati da Dio, riconoscano il loro peccato, riprendano fiducia e imparino a loro volta ad amare: «”Simone, ho una cosa da dirti... Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”» (Lc 7,40-43).
| CdA, 701 CONFRONTAVAI |
Gesù rivela il Padre misericordioso
[197]
Gesù sa di essere in totale sintonia con la misericordia del Padre. Dio ama per primo, appassionatamente; va a cercare i peccatori e, quando si convertono, fa grande festa: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta» (Lc 15,4-6).
L’unità di Gesù con il Padre è tale, che egli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l’accusa di bestemmia: «Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (Mc 2,9-11).
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Il convito del Regno
[198]
Nella parabola del padre misericordioso, la gioia del padre per il figlio perduto e ritrovato si esprime in un banchetto
Da sempre nella cultura e nella religione ebraica il banchetto era l’espressione fondamentale dell’amicizia, della festa e della pace: un banchetto alla presenza di Dio aveva concluso l’antica alleanza
| CCC, 1439CCC 1443CdA, 225 CONFRONTAVAI |
Numerosi discepoli
[200]
Mentre introduce nella storia il Regno, Gesù avvia il raduno definitivo del popolo di Dio: le due cose vanno insieme, perché il Regno, secondo le profezie, si deve rendere visibile in un popolo.
Il Maestro prova compassione per le folle, che vagano «come pecore senza pastore» (Mc 6,34), e per radunare Israele viaggia instancabile, predica e compie guarigioni. Ben presto riunisce una numerosa comunità di discepoli, come primizia e rappresentanza dei futuri credenti, come schiera di cooperatori per la raccolta della messe
| CdA, 536 CONFRONTAVAI CdA 542 CONFRONTAVAI |
I dodici
[201] Un giorno, tra questi discepoli più vicini, Gesù ne sceglie dodici. Ci sono i quattro del lago: Simone, al quale impone il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni di Zebedèo, Andrea fratello di Simone; e con loro ci sono anche Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e infine Giuda Iscariota, il traditore.
È una scelta di importanza fondamentale e, prima di farla, Gesù passa la notte in preghiera
Gesù mandò effettivamente i Dodici nelle città e nei villaggi, a proclamare il vangelo con la parola e con le opere; li mandò come suoi inviati ufficiali, a due a due secondo l’uso del tempo, con l’ordine di non esigere compensi, perché fossero segno dell’amore gratuito di Dio. «Partiti, predicavano che la gente si convertisse» (Mc 6,12) e guarivano molti malati. Al loro ritorno riferirono a Gesù «tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’“» (Mc 6,30-31). Questa prima missione, limitata al territorio di Israele, è preludio della missione definitiva verso tutte le genti, che il Signore affiderà loro dopo la sua risurrezione.
| CdA, 512-513 CONFRONTAVAI |
Una comunità come segno
[202]
Gesù è profondamente legato alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che vanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia
| CdA, 426 CONFRONTAVAI |
Comunità proiettata verso il futuro
[203]
Purtroppo, dopo un avvio promettente, il ministero di Gesù in mezzo al suo popolo va incontro a una crisi sempre più grave. Molti respingono l’invito al banchetto del Regno, con vari pretesti
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[204]
Col passare del tempo, il Maestro, constatando la refrattarietà delle folle curiose e superficiali, se ne tiene sempre più in disparte, per dedicarsi prevalentemente alla formazione del gruppo dei discepoli. Vuole prepararli in vista del successivo sviluppo della sua opera, non certo farne una cerchia elitaria, a somiglianza dei farisei o degli esseni. Malgrado il momentaneo insuccesso, rimane pieno di fiducia nel futuro. Incoraggia i pochi che ancora lo seguono: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32). Garantisce che la comunità, da lui radunata, sarà solida per sempre «e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Ne affiderà la guida a «Simone figlio di Giona» (Mt 16,17), al quale fin d’ora dà significativamente il nuovo nome di Pietro, che vuol dire “roccia”. Sarà lui il sostegno della futura costruzione. Intanto comincia a riconoscergli una certa preminenza tra i Dodici, come portavoce dei suoi compagni.
| CdA, 531 CONFRONTAVAI |
[205]
Come si vede, la comunità dei discepoli è intimamente legata alla venuta del regno di Dio fin dall’inizio
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1; 9. | CCC, 669CdA, 416-419 CONFRONTAVAI |
[206] Gesù avvia il definitivo raduno del popolo di Dio, in cui rendere visibile il Regno: riunisce una comunità di discepoli, tra i quali sceglie i Dodici e li manda in missione; a uno di loro, Simone, cambia il nome in Pietro e promette di affidare in futuro il compito di guidare la comunità dei credenti.
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[207] Affascinati dalla predicazione e dalle opere di Gesù, cominciamo a intuire l’identità misteriosa della sua persona. Al di là degli insegnamenti e delle singole azioni, quel che più conta è il dono totale di sé, maturato durante tutta la vita e portato a termine nella Pasqua. Attraverso l’esistenza terrena, la morte e la risurrezione, viene costituito per noi il Salvatore, che accogliendo e rivelando l’amore del Padre ci libera dal peccato e da ogni male. A lui ci accostiamo con fiducia e da lui impariamo a donare noi stessi nel servizio disinteressato. | |
Autorità e dedizione
[208]
Lo scopo di Gesù è rivelare e attuare la presenza salvifica di Dio nella storia, il suo regno. Ciò avviene non soltanto attraverso le parole e le opere, ma anche e soprattutto attraverso il mistero della morte e risurrezione, che egli chiama la sua «ora» (Gv 2,412,2317,1). Tra la venuta del regno di Dio e la vicenda personale del Maestro c’è una misteriosa compenetrazione: nel dono che egli fa di se stesso si manifesta il regno di Dio. Qual è il motivo di questo collegamento così stretto? Qual è il segreto della persona di Gesù?
| CdA, 262 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[209]
Esteriormente Gesù si presenta come un “rabbì”, un maestro della Legge, in quanto si circonda di discepoli e insegna. I discepoli però se li sceglie liberamente, come vuole; e nell’insegnare non commenta le Scritture come gli scribi, ma propone «una dottrina nuova» (Mc 1,27), con immediatezza e autorità
La stessa autorità egli esercita nel rimettere i peccati e nel celebrare il banchetto del Regno con i peccatori, verso i quali si mostra nello stesso tempo misericordioso ed esigente, oltre ogni “ragionevole” misura; e ancora la esercita nel compiere miracoli spontaneamente, a nome proprio.
Pretende di essere decisivo per la salvezza: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30); «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32-33).
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[210]
Autorità e pretese indubbiamente inaudite. D’altra parte Gesù vive poveramente, al punto che «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Non impiega mai la sua potenza miracolosa per un vantaggio personale o per imporre il proprio progetto, a costo di deludere quanti si aspettano un Messia più efficiente. Servizio e dono di sé animano il suo insegnamento e la sua attività
In Gesù autorità e servizio, misericordia e austerità si fondono in modo del tutto singolare. Sorgente di questa singolarità è l’esperienza di Dio come “Abbà”: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). Ha ricevuto tutto dal Padre e perciò è totalmente sottomesso a lui e nello stesso tempo a lui uguale nella maestà divina e nella capacità di amare.
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Il Regno come amore
[211]
Gesù è una cosa sola con il Padre e ne impersona il regno. Nel servizio e nel dono di sé, non meno che nell’autorità, lo rivela, lo glorifica: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi» (Gv 15,9). Il Padre è il primo ad amare, a donarsi, anzi è l’amore stesso
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Personaggio paradossale [213] Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. | CdA, 78 CONFRONTAVAI |
Le opinioni della gente [214]
Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo
Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11).
Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.
| CdA, 79 CONFRONTAVAI |
Riservatezza di Gesù [215]
Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?» (Mc 12,3537).
| CdA, 285 CONFRONTAVAI |
Intuizione di Pietro [216]
Gli interessa relativamente quello che dice la gente; provoca piuttosto i suoi discepoli a pronunciarsi in prima persona: «E voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
A nome dei discepoli risponde Pietro: «Tu sei il Cristo». Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: «Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere... Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2Sam 7,121416).
Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).
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Più che profeta
[218] La personalità di Gesù, soprattutto l’autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell’Antico Testamento.
Gesù si pone senz’altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: «Ecco, ora qui c’è più di Giona!... c’è più di Salomone!» (Mt 12,41-42). Del resto, se Giovanni Battista, l’ultimo e il più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova realtà del regno di Dio
Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la qualifica di “profeta”, con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza della gente, non mette l’accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato, perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!» (Lc 13,33-34).
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Servo
[219]
Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in esso il primo è colui che serve. La discussione culmina con un’affermazione importante: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).
| CdA, 180 CONFRONTAVAI |
[220] Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). | |
Titolo preferito
[221]
Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell’uomo: lo si può arguire dal fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare «sulle nubi del cielo», riceve da Dio «potere, gloria e regno» su «tutti i popoli, nazioni e lingue», «un potere eterno, che non tramonta mai» (Dn 7,13-14).
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Umiliato e glorioso
[222]
Denominandosi Figlio dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato.
Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: «Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1).
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La trasfigurazione
[223]
Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera «su un alto monte» (Mt 17,1), si trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce.
Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi, parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria
Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che «il Figlio dell’uomo dovrà soffrire» (Mt 17,12), come ha sofferto Giovanni Battista.
| CCC, 554-556 |
Gli avversari
[225]
I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
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La consapevolezza di Gesù
[226]
Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
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[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
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Festa del Regno che viene
| CdA, 198 CONFRONTAVAI CdA 685 CONFRONTAVAI |
[229]
Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà.
La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio.
Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo
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Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
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[231]
Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli
| CdA, 691-693 CONFRONTAVAI CdA 697 CONFRONTAVAI |
Il processo
[233]
Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse
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[234]
Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
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La morte in croce
[235]
Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
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Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
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Sul Calvario
[238]
Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
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[239]
Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2. Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147. | |
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» (
Mc 14,36
); «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (
Mc 15,34
).
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Tra i morti
[241]
Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù, morendo, «discese agli inferi». Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti
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Vittoria sulla morte
[242]
Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. Ha raggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: «È stata annunziata la buona novella anche ai morti» (1Pt 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono «la perfezione» (Eb 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto.
Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L’icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti.
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Dio primo protagonista
[244]
Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione.
Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3).
«Secondo le Scritture» significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della terra promessa
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Mistero d’amore
[245] Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell’amore gratuito.
Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.
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[246]
L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: «Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua giustizia!» (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: «Il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 13.
Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa «sofferenza»
Cf. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[247]
Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori
Cf. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, III, q. 47, a. 3; q. 49, a. 4.
L’iniziativa è del Padre: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo «soffre una passione d’amore»
Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6. San Gregorio Taumaturgo, A Teopompo sulla passibilità o impassibilità di Dio. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[248]
Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: «Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve
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[249]
Si è offerto «con uno Spirito eterno» (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così «lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 40. | |
Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore
[250]
Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro «capo e salvatore» (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: «È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25).
Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e «reso perfetto» (Eb 5,9) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. «Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati»
San Gregorio Magno, Commento al Libro di Giobbe, 16, 30, 37. | CdA, 274 CONFRONTAVAI CdA 399 CONFRONTAVAI CdA 401-404 CONFRONTAVAI |
[251]
Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova «viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (2Cor 5,1820).
I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana.
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[252] Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (
Gv 3,16
).
Gesù Cristo, condividendo l’amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato.
Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione.
Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato.
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Diversi linguaggi
[253]
«Guarda se trovi in me altro che amore»
Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 4, 193. | |
Riscatto
[254]
“Riscatto” «a caro prezzo» (1Cor 6,207,23)
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Sacrificio
[255]
“Sacrificio” è la morte di Gesù in quanto porta a compimento «una volta per tutte» (Eb 7,27) il senso dei riti sacrificali dell’Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l’olocausto, l’oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il sacrificio dell’agnello pasquale. Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico obiettivo: attuare la comunione dell’uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità.
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Espiazione
[256]
“Espiazione” è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo
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Soddisfazione
[257] “Soddisfazione” vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l’ordine oggettivo del mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato. Dio è soddisfatto nel suo amore creatore e santificatore, nel suo voler dare appassionato. È giusto con se stesso, perché egli è carità. La sua è una giustizia giustificante, che rende giusto chi non lo è e concretamente coincide con la sua misericordia. È lui stesso che suscita la mediazione e l’intercessione di Cristo, e subordina ad essa ogni suo altro dono.
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Merito
[258]
“Merito” esprime il valore sommo davanti a Dio dell’offerta di sé, con cui il Cristo si dispone a ricevere dal Padre la gloriosa risurrezione e a diventare principio di vita nuova per i peccatori
Cf. Concilio di Trento, Sess. VI, Decr. Sulla giustificazione, 7 DS 1529. In definitiva tutte le interpretazioni convergono nell’indicare la compiacenza del Padre per la dedizione del Cristo e la costituzione di lui risorto come unico Salvatore per tutti.
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[260] La storia di Gesù non finisce con la morte: numerosi segni manifestano che egli vive nella gloria della risurrezione, come Signore che dona lo Spirito. Per mezzo di lui anche noi risorgiamo a vita nuova; sperimentiamo la gioia di amare e di offrire noi stessi in sacrificio, la più limpida e duratura che ci sia.
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La luce di Pasqua
[261] La liturgia della veglia pasquale comincia con un rito suggestivo. La gente in chiesa attende al buio e in profondo silenzio; dal portale entra la fiamma del grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto; da quella fiamma si propagano tante fiammelle, man mano che i presenti accendono le loro candele; poi si accendono tutte le lampade; e in mezzo all’assemblea si leva il canto gioioso della risurrezione.
La fede cristiana è luce accesa e alimentata dalla Pasqua di Cristo. «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4): questo è il vangelo che la Chiesa riceve, trasmette e mantiene fedelmente. Ci rendiamo conto che si tratta di un annuncio sconvolgente, che cambia la vita?
Oggi molti sono affascinati da Gesù di Nàzaret, uomo libero, fedele a Dio e a se stesso fino alla morte, uomo per gli altri, profeta di un mondo più giusto e fraterno; ma non ammettono la sua risurrezione. Se così fosse, egli non sarebbe il Salvatore, ma soltanto un martire in più; la speranza umana resterebbe una povera speranza e la morte continuerebbe a dominare inesorabile
D’altra parte il Risorto, senza la croce e la concretezza storica di Gesù, sarebbe soltanto un mito facilmente manipolabile, una sterile proiezione delle nostre aspirazioni.
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Il regno di Dio in Cristo risorto
[262] Con il Crocifisso risuscitato riparte la causa del regno di Dio. Ciò che in modo così promettente era iniziato durante la vita pubblica e poi sembrava annullato dalla morte in croce, ora viene ripreso con nuova e potente efficacia.
Dio non finisce di stupire per il suo amore: restituisce agli uomini come Salvatore il proprio Figlio, che essi hanno rifiutato e ucciso
Il regno di Dio ormai è esplicitamente impersonato in Gesù, «costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Dio esercita la sua sovranità per mezzo di lui e «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Il vangelo del Regno, che Gesù predicava, diventa il «vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1); nasce la fede cristiana come fede in Gesù Signore e in Dio che lo ha risuscitato dai morti.
| CdA, 208 CONFRONTAVAI CdA 211 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[263] La fede cristiana ha la sua origine e il suo nucleo centrale nel mistero pasquale: «Cristo morì per i nostri peccati... ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture» (
1Cor 15,3-4
), cioè secondo il disegno salvifico di Dio.
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Cambiamento dei discepoli
[264]
Gesù di Nàzaret fu crocifisso a Gerusalemme, fuori delle mura, come un malfattore, e fu sepolto nella tomba nuova messa a disposizione da un amico, Giuseppe di Arimatèa
Ma qualche settimana dopo eccoli in pubblico a proclamare, con coraggio e appassionata convinzione, che Gesù è vivo, è risuscitato, è stato innalzato alla destra di Dio come Messia e Signore dell’universo. Costituiscono la prima comunità cristiana, dove tutti sono «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). Si sentono da lui inviati a proseguire la sua missione; per lui rischiano la vita, affrontano persecuzioni e tribolazioni d’ogni genere. Sono uomini nuovi, quasi fossero risuscitati anche loro. Deve essere proprio accaduto qualcosa!
I discepoli affermano con sicurezza che è stato Gesù stesso a trasformarli, non una loro riflessione, immaginazione o esaltazione emotiva: si è fatto vedere vivo e ha donato loro lo Spirito Santo. Si è imposto alla loro incredulità con un’iniziativa tutta sua, con una nuova chiamata.
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Incontri pasquali
[265]
L’apostolo Paolo, verso l’anno 55, riassume l’annuncio pasquale della prima comunità cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo stesso modo: «Cristo morì... fu sepolto... è risuscitato... apparve»; poi subito fa seguire un elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: «apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me» (1Cor 15,3-8).
Si potrebbe obiettare: se Gesù davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41).
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[266]
Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea. Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato dell’incontro. La struttura dei racconti è però costante: iniziativa del Risorto, che si fa vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli, senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli, che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L’insistenza sull’oggettività dell’esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri interpersonali concreti.
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Il sepolcro vuoto
[267]
Questa oggettività trova riscontro e conferma nella scoperta del sepolcro vuoto: un fatto che a Gerusalemme doveva essere pubblicamente noto, altrimenti non sarebbe stato possibile proclamare che Gesù era risuscitato, senza essere subito ridotti al silenzio e coperti di ridicolo.
Il sepolcro vuoto, sebbene da solo non possa provare la risurrezione, costituisce però un’apertura verso il mistero e un segno dell’identità del Risorto con il Crocifisso.
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Avvenimento diverso
[269]
La risurrezione di Gesù può essere considerata un fatto storico? È questa una domanda importante per la fede. La risurrezione di Gesù si riflette nella storia con dei segni: il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, la conversione e la testimonianza dei discepoli, i miracoli e altre manifestazioni dello Spirito. Tuttavia si tratta di un avvenimento non osservabile direttamente come i normali fatti storici: un avvenimento reale senza dubbio, ma di ordine diverso. I Vangeli narrano le sue manifestazioni, ma non lo raccontano in se stesso, perché non può essere raccontato. Le sue modalità rimangono ignote.
Con la risurrezione, Gesù non è tornato alla vita mortale di prima, come Lazzaro, la figlia di Giàiro o il figlio della vedova di Nain; è entrato in una dimensione superiore, ha raggiunto in Dio la condizione perfetta e definitiva di esistenza. Non è tornato indietro, ma è andato avanti e adesso non muore più. Il nostro linguaggio non può descriverlo come veramente è: i risorti sono «come angeli nei cieli» (Mc 12,25) e il loro corpo è un «corpo spirituale» (1Cor 15,44), trasfigurato secondo lo Spirito, vero ma diverso da quello terrestre, come la pianta è diversa dal seme.
| CdA, 1213 CONFRONTAVAI |
Oggetto di fede
[270] I discepoli, che hanno incontrato Gesù concretamente vivo, interpretano questa esperienza alla luce delle attese di salvezza dell’Antico Testamento e usano consapevolmente un linguaggio simbolico: lo presentano come risvegliato, rialzato in piedi, risorto, innalzato, intronizzato alla destra di Dio. Il mistero trascende la nostra comprensione e può essere affermato solo per fede, ragionevolmente però, a motivo dei segni.
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L’Ascensione
[272]
Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare
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Nella gloria trinitaria
[273]
Interpretando l’evento pasquale alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, gli apostoli proclamano: Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4); «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,32-3336).
Il Padre, donando a Gesù in modo nuovo lo Spirito Santo, lo chiama a sé e lo risuscita alla vita gloriosa; nello stesso tempo lo unisce più intimamente agli uomini e lo costituisce «capo e salvatore» (At 5,31)
| CdA, 422 CONFRONTAVAI |
Per la salvezza del mondo
[274]
La risurrezione non costituisce semplicemente un trionfo per Gesù, ma è causa della nostra salvezza: «È stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). Ha ricevuto la potenza divina di dare la vita ed è diventato il capostipite della nuova umanità, il nuovo Adamo, che ci fa rinascere come figli di Dio e conduce il mondo alla sua perfezione
Egli regna con la forza dell’amore come Agnello immolato
| CdA, 250 CONFRONTAVAI CdA 404 CONFRONTAVAI |
Primizia dei risuscitati
[276]
La risurrezione di Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione generale al termine della storia.
I discepoli, come gran parte degli ebrei del tempo, aspettavano certamente la risurrezione dei morti. Ma Gesù risorto fu per loro un avvenimento imprevisto, carico di misteriosa novità, in quanto anticipazione di un evento atteso solo per gli ultimi giorni: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,20-22).
L’offerta delle primizie, nel culto ebraico, significava la consacrazione a Dio di tutto il raccolto. Gesù di Nàzaret è risuscitato non come individuo isolato, ma come capo e rappresentante dell’umanità; è la primizia dei risorti e include virtualmente la liberazione di tutti dal peccato e dalla morte; contiene in sé la risurrezione universale, attesa per la fine dei tempi. Tutto comincia a compiersi.
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Speranza certa
[277] Per noi quest’uomo storico, che ha raggiunto la perfezione oltre la storia, è non solo la guida morale, ma il Signore vivente, che attraverso la morte ci apre un futuro definitivo di vita e di pace. La vittoria sul male è sicura; la storia va verso la salvezza; l’ultima parola appartiene alla grazia di Dio. Dobbiamo scrollarci di dosso la tristezza e la rassegnazione, per aprirci al coraggio della speranza.
| CdA, 406 CONFRONTAVAI |
[278] Gesù è risorto come capo dell’umanità: «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22).
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Rimane presente
[279] Durante il tempo di grazia dei quaranta giorni pasquali, Gesù si fa vedere a chi vuole e dove vuole. Con l’ascensione al cielo, cessa questo farsi vedere. Cessa anche la sua presenza?
«Ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose» (Ef 4,10), assicura la Scrittura. Il Risorto è più vicino a Dio e proprio per questo più vicino anche a noi; siede alla destra del Padre come Signore e proprio per questo continua più che mai a camminare sulle strade degli uomini: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).
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Nella Chiesa e nel mondo
[280] Il Risorto continua con la potenza dello Spirito a operare in modo arcano nella storia, associando a sé la comunità dei credenti, suo “corpo” visibile. La Chiesa si riunisce nel suo nome, lo invoca, lo celebra, lo annuncia, gli dà testimonianza. È inviata per essere segno tangibile della fedeltà di Dio e del suo Messia agli uomini: perciò è destinata a durare indefettibile sino alla fine del mondo.
| CdA, 403 CONFRONTAVAI CdA 426-427 CONFRONTAVAI |
[281]
Tuttavia la presenza del Regno nella storia va ben oltre le frontiere visibili della Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole
Paolo VI, Discorso per la chiusura dell’Anno Santo, 25 dicembre 1975.
La storia resta una drammatica lotta tra il bene e il male; ma Cristo vive in essa, per orientarla nel senso del compimento ultimo attraverso le molteplici attuazioni dei valori di verità, libertà, comunione, pace, bellezza. La sua sovranità si dispiega nel corso dei tempi, come servizio alla dignità e alla vocazione dell’uomo, con un’attenzione preferenziale agli ultimi. In coloro che soffrono vi è una sua particolare presenza
San Leone Magno, Discorsi, 70, 5. | |
[282] Gesù risorto è più vicino a Dio e perciò è più vicino agli uomini: siede alla destra del Padre e rimane con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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[283] La risurrezione, come una luce troppo abbagliante, non lascia comprendere, subito fino in fondo, il mistero di Gesù. La comunità cristiana, guidata dallo Spirito, comincia a ripensare l’intera vicenda, la ricorda con commozione e ne rivive le meraviglie; medita, cerca di capire. Alla luce della Pasqua, avanza in un cammino di graduale scoperta attraverso la preghiera e la vita quotidiana, la predicazione missionaria e la catechesi.
Come un canto che inizia sommesso e a poco a poco diventa un coro potente, la fede e la ricerca si trasmettono da una comunità all’altra, da Gerusalemme ad Antiòchia, ad Efeso, a Corinto, a Roma, ovunque i credenti in Gesù si riuniscono attorno al vangelo e all’eucaristia; e poi ancora dalla prima generazione alle successive, nella varietà delle culture e delle esperienze.
La storia di Gesù, risalendo indietro fino alla nascita, viene interpretata con idee, immagini e formule prese dall’Antico Testamento, perché tutto fin da principio parla di lui e si muove verso di lui. A partire dal suo stesso insegnamento, si professa la fede in lui con i titoli più elevati: Cristo, Signore, Figlio di Dio, Verbo fatto uomo, Dio. Ma nessun titolo può esaurire il mistero della sua persona, pur dicendo qualcosa di esso (capitolo 8). Guardando alla storia di Gesù si aprono prospettive vertiginose sulla vita intima di Dio, come mistero d’amore, perfettissima unità di tre persone, Padre, Figlio e Spirito Santo (capitolo 9). Nello stesso tempo si delinea il senso globale della creazione e della storia, come attuazione di un mirabile disegno di Dio, incentrato in Cristo (capitolo 10).
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[284] L’esperienza pasquale apre definitivamente l’accesso al mistero personale di Gesù. La fede della Chiesa vi penetra progressivamente e riconosce nel Crocifisso risorto il Cristo, il Signore, il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, il vero Dio e vero uomo. In lui Dio ci ha dato se stesso per attirarci a sé; è disceso nella nostra miseria per sollevarci alla sua gloria. La divinità del Cristo indica la misura inaudita dell’amore di Dio per noi e la sublime audacia della nostra speranza.
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L’identità di Gesù
[285]
Le diverse opinioni sull’identità di Gesù dividevano i suoi contemporanei
Ma quale idea si facevano di lui le prime comunità cristiane? Qual è l’autentica fede della Chiesa? Possiamo rendercene conto, passando in rassegna i principali titoli attribuiti a Gesù, a cominciare da quello che è diventato il suo secondo nome: “Cristo”, cioè Messia.
| CdA, 214-216 CONFRONTAVAI |
Discendente di David
[286]
Anticamente si chiamavano “messia” i re di Israele, in quanto consacrati con l’olio e investiti da Dio della missione di governare in suo nome. Figura tipica ne era David. A un suo discendente, secondo la promessa, Dio avrebbe affidato la sovranità su Israele per sempre
Nei periodi di crisi e di sventura nazionale, i profeti annunziavano la futura rinascita attraverso un re-messia ideale, della stirpe di David. Il popolo manteneva desta questa speranza con la preghiera dei salmi.
Al tempo di Gesù l’attesa era molto viva. Ogni tanto qualcuno si metteva a capo di una banda armata e si presentava come messia condottiero, venuto a liberare Israele dalla tirannia di Erode e dal dominio di Roma. Il successo era effimero; ma la gente aspettava, sempre più ansiosa, la riscossa e il trionfo su tutti i nemici.
Da parte sua, Gesù rimane cauto e reticente sulla propria identità di messia, per non essere frainteso. Preferisce che siano gli altri a pronunciarsi. Il riconoscimento definitivo, non più incerto e timido, viene dopo la Pasqua.
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Messia glorificato
[287]
I primi credenti dell’ambiente palestinese professano che Gesù è il Cristo, il Messia glorificato, consacrato con l’unzione di Spirito Santo, intronizzato alla destra del Padre.
Quel titolo, che durante la vita terrena del Maestro poteva far pensare a una sovranità in senso politico nazionale, adesso si libera di ogni ambiguità. Gesù è Messia-re di un regno che riguarda tutti i popoli e la loro storia, ma soprattutto va al di là della storia. Davvero Dio ha glorificato il suo Servo obbediente
La professione di fede: «Gesù è il Cristo», diventa a poco a poco un nome proprio, “Gesù Cristo”, quasi a indicare che tutta la sua esistenza umana si identifica con la missione di salvatore. E ad Antiòchia di Siria i suoi seguaci per la prima volta ricevono il nome di «cristiani» (At 11,26): nome che poi si è affermato, perché adatto a suggerire l’intimo legame con il Cristo, la partecipazione alla sua vita e alla sua missione, la consacrazione con l’unzione del suo Spirito nel battesimo e nella cresima.
| CdA, 216 CONFRONTAVAI |
Nella storia
[289]
Le comunità palestinesi di lingua aramaica, tutte protese alla futura venuta del Messia nella gloria, lo invocavano già come Signore: «Marana tha» (1Cor 16,22)
| CdA, 401 CONFRONTAVAI |
[290]
Secondo l’Antico Testamento, “Signore” (in ebraico Adonài, in greco Kyrios) è titolo riservato a Dio: «Io sono il Signore e non v’è alcun altro» (Is 45,5). Gesù come uomo riceve dal Padre questo nome, «che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), a motivo della sua obbedienza fino alla morte in croce; ma nella profondità della sua persona da sempre vive insieme a Dio e in perfetta uguaglianza con lui. La signoria che egli esercita sui singoli credenti e sulla Chiesa, sulla storia degli uomini e sul mondo intero, è quella stessa di Dio, per dare vita e salvezza con la potenza dello Spirito.
Egli non opprime, ma libera e fa crescere. Chi piega il ginocchio davanti a lui, rimane in piedi davanti ai potenti della terra e non teme il destino o la minaccia di forze oscure
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Nell’universo
[291]
Nella fede delle comunità cristiane di cultura ellenistica viene sempre più esplicitata la signoria di Cristo nei confronti dell’universo. Ogni creatura è orientata verso di lui fin dal principio e aspetta di trovare in lui la sua verità e il suo compimento. Le potenze cosmiche sono da lui sottomesse e ricondotte all’armonia, perché il mondo non precipiti nel caos e nel nulla. Egli trascende l’universo, perché esiste prima di tutte le cose, che «sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
| CdA, 356 CONFRONTAVAI CdA 406 CONFRONTAVAI |
Un nuovo significato
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Singolare unità con il Padre
| CdA, 166 CONFRONTAVAI CdA 168 CONFRONTAVAI |
[295] È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di Gesù con il Padre.
Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35). A sua volta il Figlio vive totalmente per la gloria del Padre: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). E, di fronte alla passione, l’obbedienza arriva alla suprema dedizione: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo...» (Gv 14,31).
L’unità del Figlio con il Padre è tale, che vedendo l’uno si vede anche l’altro: sono uno nell’altro, sono una cosa sola. Il Padre, che in se stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si manifesta attraverso l’amore del Figlio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9).
L’unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l’unità di essere. Il Figlio si distingue dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è inferiore, perché opera con lui in tutte le sue opere, vive da sempre presso di lui, è Dio insieme a lui, quasi una sua «irradiazione e... impronta» (Eb 1,3), «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre»
Concilio di Costantinopoli I, Simbolo di Nicea-Costantinopoli. | |
[296] Gesù è il Figlio unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell’intimità del Padre, perché «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
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La Parola e la Sapienza
[297] Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo originale come “il Verbo (la Parola)”.
Inesauribile efficacia, secondo l’Antico Testamento, possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l’universo. A sua volta la divina sapienza abita dall’eternità accanto a Dio
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La persona del Verbo
[298]
Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso, non è un’astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,114).
Il Verbo invisibile apparve dunque visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere anche nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l’umanità dispersa
Cf. Messale Romano, Prefazio di Natale III. | |
[299] Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia umanissima di libertà e di finitudine.
Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive rivolto al Padre, è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana
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Il vangelo della nascita
[301] La prima comunità dei credenti, animata dallo Spirito Santo e guidata dagli Apostoli, penetra progressivamente nella profondità del mistero di Gesù; comprende che tutta la sua esistenza è rivelazione di Dio e causa di salvezza per noi. In questa prospettiva anche gli episodi salienti che circondano la sua nascita diventano vangelo, perché lasciano già intravedere quello che poi si manifesterà pienamente alla luce di Pasqua, che cioè Dio è con noi per salvarci e riportarci alla comunione con sé. Si tratta di ricordi, fedelmente custoditi e trasmessi in ambito familiare, che ora vengono compresi nel loro profondo significato.
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Nel racconto di Matteo
[302]
Matteo apre il suo Vangelo con una genealogia e organizza gli avvenimenti della nascita di Gesù in cinque quadri
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Nel racconto di Luca
[303]
L’evangelista Luca racconta la nascita e la vita nascosta di Gesù in parallelo con quella di Giovanni Battista, presentandolo come dono incomparabile e gratuito di Dio ai poveri
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I misteri dell’infanzia e della vita nascosta
[304]
Nella nascita del Messia, povero tra i poveri, viene anticipata la suprema povertà del Crocifisso e comincia a risplendere la gloria di Dio, intesa come rivelazione del suo amore. Nella circoncisione del bambino Gesù si esprimono la sua appartenenza al popolo di Israele e la sua sottomissione alla legge. Nella presentazione al tempio Israele, rappresentato da Simeone e Anna, vede coronata la sua attesa e incontra il suo salvatore, mandato da Dio anche come «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). Nella venuta dei Magi sono le nazioni pagane che, mediante i loro rappresentanti, vanno incontro al Messia di Israele e lo adorano come salvatore universale. Nella fuga in Egitto si annuncia per il Messia un futuro di contrasti e persecuzioni: attuerà la sua missione attraverso la sofferenza. Nel ritrovamento nel tempio emerge la consapevolezza di Gesù circa la propria missione e la propria identità di Figlio di Dio.
La lunga permanenza di Gesù a Nàzaret, intessuta di fatica quotidiana e di ordinari rapporti con la gente anonima di un oscuro villaggio, manifesta anch’essa la condiscendenza di Dio e la sua volontà di essere con noi e per noi. Dio ama la vita quotidiana che non fa notizia, caratterizzata dalla famiglia e dal lavoro, la vita della quasi totalità del genere umano. In essa si lascia incontrare: basta viverla come un dono e un compito, con fede e amore. Non è necessario compiere grandi imprese per essere santi.
| CCC, 527-534CdA, 777-779 CONFRONTAVAI |
Ricerca incessante
[306]
La fede genera un movimento incessante di ricerca, che penetra sempre più nel mistero. La molteplicità di avvenimenti storici, esperienze personali e ambienti culturali provoca domande diverse e porta ad acquisire aspetti sempre nuovi della verità, senza mai esaurirla. Già all’interno del Nuovo Testamento, frutto dell’epoca apostolica delle origini e regola della fede per tutte le generazioni successive, è possibile riscontrare una tradizione sostanzialmente unitaria, ma con varietà di accentuazioni, di prospettive e di contributi.
La riflessione della Chiesa continua nei secoli con la partecipazione di tutti i credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri, con il magistero del papa e dei vescovi, con quell’espressione particolarmente solenne di esso che sono i concili.
Sorgono numerose eresie. Enfatizzano un aspetto parziale della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcune accentuano l’umanità di Cristo a scapito della divinità; altre, viceversa, accentuano la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte finiscono per allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l’uomo. Allora, per difendere l’integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l’unità della Chiesa, confidando nell’assistenza dello Spirito Santo promesso da Cristo, i concili pronunciano definizioni dogmatiche chiarificatrici, come punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano dall’imboccare strade sbagliate.
| CdA, 622 CONFRONTAVAI |
I primi sette concili
[307] I primi sette concili ecumenici difendono e spiegano le verità centrali della fede riguardo a Dio e a Cristo. Ancora oggi il loro insegnamento è patrimonio comune di quasi tutti i cristiani, d’oriente e d’occidente.
Il primo concilio di Nicea, celebrato nell’anno 325, proclama che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile. Respinge l’arianesimo, la dottrina secondo cui il Verbo sarebbe la prima e più perfetta delle creature, strumento per la creazione di tutte le altre.
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[308] Il primo concilio di Costantinopoli, dell’anno 381, condanna gli pneumatòmachi, che negano la divinità dello Spirito Santo, e gli apollinaristi, che non riconoscono in Gesù un’anima umana, in quanto al suo posto ci sarebbe il Verbo. Insegna che lo Spirito Santo è persona divina, consustanziale al Padre e al Figlio, e che il Verbo si è fatto uomo vero, completo di anima e di corpo.
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[309] Il concilio di Efeso, dell’anno 431, rifiuta la dottrina nestoriana, secondo cui in Cristo ci sarebbero due soggetti, uniti moralmente: il Verbo e l’uomo Gesù. Afferma che il Verbo non ha unito a sé la persona di un uomo, ma si è fatto uomo e nella sua umanità è nato da Maria, ha sofferto, è risorto; perciò una sola persona, un solo e medesimo Figlio di Dio è vero Dio e vero uomo, e Maria è vera madre di Dio.
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[310] Il concilio di Calcedonia, dell’anno 451, condanna i monofisiti, i quali sostengono che nell’incarnazione la natura umana viene assorbita in quella divina e quindi ammettono in Cristo una umanità solo apparente. Il concilio formula una professione di fede, molto precisa nel linguaggio e destinata ad avere una grande importanza storica:
«Noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo,[composto]di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipòstasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo»
Concilio di Calcedonia, Definizione della fede - DS 301-302. Per secoli questa formula è stata ripetuta, tale e quale, per esprimere la fede della Chiesa. Oggi si sente il bisogno di arricchirla con altre prospettive, per evangelizzare efficacemente le culture contemporanee. Ma essa conserva tutto il suo valore di verità e costituisce un’indicazione sicura per il nostro cammino.
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[311] Conferme e precisazioni a questa formula sono venute già nell’antichità dai tre concili successivi.
Il secondo concilio di Costantinopoli, dell’anno 553, ribadisce la condanna di alcune interpretazioni dualiste, vicine a quella nestoriana.
Il terzo concilio di Costantinopoli, degli anni 680-681, condanna il monoenergismo e il monotelismo, ultimi rigurgiti del monofisismo, che pongono in Cristo una sola attività e una sola volontà; riconosce invece l’esistenza di due attività naturali, divina e umana, e in particolare due volontà in armonia tra loro.
Il secondo concilio di Nicea, dell’anno 787, definisce che è conforme alla verità dell’incarnazione raffigurare il Cristo nelle opere d’arte e tributare culto alle sacre immagini, perché l’onore in definitiva è rivolto alla persona rappresentata.
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Incarnazione di Dio e santificazione dell’uomo
[312] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature, un solo soggetto di azioni divine e umane.
Il Figlio eterno si è comunicato a una concreta natura umana, esprimendosi in essa. Pur rimanendo Dio come il Padre, ha voluto vivere e morire da uomo, pensare come noi, volere e agire come noi, sentire e soffrire come noi. Ha assunto un vero corpo e una vera anima, una volontà umana liberamente sottomessa a quella divina, una conoscenza umana derivata dall’esperienza del mondo e dall’esperienza intima di sé e del Padre. Pur rimanendo trascendente, è entrato personalmente in una vera esistenza terrena con un concreto spessore storico: «Si è umiliato, non perdendo la natura di Dio, ma assumendo quella del servo»
Sant’Agostino, Discorsi, 4, 5. | CCC, 478 |
[313]
Prospettive inaudite si aprono sull’amore di Dio per gli uomini e sulla grandezza della nostra vocazione. Dio non ci ha dato solo i beni creati, ma ci ha donato se stesso nella storia, per donarci se stesso nell’eternità. Si è abbassato fino a noi, per innalzarci fino a sé, perché, ricevendo lo Spirito Santo, vivessimo in comunione con il Figlio e diventassimo per grazia figli del Padre: «Il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio figlio dell’uomo, perché l’uomo, entrando in comunione con Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 19, 1. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22. I misteri dell’incarnazione di Dio e della santificazione dell’uomo sono strettamente congiunti. Sia pure in maniera diversa, in ambedue Dio si comunica all’uomo personalmente e l’uomo è accolto in Dio senza perdere la sua piena e concreta verità. È questo il modo proprio del cristianesimo di intendere la salvezza.
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[314] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell’umanità, eccetto il peccato.
Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell’intimità del Padre.
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[315] La storia di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, ci conduce alla scoperta più sorprendente: Dio non è solitudine; è carità, comunione. Intravediamo la sua unità come correlazione di tre persone: Padre e Figlio e Spirito Santo. È un mistero oscuro, ma che illumina tutto e a tutto dà significato. Ci sentiamo anche noi chiamati a realizzarci nella comunione di carità con Dio e con i fratelli.
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Mistero oscuro e luminoso
[316] La nostra conoscenza di Dio è indiretta e inadeguata. Che senso ha allora indagare la sua vita intima, ciò che egli è in se stesso?
Nella nostra cultura è abbastanza diffuso l’agnosticismo, che tende a circoscrivere la capacità dell’intelligenza umana dentro l’orizzonte terreno e si mostra estremamente diffidente verso ogni tentativo di parlare di Dio. È significativo che nel nostro paese, accanto a quelli che si dichiarano non credenti o indifferenti, molte siano le persone che si ritrovano nella definizione di Dio come Mistero.
D’altra parte, un rapporto religioso vivo non può fare a meno di una qualche conoscenza positiva ed è ancor più significativo che la grande maggioranza della gente si riconosca nella definizione cristiana: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Non si può aver fiducia in chi resta completamente sconosciuto.
| CdA, 34 CONFRONTAVAI |
[317] Nella rivelazione storica Dio si manifesta e si nasconde nello stesso tempo; ci offre una conoscenza luminosa, associata a ombre impenetrabili. La sorgente infinita dell’essere e della vita rimane al di là di tutte le cose e di tutti i pensieri; ma in Gesù di Nàzaret lascia trasparire qualcosa del suo segreto. La storia del Cristo non è storia di una sola persona, ma di tre persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Il Dio ignoto si rivela come mistero di comunione e di amore.
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[318]
Una singolare dialettica attraversava le promesse di salvezza nell’Antico Testamento: da una parte si affermava che negli ultimi tempi Dio sarebbe intervenuto in prima persona per liberare e riunire il suo popolo, e stabilire in esso la sua dimora; dall’altra si accentuava il ruolo che avrebbero svolto le mediazioni della Parola
L’enigma trova soluzione nella storia di Gesù: Messia, Parola e Sapienza di Dio, attraverso il quale si rende presente il Padre e viene donato lo Spirito. Una storia trinitaria dal principio alla fine, perché Dio vi si impegna personalmente come egli è.
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[319]
Gesù riceve il battesimo nelle acque del Giordano ed ecco la voce del Padre presentarlo al mondo e lo Spirito scendere su di lui
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[320]
Con la Pentecoste inizia il cammino storico della comunità cristiana, Chiesa di Dio, corpo del Cristo e tempio vivo dello Spirito. In essa si entra con il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
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Fede trinitaria della Chiesa
[321]
La fede cristiana fin dalle origini è cristologica e trinitaria, perché nel mistero di Cristo, il consacrato con l’olio della sovranità divina, noi incontriamo «il Padre che fa l’unzione, il Figlio che la riceve, lo Spirito che è l’unzione stessa»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 18, 3.
Nel II secolo nascono i “simboli della fede” e nascono esplicitamente trinitari. Ecco uno dei più antichi, quello della cosiddetta Didascalia degli Apostoli: «Credo nel Padre dominatore dell’universo e in Gesù Cristo Salvatore nostro e nello Spirito Santo Paraclito»
Costituzioni apostoliche, 7, 41. San Giustino, Prima apologia, 65, 3. | |
Parola e silenzio
[322]
L’amore inaudito di Dio per noi trova il suo fondamento nel mistero di amore che Dio è in se stesso. Davanti a questo mistero il discorso umano è un povero balbettare e volentieri cede il posto al silenzio e all’adorazione. I mistici, che nella contemplazione hanno una conoscenza di Dio senza concetti, molto più perfetta di quella ordinaria, non riescono ad esporla come vorrebbero; lasciano intuire qualcosa delle meraviglie intraviste più con la loro personale trasformazione che non mediante i tentativi di raccontare: «Non si trova parola che suoni adeguata; nessun pensiero può mai giungervi, nessuna mente allargarsi fin là, tanto supera il tutto; come è vero che Dio non può esser spiegato mai»
Beata Angela da Foligno, Il libro, Memoriale, 9, 361-363. | |
Dio della creazione [324] La figura paterna è vista con sospetto nella cultura moderna, specialmente quando è riferita a Dio. Sarebbe sinonimo di potere autoritario e fonte di alienazione. Ma è questo il Dio di Gesù Cristo? La sua trascendenza esclude la vicinanza e la tenerezza? Il suo primato esclude la comunione?
Colui che Gesù chiama familiarmente “Abbà” è il Creatore del cielo e della terra Concilio Vaticano I, Dei Filius, I - DS 3001.
Davanti a lui l’universo, popolato di stelle e galassie, malgrado la sua immensità che dà le vertigini, appare come un granello di polvere sulla bilancia, «come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra» (Sap 11,22). Nulla aggiunge alla perfezione del suo Creatore; la sua esistenza è puro dono, assolutamente libero e gratuito.
| CdA, 358-361 CONFRONTAVAI |
[325]
Dio è infinitamente perfetto: nulla può perdere o acquistare | |
[326]
Ma la trascendenza non significa lontananza. Dio contiene l’universo nella sua intelligenza e volontà; penetra intimamente ogni cosa con il suo Spirito, per dare «esistenza, energia e vita» Messale Romano, Prefazio delle domeniche del tempo ordinario VI. Sant’Agostino, Confessioni, 6, 3, 4. | |
Dio della storia [327]
Il Padre del Signore Gesù Cristo è il Dio vivente della storia, il «Dio di Israele» (Mt 15,31), il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Egli cammina con il suo popolo e partecipa con intensità alle vicende degli uomini; ama appassionatamente e vuole essere amato «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5); prova compassione per la sofferenza
Inserendosi nella storia, Dio rimane il Signore trascendente della storia. Dice il suo nome e nello stesso tempo rifiuta di dirlo completamente. «Io sono colui che sono!» (Es 3,14). Il suo coinvolgimento è sovranamente libero. «Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia» (Es 33,19). Eppure nessun altro amore è così universale, fedele e misericordioso come il suo.
| CdA, 45-52 CONFRONTAVAI |
Il Padre | CdA, 821-825 CONFRONTAVAI |
[329]
Attraverso di lui il Padre si manifesta come amore senza limiti. Ama non solo i giusti, i sofferenti e gli oppressi, ma anche i peccatori, gli oppressori e i bestemmiatori, perfino i crocifissori del suo Figlio. Li ama così come sono. Prende su di sé il peso dei loro peccati. Dà quanto ha di più caro, per salvarli: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
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[330]
Gesù stesso riceve tutto dal Padre | |
[331]
Il nome “Padre”, attribuito a Dio già nell’Antico Testamento, assume un significato ben più profondo, per il fatto che Dio si rivela nel Figlio unigenito e comunica agli uomini lo Spirito del suo Figlio. Con questo nuovo significato diventa il nome definitivo: «Il nome che conviene propriamente a Dio è quello di “Padre” piuttosto che di “Dio”... Dire “Dio” significa indicare il dominatore di tutte le cose; dire “Padre” significa invece raggiungere una proprietà intima... “Padre” è dunque in certo modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per eccellenza» San Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, 2, 7. | |
[332]
Il termine “Padre” è analogico; indica il principio da cui il Figlio riceve tutto ciò che è e fa. In realtà Dio si colloca al di là delle differenze di sesso e riunisce in sé i valori della paternità e della maternità Cf. Clemente di Alessandria, C’è salvezza per il ricco?, 37; Sinodo di Toledo XI, Simbolo, 6 - DS 526. | |
Principio senza principio [333]
«Dio è amore» (1Gv 4,8). Il principio originario di tutta la realtà è «uno, ma non solitario» Formula “Fides Damasi” - DS 71. Cf. Sinodo di Toledo VI - DS 490. Santa Veronica Giuliani, Diario, 22.4.1697.
È opportuno che, secondo l’uso del Nuovo Testamento, il nome “Dio” indichi normalmente il Padre, perché egli solo è Dio da se stesso e principio senza principio, «sorgente e origine di tutta la divinità» Sinodo di Toledo VI DS 490. Concilio di Costantinopoli I, Simbolo di Nicea-Costantinopoli. Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Copti “Cantate Domino” DS 1331. | |
Testimoni del Padre [334]
L’atteggiamento filiale, che dobbiamo assumere verso il Padre, è profonda adorazione e gioiosa confidenza nello stesso tempo. Va testimoniato con la fraternità verso gli altri uomini, la responsabilità e la creatività nel bene, il coraggio nelle prove.
Di questa testimonianza ha bisogno soprattutto quella parte del mondo moderno, che, rincorrendo l’autonomia della ragione e dell’agire, ha emarginato Dio; ma anziché ritrovarsi adulta, ha finito per sentirsi orfana. Il Padre di Gesù non ha niente a che fare con l’immagine paterna rifiutata: non soffoca la libertà, non preserva dalla fatica e dalla sofferenza, non favorisce la passività, la viltà, il servilismo, il fatalismo. È un Padre diverso rispetto alle proiezioni del nostro desiderio, come Gesù è un salvatore diverso. È premuroso e onnipotente, ma non invadente; è vicino anche nell’apparente assenza; non impedisce il male, ma ne trae il bene, rispettando la libertà delle creature. È il principio originario; ma da lui derivano persone di pari dignità, il Figlio e lo Spirito, con le quali da sempre vive in comunione. | |
Lo Spirito rivelato nella storia
[336]
Significativamente si fa menzione dello Spirito in apertura e in chiusura della Bibbia: tutta la storia, dalla creazione al compimento ultimo, si svolge sotto il potente “soffio” di Dio. Lo Spirito è l’onnipotenza dell’amore con cui Dio attua il suo progetto nel mondo: produce le cose, dà la vita, suscita i profeti, giustifica i peccatori, fa risorgere i morti
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[337]
Gesù è il Cristo, il consacrato con l’unzione di Spirito Santo: lo riceve dal Padre e lo dona agli uomini. La missione dell’uno è inseparabile da quella dell’altro. Vera missione è quella pubblica di Gesù; missione diversa, ma non meno vera, è quella interiore dello Spirito Santo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna... E... ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,46).
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[338]
Il suo compito è quello di introdurci nella comunione con Dio. Per mezzo di lui l’amore di Dio viene riversato nei nostri cuori e il Padre e il Figlio prendono dimora in noi. Per mezzo di lui noi diventiamo fratelli di Cristo, a lui uniti come suo corpo, partecipi del suo rapporto filiale verso il Padre
| CdA, 743 CONFRONTAVAI CdA 810-814 CONFRONTAVAI |
[339]
Nel testo sopra citato della Lettera ai Galati, il parallelismo tra la missione del Figlio e dello Spirito, indica che questi, sebbene indissolubilmente unito con il Padre e il Figlio, non è solo energia divina, ma soggetto personale distinto; così in altri testi, dove si dice che agisce liberamente, desidera, intercede, si rattrista; così nelle formule in cui è posto come terzo accanto al Padre e al Figlio
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[340]
Secondo la fede della Chiesa, lo Spirito Santo è Dio insieme al Padre e al Figlio e procede «dal Padre e dal Figlio non come da due principî, ma come da uno solo»
Concilio di Lione II, Costituzione “Fideli ac devota”, 1: La somma Trinità e la fede cattolica - DS 850. Cf. Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1300-1301; Id., Bolla di unione dei Copti “Cantate Domino” - DS 1331. Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1301; Concilio Vaticano II, Ad gentes, 2. | |
Il dono
[341]
Lo Spirito Santo «è Persona-amore; è Persona-dono»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 10. San Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 1, 8, 12.
In questo «Amore-dono»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 10.
Lo Spirito è la forza dell’amore, il movimento per condurre ogni cosa al suo pieno compimento in Dio
Cf. Sant’Agostino, Confessioni, 13, 7, 8. | |
[342]
Lo Spirito «soffia dove vuole» (Gv 3,8); è misterioso e inafferrabile, come i suoi simboli biblici: vento, acqua, fuoco, nube, unzione. Arriva ovunque, come presenza attiva del Padre e del Figlio che fa vivere e santifica. Ma è soprattutto la Chiesa il luogo dove «fiorisce lo Spirito»
Sant’Ippolito di Roma, La tradizione apostolica, 35.
«Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità una dominazione, la missione una propaganda, il culto un’evocazione, l’agire cristiano una morale da schiavi. Ma in lui... il cosmo è sollevato e geme nel parto del Regno; l’uomo lotta contro la carne; Gesù Cristo Signore risorto è presente; il vangelo è potenza di vita; la Chiesa è segno di comunione trinitaria; l’autorità è servizio liberatore; la missione è una Pentecoste; la liturgia è memoriale e anticipazione; l’agire umano è deificato»
IV Assemblea mondiale delle Chiese (Uppsala 1968), Discorso di Ignatios Hazim metropolita di Lattaquié (Laodicea) del patriarcato ortodosso greco di Antiochia. | |
Un linguaggio difficile
[344] Secondo un’opinione abbastanza diffusa, il mistero della Trinità sarebbe una dottrina astrusa e lontana dalla vita. In realtà, invece, è una luce che dà significato e bellezza a tutto, sebbene in se stessa non possa essere fissata, perché troppo intensa.
In Cristo e nella sua Chiesa Dio ha dato se stesso, come egli è, Padre e Figlio e Spirito Santo. La fede cristiana fin dalle origini professa il monoteismo trinitario, escludendo da una parte il politeismo e dall’altra il monoteismo rigido; ma, per trovare un’espressione linguistica accurata e precisa, ha impiegato molti secoli; anzi, si può dire che la ricerca continua ancora, perché l’intelligenza del mistero, per quanto inadeguata e debolissima, risulta sempre ardua da formulare.
Le formule trinitarie, proposte con autorità dal magistero ecclesiastico, mettono in evidenza sia l’uguaglianza e l’opera comune delle persone divine sia l’ordine reciproco e dinamico tra di loro. Una delle più complete e analitiche è quella del concilio di Firenze, nell’anno 1442, che riportiamo quasi integralmente: «Un solo, vero Dio, onnipotente, immutabile e eterno, Padre, Figlio e Spirito Santo; uno nell’essenza, trino nelle persone, Padre non generato, Figlio generato dal Padre, Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio... Queste tre persone sono un solo Dio e non tre dèi, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l’essenza, una la natura, una la divinità, una l’immensità, una l’eternità, e tutto è uno, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio... Tutto quello che il Padre è o ha, non lo ha da un altro, ma da se stesso, ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è o ha, lo ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito Santo è o ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme. Ma il Padre e il Figlio non sono due principî dello Spirito Santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principî della creazione, ma un solo principio»
Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Copti “Cantate Domino” - DS 1330-1331. | |
Perfetta comunione di carità
[345] Sarebbe ingenuità e presunzione cercare una chiarezza completa. Tuttavia un barlume di luce può venire attraverso la debole, ma preziosa analogia dell’amore umano, che comporta sempre distinzione e comunione di persone, in quanto è trasferire se stesso nell’altro, riporre in lui le ragioni del vivere, la propria vita più vera.
«Se vedi la carità, tu vedi la Trinità»
Sant’Agostino, La Trinità, 8, 8, 12. Sant’Agostino, La Trinità, 8, 10, 14. | |
[346] Nessuna delle tre persone supera le altre nella eternità, nella perfezione o nel potere. Tuttavia il Padre è il primo perché dona e non riceve; il Figlio è secondo perché riceve dal Padre; lo Spirito Santo è terzo perché procede dal Padre attraverso il Figlio. Vivono uno per l’altro, con l’altro e nell’altro in perfetta unità e reciprocità dinamica. Ciascuno è se stesso in quanto è tutto rivolto agli altri e si compenetra con essi, in uno slancio inesauribile di vita che esce eternamente dal Padre e al Padre eternamente si volge.
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[347]
L’unità di Dio rimane fuori discussione: il Padre è l’unico principio di tutta la vita divina; le tre persone insieme sono l’unico principio di tutta la realtà creata. «Un solo Dio e Padre, dal quale sono tutte le cose; e un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose; e un solo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose», proclama il II concilio di Costantinopoli nell’anno 553
Concilio di Costantinopoli II, Condanne contro i “tre Capitoli”, 1 - DS 421. San Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 1, 8, 14. | |
Partecipi della vita trinitaria
[348] Per noi uomini la Trinità è l’origine, il sostegno, la direzione e la meta del nostro cammino. Siamo creati a sua immagine e chiamati a partecipare alla sua vita di amore.
Siamo soggetti singoli e irripetibili; ma ci apparteniamo gli uni gli altri. Tendiamo ad affermare la nostra identità personale, la nostra libertà e originalità; non però nell’isolamento. Per essere noi stessi e sentirci vivi, abbiamo bisogno che altre persone ci accettino e riconoscano il nostro valore; abbiamo bisogno di comunicare con loro e di condividere le cose, gli atteggiamenti, perfino i segreti più intimi. Ciò si può realizzare solo nella reciprocità dell’amore, non certo in altri rapporti umani caratterizzati dalla violenza, dal dominio, dal possesso.
Secondo un detto di Gesù, non riferito dai Vangeli canonici, ma attribuito a lui dall’antica tradizione cristiana, il regno di Dio viene «quando due diventano uno»
Clemente d’Alessandria, Stromati, 3, 13. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 24. | CdA, 808 CONFRONTAVAI |
[349] Un discorso analogo va fatto per tutte le realtà sociali, dalle piccole comunità ai popoli: anch’esse possono svilupparsi solo nella comunicazione reciproca, libera e rispettosa. L’impegno cristiano nella storia mira a realizzare la più grande libertà nella più grande solidarietà, evitando da una parte la solitudine dell’individualismo e dall’altra l’oppressione del collettivismo. Esso riserva un’attenzione privilegiata alla famiglia, riflesso della comunione trinitaria, esperienza primaria della reciprocità, in cui la persona vive e cresce.
La Chiesa, da parte sua, deve porsi come immagine viva e concreta della Trinità, edificandosi come un solo corpo con molte membra, nella comunicazione incessante dei fedeli e delle loro varie aggregazioni.
La Trinità è il mistero di Dio; ma è anche il segreto più profondo della vita dell’uomo.
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[350] Padre, Figlio e Spirito Santo: tre persone un solo Dio. Donazione, Accoglienza, Dono: una perfetta comunione di amore.
Noi, creati a immagine di Dio, ci realizziamo solo nella reciprocità dell’amore, donando e accogliendo, facendo unità.
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Elezione e predestinazione
[352]
Nel Signore morto e risorto gli apostoli e la Chiesa dei primi tempi, illuminati dallo Spirito Santo, hanno intravisto non solo il mistero della vita personale di Dio, ma anche il suo progetto globale sull’uomo e sul mondo. In questa rivelazione è la risposta a domande fondamentali: qual è il senso della storia? ha una direzione e una meta? che cosa possiamo sperare?
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[353]
La storia obbedisce a un disegno di amore
Dio ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha creato gli uomini, per introdurli nella comunione trinitaria: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6). Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito, mediante la sua incarnazione e il dono dello Spirito Santo. Li ha «predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
Cristo è il primo eletto. Noi siamo progettati in modo da poter realizzare la nostra identità in dipendenza da lui. È questa la nostra vocazione costitutiva, che può essere rifiutata, non annullata. Da parte sua Dio vuole che tutti si salvino
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A gloria della sua grazia
Da sempre il Padre genera il Figlio e lo attrae a sé nello Spirito; il Figlio è rivolto al Padre nello stesso Spirito. Dio non soffre di solitudine; è pienamente se stesso nella comunione trinitaria dell’amore: nulla può accrescere la sua perfezione e beatitudine. All’origine del mondo creato c’è solo la “grazia”, cioè l’amore sovranamente libero e gratuito del Padre. Egli non ricava da noi alcuna utilità: «Dio non creò Adamo, perché aveva bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno in cui riporre i suoi benefici»
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 14, 1. | |
[355]
Che senso ha allora l’affermazione di fede, secondo cui Dio ha creato il mondo per la sua gloria
Cf. Concilio Vaticano I,Dei Filius, Canoni I, 5 - DS 3025. Concilio Vaticano I,Dei Filius, I, - DS 3002. | |
Attuazione del disegno
[356]
La suprema glorificazione del Padre, cioè la più alta manifestazione della sua bontà e della sua sapienza, è Gesù Cristo, il Figlio unigenito, fatto uomo, crocifisso e risorto. Per mezzo di lui il Padre conferisce ad ogni cosa la perfezione e il senso definitivo. Fin dall’inizio guarda a lui come modello e meta di ogni sua opera. Anzi, in quanto Verbo, lo ha già con sé come autore dell’intera creazione: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17).
Il disegno eterno del Padre, «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10), viene rivelato e attuato nella storia secondo un ordine sapiente di eventi, che costituiscono “l’economia del mistero”
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 20, 7. | |
Dal Dio della storia al Dio della creazione
[358]
L’attuazione dell’eterno disegno del Padre, incentrato nel suo Figlio Gesù Cristo, passa anzitutto attraverso la creazione. Ma proprio a riguardo di essa numerosi sono gli interrogativi che ci si pongono.
La moderna immagine scientifica del mondo non corrisponde più a quella dell’ambiente in cui fu scritta la Bibbia. Ed ecco allora per noi domande inevitabili: il progresso scientifico contraddice forse la fede biblica? l’evoluzione è forse incompatibile con la creazione? qual è il senso della dottrina sulla creazione? intende descrivere come il mondo è iniziato e si è sviluppato, oppure vuole affermare soltanto la totale dipendenza da Dio?
La fede biblica in Dio creatore è nata come esplicitazione della fede in Dio salvatore. Israele, nell’esodo dall’Egitto e in tutta la sua storia, ha sperimentato come Dio tenga nelle sue mani le persone, i popoli e gli avvenimenti. Di lui ci si può fidare assolutamente. È onnipotente e può sempre mantenere le promesse. È il Signore incontrastato della storia e dell’universo. È il Signore, perché è il creatore e tutto dipende da lui.
Israele ha anche sperimentato come Dio sia imprevedibile, pronto a capovolgere le sorti dei potenti e degli oppressi, ad aprire nuove strade quando tutto sembra bloccato, sovranamente libero nel suo agire storico. Ciò presuppone che sia ugualmente libero nella sua azione creatrice: «Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 33,9).
Il mondo esiste perché Dio lo vuole. Dio è il Signore incondizionato di tutta la realtà. Questo propriamente interessa la fede religiosa. Questo in definitiva è il messaggio che la Bibbia intende dare, anche quando narra diffusamente l’opera divina.
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I racconti della creazione
[359]
I due racconti biblici della creazione fanno parte della cosiddetta “storia primitiva”, comprendente anche il peccato delle origini, la diffusione del male e le promesse di salvezza
Il primo racconto, più recente, procede solenne, come un inno, intessuto di ripetizioni e parallelismi; segue lo schema dei sette giorni, non per indicare sette epoche, ma per insegnare che l’uomo è chiamato a continuare l’opera di Dio con il lavoro e a riposare e far festa con lui, come suo collaboratore e amico; presenta il mondo come un’armonia mirabile, che in virtù dello Spirito e della parola di Dio sorge dalle acque e dalle tenebre, simbolo del caos e del nulla.
Il secondo racconto è il più antico; unisce vivacità e colore descrittivo alla fine penetrazione psicologica; utilizza un altro modello di pensiero simbolico; qui il mondo fiorisce in mezzo al deserto del nulla come un’oasi, irrigata dai fiumi e rigogliosa di vita, come un giardino affidato alle cure dell’uomo; questi non compare più al termine, ma al centro della successione.
Il redattore non avverte alcuna contraddizione tra i due racconti, perché, sia pure con diverse rappresentazioni, essi danno un insegnamento convergente. A lui non interessano le modalità e la successione dei fenomeni, ma la totale dipendenza da Dio, la fondamentale bontà delle creature, la preminente dignità della creatura umana, il valore del lavoro e del riposo, della sessualità e del matrimonio.
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Creazione continua
[360]
Nella Bibbia la creazione è presentata come l’inizio della storia della salvezza, la prima delle mirabili opere di Dio; ma anche come la sua attività continua, il fondamento perenne di ogni cosa. L’universo dipende sempre da Dio, sia per iniziare sia per continuare ad esistere e per svilupparsi verso nuove e più alte forme di vita. Il soffio dello Spirito avvolge e penetra le creature, le sostiene e le fa germogliare come vento di primavera: «Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni. Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,27-30). La creazione non è il gesto compiuto da Dio in un tempo remoto, ma il dono di ogni giorno: «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28).
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Creazione dal nulla
[361]
Dio crea dal nulla: «Contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti» (2Mac 7,28). Dio crea dal nulla l’universo spirituale e materiale
Cf. Concilio Lateranense IV, Costituzione 1 “De fide catholica” - DS 800; Concilio Vaticano I, Dei Filius, Canoni I, 5 - DS 3025.
La fede nella creazione, così intesa, genera una speranza incrollabile: «Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra» (Sal 124,8). Se Dio può creare dal nulla, a lui tutto è possibile. Può convertire i peccatori, compresi i più induriti, e rigenerarli a una nuova vita spirituale. Può perfino risuscitare dalla tomba, egli che «dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17). Non è senza ragione che nella veglia pasquale, in cui celebriamo la risurrezione di Cristo e la nostra rinascita, si proclami anche il racconto della creazione.
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Discorso religioso e discorso scientifico
[362] Dipendenza continua e totale da Dio: ecco il contenuto della fede. Restano fuori dalla sua prospettiva le modalità fenomeniche del divenire cosmico. Viceversa la scienza indaga proprio queste modalità. Ne consegue che non ha senso contrapporre discorso religioso e discorso scientifico; e neppure tentare di armonizzarli, quasi si trovassero ambedue sullo stesso piano.
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Il mediatore della creazione
[363]
Se il Padre è l’origine prima e il fine ultimo di tutte le cose, Gesù Cristo è il mediatore universale della creazione, non meno che della salvezza. Un motivo in più per alimentare la nostra fiducia e liberarci da ogni soggezione nei confronti di forze minacciose e oppressive: «In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra,... per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1Cor 8,5-6).
Come gli antichi ebrei a partire dall’esperienza dell’esodo hanno approfondito la conoscenza di Dio salvatore, fino a riconoscerlo creatore del cielo e della terra, così i cristiani, a partire dall’esperienza della Pasqua penetrano nel mistero del Cristo salvatore fino a comprendere che tutto viene creato per mezzo di lui e trova in lui consistenza e significato
Le creature vengono all’esistenza e si sviluppano, in quanto il Padre le chiama dal nulla e le attrae a sé mediante il Figlio con la potenza dello Spirito. Il Verbo e lo Spirito Santo sono, per così dire, «le mani»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 7, 4. Sant’Atanasio di Alessandria, Lettera a Serapione, 1, 31. | |
[364] Dio può salvarci, perché è il creatore libero e onnipotente: la creazione è presupposto e inizio della storia della salvezza.
Le creature spirituali e materiali dipendono da Dio in tutto il loro essere: per iniziare, per continuare ad esistere e per svilupparsi.
La ragione potrebbe conoscere la verità della creazione. Facilmente però rimane offuscata e ha bisogno di una luce e di una conferma superiore. «Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede» (Eb 11,3).
Scienza e teologia devono essere consapevoli dei loro limiti: la scienza non riguarda il fondamento primo e il senso ultimo; la fede non riguarda le modalità evolutive.
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Un mondo buono ma incompiuto
[365] Se il mondo dipende interamente da Dio, non dovrebbe essere perfetto? Come mai insieme ad aspetti di meravigliosa bellezza presenta aspetti di disordine e di male? È governato da Dio o da un destino cieco? Il male può ricevere un senso?
Dio ha creato «il cielo e la terra» (Gen 1,1), cioè l’universo, tutto ciò che esiste fuori di lui. Il mondo creato è buono e bello, nelle singole creature e ancor più nella loro interdipendenza e nell’ordine complessivo: «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza» (Sal 104,24). Il solo fatto che una cosa o una persona esista è segno che è amata: «Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?» (Sap 11,24-25). Dio non dimentica neppure l’erba del campo e i piccoli uccelli del cielo
Le creature ricevono il dono di esistere e quello di agire. Dio fa sì che le cose si facciano, interagiscano tra loro e cooperino con lui. Crea un mondo buono e bello, ma incompiuto, perché possa muoversi attivamente verso la perfezione definitiva: un mondo complesso, dinamico, misterioso. La parte più elevata di esso è costituita da soggetti personali, gli uomini e gli angeli, in grado di tendere al fine liberamente e di interpretare e governare le altre creature.
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La persona umana
[366]
«Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Unico tra le creature visibili, l’uomo è fatto a immagine di Dio, capace di dialogare con lui, di conoscerlo e di amarlo. Soggetto consapevole di sé, libero e aperto all’infinito, si conosce, si interroga, si possiede, si dona. Soggetto corporeo e sessuato, riceve e trasmette la vita in un tessuto di relazioni, nell’unità del genere umano
| CdA, 801 CONFRONTAVAI |
Origine dell’uomo
[367]
L’uomo è tratto dalla terra e partecipa del mondo materiale; ma riceve direttamente da Dio il soffio della vita spirituale
Cf.San Leone IX,Congratulamurvehementer - DS685; Pio XII,Humani generis - DS3896. | |
Creazione degli angeli
[368]
Dio ha creato anche gli angeli
Cf.Concilio Lateranense IV,Costituzione 1 “De fide catholica” - DS800; Concilio Vaticano I,Dei Filius, I e Canoni I, 5 - DS3002; 3025. Cf.Pio XII,Humani generis - DS3891. | |
Provvidenza divina
[369]
Dio dirige tutte le cose alla perfezione definitiva. A ognuna dà consistenza, energia, identità, fine e leggi proprie; insieme le compone in un ordine dinamico globale, «con misura, calcolo e peso» (Sap 11,20). Ed esse, con la loro singolarità e con l’interdipendenza reciproca, celebrano la sua sapienza e il suo amore.
Soprattutto, la Provvidenza divina conduce la storia dell’uomo, perché possa conseguire la meta della sua vocazione. Il Padre veglia con premurosa sollecitudine su tutti e su ciascuno. Dal principio alla fine la Bibbia attesta la coerente attuazione del suo mirabile disegno di salvezza, incentrato in Cristo. Singole vicende, come quelle di Giuseppe venduto dai fratelli, di Mosè salvato dalle acque, di Tobia accompagnato dall’angelo, si offrono, a una lettura di fede, come segni incoraggianti della sua vicinanza. Il credente sa di poter andare avanti con fiducia: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla... Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23,13-4).
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Lo scandalo del male
[370] La fede nella Provvidenza è messa a dura prova dallo scandalo del male: dov’è Dio, quando i cataclismi della natura, le guerre, la fame e le malattie fanno strage di intere popolazioni? perché i giusti e gli innocenti soffrono, mentre i malvagi trionfano?
La protesta ha assunto, fin dall’antichità, una forma logica serrata con il filosofo Epicuro: «Dio o vuole togliere il male e non può; o può e non vuole; o non vuole e non può; o vuole e può. Se vuole e non può, è debole; se può e non vuole, è malevolo; se non vuole e non può, è malevolo e debole; se vuole e può, come si addice a lui, perché esiste il male e Dio non lo elimina?»
Lattanzio,Dio è impassibile?, 13. Occorre una risposta articolata. Ma viene subito in mente un’osservazione: Dio è misterioso e le sue vie rimangono nascoste, ma negare Dio significa rinunciare alla speranza di superare il male, rassegnarsi alla sconfitta definitiva.
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[371]
Nella Bibbia, il libro di Giobbe demolisce le facili spiegazioni teologiche, «sentenze di cenere», «difese di argilla» (Gb 13,12); ma, nello stesso tempo, rimprovera chi vuol mettere sotto processo la Provvidenza. L’uomo è troppo piccolo davanti a Dio: vede solo le frange delle sue opere e ode appena un sussurro della sua potenza
Per quali vie si espande la luce, si diffonde il vento d’oriente sulla terra?... Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada?... Vai tu a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncini, quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato fra le macchie? Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo?» (Gb 38,4-922242839-41). Dio è infinitamente grande e non c’è da sorprendersi che risulti anche misterioso. Sono fuori luogo sia i tentativi di giustificarlo, sia quelli di accusarlo. L’atteggiamento corretto davanti a lui è l’umile e fiducioso abbandono: «Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te» (Gb 42,2).
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L’origine del male
[372] Tuttavia il male ci investe da ogni parte, in molte forme: disgrazie, violenze, malattie, miseria, oppressione, ingiustizia, solitudine, morte. Non possiamo evitare la domanda: da che cosa dipende questa infelice situazione? perché l’uomo è soggetto alla sofferenza?
Molti mali derivano senz’altro dai limiti naturali, dall’inserimento nel mondo. Partecipando a un processo evolutivo globale, l’uomo nasce, si trasforma e muore come gli altri esseri della natura. Può ricevere la vita solo a frammenti.
La precarietà della condizione creaturale viene poi aggravata da innumerevoli colpe personali, che procurano più o meno direttamente una infinità di guai, a sé e agli altri: basti ricordare i danni recati alla salute, le storture della convivenza sociale, le guerre.
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[373] Questa solidarietà negativa non solo inclina a commettere i peccati personali, che causano molte sofferenze, ma impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura. Molte volte, più che il soffrire pesa il soffrire inutilmente, senza un significato. L’universale alienazione da Dio priva l’animo della forza e della gioia, che deriverebbero da un’intensa comunione con lui e sarebbero capaci di riempire e trasfigurare le stesse esperienze dolorose.
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[374]
Secondo l’intenzione del Creatore, l’uomo dovrebbe vivere in un paradiso terrestre
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[375] L’esperienza del male come tale trova dunque la sua origine nel peccato degli angeli e degli uomini, non in Dio. Il Signore crea un mondo in divenire, in cui le creature possano muoversi attivamente e liberamente verso la perfezione. Ciò comporta che innumerevoli esseri vengano continuamente distrutti, perché altri possano vivere, e che gli angeli e gli uomini possano peccare. Dio prende sul serio la libertà delle sue creature, fino a permettere che gli si ribellino. Agisce in modo simile a una madre, che, sia pure con intima sofferenza, espone il suo bambino al rischio di cadere a terra, perché impari a camminare.
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[376]
Dio non impedisce il male; ma ne trae il bene. Il suo atteggiamento si rivela definitivamente nella croce di Gesù Cristo. Egli ama appassionatamente gli uomini, fino a prendere su di sé il peso della loro miseria come fosse la propria. È vicinissimo anche quando sembra assente. Dal delitto più grande, che è la crocifissione di Gesù, trae il più grande bene, che è la sua risurrezione e la nostra redenzione. Fa crescere nella prova l’amore più puro, che riscatta i peccatori dalle loro colpe. Conduce infine alla vittoria e alla liberazione completa: Cristo «vince il peccato con la sua obbedienza fino alla morte e vince la morte con la sua risurrezione»
Giovanni Paolo II,Salvifici doloris, 14. A.Manzoni,I promessi sposi, 8. | |
[377] Dio ha creato un mondo buono, in cammino verso la perfezione definitiva, con gli angeli e gli uomini capaci di muoversi e orientarsi liberamente.
La divina Provvidenza guida il cammino di tutte le creature con sapienza e amore.
Il male dipende in definitiva dall’abuso della libertà da parte delle persone create.
Dio non fa il male; non lo impedisce, perché rispetta la libertà; lo fa servire al bene. «Sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33).
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Servitori di Dio e di Cristo
[378] Nella nostra cultura dubbi e negazioni riguardo agli angeli e ai demòni coesistono con il fascino dell’occulto. Occorre chiarire e chiedersi: ci sono davvero queste presenze nella storia? quale incidenza hanno?
La rivelazione attesta la creazione dei puri spiriti e la loro chiamata alla comunione con Cristo. Creati liberi, possono liberamente accogliere o rifiutare il disegno di Dio. Una parte di essi lo accoglie: sono gli angeli santi. Ora stanno davanti a Dio per servirlo, contemplano la gloria del suo volto e giorno e notte cantano la sua lode
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[379]
Cristo è il loro capo
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Protettori della Chiesa
[380]
In modo analogo gli angeli accompagnano e aiutano la Chiesa nel suo cammino. Incoraggiano gli apostoli
San Basilio di Cesarea,Contro Eunomio, 3, 1. | |
Gli spiriti ribelli
[381]
Altri angeli sono invece nemici dell’uomo. Sono chiamati demòni. Accecati dall’orgoglio, si sono ribellati a Dio con una scelta irreversibile e perciò impossibile da perdonare
| CdA, 181 CONFRONTAVAI |
Satana
[382]
I demòni hanno come capo Satana. La sua forza distruttiva e il suo influsso nella storia sono indicati dalla Bibbia in termini impressionanti: «il principe di questo mondo» (Gv 12,31); «il grande drago, il serpente antico... che seduce tutta la terra» (Ap 12,9); «omicida fin da principio... e padre della menzogna» (Gv 8,44), «colui che della morte ha il potere» (Eb 2,14); il «maligno» che domina «tutto il mondo» (1Gv 5,19). Bisogna dunque vedere in lui una persona, malvagia e potente che, attraverso un’illusione di vita, organizza sistematicamente la perdizione e la morte.
Si può riconoscere un suo influsso particolare nella forza della menzogna e dell’ateismo, nell’atteggiamento diffuso di autosufficienza, nei fenomeni di distruzione lucida e folle. Ma tutta la storia, a cominciare dal peccato primordiale
Concilio Vaticano II,Gaudium et spes, 37.
Così inquietante è la forza del male, che alcune dottrine religiose hanno immaginato l’esistenza di un dio malvagio, indipendente e concorrenziale rispetto al Dio del bene. La Chiesa rifiuta questo modo di vedere
Cf. Concilio Lateranense IV,Costituzione 1 “De fide catholica” - DS800. Paolo VI, Discorso del 15 novembre 1972. | CdA, 186 CONFRONTAVAI |
Vigilanza cristiana
[383]
Nei confronti di Satana e dei demòni bisogna essere vigilanti, ma senza paura. Essi ricevono da Dio le loro energie; possono agire liberamente finché Dio lo permette; loro malgrado, con le loro stesse macchinazioni, come è avvenuto nella passione di Cristo, finiscono per contribuire al regno di Dio e al nostro bene. La supremazia di Dio e di Cristo è totale, dal principio alla fine. Non abbiamo nulla da temere. Cristo ha vinto i demòni e ha dato anche a noi la possibilità di lottare vittoriosamente contro di essi.
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[384] Le rappresentazioni letterarie e artistiche dei secoli passati sono diventate estranee alla cultura del nostro tempo. Sarebbe però un errore pericoloso relegare il demonio nel mondo della pura fantasia: la più fine astuzia del diavolo, secondo un detto famoso, sta proprio nel persuadere la gente che lui non esiste. D’altra parte non bisogna vedere la sua presenza dappertutto e alimentare paure irrazionali o un interesse malsano. Satana esercita un certo fascino sull’uomo moderno, che all’efficienza tecnica tende ad associare l’efficienza magica, cioè la manipolazione a proprio vantaggio delle forze preternaturali. Di qui la diffusione di pratiche superstiziose e culti satanici. Chi cerca Satana, l’ha già trovato. La sete di potere ad ogni costo si oppone radicalmente all’atteggiamento di fede, che è abbandono fiducioso alla volontà di Dio.
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Azione diabolica
[385] Ordinariamente l’azione degli spiriti maligni nei confronti degli uomini consiste nella tentazione al peccato. Ciò che loro interessa è soprattutto il nostro traviamento spirituale. Oltre la tentazione, ad essi vengono attribuiti alcuni fenomeni prodigiosi di carattere negativo: l’ossessione, che è violenza interiore o esteriore per recare turbamento; la possessione, che è presa di possesso del corpo con crisi tempestose, alternate a periodi di calma; la infestazione, che riguarda i luoghi e provoca danni e timori.
Nell’interpretare questo genere di fenomeni, occorre essere estremamente cauti. È diffusa una credulità morbosa nei prodigi demoniaci, nei malefici, nella mala sorte. Si vede il diavolo dappertutto, meno dove sicuramente sta, cioè nel peccato. Per la gran parte dei casi si tratta di immaginazioni e dicerie senza fondamento o di malattie psichiche, spiegabili con i dinamismi dell’inconscio in personalità dissociate. Per un prudente discernimento, vanno consultati psicologi e psichiatri competenti e rispettosi della fede.
Qualche volta però la spiegazione psicologica non sembra adeguata. Si può supporre con buona probabilità l’azione demoniaca in presenza di alcuni segni concomitanti: forza fisica abnorme, comunicazione attraverso lingue ignote, conoscenza di cose lontane o segrete, atmosfera malsana, avversione alle realtà religiose.
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Preghiera di liberazione
[386] In questi casi, come in ogni situazione di sofferenza, è consigliabile ricorrere alla preghiera, umile e fiduciosa, che non pretende di conseguire i risultati ad ogni costo, ma accetta quello che Dio, nella sua provvidenza, dispone. È bene impegnarsi seriamente in un cammino di vita cristiana, comprendente il sacramento della riconciliazione e la comunione eucaristica, le opere di penitenza e di carità, la fedeltà ai propri doveri. Si può ricorrere infine all’esorcismo.
| CdA, 187 CONFRONTAVAI |
[387] L’esorcismo è un sacramentale, un gesto compiuto a nome della Chiesa. Nella forma deprecativa ci si rivolge a Dio, perché cacci il demonio; nella forma imperativa, confidando nella vittoriosa potenza di Cristo, si ordina al demonio di andar via. In ambedue le forme implica un atteggiamento di umile fiducia. L’efficacia non è automatica; dipende dalla volontà di Dio.
Può fare l’esorcismo solo un ministro autorizzato dal vescovo. L’autorizzazione viene data a persone dotate di pietà, scienza, prudenza e integrità morale
Cf.Codice di diritto canonico, 1172. | |
[388] I puri spiriti, rimasti fedeli a Dio, lo glorificano incessantemente con la lode e il servizio; proteggono la Chiesa e accompagnano il nostro cammino verso la vita eterna.
Gli spiriti ribelli odiano Dio e la sua creazione; tentano gli uomini al peccato; mettono in opera varie forme di violenza e di inganno. Sono stati vinti da Cristo. Non bisogna temerli; ma occorre essere vigilanti.
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Corruzione di Israele
[389]
«Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22): ci sono due misteriose solidarietà, l’una conduce alla perdizione e l’altra alla salvezza. Approfondire questa verità significa rispondere a domande come queste: perché Gesù Cristo è il salvatore di tutti gli uomini? perché gli uomini hanno bisogno di essere salvati? in che senso sono tutti peccatori? come si è arrivati a prendere coscienza di questa solidarietà nel male?
L’Antico Testamento vede la storia come un dialogo drammatico tra Dio e il suo popolo. Dio fa dono dell’alleanza e rimane sempre fedele. Israele tradisce l’alleanza e sperimenta quanto sia amaro e rovinoso allontanarsi dal Signore: «Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento... perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità» (Is 64,5-6). Ma più Dio nella sua misericordia si mostra pronto a perdonare e a riprendere in mano l’avvenire del suo popolo, più questi torna a disfare e a ingarbugliare la tela.
Così Israele comprende che il male morale è difficile da estirpare; si rende conto di essere stato peccatore da sempre, a cominciare dagli antichi padri. Osserva che gli altri popoli lo sono ugualmente; intuisce che l’umanità intera è corrotta fin dalle origini e nessun vivente è giusto davanti a Dio.
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Corruzione dell’umanità
[390] La prospettiva dell’alleanza viene estesa alla storia universale: ciò che accade tra Dio e Israele, accade in modo analogo tra Dio e l’umanità. All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia e una condizione di vita paradisiaca. L’uomo gli si ribella con il primo peccato, che stravolge la sua esistenza, e poi affonda in una moltitudine di peccati. Dio, fedele e misericordioso, gli rimane vicino e lo conforta, promettendogli la salvezza.
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[391]
L’uomo cede alle lusinghe del serpente, immagine dell’idolatria e in definitiva di Satana; non si fida di Dio; rifiuta di riconoscerlo come Signore della sua vita e norma del suo agire; non tiene conto dell’ordine sapiente, da lui posto nella creazione. Mangia il frutto dell’albero della scienza del bene e del male e così si fa legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male; pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio illimitato di vivere; vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e onnipotente.
Ma l’uomo si ritrova nudo, misero e solo in una terra diventata ostile; si sente umiliato dalla vergogna, minacciato dalla morte, incapace di controllare gli istinti. Il rifiuto della comunione con Dio porta con sé la divisione tra gli uomini stessi. L’armonia originaria con Dio, con se stesso, con gli altri e con la natura è perduta; il ritorno al giardino è sbarrato dalla «fiamma della spada folgorante» (Gen 3,24).
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[392]
L’umanità prende a rotolare verso il basso, trascinata dalla logica del peccato. Il male dilaga da ogni parte, come il diluvio: «La terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza» (Gen 6,11). La società precipita nella confusione e nella disgregazione: non bastano tecnica e organizzazione a portare a termine la torre di Babele
| CdA, 1146 CONFRONTAVAI |
[393]
La salvezza può venire solo da Dio. E Dio va a cercare l’uomo; gli fa prendere coscienza del peccato; gli promette la vittoria sul serpente; lo riveste con una tunica di pelle, in segno di premura e di protezione; continua poi a intervenire, salvando Noè e la sua famiglia dal diluvio
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Il potere del peccato
[394]
Il Nuovo Testamento proclama la lieta notizia che la salvezza comincia a realizzarsi. A partire dal mistero della redenzione si comprende meglio anche il mistero del peccato
Da che cosa dipende questa necessità? Dal fatto che «giudei e greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c’è nessun giusto, nemmeno uno» (Rm 3,9-10). Il mondo intero deve ammutolire e riconoscersi peccatore, poiché «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23); la creazione stessa è soggetta alla caducità e alla corruzione
Lasciati a se stessi, gli uomini commettono molti peccati, perché il loro cuore è cattivo e produce azioni cattive di ogni genere
Come mai si trovano in questa situazione di debolezza e di corruzione? Come mai appartengono al regno delle tenebre? Il peccato e la morte sono entrati nel mondo per colpa dell’uomo stesso
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Tra pelagianesimo e protestantesimo
[395]
La triste schiavitù del genere umano, evidenziata drammaticamente dalla rivelazione, viene ulteriormente precisata nella dottrina della Chiesa. Le prese di posizione del Magistero sono provocate dalla necessità di rispondere a due opposti errori. Nel secolo V il pelagianesimo afferma che l’uomo, a parte il cattivo esempio che ha ricevuto dai progenitori, è sano e può vivere onestamente, senza l’aiuto della grazia di Dio. Al contrario, nella Riforma protestante si sostiene che l’uomo viene al mondo totalmente corrotto e inclinato irresistibilmente al male, senza vera libertà, incapace perfino di cooperare con la grazia divina. La dottrina della Chiesa, stabilita dal secondo sinodo di Orange nel 529 e dal concilio di Trento nel 1546, respinge queste visioni estreme. Questi sono i suoi punti principali: il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale per loro e per tutti i discendenti; il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto riceve una natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al peccato; la corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia; la redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la giustificazione e la salvezza; il peccato originale è soppresso mediante il battesimo; rimane la concupiscenza, che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma propriamente non è peccato
Cf.Sinodo di Orange II,Canoni 1-2 - DS371-372; Concilio di Trento, Sess.V, Decr. Sul peccato originale 1; 4 - DS1511; 1515; Id., Sess.VI, Decr. Sulla giustificazione, Can.1; 2; 4; 5 - DS1551; 1552; 1554; 1555. | |
Alienazione da Dio
[396] Le indicazioni provenienti dai documenti della fede possono essere ancora approfondite con la riflessione teologica, per evidenziare meglio il senso della verità rivelata, che peraltro rimane sempre misteriosa.
Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo accompagna. Mai si parte da zero. Viviamo inseriti in una comunicazione incessante di doni naturali, culturali e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni umane, perché l’umanità intera sia un solo corpo in Cristo.
I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male. Deformano la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle decisioni personali. Si sviluppa una storia alienata da Dio e avversa a Cristo, che non coopera alla comunicazione della vita divina, anzi la ostacola e la blocca. Se ogni peccato ha una dimensione sociale, il peccato primordiale dell’umanità ha un’influenza singolare, perché ha messo in moto tutta questa solidarietà negativa e ha impedito la trasmissione della giustizia originale con le sue modalità peculiari di integrità e immortalità.
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[397] Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, inizia la sua esistenza in questo contesto umano inquinato. Viene al mondo privo della grazia santificante, incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo sopra ogni cosa, incline a chiudersi nell’esperienza terrena e ad assolutizzare i beni temporali. Così la sua libertà, indebolita interiormente e per di più condizionata negativamente all’esterno da un ambiente divenuto opaco nei confronti di Dio, non riuscirà ad osservare i comandamenti e arriverà, prima o poi, a commettere gravi peccati personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
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[398] La triste condizione, in cui l’uomo nasce, è uno stato oggettivo della natura umana, trasmesso insieme ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata “peccato originale”, non perché sia una colpa, ma perché deriva dalla colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. Presenta analogie con la situazione permanente di peccato, che si determina in chi ha commesso una grave colpa. Può essere chiamata anche con altri nomi, ad esempio corruzione o alienazione originale.
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La vittoria della Pasqua
[399]
Nessun uomo potrebbe da solo, con le sue forze, uscire dal regno del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri. Ci rigenera a nuova vita, come figli di Dio. Certo, anche dopo la rigenerazione, rimangono l’inclinazione interiore disordinata e l’influsso esteriore negativo, ma questi non sono più irresistibili. Si deve ancora combattere, ma si può vincere. Così anche la sofferenza e la morte rimangono, ma cambiano senso e diventano occasione di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e trasfigura le sue conseguenze. Ci introduce nella condizione pasquale, superiore alla stessa condizione paradisiaca originale, in quanto ci dà la possibilità di giungere a una perfezione più alta: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).
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[400] Il peccato primordiale dell’umanità ha impedito
la trasmissione della giustizia originale e della condizione paradisiaca; ha dato avvio a una solidarietà negativa.
Il peccato originale, presente in ogni uomo che viene al mondo, è privazione della grazia santificante, incapacità di entrare in dialogo filiale con Dio e di vincere l’inclinazione a commettere i peccati personali. Il peccato originale viene soppresso nella giustificazione, mediante la comunicazione della grazia divina da parte del Signore, crocifisso e risorto, redentore di tutti gli uomini.
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In tutta la storia
[401]
Il potere del peccato si propaga insieme al genere umano a partire dalle origini e perciò raggiunge inesorabilmente tutti gli uomini. Ma anche la redenzione abbraccia tutta la storia.
Il racconto biblico del peccato primordiale contiene già una promessa di salvezza, il primo vangelo
Cf. Messale Romano, Preghiera eucaristica IV. | CdA, 24 CONFRONTAVAI CdA 42 CONFRONTAVAI |
In Israele
[402]
La lettura cristiana dell’Antico Testamento vede il Cristo redentore presente nella storia di Israele, prima ancora della sua nascita terrena. Ha plasmato il popolo di Dio. Alle persone, agli avvenimenti, alle istituzioni, ai riti, alla spiritualità ha conferito, al di là della loro consistenza e del loro significato, un’apertura a qualcosa di nuovo, a qualcosa che sarebbe venuto. In queste realtà, a motivo del disegno unitario di Dio, il cristiano vede altrettante promesse e figure di Cristo e della salvezza da lui attuata. Soprattutto considera segno di lui le realtà con cui Dio si fa presente e agisce nei confronti dell’uomo e del mondo: la Parola, la Legge, la Sapienza personificata.
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Negli ultimi tempi
[403]
Quando viene «la pienezza del tempo» (Gal 4,4), il Verbo fatto carne manifesta pienamente nella storia l’amore gratuito e misericordioso del Padre. Compie l’attesa delle passate generazioni e conduce gli antichi giusti alla perfezione celeste
| CdA, 279-280 CONFRONTAVAI |
[404]
Il Signore Gesù non impone il suo potere dall’esterno; ma attrae interiormente i cuori con il dono dello Spirito Santo
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[405] L’efficacia redentiva della Pasqua di Cristo si estende a tutta la storia: Cristo «ieri, oggi e sempre!» (Eb 13,8).
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Primo e ultimo
[406]
Pensiamo mai seriamente alla meta verso cui siamo incamminati? Siamo solidali con gli innumerevoli fratelli che fanno lo stesso cammino? Siamo «lieti nella speranza, forti nella tribolazione» (Rm 12,12)?
Il mondo è stato creato per mezzo di Cristo; è come un’eco e un riflesso di lui; cresce verso di lui; troverà compimento in lui. Egli è «il Primo e l’Ultimo e il Vivente» (Ap 1,17-18). Attraverso di lui Dio vuole «riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,20), liberarle, rinnovarle, perfezionarle, condurle all’unità sotto un solo capo.
Le creature sono orientate al Cristo risorto fin dall’inizio e tendono a lui, per essere veramente se stesse. Gli uomini, elevati alla dignità di figli di Dio, anelano a conseguire in lui la completa rigenerazione, con la glorificazione del proprio corpo e la trasfigurazione del loro ambiente.
L’ultimo traguardo sarà la perfetta comunione, il mondo accolto e pacificato nel Figlio e il Figlio irradiato nel mondo
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Non saremo delusi
[407]
«Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro» (1Cor 1,9). «Chiunque crede in lui non sarà deluso» (Rm 10,11): «quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (Rm 8,30). «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita,... né presente né avvenire,... né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-323537-39).
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generato prima di ogni creatura...
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui
e in vista di lui.
Egli è anche... il primogenito
di coloro che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose»
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[102] Gesù di Nàzaret passa attraverso i villaggi e le città della Galilea, della Samarìa e della Giudea per circa tre anni, come un maestro itinerante, accompagnato da un gruppo di discepoli. Insegna negli ambienti e nelle situazioni più diverse, con immediatezza e autorità, ricorrendo a sentenze e parabole, esortazioni e minacce, colloqui e polemiche.
Appare però assai diverso dagli altri maestri del suo tempo e di sempre. Le grandi personalità religiose sono testimoni e guide dell’umanità nella faticosa ricerca dell’Infinito; gli scienziati, gli artisti, i filosofi, i politici parlano il linguaggio dello sforzo umano per edificare un mondo più giusto e più libero; Gesù, invece, annuncia un’iniziativa gratuita, che viene dall’alto e che gli uomini devono accogliere con gioia: il regno di Dio.
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[103]
«Profeta potente in opere e in parole» (Lc 24,19), messaggero e protagonista nello stesso tempo, non solo proclama il Regno, ma comincia ad attuarlo. La sua parola è strettamente legata alla sua azione. La prende veramente sul serio solo chi la mette in pratica. Soltanto così si costruisce qualcosa di solido: cade la pioggia, straripano i fiumi, soffiano i venti, ma la casa non crolla, perché è «fondata sopra la roccia» (Mt 7,25).
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[104] La buona notizia, proclamata da Gesù, incontra difficoltà, perché sconvolge il comune modo di pensare e di agire; nello stesso tempo riempie di gioia, perché risponde all’attesa fondamentale di essere amati e di amare. L’avvenimento al quale si riferisce, il regno di Dio, non ha un carattere spettacolare, comincia a realizzarsi nella semplicità della vita quotidiana: solo gli umili sono capaci di riconoscerlo e accoglierlo (capitolo 3). A quanti però vi aderiscono con una decisione ferma e generosa viene concesso il dono dell’autentica libertà nella comunione, un rapporto nuovo con le cose, con gli altri e soprattutto con Dio, sperimentato come Padre (capitolo 4). | |
[105] Gesù di Nàzaret annuncia l’intervento definitivo di Dio nella storia, come re e salvatore. La regalità divina si afferma senza clamore nel tessuto della vita ordinaria; si rivela come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, specialmente agli oppressi e ai peccatori. Chi l’accoglie con umiltà e fede, fa esperienza della beatitudine già tra le angustie della vita presente; cammina con coraggio verso un futuro pieno di speranza.
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Viene il regno di Dio
[106] Capita spesso di leggere o ascoltare una pagina dei Vangeli. Forse ricordiamo qualche parabola e qualche detto, che ci hanno profondamente colpito. Rischiamo però di non coglierne esattamente il significato e la portata, se non li collochiamo nella prospettiva originaria. È importante, allora, scoprire qual era l’obiettivo fondamentale di Gesù, qual era il tema centrale della sua predicazione.
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[107] Gesù di Nàzaret non insegna una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana, un insieme di verità religiose e morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Si presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e in pieno svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: viene il regno di Dio!
Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutta la sua predicazione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Questa è la buona notizia che Gesù ha da comunicare. Questa è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene.
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Messaggero e protagonista
[108]
I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di Dio a favore di Israele, un nuovo esodo. Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo, come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme. Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, «messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7); messaggero «mandato a portare il lieto annunzio ai miseri... per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere» (Is 61,13).
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[109]
Sullo sfondo di queste profezie, Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia
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[110]
Gesù identifica se stesso con la figura del messaggero che annuncia l’inaugurazione del regno di Dio: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ma, oltre che messaggero, si considera anche protagonista del Regno: l’intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli è venuto a radunare le «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24), in modo da attirare anche le nazioni «dall’oriente e dall’occidente» (Mt 8,11). È venuto per dare inizio alla liberazione integrale dell’umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).
Incontrare il Maestro e vivere in comunione con lui significa fare un’esperienza privilegiata, superiore a quella di Giovanni Battista
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[111] Gesù è il messaggero e il protagonista del regno di Dio che viene nella storia. La sua predicazione si può riassumere in questo annuncio e appello: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). | |
Una aspirazione diffusa
[112]
Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell’aria, come fa intuire l’evangelista Luca con sobrie annotazioni: «il popolo era in attesa» (Lc 3,15); «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Tale aspettativa era maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall’esodo.
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La regalità di Dio nell’Antico Testamento
[113]
Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall’Egitto il popolo ebraico
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[114]
Israele vide nell’esodo dall’Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: «Il Signore regna!» (Sal 96,10). Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso Gerusalemme l’attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terra
Arrivò invece un’altra sciagura nazionale, l’esilio a Babilonia, amaro frutto di una serie interminabile di ribellioni contro Dio e di ingiustizie contro il prossimo. Nell’ora della desolazione si levò la voce del profeta Ezechiele a confortare e incoraggiare: il Signore manifesterà ancora la santità e la potenza del suo nome; guiderà Israele personalmente e per mezzo di un nuovo David; lo radunerà, lo purificherà, gli darà il suo Spirito, perché possa osservare i comandamenti, lo risusciterà a nuova vita. Mentre l’esilio si protraeva, un altro grande profeta, che noi oggi siamo soliti chiamare il “secondo Isaia”, portò finalmente una buona notizia, un vangelo: Dio interverrà presto, come ai giorni dell’esodo, per liberare e risanare il suo popolo; si metterà alla sua testa come un re e lo ricondurrà attraverso il deserto fino a Gerusalemme.
Ci fu il ritorno; ma il successo fu mediocre e provvisorio. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace; «Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome» (Zc 14,9); farà brillare la sua luce in Gerusalemme davanti a tutti i popoli
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L’ambiente contemporaneo
[115]
I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore l’appassionata invocazione: «Sii presto re sopra di noi»
Preghiera delle diciotto benedizioni, 11. | |
Il ministero di Giovanni Battista
[116]
Tra le tante voci si distingueva, per il tono austero e minaccioso, quella di Giovanni Battista. Proclamava come imminente l’intervento decisivo di Dio nella storia di Israele; intimava di prepararsi ad accoglierlo con una pronta e seria conversione: «La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,9). Quelli che si recavano da lui e si riconoscevano peccatori, li battezzava nel fiume Giordano. A tutti dava la testimonianza di una vita ascetica, di digiuno e di preghiera, insieme con i suoi discepoli.
| CCC, 523 |
La posizione di Gesù
[117]
Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno.
Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l’esodo dall’Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali
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Tempo di Avvento
[118] È sempre attuale, anche per noi oggi, la necessità di prepararsi ad accogliere il Regno, educando desideri e domande. Ogni anno, in particolare, la liturgia dell’Avvento ripropone l’attesa dell’Antico Testamento, culminante in Giovanni Battista, e ci offre la grazia che dispone all’incontro con Dio.
| CCC, 524 |
Difficoltà a credere
[120]
Il regno di Dio, che Gesù annuncia e inaugura, desta interesse; ma rischia anche di lasciare sconcertati e delusi. Il Maestro se ne rende conto e afferma: «Beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,6).
Perché questa difficoltà a credere, nonostante la lunga preparazione e la viva attesa? Deriva dalla mentalità dell’ambiente o dalla natura stessa del Regno? Riguarda anche noi? Sono domande da considerare con attenzione.
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Il futuro
[121]
Secondo Gesù, il Regno si affermerà pienamente solo nel futuro: adesso comincia appena a realizzarsi. Bisogna ancora pregare con insistenza e invocare: «Venga il tuo regno» (Mt 6,10). Presto, entro la durata di una generazione, accadrà qualcosa di nuovo: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Finalmente, al termine della storia, la gloria del Regno riempirà il mondo intero.
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Il presente
[122]
D’altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28).
Il presente, umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare tutta la pasta.
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[123] Il regno di Dio non si impone in modo clamoroso e spettacolare, come la gente immagina che debba succedere. Non viene in un istante. Non risolve magicamente tutti i problemi. Si propone piuttosto alla nostra cooperazione. Per sperimentarlo, bisogna accoglierlo attivamente, bisogna convertirsi. E, comunque, si tratta sempre di una esperienza germinale, destinata a compiersi perfettamente solo nell’eternità.
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Il vissuto quotidiano
[124] Il Regno è più semplice e umano di quanto gli uomini stessi si aspettino. Si nasconde nella normalità della vita quotidiana e addirittura nella debolezza, nell’apparente fallimento. Non a caso Gesù, per le sue parabole, prende lo spunto dall’esperienza comune di tutti i giorni: il seminatore che esce a seminare, gli operai che lavorano nella vigna, il lievito che la donna mette nella pasta, il figlio che scappa di casa, il pastore che smarrisce una pecora.
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Le parabole
[125]
Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David
Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.
| CCC, 546 |
Una proclamazione di felicità
[127] Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto. Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali condizioni se ne possa fare l’esperienza.
Senz’altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e un’offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca
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Dio difensore degli oppressi
[128]
Nella Bibbia troviamo delineata con tratti impressionanti la condizione dei poveri: duramente sfruttati nei lavori occasionali; derubati del bue, dell’asino e delle pecore; curvati dalle fatiche e dalle umiliazioni; si nutrono di erbe trovate nei campi e di qualche grappolo rimasto nelle vigne dopo la vendemmia; passano la notte nudi e indifesi dal freddo, bagnati di pioggia, quando non trovano neppure una grotta dove rifugiarsi
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[129]
Secondo la Bibbia, un re è giusto quando si fa difensore dei poveri, degli orfani e delle vedove, di quanti non sono in grado di farsi rispettare. A maggior ragione, la giustizia regale di Dio si manifesta a favore degli oppressi: «Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio, creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi. Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione» (Sal 146,5-10).
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Liberazione dalla sofferenza
[130]
Dando compimento all’attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova e definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli.
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale
| CdA, 712 CONFRONTAVAI CdA 854-856 CONFRONTAVAI |
Beati gli ultimi
[131]
Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i primi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né l’indigenza, né l’emarginazione, né la malattia, né l’insuccesso, né l’umiliazione, né la persecuzione, né alcun’altra avversità.
Anzi, una situazione fallimentare può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti e i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Sono disposti a lasciarsi salvare da Dio. Sono portati a misurare il valore della propria persona non dai beni esteriori, ma dall’amore che il Padre ha per loro. Così «passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). Per farne però l’esperienza gioiosa, devono abbandonarsi al suo amore, con umiltà e fiducia, e quindi convertirsi. In tal caso possono essere beati perfino in mezzo alle tribolazioni
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La gioia di Gesù
[132]
Gesù stesso è povero e perseguitato, ma pieno di gioia; esulta nello Spirito Santo e loda il Padre
Egli vuole comunicare la sua gioia: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28); «La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11); «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Gesù dona una felicità, che può coesistere anche con la sofferenza, qualora non sia possibile eliminarla; anzi rende piena di significato la stessa sofferenza.
È necessario però condividere la sua comunione con il Padre, essere umili come lui, «poveri in spirito» (Mt 5,3), come egli si esprime. Il Regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni, attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto, mite e misericordioso con gli altri.
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Le beatitudini
[133]
Gli atteggiamenti per accogliere il Regno sono ben esplicitati nella redazione delle beatitudini fissata dall’evangelista Matteo. Rimandando alla lettura del testo
“Beati gli umili che confidano solo in Dio, perché ad essi è riservato il suo regno.
Beati coloro che si affliggono per il male presente nel mondo e in loro stessi, perché Dio li consolerà.
Beati i miti, coloro che sono accoglienti, cordiali, pazienti e rinunciano a imporsi agli altri con la forza, perché Dio concederà loro di conquistare il mondo.
Beati quelli che desiderano ardentemente la volontà di Dio per sé e per gli altri, perché Dio li sazierà alla sua mensa.
Beati i misericordiosi, che sanno perdonare e compiere opere di carità, perché Dio sarà misericordioso con loro.
Beati i puri di cuore, che hanno una coscienza retta, perché Dio li ammetterà alla sua presenza nella liturgia celeste.
Beati quelli che costruiscono una convivenza pacifica, giusta e fraterna, perché Dio li accoglierà come figli.
Beati i perseguitati a motivo della nuova giustizia evangelica, perché Dio, re giusto, li salverà”.
| CdA, 857-864 CONFRONTAVAI |
Illusoria autosufficienza
[134] L’attenzione preferenziale agli ultimi non significa esclusione degli altri. Gesù frequenta anche i “ricchi” e i “giusti”, coloro che nella società sono in vista per il benessere materiale o per la devota osservanza della Legge. Verso di loro però usa generalmente un linguaggio severo, perché li vede soddisfatti di sé, chiusi verso Dio e senza misericordia per il prossimo.
| CCC, 2544-2547 |
[135] Beati i poveri, perché Dio li ama, si impegna a liberarli dalla sofferenza e fin d’ora conferisce loro la dignità di suoi figli, che nessuna circostanza esteriore può compromettere.
Chi vive consapevolmente la comunione filiale con Dio, fa esperienza di gioia anche in mezzo alle tribolazioni, come Gesù. È necessario però condividere l’atteggiamento del Maestro «mite e umile di cuore» (
Mt 11,29
) e vivere secondo lo spirito delle beatitudini.
Confidare nella ricchezza, gloriarsi della propria giustizia, considerarsi autosufficienti: ecco ciò che impedisce di accogliere il regno di Dio, che è dono gratuito.
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Presunzione e pessimismo [136] Nella mentalità del nostro tempo, condizionato dal mito del progresso, è forte la presunzione di costruire da soli il proprio destino. Malgrado numerose esperienze fallimentari, rimangono in auge l’ottimismo etico di matrice illuminista e l’idolatria della scienza, della tecnica, dell’economia e della politica. D’altra parte cresce un certo scetticismo, una diffidenza per le grandi affermazioni, le grandi speranze, i grandi progetti. Ci si rassegna a vivere alla giornata; ci si contenta di risultati frammentari e provvisori. | |
Un cammino di fede [137]
Gesù, con il suo messaggio, scuote sia la presunzione sia il pessimismo; suscita il coraggio audace dell’umiltà. Il suo è un invito a camminare dietro a lui, verso un futuro misterioso, dono gratuito e certo di Dio, non conquista solitaria e problematica dell’uomo. Dio è già all’opera nella storia per preparare un mondo nuovo. Il fascino della buona notizia fa uscire dalle illusorie sicurezze e dalle paure; attrae i nostri passi su una strada difficile e imprevedibile, ma senz’altro carica di promesse, come quella dei primi discepoli.
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Come i primi discepoli [138]
Sulle rive del lago di Tiberìade quattro pescatori, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono intenti al solito lavoro: aggiustano le reti, preparano le barche, sistemano il pesce da vendere. Si avvicina Gesù di Nàzaret, il giovane maestro che da poco ha cominciato a predicare per le strade di Galilea, e li chiama con autorità: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Ed essi lasciano mestiere e famiglia, il loro piccolo mondo; senza indugio vanno con lui, verso un futuro tutto da scoprire, ben lontani dall’immaginare dove andranno ad approdare.
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La nostra cooperazione
[141] In Gesù, Dio Padre inaugura la sua nuova presenza nella storia e offre a noi la possibilità di entrare in un rapporto di comunione con lui. Il suo regno non ha un carattere spettacolare; ama nascondersi nella semplicità delle cose ordinarie. E tuttavia possiamo farne l’esperienza subito, se lo accogliamo liberamente e attivamente.
Per avere un raccolto soddisfacente, non basta che il seminatore getti il seme con abbondanza; occorre che il terreno sia buono. Il Regno è interamente dono, ma ha bisogno della nostra cooperazione: la esige e la provoca nello stesso tempo. Dio non solo rispetta, ma suscita la libertà; non salva l’uomo dall’esterno, come fosse un oggetto, ma lo rigenera interiormente, e poi attraverso di lui rinnova la società e il mondo. La lieta notizia del regno di Dio che viene implica un appello: «Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). La nuova prossimità di Dio mediante Gesù rende possibile una radicale conversione.
| CdA, 813 CONFRONTAVAI |
Un nuovo modo di pensare e di agire
[142]
Convertirsi significa assumere un diverso modo di pensare e di agire, mettendo Dio e la sua volontà al primo posto, pronti all’occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere
La decisione deve essere netta, senza riserve: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te... E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te» (Mt 5,2930). Tuttavia Gesù conosce la fragilità umana e sa essere paziente. Lo rivela narrando di un padrone, il quale aveva nel campo un magnifico albero, che da tre anni però non gli dava frutti; ordinò al contadino di tagliarlo; ma questi gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,8-9).
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Una vita più bella
[143]
Chi si converte, si apre alla comunione: ritrova l’armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose; riscopre un bene originario, che in fondo da sempre attendeva. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse a Gèrico, non aveva fatto altro che accumulare ricchezze, sfruttando la gente e procurandosi esecrazione da parte di tutti. Quando Gesù gli si mostra amico e va a cena da lui, comincia a vedere la vita con occhi nuovi: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Zaccheo deve rinunciare, almeno in parte, alle sue ricchezze; ma non si tratta di una perdita. Solo adesso, per la prima volta, è veramente contento, perché si sente rinascere come figlio di Dio e come fratello tra i fratelli
La bellezza e il fascino del regno di Dio consentono di compiere con gioia le rinunce e le fatiche più ardue. Il bracciante agricolo che è andato a lavorare a giornata e zappando ha scoperto un tesoro, corre a vendere tutti i suoi averi per acquistare il campo e quindi impadronirsi del tesoro; il mercante, che ha trovato una perla di grande valore, vende tutto quello che possiede per poterla comprare
Le rinunce, che Gesù chiede, sono in realtà una liberazione per crescere, per essere di più. Il sacrificio è via alla vera libertà, nella comunione con Dio e con gli altri. Chi riconosce Dio come Padre e fa la sua volontà, sperimenta subito il suo regno e riceve energie per una più alta moralità, per una storia diversa, personale e comunitaria, che ha come meta la vita eterna
| CdA, 948 CONFRONTAVAI |
[144] Il regno di Dio viene come dono, ma chiede la nostra libera cooperazione; la buona notizia diventa per noi realtà vissuta, se accogliamo l’appello di Gesù: «Convertitevi e credete al vangelo» (
Mc 1,15
).
Convertirsi significa assumere un nuovo modo di pensare e di agire; comporta anche rinunce, ma dischiude una vita più vera e più bella, di comunione con Dio e con gli altri.
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Liberi dalla schiavitù della ricchezza
[145] La vicinanza di Dio dà il coraggio delle scelte radicali. Innanzitutto libera dalla bramosia di possedere.
Gesù non è un asceta alla maniera di Giovanni Battista: «mangia e beve» (Mt 11,19), vive in mezzo alla gente, ha simpatia per il mondo. Però vive per il Padre, ancorato al suo amore, disponibile alla sua volontà. Per testimoniare la fiducia assoluta in lui e dedicarsi totalmente al suo regno, assume una vita povera e itinerante: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Vuole che anche i discepoli vadano a portare la lieta notizia alleggeriti da ogni zavorra: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno» (Lc 9,3). Ammonisce la gente a non lasciarsi suggestionare dalla ricchezza: «Nessuno può servire a due padroni...: non potete servire a Dio e al denaro» (Mt 6,24).
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[146]
La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).
Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste
| CdA, 134 CONFRONTAVAI CdA 1121 CONFRONTAVAI |
[147]
La preoccupazione del benessere va ridimensionata. Ci sono valori più importanti e decisivi che non il cibo e il vestito: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,26-33). Occorre certo seminare e mietere, filare e tessere, progettare e lavorare, ma senza ansia per il domani
Il vangelo comanda di distribuire e mettere in circolazione i propri beni: «Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33). Condanna il possesso egoistico, che non tiene conto delle necessità altrui. Non chiede però di vivere nella miseria. Valore assoluto è la fraternità, non la povertà materiale. Lo conferma l’esperienza della prima Chiesa a Gerusalemme, dove i credenti avevano «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), mettevano le loro cose in comune e così «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4,34).
| CdA, 1122 CONFRONTAVAI |
Liberi dalla sete del potere
[148] Oltre che dalla ricchezza, la vicinanza di Dio libera anche dalla tentazione di dominare sugli altri.
Gesù è venuto non per essere servito, ma per servire
L’autorità, nella comunità cristiana, dovrà essere esercitata come un servizio, e non come un dominio oppressivo alla maniera dei re delle nazioni, che sfruttano la gente e si fanno chiamare benefattori
| CCC, 2235-2236 |
[149]
Il regno di Dio non ha niente a che fare con uno stato teocratico: non impone il diritto e la giustizia con la forza; non si difende con le armi; non fa concorrenza ai regni di questo mondo
| CdA, 1103 CONFRONTAVAI |
Liberi negli affetti
[150]
La liberazione dal possesso egoistico e dall’ambizione non è sufficiente. Il regno di Dio trasforma anche gli affetti familiari e li apre a valori più alti ed universali.
Gesù, con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe
| CdA, 1075-1077 CONFRONTAVAI |
Liberi dall’angoscia
[151] Infine, il regno di Dio libera dalla paura di essere messi al bando dalla società e perfino dal timore di perdere la vita.
Gesù, quando sente dire che Erode Antipa vuole ucciderlo, come ha già fatto con Giovanni Battista, non cambia strada: «Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada» (Lc 13,32-33).
I discepoli sono chiamati a dar prova dello stesso coraggio. Non temano di essere anticonformisti e diversi dagli altri, di essere insultati e perseguitati
| CdA, 847-848 CONFRONTAVAI |
[152]
Chi ha Dio come Padre non può sentirsi mai solo: «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri» (Lc 12,6-7). La sofferenza, anche quella umanamente più inquietante e difficile da accettare, acquista un alto valore e una misteriosa fecondità. Gesù lo afferma con due immagini delicate e suggestive: il chicco di grano cade in terra e muore, ma rinasce moltiplicato
Chi aderisce a Cristo con fede viva e salda, non è più ossessionato dall’ansia di trovare sicurezze e piaceri, per sentirsi vivo; è disponibile al servizio degli altri; sperimenta personalmente che il Figlio di Dio è venuto a liberare «quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,15).
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Gesù perfeziona la Legge
[155]
La posizione di Gesù è molto originale e non può essere affatto qualificata come permissivismo; anzi, per certi aspetti, è assai più esigente di qualsiasi altra: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17). Per accogliere il regno di Dio occorre una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei
Ben sei volte nel discorso della montagna ritorna la formula «Ma io vi dico», per radicalizzare le prescrizioni della legge antica d’Israele e rivelare le esigenze di perfezione contenute nella volontà di Dio: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere... Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,2122); «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27); «Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5,31-32); «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare...; ma io vi dico: non giurate affatto... Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,333437); «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,38-39); «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,43-45).
Gesù condanna non solo l’omicidio e l’adulterio, ma anche l’atteggiamento interiore che sta alla loro radice; dichiara che il divorzio è fuori del progetto di Dio e ristabilisce l’indissolubilità del matrimonio; comanda la limpida veracità nel parlare e l’amore attivo verso i nemici, cercando di vincere il male con il bene. Tanto esigente, forte e autorevole è il suo insegnamento, da lasciare la gente sbalordita
| Cda, 897-900 CONFRONTAVAI |
[156]
Del resto, la sua severità non ha niente a che fare con il legalismo. Se è vero che egli non abolisce la legge antica, è anche vero che non si preoccupa di ripeterla con esattezza e chiaramente la modifica in qualche punto
Nelle sei antitesi del discorso della montagna, illustrate con riferimenti concreti alla vita quotidiana, offre alcune indicazioni esemplificative di questo perfezionamento. Il disegno della nuova giustizia, così tratteggiato, ha il volto della carità, che evita il male e fa il bene verso tutti, compresi i nemici. Urgenti per lui sono soltanto le implicazioni necessarie dell’amore; e la Legge va portata a perfezione risalendo al suo significato originario, al principio ispiratore che è l’amore stesso.
Gesù riprende e concentra tutta la Legge nei due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, tra loro intimamente congiunti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40). Le norme particolari sono più o meno importanti secondo che più o meno si avvicinano al cuore della Legge. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23,23-24).
Su alcune cose Gesù è estremamente severo, su altre è sorprendentemente libero, condiscendente. Ma non c’è in lui nessuna incoerenza: la volontà di Dio è il bene vero e concreto, non un sistema intangibile di regole astratte; le norme cessano di avere valore, quando non favoriscono più la crescita autentica dell’uomo. Colui che inasprisce la condanna dell’adulterio è lo stesso che rifiuta la pena di morte, prevista dalla legge, per la donna adultera
| Cda, 878 CONFRONTAVAI |
Critico verso il formalismo religioso
Gesù prova compassione per il dolore e l’umiliazione che pesano sui lebbrosi; non solo li guarisce, ma, passando sopra alla prescrizione che li relega in uno stato di isolamento e di maledizione
Contesta le esteriorità religiose, come le abluzioni prima dei pasti e la distinzione tra cibi puri e impuri
| CdA, 878 CONFRONTAVAI |
[158]
In questa prospettiva Gesù ridimensiona lo stesso culto incentrato sul tempio di Gerusalemme
È facile capire perché a Gerusalemme tra i sacerdoti e i notabili della setta dei sadducei ci si metta in allarme e si cerchi di farlo morire
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[159]
La novità di Gesù è profonda. Lo riconosce lui stesso: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio... Né si mette vino nuovo in otri vecchi... Ma si versa vino nuovo in otri nuovi» (Mt 9,16-17). Tuttavia Gesù si trova in continuità con l’ispirazione fondamentale dei profeti e opera una liberazione che non ha niente a che fare con il permissivismo: egli responsabilizza al massimo nella concretezza e creatività dell’amore, per la totale fedeltà alla volontà di Dio e al bene dell’uomo.
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[160] Gesù non abolisce la Legge, ma la perfeziona, riconducendola alle esigenze della carità, supremo principio ispiratore.
Subordina all’autentico bene dell’uomo le regole della convivenza civile e contesta il formalismo religioso.
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Convivenza fraterna
[161] Se Gesù di Nàzaret dona e nello stesso tempo esige il distacco dalle ricchezze, dall’ambizione, dagli affetti disordinati, dai pregiudizi culturali e religiosi, lo fa in nome di una libertà che si attua nella comunione con i fratelli e con Dio.
Quelli che si convertono al regno di Dio e obbediscono alla sua volontà, costituiscono una famiglia più salda che non la parentela fondata sui legami di sangue
Neppure tra i seguaci di Gesù mancano egoismi e tensioni, ma la legge che regola i rapporti è quella della carità. Chi decide di seguirlo, sa che deve impegnarsi seriamente per una forma di vita, che prevede servizio scambievole, correzione fraterna, perdono, riconciliazione, attenzione ai più deboli.
| CdA, 850 CONFRONTAVAI |
Premura per tutti
[162]
Questo atteggiamento deve valere verso tutti, anche verso gli estranei: lo insegna con mirabile efficacia la parabola del samaritano
Un uomo viene aggredito dai briganti e lasciato mezzo morto lungo la strada. Lo vedono due passanti della sua stessa religione e nazionalità, ma tirano via senza curarsi di lui. Giunge un samaritano, uno straniero, per di più considerato eretico: si ferma, si avvicina, carica il ferito sulla cavalcatura, lo porta alla locanda, lo fa curare a proprie spese.
È necessario farsi carico di ogni uomo che incontriamo, al di là di qualsiasi differenza razziale, sociale e religiosa. È sbagliato chiedersi chi sia prossimo a noi; siamo noi che dobbiamo farci prossimi di chiunque, anche di chi è estraneo, perfino dei nostri nemici. Il modello è l’amore stesso di Dio: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36).
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Amare concretamente
[163]
Che cosa voglia dire amare, Gesù lo esemplifica nelle parole del giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36); e lo riassume formulando in termini positivi la cosiddetta “regola d’oro”: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12).
Amare, dunque, significa fare concretamente il bene, con premura e creatività. La misura è Gesù stesso: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
| CdA, 871 CONFRONTAVAI |
Nuova rivelazione del Padre [165]
L’esperienza di libertà e fraternità, che Gesù propone a quanti lo seguono, suppone un comune atteggiamento filiale verso Dio. Chi, per seguire Gesù, ha lasciato la propria famiglia, non ha più un padre terreno che provveda alle necessità quotidiane; ha trovato però un altro Padre, quello stesso di Gesù: «E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). Egli è pieno di premura per i suoi figli | |
[166]
Gesù si rivolge a Dio nella sua lingua, l’aramaico, chiamandolo abitualmente «Abbà» (Mc 14,36), che significa “papà”. “Abbà” è parola infantile, una delle primissime parole che il bambino impara a pronunciare: «Non appena egli sente il sapore della culla (cioè quando è divezzato), dice “abbà”, “immà” (papà, mamma)», si legge nella tradizione ebraica. Talmud babilonese, Berakhot, 40a. | CdA, 293-294 CONFRONTAVAI CdA 960 CONFRONTAVAI |
[167]
Israele aveva sperimentato la premurosa bontà di Dio nei suoi confronti e l’aveva paragonata a quella di un padre per il proprio figlio: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,13-4).
Tuttavia, l’Antico Testamento accentuava l’infinita trascendenza di Dio, l’Unico, l’Eterno, il Santo, il Creatore del cielo e della terra: «Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l’oscurità della notte... Signore è il suo nome» (Am 5,8). Anzi i contemporanei di Gesù evitano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e cercano di sostituirlo con modi di parlare che lo evocano senza nominarlo.
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[168]
Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca assoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25-27).
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Paternità universale [169]
Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il «Padre mio» (Mt 7,21) da il «Padre vostro» (Mt 7,11), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli.
Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere “Abbà” anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l’apostolo Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8,15).
Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall’eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa | CdA, 823-825 CONFRONTAVAI |
[170] Non è affatto semplice per l’uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell’ambiente, l’esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l’uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l’esperienza e rivoluziona tutti i rapporti. | |
[171] Gesù vive un’intimità del tutto singolare con Dio e lo chiama familiarmente «Abbà» (Mc 14,36).
Egli rende partecipi i credenti del suo rapporto filiale con il Padre, pieno di gratitudine, fiducia, sottomissione e gioia. | |
Gesù prega [172] Come si vive e si esprime il rapporto filiale con il Padre? Bastano l’obbedienza, il lavoro, la dedizione al prossimo? Oppure è necessario anche il dialogo della preghiera?
Gesù prega, partecipando assiduamente alla liturgia di Israele. Invoca il Padre in pubblico, nel mezzo della sua stessa attività. Soprattutto si ritira lunghe ore in solitudine, nel deserto o sui monti, di notte o di buon mattino. La sua preghiera è stare di fronte al Padre come Figlio, in perfetta reciprocità | |
“Padre nostro” [173]
Il Maestro trasmette ai discepoli il suo atteggiamento filiale verso Dio. Insegna loro la preghiera del “Padre nostro”, come espressione della nuova comunione con Dio e segno distintivo della loro identità.
La preghiera comprende sette domande nella redazione di Matteo e cinque in quella, forse più antica, di Luca; ma in realtà sotto diversi aspetti si chiede una sola cosa, l’unica necessaria: la venuta del regno di Dio in noi e nel mondo. È la preghiera dei figli, che fanno proprio il progetto del Padre e si abbandonano totalmente a lui; è la preghiera degli umili di cuore, protesi verso una salvezza più grande di quella che si può programmare e costruire con le proprie mani. | CdA, 1001-1012 CONFRONTAVAI |
[174]
Nelle parole del “Padre nostro” si può avvertire l’eco della preghiera ebraica, in cui si esprime l’anelito verso il futuro intervento di Dio: «Esaltato e santificato sia il suo grande nome, nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà; venga il suo regno durante la vostra vita...» Qaddish. “Padre nostro, che sei al di sopra di tutto come il cielo, fa’ che il tuo nome sia glorificato e riconosciuto santo.
Mostra davanti a tutti che tu solo sei Dio, radunando definitivamente il tuo popolo disperso e purificandolo dai suoi peccati con il dono del tuo Spirito Venga in pienezza la tua regalità, che porta libertà, giustizia e pace. Si compia il tuo disegno di salvezza in cielo e in terra.
Donaci fin d’ora il nostro pane futuro, un anticipo del convito del Regno Nella tua misericordia perdona i nostri peccati: anche noi siamo pronti a perdonare a chi ci ha fatto del male. Non lasciarci soccombere nella tentazione; fa’ che mai perdiamo la fiducia in te, così da non avvertire più la tua presenza e sentirci abbandonati. Liberaci dal potere del maligno, che si oppone al tuo regno e ci dà la morte”.
Pregare il Padre ci fa sperimentare che siamo figli e ci sollecita a vivere da figli: «Leva, dunque, gli occhi tuoi al Padre... che ti ha redento per mezzo del Figlio e dì: Padre nostro!... Dì anche tu per grazia: Padre nostro, per meritare di essere suo figlio» Sant’Ambrogio, I sacramenti, 5, 19. | |
[105] Gesù di Nàzaret annuncia l’intervento definitivo di Dio nella storia, come re e salvatore. La regalità divina si afferma senza clamore nel tessuto della vita ordinaria; si rivela come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, specialmente agli oppressi e ai peccatori. Chi l’accoglie con umiltà e fede, fa esperienza della beatitudine già tra le angustie della vita presente; cammina con coraggio verso un futuro pieno di speranza.
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Viene il regno di Dio
[106] Capita spesso di leggere o ascoltare una pagina dei Vangeli. Forse ricordiamo qualche parabola e qualche detto, che ci hanno profondamente colpito. Rischiamo però di non coglierne esattamente il significato e la portata, se non li collochiamo nella prospettiva originaria. È importante, allora, scoprire qual era l’obiettivo fondamentale di Gesù, qual era il tema centrale della sua predicazione.
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[107] Gesù di Nàzaret non insegna una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana, un insieme di verità religiose e morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Si presenta piuttosto come il messaggero di un avvenimento appena iniziato e in pieno svolgimento. Il suo, prima di essere un insegnamento, è un annuncio, un grido di gioia: viene il regno di Dio!
Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutta la sua predicazione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). Questa è la buona notizia che Gesù ha da comunicare. Questa è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene.
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Messaggero e protagonista
[108]
I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di Dio a favore di Israele, un nuovo esodo. Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo, come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme. Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, «messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7); messaggero «mandato a portare il lieto annunzio ai miseri... per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere» (Is 61,13).
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[109]
Sullo sfondo di queste profezie, Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia
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[110]
Gesù identifica se stesso con la figura del messaggero che annuncia l’inaugurazione del regno di Dio: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ma, oltre che messaggero, si considera anche protagonista del Regno: l’intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli è venuto a radunare le «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24), in modo da attirare anche le nazioni «dall’oriente e dall’occidente» (Mt 8,11). È venuto per dare inizio alla liberazione integrale dell’umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).
Incontrare il Maestro e vivere in comunione con lui significa fare un’esperienza privilegiata, superiore a quella di Giovanni Battista
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[111] Gesù è il messaggero e il protagonista del regno di Dio che viene nella storia. La sua predicazione si può riassumere in questo annuncio e appello: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). | |
Una aspirazione diffusa
[112]
Gesù non ha bisogno di spiegare a lungo in che cosa consista il regno di Dio che va annunciando: nel suo ambiente questa idea era già, per dir così, nell’aria, come fa intuire l’evangelista Luca con sobrie annotazioni: «il popolo era in attesa» (Lc 3,15); «credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (Lc 19,11). Tale aspettativa era maturata in Israele durante una secolare esperienza storica, a partire dall’esodo.
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La regalità di Dio nell’Antico Testamento
[113]
Come un re vittorioso, Dio liberò e fece uscire dall’Egitto il popolo ebraico
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[114]
Israele vide nell’esodo dall’Egitto il fondamento e il simbolo di tutte le salvezze successive. Di generazione in generazione imparò a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia e ad acclamarla nella liturgia con il grido gioioso: «Il Signore regna!» (Sal 96,10). Coltivò la speranza che in futuro la gloria del Signore avrebbe attirato verso Gerusalemme l’attenzione dei popoli e avrebbe diffuso la pace sulla terra
Arrivò invece un’altra sciagura nazionale, l’esilio a Babilonia, amaro frutto di una serie interminabile di ribellioni contro Dio e di ingiustizie contro il prossimo. Nell’ora della desolazione si levò la voce del profeta Ezechiele a confortare e incoraggiare: il Signore manifesterà ancora la santità e la potenza del suo nome; guiderà Israele personalmente e per mezzo di un nuovo David; lo radunerà, lo purificherà, gli darà il suo Spirito, perché possa osservare i comandamenti, lo risusciterà a nuova vita. Mentre l’esilio si protraeva, un altro grande profeta, che noi oggi siamo soliti chiamare il “secondo Isaia”, portò finalmente una buona notizia, un vangelo: Dio interverrà presto, come ai giorni dell’esodo, per liberare e risanare il suo popolo; si metterà alla sua testa come un re e lo ricondurrà attraverso il deserto fino a Gerusalemme.
Ci fu il ritorno; ma il successo fu mediocre e provvisorio. Sopraggiunsero altre invasioni, altre amarezze e sventure. Tuttavia le delusioni, anziché far appassire la speranza dei credenti, la resero più audace: Dio verrà definitivamente a liberare i poveri e gli oppressi, a portare giustizia e pace; «Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto, e soltanto il suo nome» (Zc 14,9); farà brillare la sua luce in Gerusalemme davanti a tutti i popoli
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L’ambiente contemporaneo
[115]
I contemporanei di Gesù ogni giorno levavano al Signore l’appassionata invocazione: «Sii presto re sopra di noi»
Preghiera delle diciotto benedizioni, 11. | |
Il ministero di Giovanni Battista
[116]
Tra le tante voci si distingueva, per il tono austero e minaccioso, quella di Giovanni Battista. Proclamava come imminente l’intervento decisivo di Dio nella storia di Israele; intimava di prepararsi ad accoglierlo con una pronta e seria conversione: «La scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Lc 3,9). Quelli che si recavano da lui e si riconoscevano peccatori, li battezzava nel fiume Giordano. A tutti dava la testimonianza di una vita ascetica, di digiuno e di preghiera, insieme con i suoi discepoli.
| CCC, 523 |
La posizione di Gesù
[117]
Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno.
Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l’esodo dall’Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali
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Tempo di Avvento
[118] È sempre attuale, anche per noi oggi, la necessità di prepararsi ad accogliere il Regno, educando desideri e domande. Ogni anno, in particolare, la liturgia dell’Avvento ripropone l’attesa dell’Antico Testamento, culminante in Giovanni Battista, e ci offre la grazia che dispone all’incontro con Dio.
| CCC, 524 |
Difficoltà a credere
[120]
Il regno di Dio, che Gesù annuncia e inaugura, desta interesse; ma rischia anche di lasciare sconcertati e delusi. Il Maestro se ne rende conto e afferma: «Beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,6).
Perché questa difficoltà a credere, nonostante la lunga preparazione e la viva attesa? Deriva dalla mentalità dell’ambiente o dalla natura stessa del Regno? Riguarda anche noi? Sono domande da considerare con attenzione.
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Il futuro
[121]
Secondo Gesù, il Regno si affermerà pienamente solo nel futuro: adesso comincia appena a realizzarsi. Bisogna ancora pregare con insistenza e invocare: «Venga il tuo regno» (Mt 6,10). Presto, entro la durata di una generazione, accadrà qualcosa di nuovo: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Finalmente, al termine della storia, la gloria del Regno riempirà il mondo intero.
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Il presente
[122]
D’altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28).
Il presente, umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare tutta la pasta.
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[123] Il regno di Dio non si impone in modo clamoroso e spettacolare, come la gente immagina che debba succedere. Non viene in un istante. Non risolve magicamente tutti i problemi. Si propone piuttosto alla nostra cooperazione. Per sperimentarlo, bisogna accoglierlo attivamente, bisogna convertirsi. E, comunque, si tratta sempre di una esperienza germinale, destinata a compiersi perfettamente solo nell’eternità.
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Il vissuto quotidiano
[124] Il Regno è più semplice e umano di quanto gli uomini stessi si aspettino. Si nasconde nella normalità della vita quotidiana e addirittura nella debolezza, nell’apparente fallimento. Non a caso Gesù, per le sue parabole, prende lo spunto dall’esperienza comune di tutti i giorni: il seminatore che esce a seminare, gli operai che lavorano nella vigna, il lievito che la donna mette nella pasta, il figlio che scappa di casa, il pastore che smarrisce una pecora.
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Le parabole
[125]
Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David
Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.
| CCC, 546 |
Una proclamazione di felicità
[127] Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto. Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali condizioni se ne possa fare l’esperienza.
Senz’altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e un’offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca
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Dio difensore degli oppressi
[128]
Nella Bibbia troviamo delineata con tratti impressionanti la condizione dei poveri: duramente sfruttati nei lavori occasionali; derubati del bue, dell’asino e delle pecore; curvati dalle fatiche e dalle umiliazioni; si nutrono di erbe trovate nei campi e di qualche grappolo rimasto nelle vigne dopo la vendemmia; passano la notte nudi e indifesi dal freddo, bagnati di pioggia, quando non trovano neppure una grotta dove rifugiarsi
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[129]
Secondo la Bibbia, un re è giusto quando si fa difensore dei poveri, degli orfani e delle vedove, di quanti non sono in grado di farsi rispettare. A maggior ragione, la giustizia regale di Dio si manifesta a favore degli oppressi: «Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio, creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie degli empi. Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione» (Sal 146,5-10).
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Liberazione dalla sofferenza
[130]
Dando compimento all’attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova e definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli.
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale
| CdA, 712 CONFRONTAVAI CdA 854-856 CONFRONTAVAI |
Beati gli ultimi
[131]
Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i primi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né l’indigenza, né l’emarginazione, né la malattia, né l’insuccesso, né l’umiliazione, né la persecuzione, né alcun’altra avversità.
Anzi, una situazione fallimentare può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti e i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Sono disposti a lasciarsi salvare da Dio. Sono portati a misurare il valore della propria persona non dai beni esteriori, ma dall’amore che il Padre ha per loro. Così «passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). Per farne però l’esperienza gioiosa, devono abbandonarsi al suo amore, con umiltà e fiducia, e quindi convertirsi. In tal caso possono essere beati perfino in mezzo alle tribolazioni
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La gioia di Gesù
[132]
Gesù stesso è povero e perseguitato, ma pieno di gioia; esulta nello Spirito Santo e loda il Padre
Egli vuole comunicare la sua gioia: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28); «La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11); «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Gesù dona una felicità, che può coesistere anche con la sofferenza, qualora non sia possibile eliminarla; anzi rende piena di significato la stessa sofferenza.
È necessario però condividere la sua comunione con il Padre, essere umili come lui, «poveri in spirito» (Mt 5,3), come egli si esprime. Il Regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni, attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto, mite e misericordioso con gli altri.
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Le beatitudini
[133]
Gli atteggiamenti per accogliere il Regno sono ben esplicitati nella redazione delle beatitudini fissata dall’evangelista Matteo. Rimandando alla lettura del testo
“Beati gli umili che confidano solo in Dio, perché ad essi è riservato il suo regno.
Beati coloro che si affliggono per il male presente nel mondo e in loro stessi, perché Dio li consolerà.
Beati i miti, coloro che sono accoglienti, cordiali, pazienti e rinunciano a imporsi agli altri con la forza, perché Dio concederà loro di conquistare il mondo.
Beati quelli che desiderano ardentemente la volontà di Dio per sé e per gli altri, perché Dio li sazierà alla sua mensa.
Beati i misericordiosi, che sanno perdonare e compiere opere di carità, perché Dio sarà misericordioso con loro.
Beati i puri di cuore, che hanno una coscienza retta, perché Dio li ammetterà alla sua presenza nella liturgia celeste.
Beati quelli che costruiscono una convivenza pacifica, giusta e fraterna, perché Dio li accoglierà come figli.
Beati i perseguitati a motivo della nuova giustizia evangelica, perché Dio, re giusto, li salverà”.
| CdA, 857-864 CONFRONTAVAI |
Illusoria autosufficienza
[134] L’attenzione preferenziale agli ultimi non significa esclusione degli altri. Gesù frequenta anche i “ricchi” e i “giusti”, coloro che nella società sono in vista per il benessere materiale o per la devota osservanza della Legge. Verso di loro però usa generalmente un linguaggio severo, perché li vede soddisfatti di sé, chiusi verso Dio e senza misericordia per il prossimo.
| CCC, 2544-2547 |
[135] Beati i poveri, perché Dio li ama, si impegna a liberarli dalla sofferenza e fin d’ora conferisce loro la dignità di suoi figli, che nessuna circostanza esteriore può compromettere.
Chi vive consapevolmente la comunione filiale con Dio, fa esperienza di gioia anche in mezzo alle tribolazioni, come Gesù. È necessario però condividere l’atteggiamento del Maestro «mite e umile di cuore» (
Mt 11,29
) e vivere secondo lo spirito delle beatitudini.
Confidare nella ricchezza, gloriarsi della propria giustizia, considerarsi autosufficienti: ecco ciò che impedisce di accogliere il regno di Dio, che è dono gratuito.
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Presunzione e pessimismo [136] Nella mentalità del nostro tempo, condizionato dal mito del progresso, è forte la presunzione di costruire da soli il proprio destino. Malgrado numerose esperienze fallimentari, rimangono in auge l’ottimismo etico di matrice illuminista e l’idolatria della scienza, della tecnica, dell’economia e della politica. D’altra parte cresce un certo scetticismo, una diffidenza per le grandi affermazioni, le grandi speranze, i grandi progetti. Ci si rassegna a vivere alla giornata; ci si contenta di risultati frammentari e provvisori. | |
Un cammino di fede [137]
Gesù, con il suo messaggio, scuote sia la presunzione sia il pessimismo; suscita il coraggio audace dell’umiltà. Il suo è un invito a camminare dietro a lui, verso un futuro misterioso, dono gratuito e certo di Dio, non conquista solitaria e problematica dell’uomo. Dio è già all’opera nella storia per preparare un mondo nuovo. Il fascino della buona notizia fa uscire dalle illusorie sicurezze e dalle paure; attrae i nostri passi su una strada difficile e imprevedibile, ma senz’altro carica di promesse, come quella dei primi discepoli.
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Come i primi discepoli [138]
Sulle rive del lago di Tiberìade quattro pescatori, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono intenti al solito lavoro: aggiustano le reti, preparano le barche, sistemano il pesce da vendere. Si avvicina Gesù di Nàzaret, il giovane maestro che da poco ha cominciato a predicare per le strade di Galilea, e li chiama con autorità: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Ed essi lasciano mestiere e famiglia, il loro piccolo mondo; senza indugio vanno con lui, verso un futuro tutto da scoprire, ben lontani dall’immaginare dove andranno ad approdare.
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Messaggero e protagonista
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I concetti, tra loro intimamente collegati, di vangelo e di regno di Dio, fanno riferimento ad alcuni oracoli del libro di Isaia, che prospettano un grandioso intervento di Dio a favore di Israele, un nuovo esodo. Dio si prenderà cura personalmente del suo popolo, come un pastore fa con il suo gregge. Lo libererà, lo risanerà, lo guiderà verso Gerusalemme. Un messaggero correrà avanti a portare la buona notizia, «messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7); messaggero «mandato a portare il lieto annunzio ai miseri... per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere» (Is 61,13).
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[109]
Sullo sfondo di queste profezie, Gesù afferma che la storia è arrivata alla svolta decisiva: la grande promessa comincia a realizzarsi. Dio viene per regnare in modo nuovo e definitivo. Viene per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno è da intendere soprattutto come sovranità, regalità, come una realtà misteriosa e dinamica, che si è fatta vicina, anzi è già in mezzo agli uomini e deve essere accolta con umiltà e fiducia
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[110]
Gesù identifica se stesso con la figura del messaggero che annuncia l’inaugurazione del regno di Dio: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ma, oltre che messaggero, si considera anche protagonista del Regno: l’intervento di Dio si attua attraverso di lui. Egli è venuto a radunare le «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24), in modo da attirare anche le nazioni «dall’oriente e dall’occidente» (Mt 8,11). È venuto per dare inizio alla liberazione integrale dell’umanità, con le meraviglie tipiche del nuovo esodo: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5).
Incontrare il Maestro e vivere in comunione con lui significa fare un’esperienza privilegiata, superiore a quella di Giovanni Battista
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Il presente
[122]
D’altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28).
Il presente, umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare tutta la pasta.
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La gioia di Gesù
[132]
Gesù stesso è povero e perseguitato, ma pieno di gioia; esulta nello Spirito Santo e loda il Padre
Egli vuole comunicare la sua gioia: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28); «La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11); «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Gesù dona una felicità, che può coesistere anche con la sofferenza, qualora non sia possibile eliminarla; anzi rende piena di significato la stessa sofferenza.
È necessario però condividere la sua comunione con il Padre, essere umili come lui, «poveri in spirito» (Mt 5,3), come egli si esprime. Il Regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni, attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto, mite e misericordioso con gli altri.
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Un cammino di fede [137]
Gesù, con il suo messaggio, scuote sia la presunzione sia il pessimismo; suscita il coraggio audace dell’umiltà. Il suo è un invito a camminare dietro a lui, verso un futuro misterioso, dono gratuito e certo di Dio, non conquista solitaria e problematica dell’uomo. Dio è già all’opera nella storia per preparare un mondo nuovo. Il fascino della buona notizia fa uscire dalle illusorie sicurezze e dalle paure; attrae i nostri passi su una strada difficile e imprevedibile, ma senz’altro carica di promesse, come quella dei primi discepoli.
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Come i primi discepoli [138]
Sulle rive del lago di Tiberìade quattro pescatori, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni, sono intenti al solito lavoro: aggiustano le reti, preparano le barche, sistemano il pesce da vendere. Si avvicina Gesù di Nàzaret, il giovane maestro che da poco ha cominciato a predicare per le strade di Galilea, e li chiama con autorità: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). Ed essi lasciano mestiere e famiglia, il loro piccolo mondo; senza indugio vanno con lui, verso un futuro tutto da scoprire, ben lontani dall’immaginare dove andranno ad approdare.
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La nostra cooperazione
[141] In Gesù, Dio Padre inaugura la sua nuova presenza nella storia e offre a noi la possibilità di entrare in un rapporto di comunione con lui. Il suo regno non ha un carattere spettacolare; ama nascondersi nella semplicità delle cose ordinarie. E tuttavia possiamo farne l’esperienza subito, se lo accogliamo liberamente e attivamente.
Per avere un raccolto soddisfacente, non basta che il seminatore getti il seme con abbondanza; occorre che il terreno sia buono. Il Regno è interamente dono, ma ha bisogno della nostra cooperazione: la esige e la provoca nello stesso tempo. Dio non solo rispetta, ma suscita la libertà; non salva l’uomo dall’esterno, come fosse un oggetto, ma lo rigenera interiormente, e poi attraverso di lui rinnova la società e il mondo. La lieta notizia del regno di Dio che viene implica un appello: «Convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15). La nuova prossimità di Dio mediante Gesù rende possibile una radicale conversione.
| CdA, 813 CONFRONTAVAI |
Un nuovo modo di pensare e di agire
[142]
Convertirsi significa assumere un diverso modo di pensare e di agire, mettendo Dio e la sua volontà al primo posto, pronti all’occorrenza a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere
La decisione deve essere netta, senza riserve: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te... E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te» (Mt 5,2930). Tuttavia Gesù conosce la fragilità umana e sa essere paziente. Lo rivela narrando di un padrone, il quale aveva nel campo un magnifico albero, che da tre anni però non gli dava frutti; ordinò al contadino di tagliarlo; ma questi gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13,8-9).
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Una vita più bella
[143]
Chi si converte, si apre alla comunione: ritrova l’armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose; riscopre un bene originario, che in fondo da sempre attendeva. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse a Gèrico, non aveva fatto altro che accumulare ricchezze, sfruttando la gente e procurandosi esecrazione da parte di tutti. Quando Gesù gli si mostra amico e va a cena da lui, comincia a vedere la vita con occhi nuovi: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8). Zaccheo deve rinunciare, almeno in parte, alle sue ricchezze; ma non si tratta di una perdita. Solo adesso, per la prima volta, è veramente contento, perché si sente rinascere come figlio di Dio e come fratello tra i fratelli
La bellezza e il fascino del regno di Dio consentono di compiere con gioia le rinunce e le fatiche più ardue. Il bracciante agricolo che è andato a lavorare a giornata e zappando ha scoperto un tesoro, corre a vendere tutti i suoi averi per acquistare il campo e quindi impadronirsi del tesoro; il mercante, che ha trovato una perla di grande valore, vende tutto quello che possiede per poterla comprare
Le rinunce, che Gesù chiede, sono in realtà una liberazione per crescere, per essere di più. Il sacrificio è via alla vera libertà, nella comunione con Dio e con gli altri. Chi riconosce Dio come Padre e fa la sua volontà, sperimenta subito il suo regno e riceve energie per una più alta moralità, per una storia diversa, personale e comunitaria, che ha come meta la vita eterna
| CdA, 948 CONFRONTAVAI |
[144] Il regno di Dio viene come dono, ma chiede la nostra libera cooperazione; la buona notizia diventa per noi realtà vissuta, se accogliamo l’appello di Gesù: «Convertitevi e credete al vangelo» (
Mc 1,15
).
Convertirsi significa assumere un nuovo modo di pensare e di agire; comporta anche rinunce, ma dischiude una vita più vera e più bella, di comunione con Dio e con gli altri.
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Liberi dalla schiavitù della ricchezza
[145] La vicinanza di Dio dà il coraggio delle scelte radicali. Innanzitutto libera dalla bramosia di possedere.
Gesù non è un asceta alla maniera di Giovanni Battista: «mangia e beve» (Mt 11,19), vive in mezzo alla gente, ha simpatia per il mondo. Però vive per il Padre, ancorato al suo amore, disponibile alla sua volontà. Per testimoniare la fiducia assoluta in lui e dedicarsi totalmente al suo regno, assume una vita povera e itinerante: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Vuole che anche i discepoli vadano a portare la lieta notizia alleggeriti da ogni zavorra: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno» (Lc 9,3). Ammonisce la gente a non lasciarsi suggestionare dalla ricchezza: «Nessuno può servire a due padroni...: non potete servire a Dio e al denaro» (Mt 6,24).
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[146]
La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).
Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste
| CdA, 134 CONFRONTAVAI CdA 1121 CONFRONTAVAI |
[147]
La preoccupazione del benessere va ridimensionata. Ci sono valori più importanti e decisivi che non il cibo e il vestito: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,26-33). Occorre certo seminare e mietere, filare e tessere, progettare e lavorare, ma senza ansia per il domani
Il vangelo comanda di distribuire e mettere in circolazione i propri beni: «Fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33). Condanna il possesso egoistico, che non tiene conto delle necessità altrui. Non chiede però di vivere nella miseria. Valore assoluto è la fraternità, non la povertà materiale. Lo conferma l’esperienza della prima Chiesa a Gerusalemme, dove i credenti avevano «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32), mettevano le loro cose in comune e così «nessuno tra loro era bisognoso» (At 4,34).
| CdA, 1122 CONFRONTAVAI |
Liberi dalla sete del potere
[148] Oltre che dalla ricchezza, la vicinanza di Dio libera anche dalla tentazione di dominare sugli altri.
Gesù è venuto non per essere servito, ma per servire
L’autorità, nella comunità cristiana, dovrà essere esercitata come un servizio, e non come un dominio oppressivo alla maniera dei re delle nazioni, che sfruttano la gente e si fanno chiamare benefattori
| CCC, 2235-2236 |
[149]
Il regno di Dio non ha niente a che fare con uno stato teocratico: non impone il diritto e la giustizia con la forza; non si difende con le armi; non fa concorrenza ai regni di questo mondo
| CdA, 1103 CONFRONTAVAI |
Liberi negli affetti
[150]
La liberazione dal possesso egoistico e dall’ambizione non è sufficiente. Il regno di Dio trasforma anche gli affetti familiari e li apre a valori più alti ed universali.
Gesù, con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe
| CdA, 1075-1077 CONFRONTAVAI |
Liberi dall’angoscia
[151] Infine, il regno di Dio libera dalla paura di essere messi al bando dalla società e perfino dal timore di perdere la vita.
Gesù, quando sente dire che Erode Antipa vuole ucciderlo, come ha già fatto con Giovanni Battista, non cambia strada: «Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada» (Lc 13,32-33).
I discepoli sono chiamati a dar prova dello stesso coraggio. Non temano di essere anticonformisti e diversi dagli altri, di essere insultati e perseguitati
| CdA, 847-848 CONFRONTAVAI |
[152]
Chi ha Dio come Padre non può sentirsi mai solo: «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri» (Lc 12,6-7). La sofferenza, anche quella umanamente più inquietante e difficile da accettare, acquista un alto valore e una misteriosa fecondità. Gesù lo afferma con due immagini delicate e suggestive: il chicco di grano cade in terra e muore, ma rinasce moltiplicato
Chi aderisce a Cristo con fede viva e salda, non è più ossessionato dall’ansia di trovare sicurezze e piaceri, per sentirsi vivo; è disponibile al servizio degli altri; sperimenta personalmente che il Figlio di Dio è venuto a liberare «quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,15).
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Gesù perfeziona la Legge
[155]
La posizione di Gesù è molto originale e non può essere affatto qualificata come permissivismo; anzi, per certi aspetti, è assai più esigente di qualsiasi altra: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17). Per accogliere il regno di Dio occorre una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei
Ben sei volte nel discorso della montagna ritorna la formula «Ma io vi dico», per radicalizzare le prescrizioni della legge antica d’Israele e rivelare le esigenze di perfezione contenute nella volontà di Dio: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere... Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,2122); «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27); «Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5,31-32); «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare...; ma io vi dico: non giurate affatto... Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,333437); «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,38-39); «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,43-45).
Gesù condanna non solo l’omicidio e l’adulterio, ma anche l’atteggiamento interiore che sta alla loro radice; dichiara che il divorzio è fuori del progetto di Dio e ristabilisce l’indissolubilità del matrimonio; comanda la limpida veracità nel parlare e l’amore attivo verso i nemici, cercando di vincere il male con il bene. Tanto esigente, forte e autorevole è il suo insegnamento, da lasciare la gente sbalordita
| Cda, 897-900 CONFRONTAVAI |
[156]
Del resto, la sua severità non ha niente a che fare con il legalismo. Se è vero che egli non abolisce la legge antica, è anche vero che non si preoccupa di ripeterla con esattezza e chiaramente la modifica in qualche punto
Nelle sei antitesi del discorso della montagna, illustrate con riferimenti concreti alla vita quotidiana, offre alcune indicazioni esemplificative di questo perfezionamento. Il disegno della nuova giustizia, così tratteggiato, ha il volto della carità, che evita il male e fa il bene verso tutti, compresi i nemici. Urgenti per lui sono soltanto le implicazioni necessarie dell’amore; e la Legge va portata a perfezione risalendo al suo significato originario, al principio ispiratore che è l’amore stesso.
Gesù riprende e concentra tutta la Legge nei due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, tra loro intimamente congiunti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40). Le norme particolari sono più o meno importanti secondo che più o meno si avvicinano al cuore della Legge. «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23,23-24).
Su alcune cose Gesù è estremamente severo, su altre è sorprendentemente libero, condiscendente. Ma non c’è in lui nessuna incoerenza: la volontà di Dio è il bene vero e concreto, non un sistema intangibile di regole astratte; le norme cessano di avere valore, quando non favoriscono più la crescita autentica dell’uomo. Colui che inasprisce la condanna dell’adulterio è lo stesso che rifiuta la pena di morte, prevista dalla legge, per la donna adultera
| Cda, 878 CONFRONTAVAI |
Critico verso il formalismo religioso
Gesù prova compassione per il dolore e l’umiliazione che pesano sui lebbrosi; non solo li guarisce, ma, passando sopra alla prescrizione che li relega in uno stato di isolamento e di maledizione
Contesta le esteriorità religiose, come le abluzioni prima dei pasti e la distinzione tra cibi puri e impuri
| CdA, 878 CONFRONTAVAI |
[158]
In questa prospettiva Gesù ridimensiona lo stesso culto incentrato sul tempio di Gerusalemme
È facile capire perché a Gerusalemme tra i sacerdoti e i notabili della setta dei sadducei ci si metta in allarme e si cerchi di farlo morire
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[159]
La novità di Gesù è profonda. Lo riconosce lui stesso: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio... Né si mette vino nuovo in otri vecchi... Ma si versa vino nuovo in otri nuovi» (Mt 9,16-17). Tuttavia Gesù si trova in continuità con l’ispirazione fondamentale dei profeti e opera una liberazione che non ha niente a che fare con il permissivismo: egli responsabilizza al massimo nella concretezza e creatività dell’amore, per la totale fedeltà alla volontà di Dio e al bene dell’uomo.
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[160] Gesù non abolisce la Legge, ma la perfeziona, riconducendola alle esigenze della carità, supremo principio ispiratore.
Subordina all’autentico bene dell’uomo le regole della convivenza civile e contesta il formalismo religioso.
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Convivenza fraterna
[161] Se Gesù di Nàzaret dona e nello stesso tempo esige il distacco dalle ricchezze, dall’ambizione, dagli affetti disordinati, dai pregiudizi culturali e religiosi, lo fa in nome di una libertà che si attua nella comunione con i fratelli e con Dio.
Quelli che si convertono al regno di Dio e obbediscono alla sua volontà, costituiscono una famiglia più salda che non la parentela fondata sui legami di sangue
Neppure tra i seguaci di Gesù mancano egoismi e tensioni, ma la legge che regola i rapporti è quella della carità. Chi decide di seguirlo, sa che deve impegnarsi seriamente per una forma di vita, che prevede servizio scambievole, correzione fraterna, perdono, riconciliazione, attenzione ai più deboli.
| CdA, 850 CONFRONTAVAI |
Premura per tutti
[162]
Questo atteggiamento deve valere verso tutti, anche verso gli estranei: lo insegna con mirabile efficacia la parabola del samaritano
Un uomo viene aggredito dai briganti e lasciato mezzo morto lungo la strada. Lo vedono due passanti della sua stessa religione e nazionalità, ma tirano via senza curarsi di lui. Giunge un samaritano, uno straniero, per di più considerato eretico: si ferma, si avvicina, carica il ferito sulla cavalcatura, lo porta alla locanda, lo fa curare a proprie spese.
È necessario farsi carico di ogni uomo che incontriamo, al di là di qualsiasi differenza razziale, sociale e religiosa. È sbagliato chiedersi chi sia prossimo a noi; siamo noi che dobbiamo farci prossimi di chiunque, anche di chi è estraneo, perfino dei nostri nemici. Il modello è l’amore stesso di Dio: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36).
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Amare concretamente
[163]
Che cosa voglia dire amare, Gesù lo esemplifica nelle parole del giudizio finale: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36); e lo riassume formulando in termini positivi la cosiddetta “regola d’oro”: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12).
Amare, dunque, significa fare concretamente il bene, con premura e creatività. La misura è Gesù stesso: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
| CdA, 871 CONFRONTAVAI |
Nuova rivelazione del Padre [165]
L’esperienza di libertà e fraternità, che Gesù propone a quanti lo seguono, suppone un comune atteggiamento filiale verso Dio. Chi, per seguire Gesù, ha lasciato la propria famiglia, non ha più un padre terreno che provveda alle necessità quotidiane; ha trovato però un altro Padre, quello stesso di Gesù: «E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). Egli è pieno di premura per i suoi figli | |
[166]
Gesù si rivolge a Dio nella sua lingua, l’aramaico, chiamandolo abitualmente «Abbà» (Mc 14,36), che significa “papà”. “Abbà” è parola infantile, una delle primissime parole che il bambino impara a pronunciare: «Non appena egli sente il sapore della culla (cioè quando è divezzato), dice “abbà”, “immà” (papà, mamma)», si legge nella tradizione ebraica. Talmud babilonese, Berakhot, 40a. | CdA, 293-294 CONFRONTAVAI CdA 960 CONFRONTAVAI |
[167]
Israele aveva sperimentato la premurosa bontà di Dio nei suoi confronti e l’aveva paragonata a quella di un padre per il proprio figlio: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,13-4).
Tuttavia, l’Antico Testamento accentuava l’infinita trascendenza di Dio, l’Unico, l’Eterno, il Santo, il Creatore del cielo e della terra: «Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l’oscurità della notte... Signore è il suo nome» (Am 5,8). Anzi i contemporanei di Gesù evitano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e cercano di sostituirlo con modi di parlare che lo evocano senza nominarlo.
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[168]
Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca assoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25-27).
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Paternità universale [169]
Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il «Padre mio» (Mt 7,21) da il «Padre vostro» (Mt 7,11), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli.
Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere “Abbà” anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l’apostolo Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8,15).
Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall’eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa | CdA, 823-825 CONFRONTAVAI |
[170] Non è affatto semplice per l’uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell’ambiente, l’esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l’uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l’esperienza e rivoluziona tutti i rapporti. | |
[171] Gesù vive un’intimità del tutto singolare con Dio e lo chiama familiarmente «Abbà» (Mc 14,36).
Egli rende partecipi i credenti del suo rapporto filiale con il Padre, pieno di gratitudine, fiducia, sottomissione e gioia. | |
Gesù prega [172] Come si vive e si esprime il rapporto filiale con il Padre? Bastano l’obbedienza, il lavoro, la dedizione al prossimo? Oppure è necessario anche il dialogo della preghiera?
Gesù prega, partecipando assiduamente alla liturgia di Israele. Invoca il Padre in pubblico, nel mezzo della sua stessa attività. Soprattutto si ritira lunghe ore in solitudine, nel deserto o sui monti, di notte o di buon mattino. La sua preghiera è stare di fronte al Padre come Figlio, in perfetta reciprocità | |
“Padre nostro” [173]
Il Maestro trasmette ai discepoli il suo atteggiamento filiale verso Dio. Insegna loro la preghiera del “Padre nostro”, come espressione della nuova comunione con Dio e segno distintivo della loro identità.
La preghiera comprende sette domande nella redazione di Matteo e cinque in quella, forse più antica, di Luca; ma in realtà sotto diversi aspetti si chiede una sola cosa, l’unica necessaria: la venuta del regno di Dio in noi e nel mondo. È la preghiera dei figli, che fanno proprio il progetto del Padre e si abbandonano totalmente a lui; è la preghiera degli umili di cuore, protesi verso una salvezza più grande di quella che si può programmare e costruire con le proprie mani. | CdA, 1001-1012 CONFRONTAVAI |
[174]
Nelle parole del “Padre nostro” si può avvertire l’eco della preghiera ebraica, in cui si esprime l’anelito verso il futuro intervento di Dio: «Esaltato e santificato sia il suo grande nome, nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà; venga il suo regno durante la vostra vita...» Qaddish. “Padre nostro, che sei al di sopra di tutto come il cielo, fa’ che il tuo nome sia glorificato e riconosciuto santo.
Mostra davanti a tutti che tu solo sei Dio, radunando definitivamente il tuo popolo disperso e purificandolo dai suoi peccati con il dono del tuo Spirito Venga in pienezza la tua regalità, che porta libertà, giustizia e pace. Si compia il tuo disegno di salvezza in cielo e in terra.
Donaci fin d’ora il nostro pane futuro, un anticipo del convito del Regno Nella tua misericordia perdona i nostri peccati: anche noi siamo pronti a perdonare a chi ci ha fatto del male. Non lasciarci soccombere nella tentazione; fa’ che mai perdiamo la fiducia in te, così da non avvertire più la tua presenza e sentirci abbandonati. Liberaci dal potere del maligno, che si oppone al tuo regno e ci dà la morte”.
Pregare il Padre ci fa sperimentare che siamo figli e ci sollecita a vivere da figli: «Leva, dunque, gli occhi tuoi al Padre... che ti ha redento per mezzo del Figlio e dì: Padre nostro!... Dì anche tu per grazia: Padre nostro, per meritare di essere suo figlio» Sant’Ambrogio, I sacramenti, 5, 19. | |
Nuova rivelazione del Padre [165]
L’esperienza di libertà e fraternità, che Gesù propone a quanti lo seguono, suppone un comune atteggiamento filiale verso Dio. Chi, per seguire Gesù, ha lasciato la propria famiglia, non ha più un padre terreno che provveda alle necessità quotidiane; ha trovato però un altro Padre, quello stesso di Gesù: «E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). Egli è pieno di premura per i suoi figli | |
[166]
Gesù si rivolge a Dio nella sua lingua, l’aramaico, chiamandolo abitualmente «Abbà» (Mc 14,36), che significa “papà”. “Abbà” è parola infantile, una delle primissime parole che il bambino impara a pronunciare: «Non appena egli sente il sapore della culla (cioè quando è divezzato), dice “abbà”, “immà” (papà, mamma)», si legge nella tradizione ebraica. Talmud babilonese, Berakhot, 40a. | CdA, 293-294 CONFRONTAVAI CdA 960 CONFRONTAVAI |
[167]
Israele aveva sperimentato la premurosa bontà di Dio nei suoi confronti e l’aveva paragonata a quella di un padre per il proprio figlio: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,13-4).
Tuttavia, l’Antico Testamento accentuava l’infinita trascendenza di Dio, l’Unico, l’Eterno, il Santo, il Creatore del cielo e della terra: «Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l’oscurità della notte... Signore è il suo nome» (Am 5,8). Anzi i contemporanei di Gesù evitano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e cercano di sostituirlo con modi di parlare che lo evocano senza nominarlo.
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[168]
Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca assoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25-27).
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Paternità universale [169]
Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il «Padre mio» (Mt 7,21) da il «Padre vostro» (Mt 7,11), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli.
Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere “Abbà” anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l’apostolo Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8,15).
Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall’eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa | CdA, 823-825 CONFRONTAVAI |
[170] Non è affatto semplice per l’uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell’ambiente, l’esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l’uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l’esperienza e rivoluziona tutti i rapporti. | |
[171] Gesù vive un’intimità del tutto singolare con Dio e lo chiama familiarmente «Abbà» (Mc 14,36).
Egli rende partecipi i credenti del suo rapporto filiale con il Padre, pieno di gratitudine, fiducia, sottomissione e gioia. | |
[168]
Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca assoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25-27).
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[176]
La predicazione è solo una parte del ministero di Gesù. Alla parola si aggiunge l’azione. Così comincia a realizzarsi il regno di Dio. Le opere che egli compie, non sono soltanto sue; sono anche del Padre, che agisce per mezzo di lui nella potenza dello Spirito Santo: «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28); «Il Padre che è con me compie le sue opere» (Gv 14,10). Per mezzo di lui Dio vince Satana, guarisce i malati, perdona i peccatori, convoca la comunità.
Gesù insegnando opera e operando insegna. Le sue parole sono efficaci e i suoi gesti sono pieni di significato. Parole e gesti insieme costituiscono il suo ministero, che è servizio e dono di sé, e culmina coerentemente nel mistero pasquale. «Dio è amore» (1Gv 4,16): solo mediante il dono di sé possono essere rivelati il suo volto, la sua gloria, il suo regno.
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[177] Abbiamo parlato, nella sezione precedente, della predicazione di Gesù. Ora presenteremo la sua azione, i suoi gesti, come segni della regalità misericordiosa di Dio (capitolo 5) e poi il mistero della Pasqua, vertice del suo servizio per la nostra salvezza, nei due grandi momenti: la passione e la morte in croce (capitolo 6) e la gloriosa risurrezione (capitolo 7). | |
[178] Il regno di Dio si rivela nell’agire di Gesù come potere benevolo e misericordioso, che libera dal dominio di Satana, opera guarigioni e conversioni, raduna definitivamente il suo popolo. Lodiamo il Signore, perché compie meraviglie, e rendiamoci disponibili perché possa compierle ancora attraverso di noi.
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Solidale con i peccatori
[179]
Con il battesimo al fiume Giordano Gesù compie il suo primo gesto profetico pubblico e si rivela come Messia-Servo.
Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti, ma lo fanno quasi con disagio: si tratta del Figlio di Dio confuso tra la folla dei peccatori, che accorrono da Giovanni Battista per sottomettersi a un rito di penitenza. Il senso di questa scelta si lascia comunque intravedere abbastanza chiaramente nei loro racconti intessuti di immagini simboliche.
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[180] Gesù è il Figlio amato del Padre; ma l’intimità divina, invece di separarlo, lo congiunge ai peccatori: Dio è vicino a chi si riconosce povero e bisognoso di essere salvato. Il Padre si compiace del suo Figlio e gli affida la missione di salvezza; gli comunica la potenza dello Spirito per attuarla.
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Tentato come noi
[181]
Il carattere proprio del regno di Dio e del messianismo di Gesù viene ribadito dal racconto della tentazione. Guidato dallo Spirito Santo, Gesù si reca nel deserto. Là lo attende Satana, il tenebroso «principe di questo mondo» (Gv 12,31), che gli prospetta una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni.
Gesù respinge decisamente la tentazione: no alla facile prosperità materiale, perché si deve cercare «prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33); no all’ambigua popolarità ottenuta con il miracolo spettacolare
| CdA, 381-382 CONFRONTAVAI |
[182]
Si tratta di una scelta decisamente controcorrente. Le proposte di Satana sono anche le aspettative dell’ambiente; corrispondono anzi a ciò che gli uomini di ogni tempo spontaneamente desiderano per realizzarsi. Il regno di Dio è diverso, apparentemente debole; ma «ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).
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[183]
La tentazione è stata reale per Gesù: fu «provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Anche più tardi sperimenterà la violenza della tentazione nell’ora della passione
Gesù si consegna alla misteriosa fedeltà del Padre e aderisce costantemente alla sua volontà
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Tempo di Quaresima
[184] Il cristiano è chiamato a condividere la scelta fondamentale di Gesù. Con le promesse battesimali si impegna a respingere le medesime tentazioni del benessere, del successo e del dominio.
La Chiesa glielo ricorda ogni anno con la celebrazione della Quaresima. È un cammino di essenzialità, in cui l’adesione a Dio scaturisce da scelte di sacrificio.
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[185] Gesù si fa battezzare da Giovanni Battista, per affermare la sua solidarietà con i peccatori e assumere la missione di Messia-Servo. Respingendo la triplice tentazione della ricchezza, del successo e del dominio sugli altri, conferma la scelta di un messianismo basato sul servizio e sul dono di sé.
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Liberatore vittorioso
[186]
Come la scelta iniziale, così tutto il servizio messianico di Gesù si sviluppa in conflitto con «l’impero delle tenebre» (Lc 22,53), fino all’ora decisiva della passione
Dove passa Gesù di Nàzaret, si manifesta una potenza di liberazione, di guarigione e di riconciliazione
«Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8), perché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La vittoria di Gesù e dei suoi discepoli sul peccato e la morte, sulla sofferenza, la malattia e il disordine della natura
| CdA, 382-385 CONFRONTAVAI |
Gli esorcismi di Gesù
[187] A volte la lotta di Gesù contro il male assume la forma di uno scontro diretto, di un esorcismo con l’ordine di lasciare liberi gli indemoniati. Come interpretare questi episodi?
Alcune situazioni che i Vangeli, considerando il legame tra malattia e regno delle tenebre e seguendo la mentalità popolare del tempo, qualificano come possessione diabolica, possono essere ritenute normali malattie fisiche o psichiche, come sembra essere il caso della donna curva da diciotto anni, incapace di raddrizzarsi, che si riteneva “legata” da satana
| CdA, 386 CONFRONTAVAI |
Segni di Dio
[189] I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati «miracoli (opere potenti), prodigi e segni» (At 2,22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l’ultimo.
I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene.
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Umiltà e autorità di Gesù
[190]
Gesù di Nàzaret mostra il suo stile inconfondibile anche nel fare miracoli. Coerente con la sua missione di Messia-Servo, fermo nel respingere le tentazioni della ricchezza, del successo e del dominio, non si serve mai del miracolo per il proprio interesse personale, ad esempio per alleviare la propria fame, sete, stanchezza. Rifiuta le richieste di miracoli spettacolari, che costringano a credere
Gesù come insegna con autorità, così compie i miracoli con autorità, a nome proprio: «Io ti dico» (Mc 5,41); «Ti ordino» (Mc 2,11). Agisce con naturalezza, senza sforzo e senza alcuna preparazione; gli basta una semplice parola. Il risultato è istantaneo, sebbene i casi siano diversissimi: guarigione di lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici, epilettici; risurrezione di morti; moltiplicazione di pani e pesci, trasformazione dell’acqua in vino, una pesca miracolosa, una tempesta sedata. Alla singolarissima autorità si unisce una sorprendente umanità e tenerezza: a volte interviene senza essere richiesto, per compassione; a volte non esita a infrangere le prescrizioni della legge, guarendo in giorno di sabato o toccando i lebbrosi e i morti.
| CCC, 447 |
Significato dei miracoli
[191]
I miracoli di Gesù sono strettamente collegati alla sua predicazione. È sempre in cammino, infaticabile, per città e villaggi della Galilea, «predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23)
Il loro significato è molteplice. Dio si è fatto vicino in modo nuovo, per vincere il peccato, la malattia, la morte e ogni forma di male, per dare all’uomo la salvezza integrale, spirituale, corporea, sociale e cosmica, ora come in un anticipo e poi alla fine della storia in pienezza, facendo «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Gesù è il Messia, «colui che deve venire» (Mt 11,3)
La stessa riluttanza a compiere miracoli, che Gesù manifesta più volte, ha un suo significato. Egli vuole evitare che la gente strumentalizzi Dio ai propri interessi immediati
| CdA, 422-424 CONFRONTAVAI |
Storicità dei miracoli
[192]
Nella Chiesa delle origini i miracoli accompagnano normalmente la diffusione del vangelo e sostengono l’attività missionaria. Tuttavia non vengono sopravvalutati; rimangono in secondo piano rispetto alla vita nuova, alla santità. Gli stessi miracoli compiuti da Gesù durante la vita pubblica vengono narrati con sorprendente sobrietà. È un indizio di autenticità storica. Di indizi ve ne sono anche altri e molto solidi: le numerose sentenze evangeliche, assai antiche e attendibili, che menzionano l’attività taumaturgica di Gesù e il suo significato; le varie controversie con i farisei, che presuppongono guarigioni miracolose effettivamente compiute; le manifestazioni di entusiasmo da parte della gente, altrimenti inspiegabili
Talmud babilonese, Sanhedrin, 43. | |
Il miracolo e la scienza
[193] Del resto, miracoli nel nome di Gesù avvengono nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni, rendendo credibili quelli attribuiti a lui nella sua vita terrena.
Molti nostri contemporanei ritengono che fatti del genere siano incompatibili con la conoscenza scientifica della natura. Al più sono disposti ad ammettere alcuni fenomeni eccezionali, come effetto di suggestione o di altre forze psichiche e fisiche ancora sconosciute.
Una così radicale diffidenza non appare giustificata. Il mondo si presenta come un processo evolutivo, sempre aperto a molte possibilità, caratterizzato dalla continuità e nello stesso tempo dalla novità. In questa prospettiva è possibile concepire il miracolo come superamento creativo di una data situazione, per virtù divina, valorizzando le stesse cause naturali. Non dunque un sovvertimento, ma una ricomposizione dell’ordine delle cose, quasi un anticipo del compimento definitivo.
Quanto alla suggestione, non è difficile rendersi conto che si tratta di una spiegazione insostenibile. Nessuna fiducia, per quanto grande, può causare guarigioni istantanee di gravi malattie organiche, come la lebbra, il cancro, le fratture ossee. Senza dire che a volte vengono guarite persone non coscienti o in coma, vengono risuscitati i morti, viene trasformata la natura inanimata.
È sempre possibile ipotizzare l’intervento di forze sconosciute. Gli scienziati si limitano a constatare che il fatto prodigioso è scientificamente inspiegabile, oltre le costanti della nostra osservazione. L’interpretazione rimane aperta. Ma se l’evento straordinario avviene in un contesto religioso di serietà morale, di bontà, di umile fiducia in Dio, di preghiera, allora diventa un segno inequivocabile. Non per niente Gesù reagisce con indignazione quando gli scribi attribuiscono a Satana i suoi miracoli, che invece sono gesti evidenti di potenza benevola e misericordiosa, liberatrice e dispensatrice di vita
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Aiuto alla fede
[194]
Essendo «segni certissimi della divina rivelazione»
Concilio Vaticano I, Dei Filius, III - DS 3009; cf. Ivi, Canoni III, 3 - DS 3033.
Tuttavia non bastano certo i miracoli a produrre la fede: è l’attrazione interiore del Padre che la suscita
| CdA, 156 CONFRONTAVAI |
Vicino ai peccatori
[196] Il regno di Dio, più ancora che nei miracoli, si manifesta nel perdono concesso ai peccatori, nella loro rigenerazione come uomini nuovi, ricondotti alla comunione con il Padre e con i fratelli.
L’annuncio dei profeti e l’esperienza della preghiera avevano maturato presso il popolo ebraico il senso del peccato e la certezza del perdono di Dio. Ora Gesù indica così il senso della sua missione: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).
Le persone devote si scandalizzano per il comportamento di Gesù; mormorano, protestano, dicono di lui: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). In realtà Gesù è misericordioso, ma non accomodante. Esige conversione: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); addita come norma la santità di Dio: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Se si intrattiene con i peccatori, lo fa perché sentano di essere amati da Dio, riconoscano il loro peccato, riprendano fiducia e imparino a loro volta ad amare: «”Simone, ho una cosa da dirti... Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”» (Lc 7,40-43).
| CdA, 701 CONFRONTAVAI |
Gesù rivela il Padre misericordioso
[197]
Gesù sa di essere in totale sintonia con la misericordia del Padre. Dio ama per primo, appassionatamente; va a cercare i peccatori e, quando si convertono, fa grande festa: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta» (Lc 15,4-6).
L’unità di Gesù con il Padre è tale, che egli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l’accusa di bestemmia: «Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (Mc 2,9-11).
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Il convito del Regno
[198]
Nella parabola del padre misericordioso, la gioia del padre per il figlio perduto e ritrovato si esprime in un banchetto
Da sempre nella cultura e nella religione ebraica il banchetto era l’espressione fondamentale dell’amicizia, della festa e della pace: un banchetto alla presenza di Dio aveva concluso l’antica alleanza
| CCC, 1439CCC 1443CdA, 225 CONFRONTAVAI |
Numerosi discepoli
[200]
Mentre introduce nella storia il Regno, Gesù avvia il raduno definitivo del popolo di Dio: le due cose vanno insieme, perché il Regno, secondo le profezie, si deve rendere visibile in un popolo.
Il Maestro prova compassione per le folle, che vagano «come pecore senza pastore» (Mc 6,34), e per radunare Israele viaggia instancabile, predica e compie guarigioni. Ben presto riunisce una numerosa comunità di discepoli, come primizia e rappresentanza dei futuri credenti, come schiera di cooperatori per la raccolta della messe
| CdA, 536 CONFRONTAVAI CdA 542 CONFRONTAVAI |
I dodici
[201] Un giorno, tra questi discepoli più vicini, Gesù ne sceglie dodici. Ci sono i quattro del lago: Simone, al quale impone il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni di Zebedèo, Andrea fratello di Simone; e con loro ci sono anche Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e infine Giuda Iscariota, il traditore.
È una scelta di importanza fondamentale e, prima di farla, Gesù passa la notte in preghiera
Gesù mandò effettivamente i Dodici nelle città e nei villaggi, a proclamare il vangelo con la parola e con le opere; li mandò come suoi inviati ufficiali, a due a due secondo l’uso del tempo, con l’ordine di non esigere compensi, perché fossero segno dell’amore gratuito di Dio. «Partiti, predicavano che la gente si convertisse» (Mc 6,12) e guarivano molti malati. Al loro ritorno riferirono a Gesù «tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’“» (Mc 6,30-31). Questa prima missione, limitata al territorio di Israele, è preludio della missione definitiva verso tutte le genti, che il Signore affiderà loro dopo la sua risurrezione.
| CdA, 512-513 CONFRONTAVAI |
Una comunità come segno
[202]
Gesù è profondamente legato alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che vanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia
| CdA, 426 CONFRONTAVAI |
Comunità proiettata verso il futuro
[203]
Purtroppo, dopo un avvio promettente, il ministero di Gesù in mezzo al suo popolo va incontro a una crisi sempre più grave. Molti respingono l’invito al banchetto del Regno, con vari pretesti
| |
[204]
Col passare del tempo, il Maestro, constatando la refrattarietà delle folle curiose e superficiali, se ne tiene sempre più in disparte, per dedicarsi prevalentemente alla formazione del gruppo dei discepoli. Vuole prepararli in vista del successivo sviluppo della sua opera, non certo farne una cerchia elitaria, a somiglianza dei farisei o degli esseni. Malgrado il momentaneo insuccesso, rimane pieno di fiducia nel futuro. Incoraggia i pochi che ancora lo seguono: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32). Garantisce che la comunità, da lui radunata, sarà solida per sempre «e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Ne affiderà la guida a «Simone figlio di Giona» (Mt 16,17), al quale fin d’ora dà significativamente il nuovo nome di Pietro, che vuol dire “roccia”. Sarà lui il sostegno della futura costruzione. Intanto comincia a riconoscergli una certa preminenza tra i Dodici, come portavoce dei suoi compagni.
| CdA, 531 CONFRONTAVAI |
[205]
Come si vede, la comunità dei discepoli è intimamente legata alla venuta del regno di Dio fin dall’inizio
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1; 9. | CCC, 669CdA, 416-419 CONFRONTAVAI |
[206] Gesù avvia il definitivo raduno del popolo di Dio, in cui rendere visibile il Regno: riunisce una comunità di discepoli, tra i quali sceglie i Dodici e li manda in missione; a uno di loro, Simone, cambia il nome in Pietro e promette di affidare in futuro il compito di guidare la comunità dei credenti.
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[207] Affascinati dalla predicazione e dalle opere di Gesù, cominciamo a intuire l’identità misteriosa della sua persona. Al di là degli insegnamenti e delle singole azioni, quel che più conta è il dono totale di sé, maturato durante tutta la vita e portato a termine nella Pasqua. Attraverso l’esistenza terrena, la morte e la risurrezione, viene costituito per noi il Salvatore, che accogliendo e rivelando l’amore del Padre ci libera dal peccato e da ogni male. A lui ci accostiamo con fiducia e da lui impariamo a donare noi stessi nel servizio disinteressato. | |
Autorità e dedizione
[208]
Lo scopo di Gesù è rivelare e attuare la presenza salvifica di Dio nella storia, il suo regno. Ciò avviene non soltanto attraverso le parole e le opere, ma anche e soprattutto attraverso il mistero della morte e risurrezione, che egli chiama la sua «ora» (Gv 2,412,2317,1). Tra la venuta del regno di Dio e la vicenda personale del Maestro c’è una misteriosa compenetrazione: nel dono che egli fa di se stesso si manifesta il regno di Dio. Qual è il motivo di questo collegamento così stretto? Qual è il segreto della persona di Gesù?
| CdA, 262 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[209]
Esteriormente Gesù si presenta come un “rabbì”, un maestro della Legge, in quanto si circonda di discepoli e insegna. I discepoli però se li sceglie liberamente, come vuole; e nell’insegnare non commenta le Scritture come gli scribi, ma propone «una dottrina nuova» (Mc 1,27), con immediatezza e autorità
La stessa autorità egli esercita nel rimettere i peccati e nel celebrare il banchetto del Regno con i peccatori, verso i quali si mostra nello stesso tempo misericordioso ed esigente, oltre ogni “ragionevole” misura; e ancora la esercita nel compiere miracoli spontaneamente, a nome proprio.
Pretende di essere decisivo per la salvezza: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30); «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32-33).
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[210]
Autorità e pretese indubbiamente inaudite. D’altra parte Gesù vive poveramente, al punto che «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Non impiega mai la sua potenza miracolosa per un vantaggio personale o per imporre il proprio progetto, a costo di deludere quanti si aspettano un Messia più efficiente. Servizio e dono di sé animano il suo insegnamento e la sua attività
In Gesù autorità e servizio, misericordia e austerità si fondono in modo del tutto singolare. Sorgente di questa singolarità è l’esperienza di Dio come “Abbà”: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). Ha ricevuto tutto dal Padre e perciò è totalmente sottomesso a lui e nello stesso tempo a lui uguale nella maestà divina e nella capacità di amare.
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Il Regno come amore
[211]
Gesù è una cosa sola con il Padre e ne impersona il regno. Nel servizio e nel dono di sé, non meno che nell’autorità, lo rivela, lo glorifica: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi» (Gv 15,9). Il Padre è il primo ad amare, a donarsi, anzi è l’amore stesso
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Personaggio paradossale [213] Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. | CdA, 78 CONFRONTAVAI |
Le opinioni della gente [214]
Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo
Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11).
Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.
| CdA, 79 CONFRONTAVAI |
Riservatezza di Gesù [215]
Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?» (Mc 12,3537).
| CdA, 285 CONFRONTAVAI |
Intuizione di Pietro [216]
Gli interessa relativamente quello che dice la gente; provoca piuttosto i suoi discepoli a pronunciarsi in prima persona: «E voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
A nome dei discepoli risponde Pietro: «Tu sei il Cristo». Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: «Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere... Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2Sam 7,121416).
Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).
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Più che profeta
[218] La personalità di Gesù, soprattutto l’autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell’Antico Testamento.
Gesù si pone senz’altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: «Ecco, ora qui c’è più di Giona!... c’è più di Salomone!» (Mt 12,41-42). Del resto, se Giovanni Battista, l’ultimo e il più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova realtà del regno di Dio
Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la qualifica di “profeta”, con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza della gente, non mette l’accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato, perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!» (Lc 13,33-34).
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Servo
[219]
Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in esso il primo è colui che serve. La discussione culmina con un’affermazione importante: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).
| CdA, 180 CONFRONTAVAI |
[220] Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). | |
Titolo preferito
[221]
Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell’uomo: lo si può arguire dal fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare «sulle nubi del cielo», riceve da Dio «potere, gloria e regno» su «tutti i popoli, nazioni e lingue», «un potere eterno, che non tramonta mai» (Dn 7,13-14).
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Umiliato e glorioso
[222]
Denominandosi Figlio dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato.
Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: «Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1).
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La trasfigurazione
[223]
Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera «su un alto monte» (Mt 17,1), si trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce.
Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi, parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria
Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che «il Figlio dell’uomo dovrà soffrire» (Mt 17,12), come ha sofferto Giovanni Battista.
| CCC, 554-556 |
Gli avversari
[225]
I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
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La consapevolezza di Gesù
[226]
Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
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[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
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Festa del Regno che viene
| CdA, 198 CONFRONTAVAI CdA 685 CONFRONTAVAI |
[229]
Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà.
La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio.
Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo
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Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
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[231]
Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli
| CdA, 691-693 CONFRONTAVAI CdA 697 CONFRONTAVAI |
Il processo
[233]
Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse
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[234]
Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
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La morte in croce
[235]
Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
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Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
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Sul Calvario
[238]
Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
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[239]
Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2. Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147. | |
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» (
Mc 14,36
); «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (
Mc 15,34
).
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Tra i morti
[241]
Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù, morendo, «discese agli inferi». Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti
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Vittoria sulla morte
[242]
Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. Ha raggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: «È stata annunziata la buona novella anche ai morti» (1Pt 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono «la perfezione» (Eb 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto.
Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L’icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti.
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Dio primo protagonista
[244]
Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione.
Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3).
«Secondo le Scritture» significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della terra promessa
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Mistero d’amore
[245] Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell’amore gratuito.
Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.
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[246]
L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: «Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua giustizia!» (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: «Il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 13.
Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa «sofferenza»
Cf. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[247]
Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori
Cf. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, III, q. 47, a. 3; q. 49, a. 4.
L’iniziativa è del Padre: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo «soffre una passione d’amore»
Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6. San Gregorio Taumaturgo, A Teopompo sulla passibilità o impassibilità di Dio. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[248]
Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: «Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve
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[249]
Si è offerto «con uno Spirito eterno» (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così «lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 40. | |
Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore
[250]
Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro «capo e salvatore» (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: «È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25).
Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e «reso perfetto» (Eb 5,9) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. «Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati»
San Gregorio Magno, Commento al Libro di Giobbe, 16, 30, 37. | CdA, 274 CONFRONTAVAI CdA 399 CONFRONTAVAI CdA 401-404 CONFRONTAVAI |
[251]
Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova «viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (2Cor 5,1820).
I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana.
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[252] Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (
Gv 3,16
).
Gesù Cristo, condividendo l’amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato.
Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione.
Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato.
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Diversi linguaggi
[253]
«Guarda se trovi in me altro che amore»
Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 4, 193. | |
Riscatto
[254]
“Riscatto” «a caro prezzo» (1Cor 6,207,23)
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Sacrificio
[255]
“Sacrificio” è la morte di Gesù in quanto porta a compimento «una volta per tutte» (Eb 7,27) il senso dei riti sacrificali dell’Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l’olocausto, l’oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il sacrificio dell’agnello pasquale. Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico obiettivo: attuare la comunione dell’uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità.
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Espiazione
[256]
“Espiazione” è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo
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Soddisfazione
[257] “Soddisfazione” vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l’ordine oggettivo del mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato. Dio è soddisfatto nel suo amore creatore e santificatore, nel suo voler dare appassionato. È giusto con se stesso, perché egli è carità. La sua è una giustizia giustificante, che rende giusto chi non lo è e concretamente coincide con la sua misericordia. È lui stesso che suscita la mediazione e l’intercessione di Cristo, e subordina ad essa ogni suo altro dono.
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Merito
[258]
“Merito” esprime il valore sommo davanti a Dio dell’offerta di sé, con cui il Cristo si dispone a ricevere dal Padre la gloriosa risurrezione e a diventare principio di vita nuova per i peccatori
Cf. Concilio di Trento, Sess. VI, Decr. Sulla giustificazione, 7 DS 1529. In definitiva tutte le interpretazioni convergono nell’indicare la compiacenza del Padre per la dedizione del Cristo e la costituzione di lui risorto come unico Salvatore per tutti.
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[260] La storia di Gesù non finisce con la morte: numerosi segni manifestano che egli vive nella gloria della risurrezione, come Signore che dona lo Spirito. Per mezzo di lui anche noi risorgiamo a vita nuova; sperimentiamo la gioia di amare e di offrire noi stessi in sacrificio, la più limpida e duratura che ci sia.
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La luce di Pasqua
[261] La liturgia della veglia pasquale comincia con un rito suggestivo. La gente in chiesa attende al buio e in profondo silenzio; dal portale entra la fiamma del grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto; da quella fiamma si propagano tante fiammelle, man mano che i presenti accendono le loro candele; poi si accendono tutte le lampade; e in mezzo all’assemblea si leva il canto gioioso della risurrezione.
La fede cristiana è luce accesa e alimentata dalla Pasqua di Cristo. «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4): questo è il vangelo che la Chiesa riceve, trasmette e mantiene fedelmente. Ci rendiamo conto che si tratta di un annuncio sconvolgente, che cambia la vita?
Oggi molti sono affascinati da Gesù di Nàzaret, uomo libero, fedele a Dio e a se stesso fino alla morte, uomo per gli altri, profeta di un mondo più giusto e fraterno; ma non ammettono la sua risurrezione. Se così fosse, egli non sarebbe il Salvatore, ma soltanto un martire in più; la speranza umana resterebbe una povera speranza e la morte continuerebbe a dominare inesorabile
D’altra parte il Risorto, senza la croce e la concretezza storica di Gesù, sarebbe soltanto un mito facilmente manipolabile, una sterile proiezione delle nostre aspirazioni.
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Il regno di Dio in Cristo risorto
[262] Con il Crocifisso risuscitato riparte la causa del regno di Dio. Ciò che in modo così promettente era iniziato durante la vita pubblica e poi sembrava annullato dalla morte in croce, ora viene ripreso con nuova e potente efficacia.
Dio non finisce di stupire per il suo amore: restituisce agli uomini come Salvatore il proprio Figlio, che essi hanno rifiutato e ucciso
Il regno di Dio ormai è esplicitamente impersonato in Gesù, «costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Dio esercita la sua sovranità per mezzo di lui e «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Il vangelo del Regno, che Gesù predicava, diventa il «vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1); nasce la fede cristiana come fede in Gesù Signore e in Dio che lo ha risuscitato dai morti.
| CdA, 208 CONFRONTAVAI CdA 211 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[263] La fede cristiana ha la sua origine e il suo nucleo centrale nel mistero pasquale: «Cristo morì per i nostri peccati... ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture» (
1Cor 15,3-4
), cioè secondo il disegno salvifico di Dio.
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Cambiamento dei discepoli
[264]
Gesù di Nàzaret fu crocifisso a Gerusalemme, fuori delle mura, come un malfattore, e fu sepolto nella tomba nuova messa a disposizione da un amico, Giuseppe di Arimatèa
Ma qualche settimana dopo eccoli in pubblico a proclamare, con coraggio e appassionata convinzione, che Gesù è vivo, è risuscitato, è stato innalzato alla destra di Dio come Messia e Signore dell’universo. Costituiscono la prima comunità cristiana, dove tutti sono «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). Si sentono da lui inviati a proseguire la sua missione; per lui rischiano la vita, affrontano persecuzioni e tribolazioni d’ogni genere. Sono uomini nuovi, quasi fossero risuscitati anche loro. Deve essere proprio accaduto qualcosa!
I discepoli affermano con sicurezza che è stato Gesù stesso a trasformarli, non una loro riflessione, immaginazione o esaltazione emotiva: si è fatto vedere vivo e ha donato loro lo Spirito Santo. Si è imposto alla loro incredulità con un’iniziativa tutta sua, con una nuova chiamata.
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Incontri pasquali
[265]
L’apostolo Paolo, verso l’anno 55, riassume l’annuncio pasquale della prima comunità cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo stesso modo: «Cristo morì... fu sepolto... è risuscitato... apparve»; poi subito fa seguire un elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: «apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me» (1Cor 15,3-8).
Si potrebbe obiettare: se Gesù davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41).
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[266]
Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea. Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato dell’incontro. La struttura dei racconti è però costante: iniziativa del Risorto, che si fa vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli, senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli, che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L’insistenza sull’oggettività dell’esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri interpersonali concreti.
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Il sepolcro vuoto
[267]
Questa oggettività trova riscontro e conferma nella scoperta del sepolcro vuoto: un fatto che a Gerusalemme doveva essere pubblicamente noto, altrimenti non sarebbe stato possibile proclamare che Gesù era risuscitato, senza essere subito ridotti al silenzio e coperti di ridicolo.
Il sepolcro vuoto, sebbene da solo non possa provare la risurrezione, costituisce però un’apertura verso il mistero e un segno dell’identità del Risorto con il Crocifisso.
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Avvenimento diverso
[269]
La risurrezione di Gesù può essere considerata un fatto storico? È questa una domanda importante per la fede. La risurrezione di Gesù si riflette nella storia con dei segni: il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, la conversione e la testimonianza dei discepoli, i miracoli e altre manifestazioni dello Spirito. Tuttavia si tratta di un avvenimento non osservabile direttamente come i normali fatti storici: un avvenimento reale senza dubbio, ma di ordine diverso. I Vangeli narrano le sue manifestazioni, ma non lo raccontano in se stesso, perché non può essere raccontato. Le sue modalità rimangono ignote.
Con la risurrezione, Gesù non è tornato alla vita mortale di prima, come Lazzaro, la figlia di Giàiro o il figlio della vedova di Nain; è entrato in una dimensione superiore, ha raggiunto in Dio la condizione perfetta e definitiva di esistenza. Non è tornato indietro, ma è andato avanti e adesso non muore più. Il nostro linguaggio non può descriverlo come veramente è: i risorti sono «come angeli nei cieli» (Mc 12,25) e il loro corpo è un «corpo spirituale» (1Cor 15,44), trasfigurato secondo lo Spirito, vero ma diverso da quello terrestre, come la pianta è diversa dal seme.
| CdA, 1213 CONFRONTAVAI |
Oggetto di fede
[270] I discepoli, che hanno incontrato Gesù concretamente vivo, interpretano questa esperienza alla luce delle attese di salvezza dell’Antico Testamento e usano consapevolmente un linguaggio simbolico: lo presentano come risvegliato, rialzato in piedi, risorto, innalzato, intronizzato alla destra di Dio. Il mistero trascende la nostra comprensione e può essere affermato solo per fede, ragionevolmente però, a motivo dei segni.
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L’Ascensione
[272]
Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare
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Nella gloria trinitaria
[273]
Interpretando l’evento pasquale alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, gli apostoli proclamano: Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4); «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,32-3336).
Il Padre, donando a Gesù in modo nuovo lo Spirito Santo, lo chiama a sé e lo risuscita alla vita gloriosa; nello stesso tempo lo unisce più intimamente agli uomini e lo costituisce «capo e salvatore» (At 5,31)
| CdA, 422 CONFRONTAVAI |
Per la salvezza del mondo
[274]
La risurrezione non costituisce semplicemente un trionfo per Gesù, ma è causa della nostra salvezza: «È stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). Ha ricevuto la potenza divina di dare la vita ed è diventato il capostipite della nuova umanità, il nuovo Adamo, che ci fa rinascere come figli di Dio e conduce il mondo alla sua perfezione
Egli regna con la forza dell’amore come Agnello immolato
| CdA, 250 CONFRONTAVAI CdA 404 CONFRONTAVAI |
Primizia dei risuscitati
[276]
La risurrezione di Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione generale al termine della storia.
I discepoli, come gran parte degli ebrei del tempo, aspettavano certamente la risurrezione dei morti. Ma Gesù risorto fu per loro un avvenimento imprevisto, carico di misteriosa novità, in quanto anticipazione di un evento atteso solo per gli ultimi giorni: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,20-22).
L’offerta delle primizie, nel culto ebraico, significava la consacrazione a Dio di tutto il raccolto. Gesù di Nàzaret è risuscitato non come individuo isolato, ma come capo e rappresentante dell’umanità; è la primizia dei risorti e include virtualmente la liberazione di tutti dal peccato e dalla morte; contiene in sé la risurrezione universale, attesa per la fine dei tempi. Tutto comincia a compiersi.
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Speranza certa
[277] Per noi quest’uomo storico, che ha raggiunto la perfezione oltre la storia, è non solo la guida morale, ma il Signore vivente, che attraverso la morte ci apre un futuro definitivo di vita e di pace. La vittoria sul male è sicura; la storia va verso la salvezza; l’ultima parola appartiene alla grazia di Dio. Dobbiamo scrollarci di dosso la tristezza e la rassegnazione, per aprirci al coraggio della speranza.
| CdA, 406 CONFRONTAVAI |
[278] Gesù è risorto come capo dell’umanità: «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22).
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Rimane presente
[279] Durante il tempo di grazia dei quaranta giorni pasquali, Gesù si fa vedere a chi vuole e dove vuole. Con l’ascensione al cielo, cessa questo farsi vedere. Cessa anche la sua presenza?
«Ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose» (Ef 4,10), assicura la Scrittura. Il Risorto è più vicino a Dio e proprio per questo più vicino anche a noi; siede alla destra del Padre come Signore e proprio per questo continua più che mai a camminare sulle strade degli uomini: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).
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Nella Chiesa e nel mondo
[280] Il Risorto continua con la potenza dello Spirito a operare in modo arcano nella storia, associando a sé la comunità dei credenti, suo “corpo” visibile. La Chiesa si riunisce nel suo nome, lo invoca, lo celebra, lo annuncia, gli dà testimonianza. È inviata per essere segno tangibile della fedeltà di Dio e del suo Messia agli uomini: perciò è destinata a durare indefettibile sino alla fine del mondo.
| CdA, 403 CONFRONTAVAI CdA 426-427 CONFRONTAVAI |
[281]
Tuttavia la presenza del Regno nella storia va ben oltre le frontiere visibili della Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole
Paolo VI, Discorso per la chiusura dell’Anno Santo, 25 dicembre 1975.
La storia resta una drammatica lotta tra il bene e il male; ma Cristo vive in essa, per orientarla nel senso del compimento ultimo attraverso le molteplici attuazioni dei valori di verità, libertà, comunione, pace, bellezza. La sua sovranità si dispiega nel corso dei tempi, come servizio alla dignità e alla vocazione dell’uomo, con un’attenzione preferenziale agli ultimi. In coloro che soffrono vi è una sua particolare presenza
San Leone Magno, Discorsi, 70, 5. | |
[282] Gesù risorto è più vicino a Dio e perciò è più vicino agli uomini: siede alla destra del Padre e rimane con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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[178] Il regno di Dio si rivela nell’agire di Gesù come potere benevolo e misericordioso, che libera dal dominio di Satana, opera guarigioni e conversioni, raduna definitivamente il suo popolo. Lodiamo il Signore, perché compie meraviglie, e rendiamoci disponibili perché possa compierle ancora attraverso di noi.
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Solidale con i peccatori
[179]
Con il battesimo al fiume Giordano Gesù compie il suo primo gesto profetico pubblico e si rivela come Messia-Servo.
Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti, ma lo fanno quasi con disagio: si tratta del Figlio di Dio confuso tra la folla dei peccatori, che accorrono da Giovanni Battista per sottomettersi a un rito di penitenza. Il senso di questa scelta si lascia comunque intravedere abbastanza chiaramente nei loro racconti intessuti di immagini simboliche.
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[180] Gesù è il Figlio amato del Padre; ma l’intimità divina, invece di separarlo, lo congiunge ai peccatori: Dio è vicino a chi si riconosce povero e bisognoso di essere salvato. Il Padre si compiace del suo Figlio e gli affida la missione di salvezza; gli comunica la potenza dello Spirito per attuarla.
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Tentato come noi
[181]
Il carattere proprio del regno di Dio e del messianismo di Gesù viene ribadito dal racconto della tentazione. Guidato dallo Spirito Santo, Gesù si reca nel deserto. Là lo attende Satana, il tenebroso «principe di questo mondo» (Gv 12,31), che gli prospetta una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni.
Gesù respinge decisamente la tentazione: no alla facile prosperità materiale, perché si deve cercare «prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33); no all’ambigua popolarità ottenuta con il miracolo spettacolare
| CdA, 381-382 CONFRONTAVAI |
[182]
Si tratta di una scelta decisamente controcorrente. Le proposte di Satana sono anche le aspettative dell’ambiente; corrispondono anzi a ciò che gli uomini di ogni tempo spontaneamente desiderano per realizzarsi. Il regno di Dio è diverso, apparentemente debole; ma «ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).
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[183]
La tentazione è stata reale per Gesù: fu «provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Anche più tardi sperimenterà la violenza della tentazione nell’ora della passione
Gesù si consegna alla misteriosa fedeltà del Padre e aderisce costantemente alla sua volontà
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Tempo di Quaresima
[184] Il cristiano è chiamato a condividere la scelta fondamentale di Gesù. Con le promesse battesimali si impegna a respingere le medesime tentazioni del benessere, del successo e del dominio.
La Chiesa glielo ricorda ogni anno con la celebrazione della Quaresima. È un cammino di essenzialità, in cui l’adesione a Dio scaturisce da scelte di sacrificio.
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[185] Gesù si fa battezzare da Giovanni Battista, per affermare la sua solidarietà con i peccatori e assumere la missione di Messia-Servo. Respingendo la triplice tentazione della ricchezza, del successo e del dominio sugli altri, conferma la scelta di un messianismo basato sul servizio e sul dono di sé.
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Liberatore vittorioso
[186]
Come la scelta iniziale, così tutto il servizio messianico di Gesù si sviluppa in conflitto con «l’impero delle tenebre» (Lc 22,53), fino all’ora decisiva della passione
Dove passa Gesù di Nàzaret, si manifesta una potenza di liberazione, di guarigione e di riconciliazione
«Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8), perché gli uomini «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La vittoria di Gesù e dei suoi discepoli sul peccato e la morte, sulla sofferenza, la malattia e il disordine della natura
| CdA, 382-385 CONFRONTAVAI |
Gli esorcismi di Gesù
[187] A volte la lotta di Gesù contro il male assume la forma di uno scontro diretto, di un esorcismo con l’ordine di lasciare liberi gli indemoniati. Come interpretare questi episodi?
Alcune situazioni che i Vangeli, considerando il legame tra malattia e regno delle tenebre e seguendo la mentalità popolare del tempo, qualificano come possessione diabolica, possono essere ritenute normali malattie fisiche o psichiche, come sembra essere il caso della donna curva da diciotto anni, incapace di raddrizzarsi, che si riteneva “legata” da satana
| CdA, 386 CONFRONTAVAI |
Segni di Dio
[189] I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati «miracoli (opere potenti), prodigi e segni» (At 2,22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l’ultimo.
I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene.
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Umiltà e autorità di Gesù
[190]
Gesù di Nàzaret mostra il suo stile inconfondibile anche nel fare miracoli. Coerente con la sua missione di Messia-Servo, fermo nel respingere le tentazioni della ricchezza, del successo e del dominio, non si serve mai del miracolo per il proprio interesse personale, ad esempio per alleviare la propria fame, sete, stanchezza. Rifiuta le richieste di miracoli spettacolari, che costringano a credere
Gesù come insegna con autorità, così compie i miracoli con autorità, a nome proprio: «Io ti dico» (Mc 5,41); «Ti ordino» (Mc 2,11). Agisce con naturalezza, senza sforzo e senza alcuna preparazione; gli basta una semplice parola. Il risultato è istantaneo, sebbene i casi siano diversissimi: guarigione di lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici, epilettici; risurrezione di morti; moltiplicazione di pani e pesci, trasformazione dell’acqua in vino, una pesca miracolosa, una tempesta sedata. Alla singolarissima autorità si unisce una sorprendente umanità e tenerezza: a volte interviene senza essere richiesto, per compassione; a volte non esita a infrangere le prescrizioni della legge, guarendo in giorno di sabato o toccando i lebbrosi e i morti.
| CCC, 447 |
Significato dei miracoli
[191]
I miracoli di Gesù sono strettamente collegati alla sua predicazione. È sempre in cammino, infaticabile, per città e villaggi della Galilea, «predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23)
Il loro significato è molteplice. Dio si è fatto vicino in modo nuovo, per vincere il peccato, la malattia, la morte e ogni forma di male, per dare all’uomo la salvezza integrale, spirituale, corporea, sociale e cosmica, ora come in un anticipo e poi alla fine della storia in pienezza, facendo «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Gesù è il Messia, «colui che deve venire» (Mt 11,3)
La stessa riluttanza a compiere miracoli, che Gesù manifesta più volte, ha un suo significato. Egli vuole evitare che la gente strumentalizzi Dio ai propri interessi immediati
| CdA, 422-424 CONFRONTAVAI |
Storicità dei miracoli
[192]
Nella Chiesa delle origini i miracoli accompagnano normalmente la diffusione del vangelo e sostengono l’attività missionaria. Tuttavia non vengono sopravvalutati; rimangono in secondo piano rispetto alla vita nuova, alla santità. Gli stessi miracoli compiuti da Gesù durante la vita pubblica vengono narrati con sorprendente sobrietà. È un indizio di autenticità storica. Di indizi ve ne sono anche altri e molto solidi: le numerose sentenze evangeliche, assai antiche e attendibili, che menzionano l’attività taumaturgica di Gesù e il suo significato; le varie controversie con i farisei, che presuppongono guarigioni miracolose effettivamente compiute; le manifestazioni di entusiasmo da parte della gente, altrimenti inspiegabili
Talmud babilonese, Sanhedrin, 43. | |
Il miracolo e la scienza
[193] Del resto, miracoli nel nome di Gesù avvengono nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni, rendendo credibili quelli attribuiti a lui nella sua vita terrena.
Molti nostri contemporanei ritengono che fatti del genere siano incompatibili con la conoscenza scientifica della natura. Al più sono disposti ad ammettere alcuni fenomeni eccezionali, come effetto di suggestione o di altre forze psichiche e fisiche ancora sconosciute.
Una così radicale diffidenza non appare giustificata. Il mondo si presenta come un processo evolutivo, sempre aperto a molte possibilità, caratterizzato dalla continuità e nello stesso tempo dalla novità. In questa prospettiva è possibile concepire il miracolo come superamento creativo di una data situazione, per virtù divina, valorizzando le stesse cause naturali. Non dunque un sovvertimento, ma una ricomposizione dell’ordine delle cose, quasi un anticipo del compimento definitivo.
Quanto alla suggestione, non è difficile rendersi conto che si tratta di una spiegazione insostenibile. Nessuna fiducia, per quanto grande, può causare guarigioni istantanee di gravi malattie organiche, come la lebbra, il cancro, le fratture ossee. Senza dire che a volte vengono guarite persone non coscienti o in coma, vengono risuscitati i morti, viene trasformata la natura inanimata.
È sempre possibile ipotizzare l’intervento di forze sconosciute. Gli scienziati si limitano a constatare che il fatto prodigioso è scientificamente inspiegabile, oltre le costanti della nostra osservazione. L’interpretazione rimane aperta. Ma se l’evento straordinario avviene in un contesto religioso di serietà morale, di bontà, di umile fiducia in Dio, di preghiera, allora diventa un segno inequivocabile. Non per niente Gesù reagisce con indignazione quando gli scribi attribuiscono a Satana i suoi miracoli, che invece sono gesti evidenti di potenza benevola e misericordiosa, liberatrice e dispensatrice di vita
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Aiuto alla fede
[194]
Essendo «segni certissimi della divina rivelazione»
Concilio Vaticano I, Dei Filius, III - DS 3009; cf. Ivi, Canoni III, 3 - DS 3033.
Tuttavia non bastano certo i miracoli a produrre la fede: è l’attrazione interiore del Padre che la suscita
| CdA, 156 CONFRONTAVAI |
Vicino ai peccatori
[196] Il regno di Dio, più ancora che nei miracoli, si manifesta nel perdono concesso ai peccatori, nella loro rigenerazione come uomini nuovi, ricondotti alla comunione con il Padre e con i fratelli.
L’annuncio dei profeti e l’esperienza della preghiera avevano maturato presso il popolo ebraico il senso del peccato e la certezza del perdono di Dio. Ora Gesù indica così il senso della sua missione: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).
Le persone devote si scandalizzano per il comportamento di Gesù; mormorano, protestano, dicono di lui: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). In realtà Gesù è misericordioso, ma non accomodante. Esige conversione: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); addita come norma la santità di Dio: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Se si intrattiene con i peccatori, lo fa perché sentano di essere amati da Dio, riconoscano il loro peccato, riprendano fiducia e imparino a loro volta ad amare: «”Simone, ho una cosa da dirti... Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”» (Lc 7,40-43).
| CdA, 701 CONFRONTAVAI |
Gesù rivela il Padre misericordioso
[197]
Gesù sa di essere in totale sintonia con la misericordia del Padre. Dio ama per primo, appassionatamente; va a cercare i peccatori e, quando si convertono, fa grande festa: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta» (Lc 15,4-6).
L’unità di Gesù con il Padre è tale, che egli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l’accusa di bestemmia: «Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (Mc 2,9-11).
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Il convito del Regno
[198]
Nella parabola del padre misericordioso, la gioia del padre per il figlio perduto e ritrovato si esprime in un banchetto
Da sempre nella cultura e nella religione ebraica il banchetto era l’espressione fondamentale dell’amicizia, della festa e della pace: un banchetto alla presenza di Dio aveva concluso l’antica alleanza
| CCC, 1439CCC 1443CdA, 225 CONFRONTAVAI |
Numerosi discepoli
[200]
Mentre introduce nella storia il Regno, Gesù avvia il raduno definitivo del popolo di Dio: le due cose vanno insieme, perché il Regno, secondo le profezie, si deve rendere visibile in un popolo.
Il Maestro prova compassione per le folle, che vagano «come pecore senza pastore» (Mc 6,34), e per radunare Israele viaggia instancabile, predica e compie guarigioni. Ben presto riunisce una numerosa comunità di discepoli, come primizia e rappresentanza dei futuri credenti, come schiera di cooperatori per la raccolta della messe
| CdA, 536 CONFRONTAVAI CdA 542 CONFRONTAVAI |
I dodici
[201] Un giorno, tra questi discepoli più vicini, Gesù ne sceglie dodici. Ci sono i quattro del lago: Simone, al quale impone il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni di Zebedèo, Andrea fratello di Simone; e con loro ci sono anche Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e infine Giuda Iscariota, il traditore.
È una scelta di importanza fondamentale e, prima di farla, Gesù passa la notte in preghiera
Gesù mandò effettivamente i Dodici nelle città e nei villaggi, a proclamare il vangelo con la parola e con le opere; li mandò come suoi inviati ufficiali, a due a due secondo l’uso del tempo, con l’ordine di non esigere compensi, perché fossero segno dell’amore gratuito di Dio. «Partiti, predicavano che la gente si convertisse» (Mc 6,12) e guarivano molti malati. Al loro ritorno riferirono a Gesù «tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’“» (Mc 6,30-31). Questa prima missione, limitata al territorio di Israele, è preludio della missione definitiva verso tutte le genti, che il Signore affiderà loro dopo la sua risurrezione.
| CdA, 512-513 CONFRONTAVAI |
Una comunità come segno
[202]
Gesù è profondamente legato alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che vanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia
| CdA, 426 CONFRONTAVAI |
Comunità proiettata verso il futuro
[203]
Purtroppo, dopo un avvio promettente, il ministero di Gesù in mezzo al suo popolo va incontro a una crisi sempre più grave. Molti respingono l’invito al banchetto del Regno, con vari pretesti
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[204]
Col passare del tempo, il Maestro, constatando la refrattarietà delle folle curiose e superficiali, se ne tiene sempre più in disparte, per dedicarsi prevalentemente alla formazione del gruppo dei discepoli. Vuole prepararli in vista del successivo sviluppo della sua opera, non certo farne una cerchia elitaria, a somiglianza dei farisei o degli esseni. Malgrado il momentaneo insuccesso, rimane pieno di fiducia nel futuro. Incoraggia i pochi che ancora lo seguono: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32). Garantisce che la comunità, da lui radunata, sarà solida per sempre «e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Ne affiderà la guida a «Simone figlio di Giona» (Mt 16,17), al quale fin d’ora dà significativamente il nuovo nome di Pietro, che vuol dire “roccia”. Sarà lui il sostegno della futura costruzione. Intanto comincia a riconoscergli una certa preminenza tra i Dodici, come portavoce dei suoi compagni.
| CdA, 531 CONFRONTAVAI |
[205]
Come si vede, la comunità dei discepoli è intimamente legata alla venuta del regno di Dio fin dall’inizio
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1; 9. | CCC, 669CdA, 416-419 CONFRONTAVAI |
[206] Gesù avvia il definitivo raduno del popolo di Dio, in cui rendere visibile il Regno: riunisce una comunità di discepoli, tra i quali sceglie i Dodici e li manda in missione; a uno di loro, Simone, cambia il nome in Pietro e promette di affidare in futuro il compito di guidare la comunità dei credenti.
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Solidale con i peccatori
[179]
Con il battesimo al fiume Giordano Gesù compie il suo primo gesto profetico pubblico e si rivela come Messia-Servo.
Del battesimo di Gesù parlano tutti e quattro gli evangelisti, ma lo fanno quasi con disagio: si tratta del Figlio di Dio confuso tra la folla dei peccatori, che accorrono da Giovanni Battista per sottomettersi a un rito di penitenza. Il senso di questa scelta si lascia comunque intravedere abbastanza chiaramente nei loro racconti intessuti di immagini simboliche.
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[180] Gesù è il Figlio amato del Padre; ma l’intimità divina, invece di separarlo, lo congiunge ai peccatori: Dio è vicino a chi si riconosce povero e bisognoso di essere salvato. Il Padre si compiace del suo Figlio e gli affida la missione di salvezza; gli comunica la potenza dello Spirito per attuarla.
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Tentato come noi
[181]
Il carattere proprio del regno di Dio e del messianismo di Gesù viene ribadito dal racconto della tentazione. Guidato dallo Spirito Santo, Gesù si reca nel deserto. Là lo attende Satana, il tenebroso «principe di questo mondo» (Gv 12,31), che gli prospetta una strategia trionfalistica, un falso messianismo fatto di miracoli clamorosi, come trasformare le pietre in pane, gettarsi dall’alto del tempio con la certezza di essere salvato, conquistare il dominio politico di tutte le nazioni.
Gesù respinge decisamente la tentazione: no alla facile prosperità materiale, perché si deve cercare «prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33); no all’ambigua popolarità ottenuta con il miracolo spettacolare
| CdA, 381-382 CONFRONTAVAI |
[182]
Si tratta di una scelta decisamente controcorrente. Le proposte di Satana sono anche le aspettative dell’ambiente; corrispondono anzi a ciò che gli uomini di ogni tempo spontaneamente desiderano per realizzarsi. Il regno di Dio è diverso, apparentemente debole; ma «ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).
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[183]
La tentazione è stata reale per Gesù: fu «provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Anche più tardi sperimenterà la violenza della tentazione nell’ora della passione
Gesù si consegna alla misteriosa fedeltà del Padre e aderisce costantemente alla sua volontà
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Segni di Dio
[189] I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati «miracoli (opere potenti), prodigi e segni» (At 2,22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l’ultimo.
I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene.
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Umiltà e autorità di Gesù
[190]
Gesù di Nàzaret mostra il suo stile inconfondibile anche nel fare miracoli. Coerente con la sua missione di Messia-Servo, fermo nel respingere le tentazioni della ricchezza, del successo e del dominio, non si serve mai del miracolo per il proprio interesse personale, ad esempio per alleviare la propria fame, sete, stanchezza. Rifiuta le richieste di miracoli spettacolari, che costringano a credere
Gesù come insegna con autorità, così compie i miracoli con autorità, a nome proprio: «Io ti dico» (Mc 5,41); «Ti ordino» (Mc 2,11). Agisce con naturalezza, senza sforzo e senza alcuna preparazione; gli basta una semplice parola. Il risultato è istantaneo, sebbene i casi siano diversissimi: guarigione di lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici, epilettici; risurrezione di morti; moltiplicazione di pani e pesci, trasformazione dell’acqua in vino, una pesca miracolosa, una tempesta sedata. Alla singolarissima autorità si unisce una sorprendente umanità e tenerezza: a volte interviene senza essere richiesto, per compassione; a volte non esita a infrangere le prescrizioni della legge, guarendo in giorno di sabato o toccando i lebbrosi e i morti.
| CCC, 447 |
Significato dei miracoli
[191]
I miracoli di Gesù sono strettamente collegati alla sua predicazione. È sempre in cammino, infaticabile, per città e villaggi della Galilea, «predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23)
Il loro significato è molteplice. Dio si è fatto vicino in modo nuovo, per vincere il peccato, la malattia, la morte e ogni forma di male, per dare all’uomo la salvezza integrale, spirituale, corporea, sociale e cosmica, ora come in un anticipo e poi alla fine della storia in pienezza, facendo «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Gesù è il Messia, «colui che deve venire» (Mt 11,3)
La stessa riluttanza a compiere miracoli, che Gesù manifesta più volte, ha un suo significato. Egli vuole evitare che la gente strumentalizzi Dio ai propri interessi immediati
| CdA, 422-424 CONFRONTAVAI |
Storicità dei miracoli
[192]
Nella Chiesa delle origini i miracoli accompagnano normalmente la diffusione del vangelo e sostengono l’attività missionaria. Tuttavia non vengono sopravvalutati; rimangono in secondo piano rispetto alla vita nuova, alla santità. Gli stessi miracoli compiuti da Gesù durante la vita pubblica vengono narrati con sorprendente sobrietà. È un indizio di autenticità storica. Di indizi ve ne sono anche altri e molto solidi: le numerose sentenze evangeliche, assai antiche e attendibili, che menzionano l’attività taumaturgica di Gesù e il suo significato; le varie controversie con i farisei, che presuppongono guarigioni miracolose effettivamente compiute; le manifestazioni di entusiasmo da parte della gente, altrimenti inspiegabili
Talmud babilonese, Sanhedrin, 43. | |
Il miracolo e la scienza
[193] Del resto, miracoli nel nome di Gesù avvengono nella storia della Chiesa fino ai nostri giorni, rendendo credibili quelli attribuiti a lui nella sua vita terrena.
Molti nostri contemporanei ritengono che fatti del genere siano incompatibili con la conoscenza scientifica della natura. Al più sono disposti ad ammettere alcuni fenomeni eccezionali, come effetto di suggestione o di altre forze psichiche e fisiche ancora sconosciute.
Una così radicale diffidenza non appare giustificata. Il mondo si presenta come un processo evolutivo, sempre aperto a molte possibilità, caratterizzato dalla continuità e nello stesso tempo dalla novità. In questa prospettiva è possibile concepire il miracolo come superamento creativo di una data situazione, per virtù divina, valorizzando le stesse cause naturali. Non dunque un sovvertimento, ma una ricomposizione dell’ordine delle cose, quasi un anticipo del compimento definitivo.
Quanto alla suggestione, non è difficile rendersi conto che si tratta di una spiegazione insostenibile. Nessuna fiducia, per quanto grande, può causare guarigioni istantanee di gravi malattie organiche, come la lebbra, il cancro, le fratture ossee. Senza dire che a volte vengono guarite persone non coscienti o in coma, vengono risuscitati i morti, viene trasformata la natura inanimata.
È sempre possibile ipotizzare l’intervento di forze sconosciute. Gli scienziati si limitano a constatare che il fatto prodigioso è scientificamente inspiegabile, oltre le costanti della nostra osservazione. L’interpretazione rimane aperta. Ma se l’evento straordinario avviene in un contesto religioso di serietà morale, di bontà, di umile fiducia in Dio, di preghiera, allora diventa un segno inequivocabile. Non per niente Gesù reagisce con indignazione quando gli scribi attribuiscono a Satana i suoi miracoli, che invece sono gesti evidenti di potenza benevola e misericordiosa, liberatrice e dispensatrice di vita
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Aiuto alla fede
[194]
Essendo «segni certissimi della divina rivelazione»
Concilio Vaticano I, Dei Filius, III - DS 3009; cf. Ivi, Canoni III, 3 - DS 3033.
Tuttavia non bastano certo i miracoli a produrre la fede: è l’attrazione interiore del Padre che la suscita
| CdA, 156 CONFRONTAVAI |
Vicino ai peccatori
[196] Il regno di Dio, più ancora che nei miracoli, si manifesta nel perdono concesso ai peccatori, nella loro rigenerazione come uomini nuovi, ricondotti alla comunione con il Padre e con i fratelli.
L’annuncio dei profeti e l’esperienza della preghiera avevano maturato presso il popolo ebraico il senso del peccato e la certezza del perdono di Dio. Ora Gesù indica così il senso della sua missione: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).
Le persone devote si scandalizzano per il comportamento di Gesù; mormorano, protestano, dicono di lui: «Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). In realtà Gesù è misericordioso, ma non accomodante. Esige conversione: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); addita come norma la santità di Dio: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Se si intrattiene con i peccatori, lo fa perché sentano di essere amati da Dio, riconoscano il loro peccato, riprendano fiducia e imparino a loro volta ad amare: «”Simone, ho una cosa da dirti... Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”» (Lc 7,40-43).
| CdA, 701 CONFRONTAVAI |
Gesù rivela il Padre misericordioso
[197]
Gesù sa di essere in totale sintonia con la misericordia del Padre. Dio ama per primo, appassionatamente; va a cercare i peccatori e, quando si convertono, fa grande festa: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta» (Lc 15,4-6).
L’unità di Gesù con il Padre è tale, che egli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l’accusa di bestemmia: «Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua» (Mc 2,9-11).
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Il convito del Regno
[198]
Nella parabola del padre misericordioso, la gioia del padre per il figlio perduto e ritrovato si esprime in un banchetto
Da sempre nella cultura e nella religione ebraica il banchetto era l’espressione fondamentale dell’amicizia, della festa e della pace: un banchetto alla presenza di Dio aveva concluso l’antica alleanza
| CCC, 1439CCC 1443CdA, 225 CONFRONTAVAI |
Numerosi discepoli
[200]
Mentre introduce nella storia il Regno, Gesù avvia il raduno definitivo del popolo di Dio: le due cose vanno insieme, perché il Regno, secondo le profezie, si deve rendere visibile in un popolo.
Il Maestro prova compassione per le folle, che vagano «come pecore senza pastore» (Mc 6,34), e per radunare Israele viaggia instancabile, predica e compie guarigioni. Ben presto riunisce una numerosa comunità di discepoli, come primizia e rappresentanza dei futuri credenti, come schiera di cooperatori per la raccolta della messe
| CdA, 536 CONFRONTAVAI CdA 542 CONFRONTAVAI |
I dodici
[201] Un giorno, tra questi discepoli più vicini, Gesù ne sceglie dodici. Ci sono i quattro del lago: Simone, al quale impone il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni di Zebedèo, Andrea fratello di Simone; e con loro ci sono anche Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e infine Giuda Iscariota, il traditore.
È una scelta di importanza fondamentale e, prima di farla, Gesù passa la notte in preghiera
Gesù mandò effettivamente i Dodici nelle città e nei villaggi, a proclamare il vangelo con la parola e con le opere; li mandò come suoi inviati ufficiali, a due a due secondo l’uso del tempo, con l’ordine di non esigere compensi, perché fossero segno dell’amore gratuito di Dio. «Partiti, predicavano che la gente si convertisse» (Mc 6,12) e guarivano molti malati. Al loro ritorno riferirono a Gesù «tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’“» (Mc 6,30-31). Questa prima missione, limitata al territorio di Israele, è preludio della missione definitiva verso tutte le genti, che il Signore affiderà loro dopo la sua risurrezione.
| CdA, 512-513 CONFRONTAVAI |
Una comunità come segno
[202]
Gesù è profondamente legato alla comunità dei discepoli, composta da quelli che credono in lui e particolarmente da quelli che vanno anche materialmente con lui: la considera la sua vera famiglia
| CdA, 426 CONFRONTAVAI |
Comunità proiettata verso il futuro
[203]
Purtroppo, dopo un avvio promettente, il ministero di Gesù in mezzo al suo popolo va incontro a una crisi sempre più grave. Molti respingono l’invito al banchetto del Regno, con vari pretesti
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[204]
Col passare del tempo, il Maestro, constatando la refrattarietà delle folle curiose e superficiali, se ne tiene sempre più in disparte, per dedicarsi prevalentemente alla formazione del gruppo dei discepoli. Vuole prepararli in vista del successivo sviluppo della sua opera, non certo farne una cerchia elitaria, a somiglianza dei farisei o degli esseni. Malgrado il momentaneo insuccesso, rimane pieno di fiducia nel futuro. Incoraggia i pochi che ancora lo seguono: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32). Garantisce che la comunità, da lui radunata, sarà solida per sempre «e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18). Ne affiderà la guida a «Simone figlio di Giona» (Mt 16,17), al quale fin d’ora dà significativamente il nuovo nome di Pietro, che vuol dire “roccia”. Sarà lui il sostegno della futura costruzione. Intanto comincia a riconoscergli una certa preminenza tra i Dodici, come portavoce dei suoi compagni.
| CdA, 531 CONFRONTAVAI |
[205]
Come si vede, la comunità dei discepoli è intimamente legata alla venuta del regno di Dio fin dall’inizio
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1; 9. | CCC, 669CdA, 416-419 CONFRONTAVAI |
[206] Gesù avvia il definitivo raduno del popolo di Dio, in cui rendere visibile il Regno: riunisce una comunità di discepoli, tra i quali sceglie i Dodici e li manda in missione; a uno di loro, Simone, cambia il nome in Pietro e promette di affidare in futuro il compito di guidare la comunità dei credenti.
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[207] Affascinati dalla predicazione e dalle opere di Gesù, cominciamo a intuire l’identità misteriosa della sua persona. Al di là degli insegnamenti e delle singole azioni, quel che più conta è il dono totale di sé, maturato durante tutta la vita e portato a termine nella Pasqua. Attraverso l’esistenza terrena, la morte e la risurrezione, viene costituito per noi il Salvatore, che accogliendo e rivelando l’amore del Padre ci libera dal peccato e da ogni male. A lui ci accostiamo con fiducia e da lui impariamo a donare noi stessi nel servizio disinteressato. | |
Autorità e dedizione
[208]
Lo scopo di Gesù è rivelare e attuare la presenza salvifica di Dio nella storia, il suo regno. Ciò avviene non soltanto attraverso le parole e le opere, ma anche e soprattutto attraverso il mistero della morte e risurrezione, che egli chiama la sua «ora» (Gv 2,412,2317,1). Tra la venuta del regno di Dio e la vicenda personale del Maestro c’è una misteriosa compenetrazione: nel dono che egli fa di se stesso si manifesta il regno di Dio. Qual è il motivo di questo collegamento così stretto? Qual è il segreto della persona di Gesù?
| CdA, 262 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[209]
Esteriormente Gesù si presenta come un “rabbì”, un maestro della Legge, in quanto si circonda di discepoli e insegna. I discepoli però se li sceglie liberamente, come vuole; e nell’insegnare non commenta le Scritture come gli scribi, ma propone «una dottrina nuova» (Mc 1,27), con immediatezza e autorità
La stessa autorità egli esercita nel rimettere i peccati e nel celebrare il banchetto del Regno con i peccatori, verso i quali si mostra nello stesso tempo misericordioso ed esigente, oltre ogni “ragionevole” misura; e ancora la esercita nel compiere miracoli spontaneamente, a nome proprio.
Pretende di essere decisivo per la salvezza: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30); «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32-33).
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[210]
Autorità e pretese indubbiamente inaudite. D’altra parte Gesù vive poveramente, al punto che «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Non impiega mai la sua potenza miracolosa per un vantaggio personale o per imporre il proprio progetto, a costo di deludere quanti si aspettano un Messia più efficiente. Servizio e dono di sé animano il suo insegnamento e la sua attività
In Gesù autorità e servizio, misericordia e austerità si fondono in modo del tutto singolare. Sorgente di questa singolarità è l’esperienza di Dio come “Abbà”: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). Ha ricevuto tutto dal Padre e perciò è totalmente sottomesso a lui e nello stesso tempo a lui uguale nella maestà divina e nella capacità di amare.
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Il Regno come amore
[211]
Gesù è una cosa sola con il Padre e ne impersona il regno. Nel servizio e nel dono di sé, non meno che nell’autorità, lo rivela, lo glorifica: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi» (Gv 15,9). Il Padre è il primo ad amare, a donarsi, anzi è l’amore stesso
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Personaggio paradossale [213] Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. | CdA, 78 CONFRONTAVAI |
Le opinioni della gente [214]
Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo
Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11).
Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.
| CdA, 79 CONFRONTAVAI |
Riservatezza di Gesù [215]
Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?» (Mc 12,3537).
| CdA, 285 CONFRONTAVAI |
Intuizione di Pietro [216]
Gli interessa relativamente quello che dice la gente; provoca piuttosto i suoi discepoli a pronunciarsi in prima persona: «E voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
A nome dei discepoli risponde Pietro: «Tu sei il Cristo». Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: «Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere... Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2Sam 7,121416).
Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).
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Più che profeta
[218] La personalità di Gesù, soprattutto l’autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell’Antico Testamento.
Gesù si pone senz’altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: «Ecco, ora qui c’è più di Giona!... c’è più di Salomone!» (Mt 12,41-42). Del resto, se Giovanni Battista, l’ultimo e il più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova realtà del regno di Dio
Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la qualifica di “profeta”, con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza della gente, non mette l’accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato, perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!» (Lc 13,33-34).
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Servo
[219]
Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in esso il primo è colui che serve. La discussione culmina con un’affermazione importante: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).
| CdA, 180 CONFRONTAVAI |
[220] Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). | |
Titolo preferito
[221]
Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell’uomo: lo si può arguire dal fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare «sulle nubi del cielo», riceve da Dio «potere, gloria e regno» su «tutti i popoli, nazioni e lingue», «un potere eterno, che non tramonta mai» (Dn 7,13-14).
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Umiliato e glorioso
[222]
Denominandosi Figlio dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato.
Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: «Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1).
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La trasfigurazione
[223]
Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera «su un alto monte» (Mt 17,1), si trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce.
Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi, parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria
Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che «il Figlio dell’uomo dovrà soffrire» (Mt 17,12), come ha sofferto Giovanni Battista.
| CCC, 554-556 |
Gli avversari
[225]
I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
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La consapevolezza di Gesù
[226]
Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
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[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
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Festa del Regno che viene
| CdA, 198 CONFRONTAVAI CdA 685 CONFRONTAVAI |
[229]
Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà.
La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio.
Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo
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Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
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[231]
Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli
| CdA, 691-693 CONFRONTAVAI CdA 697 CONFRONTAVAI |
Il processo
[233]
Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse
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[234]
Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
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La morte in croce
[235]
Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
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Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
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Sul Calvario
[238]
Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
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[239]
Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2. Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147. | |
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» (
Mc 14,36
); «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (
Mc 15,34
).
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Tra i morti
[241]
Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù, morendo, «discese agli inferi». Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti
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Vittoria sulla morte
[242]
Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. Ha raggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: «È stata annunziata la buona novella anche ai morti» (1Pt 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono «la perfezione» (Eb 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto.
Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L’icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti.
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Dio primo protagonista
[244]
Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione.
Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3).
«Secondo le Scritture» significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della terra promessa
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Mistero d’amore
[245] Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell’amore gratuito.
Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.
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[246]
L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: «Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua giustizia!» (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: «Il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 13.
Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa «sofferenza»
Cf. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[247]
Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori
Cf. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, III, q. 47, a. 3; q. 49, a. 4.
L’iniziativa è del Padre: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo «soffre una passione d’amore»
Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6. San Gregorio Taumaturgo, A Teopompo sulla passibilità o impassibilità di Dio. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[248]
Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: «Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve
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[249]
Si è offerto «con uno Spirito eterno» (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così «lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 40. | |
Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore
[250]
Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro «capo e salvatore» (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: «È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25).
Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e «reso perfetto» (Eb 5,9) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. «Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati»
San Gregorio Magno, Commento al Libro di Giobbe, 16, 30, 37. | CdA, 274 CONFRONTAVAI CdA 399 CONFRONTAVAI CdA 401-404 CONFRONTAVAI |
[251]
Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova «viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (2Cor 5,1820).
I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana.
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[252] Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (
Gv 3,16
).
Gesù Cristo, condividendo l’amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato.
Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione.
Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato.
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Diversi linguaggi
[253]
«Guarda se trovi in me altro che amore»
Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 4, 193. | |
Riscatto
[254]
“Riscatto” «a caro prezzo» (1Cor 6,207,23)
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Sacrificio
[255]
“Sacrificio” è la morte di Gesù in quanto porta a compimento «una volta per tutte» (Eb 7,27) il senso dei riti sacrificali dell’Antico Testamento: i sacrifici di alleanza, l’olocausto, l’oblazione, il sacrificio pacifico, quello di riparazione e quello di espiazione, soprattutto il sacrificio dell’agnello pasquale. Tali sacrifici convergono in definitiva verso un unico obiettivo: attuare la comunione dell’uomo con Dio, rendendolo partecipe della sua santità.
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Espiazione
[256]
“Espiazione” è da intendere come purificazione, non come castigo sostitutivo
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Soddisfazione
[257] “Soddisfazione” vuol dire che la croce di Cristo ricostruisce l’ordine oggettivo del mondo e il suo giusto rapporto con Dio, riparando i danni causati dal peccato. Dio è soddisfatto nel suo amore creatore e santificatore, nel suo voler dare appassionato. È giusto con se stesso, perché egli è carità. La sua è una giustizia giustificante, che rende giusto chi non lo è e concretamente coincide con la sua misericordia. È lui stesso che suscita la mediazione e l’intercessione di Cristo, e subordina ad essa ogni suo altro dono.
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Merito
[258]
“Merito” esprime il valore sommo davanti a Dio dell’offerta di sé, con cui il Cristo si dispone a ricevere dal Padre la gloriosa risurrezione e a diventare principio di vita nuova per i peccatori
Cf. Concilio di Trento, Sess. VI, Decr. Sulla giustificazione, 7 DS 1529. In definitiva tutte le interpretazioni convergono nell’indicare la compiacenza del Padre per la dedizione del Cristo e la costituzione di lui risorto come unico Salvatore per tutti.
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[207] Affascinati dalla predicazione e dalle opere di Gesù, cominciamo a intuire l’identità misteriosa della sua persona. Al di là degli insegnamenti e delle singole azioni, quel che più conta è il dono totale di sé, maturato durante tutta la vita e portato a termine nella Pasqua. Attraverso l’esistenza terrena, la morte e la risurrezione, viene costituito per noi il Salvatore, che accogliendo e rivelando l’amore del Padre ci libera dal peccato e da ogni male. A lui ci accostiamo con fiducia e da lui impariamo a donare noi stessi nel servizio disinteressato. | |
Autorità e dedizione
[208]
Lo scopo di Gesù è rivelare e attuare la presenza salvifica di Dio nella storia, il suo regno. Ciò avviene non soltanto attraverso le parole e le opere, ma anche e soprattutto attraverso il mistero della morte e risurrezione, che egli chiama la sua «ora» (Gv 2,412,2317,1). Tra la venuta del regno di Dio e la vicenda personale del Maestro c’è una misteriosa compenetrazione: nel dono che egli fa di se stesso si manifesta il regno di Dio. Qual è il motivo di questo collegamento così stretto? Qual è il segreto della persona di Gesù?
| CdA, 262 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[209]
Esteriormente Gesù si presenta come un “rabbì”, un maestro della Legge, in quanto si circonda di discepoli e insegna. I discepoli però se li sceglie liberamente, come vuole; e nell’insegnare non commenta le Scritture come gli scribi, ma propone «una dottrina nuova» (Mc 1,27), con immediatezza e autorità
La stessa autorità egli esercita nel rimettere i peccati e nel celebrare il banchetto del Regno con i peccatori, verso i quali si mostra nello stesso tempo misericordioso ed esigente, oltre ogni “ragionevole” misura; e ancora la esercita nel compiere miracoli spontaneamente, a nome proprio.
Pretende di essere decisivo per la salvezza: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30); «Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli» (Mt 10,32-33).
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[210]
Autorità e pretese indubbiamente inaudite. D’altra parte Gesù vive poveramente, al punto che «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Non impiega mai la sua potenza miracolosa per un vantaggio personale o per imporre il proprio progetto, a costo di deludere quanti si aspettano un Messia più efficiente. Servizio e dono di sé animano il suo insegnamento e la sua attività
In Gesù autorità e servizio, misericordia e austerità si fondono in modo del tutto singolare. Sorgente di questa singolarità è l’esperienza di Dio come “Abbà”: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). Ha ricevuto tutto dal Padre e perciò è totalmente sottomesso a lui e nello stesso tempo a lui uguale nella maestà divina e nella capacità di amare.
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Il Regno come amore
[211]
Gesù è una cosa sola con il Padre e ne impersona il regno. Nel servizio e nel dono di sé, non meno che nell’autorità, lo rivela, lo glorifica: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi» (Gv 15,9). Il Padre è il primo ad amare, a donarsi, anzi è l’amore stesso
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Personaggio paradossale [213] Gesù è un personaggio singolare e affascinante. Magnanimo e umile. Forte e mite. Totalmente libero e totalmente a servizio. Vicino al Dio santo e vicino all’uomo peccatore. Di viva intelligenza e squisita sensibilità. Elevato nel pensiero e semplice nell’esprimersi. Contemplativo e impegnato nell’azione. Profeticamente indignato verso i prepotenti e gli ipocriti e premuroso verso gli oppressi, i malati, i semplici e i bambini. Realistico nel valutare la fragilità e la malvagità umana e fiducioso nelle possibilità di conversione e di bene. Aperto all’amicizia e ai valori della vita e pronto ad accettare la solitudine e la morte. Soprattutto singolare, incomparabile nell’autorità e nel dono di sé. | CdA, 78 CONFRONTAVAI |
Le opinioni della gente [214]
Già al suo tempo la gente, presa dallo stupore, si domandava: da dove gli viene questa autorità, questa potenza nell’operare e questa sapienza nel parlare? qual è la vera identità di quest’uomo
Presto «il suo nome era diventato famoso» (Mc 6,14) e in Galilea si affermava sempre più, nell’opinione popolare, l’idea che Gesù fosse un grande profeta taumaturgo; tant’è vero che, in occasione dell’ingresso solenne a Gerusalemme, ai cittadini che chiedono spiegazioni la folla dei pellegrini galilei risponderà: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea» (Mt 21,11).
Per alcuni farisei era invece un falso profeta, posseduto da Satana, perché violava la legge e si intratteneva con i peccatori.
| CdA, 79 CONFRONTAVAI |
Riservatezza di Gesù [215]
Gesù, da parte sua, induce la gente a interrogarsi e lascia la domanda sempre aperta. Per non essere frainteso in senso politico nazionalista, evita di proclamarsi esplicitamente Messia, sebbene riceva pressioni in questo senso: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24). Invece di rispondere, invita a riflettere sul carattere misterioso di questo personaggio da tutti atteso: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide?... Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?» (Mc 12,3537).
| CdA, 285 CONFRONTAVAI |
Intuizione di Pietro [216]
Gli interessa relativamente quello che dice la gente; provoca piuttosto i suoi discepoli a pronunciarsi in prima persona: «E voi chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
A nome dei discepoli risponde Pietro: «Tu sei il Cristo». Pietro intuisce che Gesù è il salvatore e liberatore definitivo che introduce il regno di Dio, colui che Israele attendeva da secoli in base alla profezia di Natan al re David: «Io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere... Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2Sam 7,121416).
Pietro intuisce, ma non comprende. Quando Gesù annuncia la propria morte, egli si ribella. Secondo la mentalità corrente ritiene che il Messia debba essere un trionfatore sulla scena di questo mondo; non sa proprio immaginarselo sconfitto e addirittura ucciso. Gesù lo rimprovera duramente: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33).
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Più che profeta
[218] La personalità di Gesù, soprattutto l’autorità inaudita e il totale dono di sé, lasciano trasparire un profondo mistero. Viene spontaneo domandarsi se egli non abbia provato a definire la sua identità con qualche titolo o in riferimento a qualche figura dell’Antico Testamento.
Gesù si pone senz’altro al di sopra dei profeti e dei sapienti: «Ecco, ora qui c’è più di Giona!... c’è più di Salomone!» (Mt 12,41-42). Del resto, se Giovanni Battista, l’ultimo e il più grande dei profeti, ha un ruolo inferiore al più piccolo di quanti appartengono alla nuova realtà del regno di Dio
Tuttavia Gesù si situa nella linea dei profeti e non respinge la qualifica di “profeta”, con cui viene designato in ambienti popolari. Solo che, a differenza della gente, non mette l’accento sul potere di taumaturgo, ma sul destino di profeta rifiutato, perseguitato e martire, perché fedele a Dio e alla missione ricevuta: «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!» (Lc 13,33-34).
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Servo
[219]
Sulla strada verso Gerusalemme, la ricerca di potenza, di benessere e di prestigio dei discepoli si scontra ripetutamente con la logica di Gesù, secondo cui il Regno è servizio e in esso il primo è colui che serve. La discussione culmina con un’affermazione importante: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).
| CdA, 180 CONFRONTAVAI |
[220] Gesù si identifica con la figura profetica del Servo del Signore: «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). | |
Titolo preferito
[221]
Per parlare di sé, Gesù preferiva usare il titolo di Figlio dell’uomo: lo si può arguire dal fatto che esso ricorre nei Vangeli ben ottantadue volte e sempre sulla sua bocca, come autodesignazione. Il riferimento è a un personaggio celeste del libro di Daniele, che appare «sulle nubi del cielo», riceve da Dio «potere, gloria e regno» su «tutti i popoli, nazioni e lingue», «un potere eterno, che non tramonta mai» (Dn 7,13-14).
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Umiliato e glorioso
[222]
Denominandosi Figlio dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato.
Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: «Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1).
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La trasfigurazione
[223]
Intanto a tre di loro, Pietro, Giacomo e Giovanni, il Maestro concede di pregustare un anticipo della sua gloria futura. Mentre si trova in preghiera «su un alto monte» (Mt 17,1), si trasfigura. Diviene sfolgorante come la luce.
Con Mosè ed Elia, che nel frattempo sono apparsi, parla della necessità di passare attraverso la croce per entrare nella gloria
Mentre discendono dal monte, Gesù ribadisce ai discepoli che «il Figlio dell’uomo dovrà soffrire» (Mt 17,12), come ha sofferto Giovanni Battista.
| CCC, 554-556 |
Gli avversari
[225]
I Vangeli ci consentono di individuare con buona approssimazione la dinamica che portò alla crisi del ministero di Gesù.
Il progetto del Regno, che si attua nella conversione incondizionata a Dio e all’uomo, appariva poco concreto alle folle: non rispondeva alle attese di riscatto nazionale e di benessere materiale. Dopo gli entusiasmi iniziali, esse cominciarono a diradarsi. Quanto alle autorità e agli appartenenti ai circoli elitari, sebbene tra loro ci fosse chi credeva in Gesù di nascosto
Tra i farisei, la cui influenza nelle sinagoghe era predominante, non pochi erano in preda a crescente inquietudine e irritazione
Sadducei e anziani, o notabili, che controllavano il sinedrio di Gerusalemme, suprema assemblea della nazione, erano sempre più allarmati per la sua contestazione del tempio: un falso profeta, che bestemmiasse contro la legge di Mosè e il tempio, meritava di morire. Per di più si trattava di un profeta pericoloso per la notevole popolarità di cui ancora godeva, come aveva dimostrato l’ingresso messianico a Gerusalemme.
I devoti osservanti, a qualunque gruppo appartenessero, educati come erano al rispetto dell’assoluta trascendenza di Dio, facilmente rimanevano scandalizzati di fronte a un uomo che si attribuiva un’autorità pari a quella di Dio.
Questi risentimenti presero corpo in un complotto contro Gesù e in una prima condanna da parte del sinedrio, mentre egli si teneva nascosto. Bisognava però arrestarlo senza dare nell’occhio, per non provocare tumulti tra la folla dei pellegrini galilei che lo consideravano un profeta. Giuda, con il suo tradimento, offrì la possibilità di arrestarlo a colpo sicuro.
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La consapevolezza di Gesù
[226]
Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode.
Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti.
Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
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[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle.
Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
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Festa del Regno che viene
| CdA, 198 CONFRONTAVAI CdA 685 CONFRONTAVAI |
[229]
Innanzitutto testimonia una certezza: il regno di Dio verrà comunque, il raduno di Israele proseguirà.
La cena pasquale ebraica, memoriale della liberazione dall’Egitto e rendimento di grazie per le meraviglie compiute da Dio in occasione dell’esodo, aveva sempre più accentuato, con il passare dei secoli, il carattere di attesa della liberazione definitiva e della venuta del regno di Dio.
Da parte sua, Gesù ha già celebrato più volte la festa del Regno con pubblici conviti; l’ha già presentata in una parabola come un banchetto, che rischia di fallire per il rifiuto degli invitati, ma poi ottiene uno splendido successo
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Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
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[231]
Durante la cena Gesù ha voluto anche lavare i piedi dei suoi discepoli
| CdA, 691-693 CONFRONTAVAI CdA 697 CONFRONTAVAI |
Il processo
[233]
Giuda consegna Gesù alle autorità del tempio e accompagna al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani, le guardie e i servi, mandati ad arrestarlo.
Dopo l’arresto, nella notte stessa, viene avviato il processo con una istruttoria informale nella casa del sommo sacerdote. Intanto le guardie e i servi scherniscono Gesù come profeta da strapazzo: dopo averlo bendato, lo maltrattano con sputi, schiaffi e percosse
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[234]
Pilato odia gli ebrei e li tratta con arroganza. Svolge un supplemento di indagine e capisce subito che Gesù è politicamente innocuo per l’impero di Roma ed è rifiutato solo per motivi religiosi.
Per liberarsi del fastidio, saputo che Gesù proviene dalla Galilea, lo manda da Erode, che ha il governo di quella regione, presente anche lui a Gerusalemme per la Pasqua. Erode lo prende per un fatuo sognatore e insieme alla corte lo schernisce come re da burla, facendogli indossare una lussuosa veste regale; e così mascherato lo rinvia al governatore
I capi ebraici, decisi a spuntarla, coinvolgono la folla e fanno leva sul servilismo di Pilato verso l’imperatore e sulle sue ambizioni di carriera. Per non avere noie con le autorità di Roma, Pilato finisce per cedere e consegna Gesù alla morte
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La morte in croce
[235]
Secondo la prassi, Gesù viene crudelmente flagellato; quindi ancora schernito atrocemente dai soldati con la coronazione di spine. Viene condotto in un luogo appena fuori le mura della città, chiamato Gòlgota, e lì crocifisso. Muore di una morte dolorosa e umiliante, riservata ai criminali più pericolosi, messi al bando dalla società e considerati maledetti da Dio
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Al Getsemani
[237] Qual è lo stato d’animo di Gesù durante la passione? Al di là degli avvenimenti esteriori, c’è una passione interiore, ancor più dolorosa e misteriosa.
Nel Getsemani Gesù è in agonia. Si getta bocconi a terra, si alza e va dai discepoli, torna a inginocchiarsi, supplica il Padre, prova un’angoscia tremenda, fino a sudare sangue. È orrore per la morte prematura e crudele, repulsione per l’odio e il peccato, amarezza per il rifiuto della sua opera. Chi ama soffre a motivo del suo amore; e nessuno ama più del Figlio di Dio.
La solitudine lo opprime. È uomo come tutti e prova il bisogno umanissimo di essere confortato dagli amici; ma i discepoli dormono un sonno pesante, i loro occhi sono spenti: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Mc 14,37).
A prezzo di una sofferenza indicibile, Gesù riesce ad assoggettare la sua sensibilità umana alla volontà del Padre, che lo consegna alla morte indifeso: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
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Sul Calvario
[238]
Un altro spiraglio sulla passione interiore di Gesù si apre con il misterioso grido dall’alto della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). È paradossale che faccia esperienza dell’assenza di Dio colui che ne ha proclamata l’assoluta vicinanza.
Il grido è la citazione iniziale di un salmo, che esprime la desolazione del giusto perseguitato e insieme la sua fiducia in Dio
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[239]
Gesù si fa solidale con gli uomini peccatori, fino a sentire come propria la loro separazione da Dio: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13). Nel suo amore appassionato, sperimenta il peso dei nostri peccati e delle sofferenze che ne derivano: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore» (2Cor 5,21); «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce» (1Pt 2,24).
Alcune esperienze dei mistici ci aiutano a intuire, per analogia, quanto sia tremenda per Gesù l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: «Non c’è pena tanto grave per l’anima quanto il pensiero di essere stato abbandonato da Dio... L’anima prova molto al vivo l’ombra di morte e il gemito di morte e i dolori dell’inferno»
San Giovanni della Croce, Notte oscura, 2, 6, 2. Beata Angela da Foligno, Il Libro, Memoriale, 8, 69-70.145-147. | |
[240] Due preghiere, l’una nell’orto del Getsemani e l’altra sulla croce, sollevano il velo sulla passione interiore di Gesù, più dolorosa di quella esteriore: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!» (
Mc 14,36
); «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (
Mc 15,34
).
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Tra i morti
[241]
Secondo la fede della Chiesa, formulata nel “Credo apostolico”, Gesù, morendo, «discese agli inferi». Cosa significa questa espressione piuttosto oscura? Gli inferi sono la dimora simbolica dei defunti
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Vittoria sulla morte
[242]
Gesù è andato tra i morti e poi è risorto dai morti. Ha raggiunto i morti come Salvatore; ha portato loro i benefici della sua morte redentrice: «È stata annunziata la buona novella anche ai morti» (1Pt 4,6). I giusti delle passate generazioni ottengono «la perfezione» (Eb 12,23) e vengono introdotti nel santuario celeste, al seguito di Cristo morto e risorto.
Il senso di questa fede neotestamentaria si riassume in tre affermazioni: Gesù è veramente morto; la sua morte redentrice ha valore salvifico per tutti gli uomini, anche per quelli vissuti prima di lui; il suo incontro con i giusti già morti comunica loro la pienezza della comunione con Dio. In definitiva la discesa agli inferi, più che soggezione alla morte, è vittoria su di essa. L’icona del Sabato Santo rappresenta Cristo sfolgorante di luce, che abbatte le porte, spezza le catene, annuncia la liberazione, prende per mano Adamo e lo solleva, riconduce fuori i morti.
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Dio primo protagonista
[244]
Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione.
Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3).
«Secondo le Scritture» significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della terra promessa
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Mistero d’amore
[245] Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell’amore gratuito.
Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.
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[246]
L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: «Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua giustizia!» (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: «Il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 13.
Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa «sofferenza»
Cf. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[247]
Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori
Cf. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, III, q. 47, a. 3; q. 49, a. 4.
L’iniziativa è del Padre: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo «soffre una passione d’amore»
Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6. San Gregorio Taumaturgo, A Teopompo sulla passibilità o impassibilità di Dio. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[248]
Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: «Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve
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[249]
Si è offerto «con uno Spirito eterno» (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così «lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 40. | |
Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore
[250]
Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro «capo e salvatore» (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: «È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25).
Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e «reso perfetto» (Eb 5,9) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. «Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati»
San Gregorio Magno, Commento al Libro di Giobbe, 16, 30, 37. | CdA, 274 CONFRONTAVAI CdA 399 CONFRONTAVAI CdA 401-404 CONFRONTAVAI |
[251]
Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova «viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (2Cor 5,1820).
I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana.
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[252] Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (
Gv 3,16
).
Gesù Cristo, condividendo l’amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato.
Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione.
Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato.
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[260] La storia di Gesù non finisce con la morte: numerosi segni manifestano che egli vive nella gloria della risurrezione, come Signore che dona lo Spirito. Per mezzo di lui anche noi risorgiamo a vita nuova; sperimentiamo la gioia di amare e di offrire noi stessi in sacrificio, la più limpida e duratura che ci sia.
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La luce di Pasqua
[261] La liturgia della veglia pasquale comincia con un rito suggestivo. La gente in chiesa attende al buio e in profondo silenzio; dal portale entra la fiamma del grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto; da quella fiamma si propagano tante fiammelle, man mano che i presenti accendono le loro candele; poi si accendono tutte le lampade; e in mezzo all’assemblea si leva il canto gioioso della risurrezione.
La fede cristiana è luce accesa e alimentata dalla Pasqua di Cristo. «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4): questo è il vangelo che la Chiesa riceve, trasmette e mantiene fedelmente. Ci rendiamo conto che si tratta di un annuncio sconvolgente, che cambia la vita?
Oggi molti sono affascinati da Gesù di Nàzaret, uomo libero, fedele a Dio e a se stesso fino alla morte, uomo per gli altri, profeta di un mondo più giusto e fraterno; ma non ammettono la sua risurrezione. Se così fosse, egli non sarebbe il Salvatore, ma soltanto un martire in più; la speranza umana resterebbe una povera speranza e la morte continuerebbe a dominare inesorabile
D’altra parte il Risorto, senza la croce e la concretezza storica di Gesù, sarebbe soltanto un mito facilmente manipolabile, una sterile proiezione delle nostre aspirazioni.
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Il regno di Dio in Cristo risorto
[262] Con il Crocifisso risuscitato riparte la causa del regno di Dio. Ciò che in modo così promettente era iniziato durante la vita pubblica e poi sembrava annullato dalla morte in croce, ora viene ripreso con nuova e potente efficacia.
Dio non finisce di stupire per il suo amore: restituisce agli uomini come Salvatore il proprio Figlio, che essi hanno rifiutato e ucciso
Il regno di Dio ormai è esplicitamente impersonato in Gesù, «costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Dio esercita la sua sovranità per mezzo di lui e «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Il vangelo del Regno, che Gesù predicava, diventa il «vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1); nasce la fede cristiana come fede in Gesù Signore e in Dio che lo ha risuscitato dai morti.
| CdA, 208 CONFRONTAVAI CdA 211 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[263] La fede cristiana ha la sua origine e il suo nucleo centrale nel mistero pasquale: «Cristo morì per i nostri peccati... ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture» (
1Cor 15,3-4
), cioè secondo il disegno salvifico di Dio.
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Cambiamento dei discepoli
[264]
Gesù di Nàzaret fu crocifisso a Gerusalemme, fuori delle mura, come un malfattore, e fu sepolto nella tomba nuova messa a disposizione da un amico, Giuseppe di Arimatèa
Ma qualche settimana dopo eccoli in pubblico a proclamare, con coraggio e appassionata convinzione, che Gesù è vivo, è risuscitato, è stato innalzato alla destra di Dio come Messia e Signore dell’universo. Costituiscono la prima comunità cristiana, dove tutti sono «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). Si sentono da lui inviati a proseguire la sua missione; per lui rischiano la vita, affrontano persecuzioni e tribolazioni d’ogni genere. Sono uomini nuovi, quasi fossero risuscitati anche loro. Deve essere proprio accaduto qualcosa!
I discepoli affermano con sicurezza che è stato Gesù stesso a trasformarli, non una loro riflessione, immaginazione o esaltazione emotiva: si è fatto vedere vivo e ha donato loro lo Spirito Santo. Si è imposto alla loro incredulità con un’iniziativa tutta sua, con una nuova chiamata.
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Incontri pasquali
[265]
L’apostolo Paolo, verso l’anno 55, riassume l’annuncio pasquale della prima comunità cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo stesso modo: «Cristo morì... fu sepolto... è risuscitato... apparve»; poi subito fa seguire un elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: «apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me» (1Cor 15,3-8).
Si potrebbe obiettare: se Gesù davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41).
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[266]
Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea. Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato dell’incontro. La struttura dei racconti è però costante: iniziativa del Risorto, che si fa vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli, senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli, che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L’insistenza sull’oggettività dell’esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri interpersonali concreti.
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Il sepolcro vuoto
[267]
Questa oggettività trova riscontro e conferma nella scoperta del sepolcro vuoto: un fatto che a Gerusalemme doveva essere pubblicamente noto, altrimenti non sarebbe stato possibile proclamare che Gesù era risuscitato, senza essere subito ridotti al silenzio e coperti di ridicolo.
Il sepolcro vuoto, sebbene da solo non possa provare la risurrezione, costituisce però un’apertura verso il mistero e un segno dell’identità del Risorto con il Crocifisso.
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Avvenimento diverso
[269]
La risurrezione di Gesù può essere considerata un fatto storico? È questa una domanda importante per la fede. La risurrezione di Gesù si riflette nella storia con dei segni: il sepolcro vuoto, le apparizioni del Risorto, la conversione e la testimonianza dei discepoli, i miracoli e altre manifestazioni dello Spirito. Tuttavia si tratta di un avvenimento non osservabile direttamente come i normali fatti storici: un avvenimento reale senza dubbio, ma di ordine diverso. I Vangeli narrano le sue manifestazioni, ma non lo raccontano in se stesso, perché non può essere raccontato. Le sue modalità rimangono ignote.
Con la risurrezione, Gesù non è tornato alla vita mortale di prima, come Lazzaro, la figlia di Giàiro o il figlio della vedova di Nain; è entrato in una dimensione superiore, ha raggiunto in Dio la condizione perfetta e definitiva di esistenza. Non è tornato indietro, ma è andato avanti e adesso non muore più. Il nostro linguaggio non può descriverlo come veramente è: i risorti sono «come angeli nei cieli» (Mc 12,25) e il loro corpo è un «corpo spirituale» (1Cor 15,44), trasfigurato secondo lo Spirito, vero ma diverso da quello terrestre, come la pianta è diversa dal seme.
| CdA, 1213 CONFRONTAVAI |
Oggetto di fede
[270] I discepoli, che hanno incontrato Gesù concretamente vivo, interpretano questa esperienza alla luce delle attese di salvezza dell’Antico Testamento e usano consapevolmente un linguaggio simbolico: lo presentano come risvegliato, rialzato in piedi, risorto, innalzato, intronizzato alla destra di Dio. Il mistero trascende la nostra comprensione e può essere affermato solo per fede, ragionevolmente però, a motivo dei segni.
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L’Ascensione
[272]
Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare
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Nella gloria trinitaria
[273]
Interpretando l’evento pasquale alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, gli apostoli proclamano: Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4); «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,32-3336).
Il Padre, donando a Gesù in modo nuovo lo Spirito Santo, lo chiama a sé e lo risuscita alla vita gloriosa; nello stesso tempo lo unisce più intimamente agli uomini e lo costituisce «capo e salvatore» (At 5,31)
| CdA, 422 CONFRONTAVAI |
Per la salvezza del mondo
[274]
La risurrezione non costituisce semplicemente un trionfo per Gesù, ma è causa della nostra salvezza: «È stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). Ha ricevuto la potenza divina di dare la vita ed è diventato il capostipite della nuova umanità, il nuovo Adamo, che ci fa rinascere come figli di Dio e conduce il mondo alla sua perfezione
Egli regna con la forza dell’amore come Agnello immolato
| CdA, 250 CONFRONTAVAI CdA 404 CONFRONTAVAI |
Primizia dei risuscitati
[276]
La risurrezione di Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione generale al termine della storia.
I discepoli, come gran parte degli ebrei del tempo, aspettavano certamente la risurrezione dei morti. Ma Gesù risorto fu per loro un avvenimento imprevisto, carico di misteriosa novità, in quanto anticipazione di un evento atteso solo per gli ultimi giorni: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,20-22).
L’offerta delle primizie, nel culto ebraico, significava la consacrazione a Dio di tutto il raccolto. Gesù di Nàzaret è risuscitato non come individuo isolato, ma come capo e rappresentante dell’umanità; è la primizia dei risorti e include virtualmente la liberazione di tutti dal peccato e dalla morte; contiene in sé la risurrezione universale, attesa per la fine dei tempi. Tutto comincia a compiersi.
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Speranza certa
[277] Per noi quest’uomo storico, che ha raggiunto la perfezione oltre la storia, è non solo la guida morale, ma il Signore vivente, che attraverso la morte ci apre un futuro definitivo di vita e di pace. La vittoria sul male è sicura; la storia va verso la salvezza; l’ultima parola appartiene alla grazia di Dio. Dobbiamo scrollarci di dosso la tristezza e la rassegnazione, per aprirci al coraggio della speranza.
| CdA, 406 CONFRONTAVAI |
[278] Gesù è risorto come capo dell’umanità: «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22).
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Rimane presente
[279] Durante il tempo di grazia dei quaranta giorni pasquali, Gesù si fa vedere a chi vuole e dove vuole. Con l’ascensione al cielo, cessa questo farsi vedere. Cessa anche la sua presenza?
«Ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose» (Ef 4,10), assicura la Scrittura. Il Risorto è più vicino a Dio e proprio per questo più vicino anche a noi; siede alla destra del Padre come Signore e proprio per questo continua più che mai a camminare sulle strade degli uomini: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).
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Nella Chiesa e nel mondo
[280] Il Risorto continua con la potenza dello Spirito a operare in modo arcano nella storia, associando a sé la comunità dei credenti, suo “corpo” visibile. La Chiesa si riunisce nel suo nome, lo invoca, lo celebra, lo annuncia, gli dà testimonianza. È inviata per essere segno tangibile della fedeltà di Dio e del suo Messia agli uomini: perciò è destinata a durare indefettibile sino alla fine del mondo.
| CdA, 403 CONFRONTAVAI CdA 426-427 CONFRONTAVAI |
[281]
Tuttavia la presenza del Regno nella storia va ben oltre le frontiere visibili della Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole
Paolo VI, Discorso per la chiusura dell’Anno Santo, 25 dicembre 1975.
La storia resta una drammatica lotta tra il bene e il male; ma Cristo vive in essa, per orientarla nel senso del compimento ultimo attraverso le molteplici attuazioni dei valori di verità, libertà, comunione, pace, bellezza. La sua sovranità si dispiega nel corso dei tempi, come servizio alla dignità e alla vocazione dell’uomo, con un’attenzione preferenziale agli ultimi. In coloro che soffrono vi è una sua particolare presenza
San Leone Magno, Discorsi, 70, 5. | |
[282] Gesù risorto è più vicino a Dio e perciò è più vicino agli uomini: siede alla destra del Padre e rimane con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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La luce di Pasqua
[261] La liturgia della veglia pasquale comincia con un rito suggestivo. La gente in chiesa attende al buio e in profondo silenzio; dal portale entra la fiamma del grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto; da quella fiamma si propagano tante fiammelle, man mano che i presenti accendono le loro candele; poi si accendono tutte le lampade; e in mezzo all’assemblea si leva il canto gioioso della risurrezione.
La fede cristiana è luce accesa e alimentata dalla Pasqua di Cristo. «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-4): questo è il vangelo che la Chiesa riceve, trasmette e mantiene fedelmente. Ci rendiamo conto che si tratta di un annuncio sconvolgente, che cambia la vita?
Oggi molti sono affascinati da Gesù di Nàzaret, uomo libero, fedele a Dio e a se stesso fino alla morte, uomo per gli altri, profeta di un mondo più giusto e fraterno; ma non ammettono la sua risurrezione. Se così fosse, egli non sarebbe il Salvatore, ma soltanto un martire in più; la speranza umana resterebbe una povera speranza e la morte continuerebbe a dominare inesorabile
D’altra parte il Risorto, senza la croce e la concretezza storica di Gesù, sarebbe soltanto un mito facilmente manipolabile, una sterile proiezione delle nostre aspirazioni.
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Il regno di Dio in Cristo risorto
[262] Con il Crocifisso risuscitato riparte la causa del regno di Dio. Ciò che in modo così promettente era iniziato durante la vita pubblica e poi sembrava annullato dalla morte in croce, ora viene ripreso con nuova e potente efficacia.
Dio non finisce di stupire per il suo amore: restituisce agli uomini come Salvatore il proprio Figlio, che essi hanno rifiutato e ucciso
Il regno di Dio ormai è esplicitamente impersonato in Gesù, «costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Dio esercita la sua sovranità per mezzo di lui e «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Il vangelo del Regno, che Gesù predicava, diventa il «vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1); nasce la fede cristiana come fede in Gesù Signore e in Dio che lo ha risuscitato dai morti.
| CdA, 208 CONFRONTAVAI CdA 211 CONFRONTAVAI CdA 422 CONFRONTAVAI CdA 424 CONFRONTAVAI |
[263] La fede cristiana ha la sua origine e il suo nucleo centrale nel mistero pasquale: «Cristo morì per i nostri peccati... ed è risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture» (
1Cor 15,3-4
), cioè secondo il disegno salvifico di Dio.
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Cambiamento dei discepoli
[264]
Gesù di Nàzaret fu crocifisso a Gerusalemme, fuori delle mura, come un malfattore, e fu sepolto nella tomba nuova messa a disposizione da un amico, Giuseppe di Arimatèa
Ma qualche settimana dopo eccoli in pubblico a proclamare, con coraggio e appassionata convinzione, che Gesù è vivo, è risuscitato, è stato innalzato alla destra di Dio come Messia e Signore dell’universo. Costituiscono la prima comunità cristiana, dove tutti sono «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). Si sentono da lui inviati a proseguire la sua missione; per lui rischiano la vita, affrontano persecuzioni e tribolazioni d’ogni genere. Sono uomini nuovi, quasi fossero risuscitati anche loro. Deve essere proprio accaduto qualcosa!
I discepoli affermano con sicurezza che è stato Gesù stesso a trasformarli, non una loro riflessione, immaginazione o esaltazione emotiva: si è fatto vedere vivo e ha donato loro lo Spirito Santo. Si è imposto alla loro incredulità con un’iniziativa tutta sua, con una nuova chiamata.
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Incontri pasquali
[265]
L’apostolo Paolo, verso l’anno 55, riassume l’annuncio pasquale della prima comunità cristiana con quattro verbi, che indicano avvenimenti reali, anche se non tutti controllabili allo stesso modo: «Cristo morì... fu sepolto... è risuscitato... apparve»; poi subito fa seguire un elenco di testimoni autorevoli, ai quali bisogna fare riferimento: «apparve a Cefa (Pietro) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me» (1Cor 15,3-8).
Si potrebbe obiettare: se Gesù davvero è risorto, perché non si è manifestato anche al sinedrio, a Ponzio Pilato, a tutto il popolo? Per incontrare Dio, bisogna prima cercarlo umilmente; non ha senso un miracolo per costringere a credere. Del resto Dio è sovranamente libero nelle sue decisioni: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (At 10,40-41).
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[266]
Gli incontri del Risorto con i suoi avvennero a Gerusalemme e in Galilea. Ma è impossibile per noi stabilirne la successione e le modalità. I racconti pasquali, riportati nei quattro Vangeli, presentano divergenze in numerosi dettagli. Questi dettagli a volte, più che ricordi, sembrano essere mezzi letterari per esprimere la concretezza o il significato dell’incontro. La struttura dei racconti è però costante: iniziativa del Risorto, che si fa vedere, viene, si avvicina, sta in mezzo, si manifesta; riconoscimento da parte dei discepoli, senza possibilità di equivocare con qualche spirito o fantasma; missione affidata agli apostoli, che fa della loro testimonianza il fondamento della Chiesa. L’insistenza sull’oggettività dell’esperienza è tale, che le apparizioni sono in realtà da considerare veri e propri incontri interpersonali concreti.
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Il sepolcro vuoto
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Questa oggettività trova riscontro e conferma nella scoperta del sepolcro vuoto: un fatto che a Gerusalemme doveva essere pubblicamente noto, altrimenti non sarebbe stato possibile proclamare che Gesù era risuscitato, senza essere subito ridotti al silenzio e coperti di ridicolo.
Il sepolcro vuoto, sebbene da solo non possa provare la risurrezione, costituisce però un’apertura verso il mistero e un segno dell’identità del Risorto con il Crocifisso.
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L’Ascensione
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Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare
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L’Ascensione
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Secondo il racconto di Luca negli Atti degli apostoli, al mattino di Pasqua seguono giorni colmi di stupore e di gioia per le apparizioni del Risorto. Poi un ultimo incontro. Sul monte degli Ulivi, davanti allo sguardo rapito dei discepoli, Gesù si solleva in alto verso il cielo, entra in una nuvola, simbolo della gloria di Dio, e scompare
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Nella gloria trinitaria
[273]
Interpretando l’evento pasquale alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, gli apostoli proclamano: Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1,4); «Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,32-3336).
Il Padre, donando a Gesù in modo nuovo lo Spirito Santo, lo chiama a sé e lo risuscita alla vita gloriosa; nello stesso tempo lo unisce più intimamente agli uomini e lo costituisce «capo e salvatore» (At 5,31)
| CdA, 422 CONFRONTAVAI |
Per la salvezza del mondo
[274]
La risurrezione non costituisce semplicemente un trionfo per Gesù, ma è causa della nostra salvezza: «È stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25). Ha ricevuto la potenza divina di dare la vita ed è diventato il capostipite della nuova umanità, il nuovo Adamo, che ci fa rinascere come figli di Dio e conduce il mondo alla sua perfezione
Egli regna con la forza dell’amore come Agnello immolato
| CdA, 250 CONFRONTAVAI CdA 404 CONFRONTAVAI |
Rimane presente
[279] Durante il tempo di grazia dei quaranta giorni pasquali, Gesù si fa vedere a chi vuole e dove vuole. Con l’ascensione al cielo, cessa questo farsi vedere. Cessa anche la sua presenza?
«Ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose» (Ef 4,10), assicura la Scrittura. Il Risorto è più vicino a Dio e proprio per questo più vicino anche a noi; siede alla destra del Padre come Signore e proprio per questo continua più che mai a camminare sulle strade degli uomini: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20).
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Nella Chiesa e nel mondo
[280] Il Risorto continua con la potenza dello Spirito a operare in modo arcano nella storia, associando a sé la comunità dei credenti, suo “corpo” visibile. La Chiesa si riunisce nel suo nome, lo invoca, lo celebra, lo annuncia, gli dà testimonianza. È inviata per essere segno tangibile della fedeltà di Dio e del suo Messia agli uomini: perciò è destinata a durare indefettibile sino alla fine del mondo.
| CdA, 403 CONFRONTAVAI CdA 426-427 CONFRONTAVAI |
[281]
Tuttavia la presenza del Regno nella storia va ben oltre le frontiere visibili della Chiesa. Lo Spirito soffia dove vuole
Paolo VI, Discorso per la chiusura dell’Anno Santo, 25 dicembre 1975.
La storia resta una drammatica lotta tra il bene e il male; ma Cristo vive in essa, per orientarla nel senso del compimento ultimo attraverso le molteplici attuazioni dei valori di verità, libertà, comunione, pace, bellezza. La sua sovranità si dispiega nel corso dei tempi, come servizio alla dignità e alla vocazione dell’uomo, con un’attenzione preferenziale agli ultimi. In coloro che soffrono vi è una sua particolare presenza
San Leone Magno, Discorsi, 70, 5. | |
[282] Gesù risorto è più vicino a Dio e perciò è più vicino agli uomini: siede alla destra del Padre e rimane con noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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[283] La risurrezione, come una luce troppo abbagliante, non lascia comprendere, subito fino in fondo, il mistero di Gesù. La comunità cristiana, guidata dallo Spirito, comincia a ripensare l’intera vicenda, la ricorda con commozione e ne rivive le meraviglie; medita, cerca di capire. Alla luce della Pasqua, avanza in un cammino di graduale scoperta attraverso la preghiera e la vita quotidiana, la predicazione missionaria e la catechesi.
Come un canto che inizia sommesso e a poco a poco diventa un coro potente, la fede e la ricerca si trasmettono da una comunità all’altra, da Gerusalemme ad Antiòchia, ad Efeso, a Corinto, a Roma, ovunque i credenti in Gesù si riuniscono attorno al vangelo e all’eucaristia; e poi ancora dalla prima generazione alle successive, nella varietà delle culture e delle esperienze.
La storia di Gesù, risalendo indietro fino alla nascita, viene interpretata con idee, immagini e formule prese dall’Antico Testamento, perché tutto fin da principio parla di lui e si muove verso di lui. A partire dal suo stesso insegnamento, si professa la fede in lui con i titoli più elevati: Cristo, Signore, Figlio di Dio, Verbo fatto uomo, Dio. Ma nessun titolo può esaurire il mistero della sua persona, pur dicendo qualcosa di esso (capitolo 8). Guardando alla storia di Gesù si aprono prospettive vertiginose sulla vita intima di Dio, come mistero d’amore, perfettissima unità di tre persone, Padre, Figlio e Spirito Santo (capitolo 9). Nello stesso tempo si delinea il senso globale della creazione e della storia, come attuazione di un mirabile disegno di Dio, incentrato in Cristo (capitolo 10).
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[284] L’esperienza pasquale apre definitivamente l’accesso al mistero personale di Gesù. La fede della Chiesa vi penetra progressivamente e riconosce nel Crocifisso risorto il Cristo, il Signore, il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, il vero Dio e vero uomo. In lui Dio ci ha dato se stesso per attirarci a sé; è disceso nella nostra miseria per sollevarci alla sua gloria. La divinità del Cristo indica la misura inaudita dell’amore di Dio per noi e la sublime audacia della nostra speranza.
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L’identità di Gesù
[285]
Le diverse opinioni sull’identità di Gesù dividevano i suoi contemporanei
Ma quale idea si facevano di lui le prime comunità cristiane? Qual è l’autentica fede della Chiesa? Possiamo rendercene conto, passando in rassegna i principali titoli attribuiti a Gesù, a cominciare da quello che è diventato il suo secondo nome: “Cristo”, cioè Messia.
| CdA, 214-216 CONFRONTAVAI |
Discendente di David
[286]
Anticamente si chiamavano “messia” i re di Israele, in quanto consacrati con l’olio e investiti da Dio della missione di governare in suo nome. Figura tipica ne era David. A un suo discendente, secondo la promessa, Dio avrebbe affidato la sovranità su Israele per sempre
Nei periodi di crisi e di sventura nazionale, i profeti annunziavano la futura rinascita attraverso un re-messia ideale, della stirpe di David. Il popolo manteneva desta questa speranza con la preghiera dei salmi.
Al tempo di Gesù l’attesa era molto viva. Ogni tanto qualcuno si metteva a capo di una banda armata e si presentava come messia condottiero, venuto a liberare Israele dalla tirannia di Erode e dal dominio di Roma. Il successo era effimero; ma la gente aspettava, sempre più ansiosa, la riscossa e il trionfo su tutti i nemici.
Da parte sua, Gesù rimane cauto e reticente sulla propria identità di messia, per non essere frainteso. Preferisce che siano gli altri a pronunciarsi. Il riconoscimento definitivo, non più incerto e timido, viene dopo la Pasqua.
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Messia glorificato
[287]
I primi credenti dell’ambiente palestinese professano che Gesù è il Cristo, il Messia glorificato, consacrato con l’unzione di Spirito Santo, intronizzato alla destra del Padre.
Quel titolo, che durante la vita terrena del Maestro poteva far pensare a una sovranità in senso politico nazionale, adesso si libera di ogni ambiguità. Gesù è Messia-re di un regno che riguarda tutti i popoli e la loro storia, ma soprattutto va al di là della storia. Davvero Dio ha glorificato il suo Servo obbediente
La professione di fede: «Gesù è il Cristo», diventa a poco a poco un nome proprio, “Gesù Cristo”, quasi a indicare che tutta la sua esistenza umana si identifica con la missione di salvatore. E ad Antiòchia di Siria i suoi seguaci per la prima volta ricevono il nome di «cristiani» (At 11,26): nome che poi si è affermato, perché adatto a suggerire l’intimo legame con il Cristo, la partecipazione alla sua vita e alla sua missione, la consacrazione con l’unzione del suo Spirito nel battesimo e nella cresima.
| CdA, 216 CONFRONTAVAI |
Nella storia
[289]
Le comunità palestinesi di lingua aramaica, tutte protese alla futura venuta del Messia nella gloria, lo invocavano già come Signore: «Marana tha» (1Cor 16,22)
| CdA, 401 CONFRONTAVAI |
[290]
Secondo l’Antico Testamento, “Signore” (in ebraico Adonài, in greco Kyrios) è titolo riservato a Dio: «Io sono il Signore e non v’è alcun altro» (Is 45,5). Gesù come uomo riceve dal Padre questo nome, «che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), a motivo della sua obbedienza fino alla morte in croce; ma nella profondità della sua persona da sempre vive insieme a Dio e in perfetta uguaglianza con lui. La signoria che egli esercita sui singoli credenti e sulla Chiesa, sulla storia degli uomini e sul mondo intero, è quella stessa di Dio, per dare vita e salvezza con la potenza dello Spirito.
Egli non opprime, ma libera e fa crescere. Chi piega il ginocchio davanti a lui, rimane in piedi davanti ai potenti della terra e non teme il destino o la minaccia di forze oscure
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Nell’universo
[291]
Nella fede delle comunità cristiane di cultura ellenistica viene sempre più esplicitata la signoria di Cristo nei confronti dell’universo. Ogni creatura è orientata verso di lui fin dal principio e aspetta di trovare in lui la sua verità e il suo compimento. Le potenze cosmiche sono da lui sottomesse e ricondotte all’armonia, perché il mondo non precipiti nel caos e nel nulla. Egli trascende l’universo, perché esiste prima di tutte le cose, che «sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
| CdA, 356 CONFRONTAVAI CdA 406 CONFRONTAVAI |
Un nuovo significato
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Singolare unità con il Padre
| CdA, 166 CONFRONTAVAI CdA 168 CONFRONTAVAI |
[295] È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di Gesù con il Padre.
Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35). A sua volta il Figlio vive totalmente per la gloria del Padre: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). E, di fronte alla passione, l’obbedienza arriva alla suprema dedizione: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo...» (Gv 14,31).
L’unità del Figlio con il Padre è tale, che vedendo l’uno si vede anche l’altro: sono uno nell’altro, sono una cosa sola. Il Padre, che in se stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si manifesta attraverso l’amore del Figlio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9).
L’unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l’unità di essere. Il Figlio si distingue dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è inferiore, perché opera con lui in tutte le sue opere, vive da sempre presso di lui, è Dio insieme a lui, quasi una sua «irradiazione e... impronta» (Eb 1,3), «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre»
Concilio di Costantinopoli I, Simbolo di Nicea-Costantinopoli. | |
[296] Gesù è il Figlio unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell’intimità del Padre, perché «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
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La Parola e la Sapienza
[297] Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo originale come “il Verbo (la Parola)”.
Inesauribile efficacia, secondo l’Antico Testamento, possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l’universo. A sua volta la divina sapienza abita dall’eternità accanto a Dio
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La persona del Verbo
[298]
Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso, non è un’astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,114).
Il Verbo invisibile apparve dunque visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere anche nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l’umanità dispersa
Cf. Messale Romano, Prefazio di Natale III. | |
[299] Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia umanissima di libertà e di finitudine.
Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive rivolto al Padre, è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana
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Il vangelo della nascita
[301] La prima comunità dei credenti, animata dallo Spirito Santo e guidata dagli Apostoli, penetra progressivamente nella profondità del mistero di Gesù; comprende che tutta la sua esistenza è rivelazione di Dio e causa di salvezza per noi. In questa prospettiva anche gli episodi salienti che circondano la sua nascita diventano vangelo, perché lasciano già intravedere quello che poi si manifesterà pienamente alla luce di Pasqua, che cioè Dio è con noi per salvarci e riportarci alla comunione con sé. Si tratta di ricordi, fedelmente custoditi e trasmessi in ambito familiare, che ora vengono compresi nel loro profondo significato.
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Nel racconto di Matteo
[302]
Matteo apre il suo Vangelo con una genealogia e organizza gli avvenimenti della nascita di Gesù in cinque quadri
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Nel racconto di Luca
[303]
L’evangelista Luca racconta la nascita e la vita nascosta di Gesù in parallelo con quella di Giovanni Battista, presentandolo come dono incomparabile e gratuito di Dio ai poveri
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I misteri dell’infanzia e della vita nascosta
[304]
Nella nascita del Messia, povero tra i poveri, viene anticipata la suprema povertà del Crocifisso e comincia a risplendere la gloria di Dio, intesa come rivelazione del suo amore. Nella circoncisione del bambino Gesù si esprimono la sua appartenenza al popolo di Israele e la sua sottomissione alla legge. Nella presentazione al tempio Israele, rappresentato da Simeone e Anna, vede coronata la sua attesa e incontra il suo salvatore, mandato da Dio anche come «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). Nella venuta dei Magi sono le nazioni pagane che, mediante i loro rappresentanti, vanno incontro al Messia di Israele e lo adorano come salvatore universale. Nella fuga in Egitto si annuncia per il Messia un futuro di contrasti e persecuzioni: attuerà la sua missione attraverso la sofferenza. Nel ritrovamento nel tempio emerge la consapevolezza di Gesù circa la propria missione e la propria identità di Figlio di Dio.
La lunga permanenza di Gesù a Nàzaret, intessuta di fatica quotidiana e di ordinari rapporti con la gente anonima di un oscuro villaggio, manifesta anch’essa la condiscendenza di Dio e la sua volontà di essere con noi e per noi. Dio ama la vita quotidiana che non fa notizia, caratterizzata dalla famiglia e dal lavoro, la vita della quasi totalità del genere umano. In essa si lascia incontrare: basta viverla come un dono e un compito, con fede e amore. Non è necessario compiere grandi imprese per essere santi.
| CCC, 527-534CdA, 777-779 CONFRONTAVAI |
Ricerca incessante
[306]
La fede genera un movimento incessante di ricerca, che penetra sempre più nel mistero. La molteplicità di avvenimenti storici, esperienze personali e ambienti culturali provoca domande diverse e porta ad acquisire aspetti sempre nuovi della verità, senza mai esaurirla. Già all’interno del Nuovo Testamento, frutto dell’epoca apostolica delle origini e regola della fede per tutte le generazioni successive, è possibile riscontrare una tradizione sostanzialmente unitaria, ma con varietà di accentuazioni, di prospettive e di contributi.
La riflessione della Chiesa continua nei secoli con la partecipazione di tutti i credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri, con il magistero del papa e dei vescovi, con quell’espressione particolarmente solenne di esso che sono i concili.
Sorgono numerose eresie. Enfatizzano un aspetto parziale della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcune accentuano l’umanità di Cristo a scapito della divinità; altre, viceversa, accentuano la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte finiscono per allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l’uomo. Allora, per difendere l’integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l’unità della Chiesa, confidando nell’assistenza dello Spirito Santo promesso da Cristo, i concili pronunciano definizioni dogmatiche chiarificatrici, come punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano dall’imboccare strade sbagliate.
| CdA, 622 CONFRONTAVAI |
I primi sette concili
[307] I primi sette concili ecumenici difendono e spiegano le verità centrali della fede riguardo a Dio e a Cristo. Ancora oggi il loro insegnamento è patrimonio comune di quasi tutti i cristiani, d’oriente e d’occidente.
Il primo concilio di Nicea, celebrato nell’anno 325, proclama che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile. Respinge l’arianesimo, la dottrina secondo cui il Verbo sarebbe la prima e più perfetta delle creature, strumento per la creazione di tutte le altre.
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[308] Il primo concilio di Costantinopoli, dell’anno 381, condanna gli pneumatòmachi, che negano la divinità dello Spirito Santo, e gli apollinaristi, che non riconoscono in Gesù un’anima umana, in quanto al suo posto ci sarebbe il Verbo. Insegna che lo Spirito Santo è persona divina, consustanziale al Padre e al Figlio, e che il Verbo si è fatto uomo vero, completo di anima e di corpo.
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[309] Il concilio di Efeso, dell’anno 431, rifiuta la dottrina nestoriana, secondo cui in Cristo ci sarebbero due soggetti, uniti moralmente: il Verbo e l’uomo Gesù. Afferma che il Verbo non ha unito a sé la persona di un uomo, ma si è fatto uomo e nella sua umanità è nato da Maria, ha sofferto, è risorto; perciò una sola persona, un solo e medesimo Figlio di Dio è vero Dio e vero uomo, e Maria è vera madre di Dio.
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[310] Il concilio di Calcedonia, dell’anno 451, condanna i monofisiti, i quali sostengono che nell’incarnazione la natura umana viene assorbita in quella divina e quindi ammettono in Cristo una umanità solo apparente. Il concilio formula una professione di fede, molto precisa nel linguaggio e destinata ad avere una grande importanza storica:
«Noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo,[composto]di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipòstasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo»
Concilio di Calcedonia, Definizione della fede - DS 301-302. Per secoli questa formula è stata ripetuta, tale e quale, per esprimere la fede della Chiesa. Oggi si sente il bisogno di arricchirla con altre prospettive, per evangelizzare efficacemente le culture contemporanee. Ma essa conserva tutto il suo valore di verità e costituisce un’indicazione sicura per il nostro cammino.
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[311] Conferme e precisazioni a questa formula sono venute già nell’antichità dai tre concili successivi.
Il secondo concilio di Costantinopoli, dell’anno 553, ribadisce la condanna di alcune interpretazioni dualiste, vicine a quella nestoriana.
Il terzo concilio di Costantinopoli, degli anni 680-681, condanna il monoenergismo e il monotelismo, ultimi rigurgiti del monofisismo, che pongono in Cristo una sola attività e una sola volontà; riconosce invece l’esistenza di due attività naturali, divina e umana, e in particolare due volontà in armonia tra loro.
Il secondo concilio di Nicea, dell’anno 787, definisce che è conforme alla verità dell’incarnazione raffigurare il Cristo nelle opere d’arte e tributare culto alle sacre immagini, perché l’onore in definitiva è rivolto alla persona rappresentata.
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Incarnazione di Dio e santificazione dell’uomo
[312] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature, un solo soggetto di azioni divine e umane.
Il Figlio eterno si è comunicato a una concreta natura umana, esprimendosi in essa. Pur rimanendo Dio come il Padre, ha voluto vivere e morire da uomo, pensare come noi, volere e agire come noi, sentire e soffrire come noi. Ha assunto un vero corpo e una vera anima, una volontà umana liberamente sottomessa a quella divina, una conoscenza umana derivata dall’esperienza del mondo e dall’esperienza intima di sé e del Padre. Pur rimanendo trascendente, è entrato personalmente in una vera esistenza terrena con un concreto spessore storico: «Si è umiliato, non perdendo la natura di Dio, ma assumendo quella del servo»
Sant’Agostino, Discorsi, 4, 5. | CCC, 478 |
[313]
Prospettive inaudite si aprono sull’amore di Dio per gli uomini e sulla grandezza della nostra vocazione. Dio non ci ha dato solo i beni creati, ma ci ha donato se stesso nella storia, per donarci se stesso nell’eternità. Si è abbassato fino a noi, per innalzarci fino a sé, perché, ricevendo lo Spirito Santo, vivessimo in comunione con il Figlio e diventassimo per grazia figli del Padre: «Il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio figlio dell’uomo, perché l’uomo, entrando in comunione con Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 19, 1. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22. I misteri dell’incarnazione di Dio e della santificazione dell’uomo sono strettamente congiunti. Sia pure in maniera diversa, in ambedue Dio si comunica all’uomo personalmente e l’uomo è accolto in Dio senza perdere la sua piena e concreta verità. È questo il modo proprio del cristianesimo di intendere la salvezza.
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[314] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell’umanità, eccetto il peccato.
Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell’intimità del Padre.
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[315] La storia di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, ci conduce alla scoperta più sorprendente: Dio non è solitudine; è carità, comunione. Intravediamo la sua unità come correlazione di tre persone: Padre e Figlio e Spirito Santo. È un mistero oscuro, ma che illumina tutto e a tutto dà significato. Ci sentiamo anche noi chiamati a realizzarci nella comunione di carità con Dio e con i fratelli.
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Mistero oscuro e luminoso
[316] La nostra conoscenza di Dio è indiretta e inadeguata. Che senso ha allora indagare la sua vita intima, ciò che egli è in se stesso?
Nella nostra cultura è abbastanza diffuso l’agnosticismo, che tende a circoscrivere la capacità dell’intelligenza umana dentro l’orizzonte terreno e si mostra estremamente diffidente verso ogni tentativo di parlare di Dio. È significativo che nel nostro paese, accanto a quelli che si dichiarano non credenti o indifferenti, molte siano le persone che si ritrovano nella definizione di Dio come Mistero.
D’altra parte, un rapporto religioso vivo non può fare a meno di una qualche conoscenza positiva ed è ancor più significativo che la grande maggioranza della gente si riconosca nella definizione cristiana: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Non si può aver fiducia in chi resta completamente sconosciuto.
| CdA, 34 CONFRONTAVAI |
[317] Nella rivelazione storica Dio si manifesta e si nasconde nello stesso tempo; ci offre una conoscenza luminosa, associata a ombre impenetrabili. La sorgente infinita dell’essere e della vita rimane al di là di tutte le cose e di tutti i pensieri; ma in Gesù di Nàzaret lascia trasparire qualcosa del suo segreto. La storia del Cristo non è storia di una sola persona, ma di tre persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Il Dio ignoto si rivela come mistero di comunione e di amore.
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[318]
Una singolare dialettica attraversava le promesse di salvezza nell’Antico Testamento: da una parte si affermava che negli ultimi tempi Dio sarebbe intervenuto in prima persona per liberare e riunire il suo popolo, e stabilire in esso la sua dimora; dall’altra si accentuava il ruolo che avrebbero svolto le mediazioni della Parola
L’enigma trova soluzione nella storia di Gesù: Messia, Parola e Sapienza di Dio, attraverso il quale si rende presente il Padre e viene donato lo Spirito. Una storia trinitaria dal principio alla fine, perché Dio vi si impegna personalmente come egli è.
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[319]
Gesù riceve il battesimo nelle acque del Giordano ed ecco la voce del Padre presentarlo al mondo e lo Spirito scendere su di lui
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[320]
Con la Pentecoste inizia il cammino storico della comunità cristiana, Chiesa di Dio, corpo del Cristo e tempio vivo dello Spirito. In essa si entra con il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
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Fede trinitaria della Chiesa
[321]
La fede cristiana fin dalle origini è cristologica e trinitaria, perché nel mistero di Cristo, il consacrato con l’olio della sovranità divina, noi incontriamo «il Padre che fa l’unzione, il Figlio che la riceve, lo Spirito che è l’unzione stessa»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 18, 3.
Nel II secolo nascono i “simboli della fede” e nascono esplicitamente trinitari. Ecco uno dei più antichi, quello della cosiddetta Didascalia degli Apostoli: «Credo nel Padre dominatore dell’universo e in Gesù Cristo Salvatore nostro e nello Spirito Santo Paraclito»
Costituzioni apostoliche, 7, 41. San Giustino, Prima apologia, 65, 3. | |
Parola e silenzio
[322]
L’amore inaudito di Dio per noi trova il suo fondamento nel mistero di amore che Dio è in se stesso. Davanti a questo mistero il discorso umano è un povero balbettare e volentieri cede il posto al silenzio e all’adorazione. I mistici, che nella contemplazione hanno una conoscenza di Dio senza concetti, molto più perfetta di quella ordinaria, non riescono ad esporla come vorrebbero; lasciano intuire qualcosa delle meraviglie intraviste più con la loro personale trasformazione che non mediante i tentativi di raccontare: «Non si trova parola che suoni adeguata; nessun pensiero può mai giungervi, nessuna mente allargarsi fin là, tanto supera il tutto; come è vero che Dio non può esser spiegato mai»
Beata Angela da Foligno, Il libro, Memoriale, 9, 361-363. | |
Dio della creazione [324] La figura paterna è vista con sospetto nella cultura moderna, specialmente quando è riferita a Dio. Sarebbe sinonimo di potere autoritario e fonte di alienazione. Ma è questo il Dio di Gesù Cristo? La sua trascendenza esclude la vicinanza e la tenerezza? Il suo primato esclude la comunione?
Colui che Gesù chiama familiarmente “Abbà” è il Creatore del cielo e della terra Concilio Vaticano I, Dei Filius, I - DS 3001.
Davanti a lui l’universo, popolato di stelle e galassie, malgrado la sua immensità che dà le vertigini, appare come un granello di polvere sulla bilancia, «come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra» (Sap 11,22). Nulla aggiunge alla perfezione del suo Creatore; la sua esistenza è puro dono, assolutamente libero e gratuito.
| CdA, 358-361 CONFRONTAVAI |
[325]
Dio è infinitamente perfetto: nulla può perdere o acquistare | |
[326]
Ma la trascendenza non significa lontananza. Dio contiene l’universo nella sua intelligenza e volontà; penetra intimamente ogni cosa con il suo Spirito, per dare «esistenza, energia e vita» Messale Romano, Prefazio delle domeniche del tempo ordinario VI. Sant’Agostino, Confessioni, 6, 3, 4. | |
Dio della storia [327]
Il Padre del Signore Gesù Cristo è il Dio vivente della storia, il «Dio di Israele» (Mt 15,31), il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Egli cammina con il suo popolo e partecipa con intensità alle vicende degli uomini; ama appassionatamente e vuole essere amato «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,5); prova compassione per la sofferenza
Inserendosi nella storia, Dio rimane il Signore trascendente della storia. Dice il suo nome e nello stesso tempo rifiuta di dirlo completamente. «Io sono colui che sono!» (Es 3,14). Il suo coinvolgimento è sovranamente libero. «Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia» (Es 33,19). Eppure nessun altro amore è così universale, fedele e misericordioso come il suo.
| CdA, 45-52 CONFRONTAVAI |
Il Padre | CdA, 821-825 CONFRONTAVAI |
[329]
Attraverso di lui il Padre si manifesta come amore senza limiti. Ama non solo i giusti, i sofferenti e gli oppressi, ma anche i peccatori, gli oppressori e i bestemmiatori, perfino i crocifissori del suo Figlio. Li ama così come sono. Prende su di sé il peso dei loro peccati. Dà quanto ha di più caro, per salvarli: «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).
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[330]
Gesù stesso riceve tutto dal Padre | |
[331]
Il nome “Padre”, attribuito a Dio già nell’Antico Testamento, assume un significato ben più profondo, per il fatto che Dio si rivela nel Figlio unigenito e comunica agli uomini lo Spirito del suo Figlio. Con questo nuovo significato diventa il nome definitivo: «Il nome che conviene propriamente a Dio è quello di “Padre” piuttosto che di “Dio”... Dire “Dio” significa indicare il dominatore di tutte le cose; dire “Padre” significa invece raggiungere una proprietà intima... “Padre” è dunque in certo modo il nome più vero di Dio, il suo nome proprio per eccellenza» San Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, 2, 7. | |
[332]
Il termine “Padre” è analogico; indica il principio da cui il Figlio riceve tutto ciò che è e fa. In realtà Dio si colloca al di là delle differenze di sesso e riunisce in sé i valori della paternità e della maternità Cf. Clemente di Alessandria, C’è salvezza per il ricco?, 37; Sinodo di Toledo XI, Simbolo, 6 - DS 526. | |
Principio senza principio [333]
«Dio è amore» (1Gv 4,8). Il principio originario di tutta la realtà è «uno, ma non solitario» Formula “Fides Damasi” - DS 71. Cf. Sinodo di Toledo VI - DS 490. Santa Veronica Giuliani, Diario, 22.4.1697.
È opportuno che, secondo l’uso del Nuovo Testamento, il nome “Dio” indichi normalmente il Padre, perché egli solo è Dio da se stesso e principio senza principio, «sorgente e origine di tutta la divinità» Sinodo di Toledo VI DS 490. Concilio di Costantinopoli I, Simbolo di Nicea-Costantinopoli. Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Copti “Cantate Domino” DS 1331. | |
Testimoni del Padre [334]
L’atteggiamento filiale, che dobbiamo assumere verso il Padre, è profonda adorazione e gioiosa confidenza nello stesso tempo. Va testimoniato con la fraternità verso gli altri uomini, la responsabilità e la creatività nel bene, il coraggio nelle prove.
Di questa testimonianza ha bisogno soprattutto quella parte del mondo moderno, che, rincorrendo l’autonomia della ragione e dell’agire, ha emarginato Dio; ma anziché ritrovarsi adulta, ha finito per sentirsi orfana. Il Padre di Gesù non ha niente a che fare con l’immagine paterna rifiutata: non soffoca la libertà, non preserva dalla fatica e dalla sofferenza, non favorisce la passività, la viltà, il servilismo, il fatalismo. È un Padre diverso rispetto alle proiezioni del nostro desiderio, come Gesù è un salvatore diverso. È premuroso e onnipotente, ma non invadente; è vicino anche nell’apparente assenza; non impedisce il male, ma ne trae il bene, rispettando la libertà delle creature. È il principio originario; ma da lui derivano persone di pari dignità, il Figlio e lo Spirito, con le quali da sempre vive in comunione. | |
Lo Spirito rivelato nella storia
[336]
Significativamente si fa menzione dello Spirito in apertura e in chiusura della Bibbia: tutta la storia, dalla creazione al compimento ultimo, si svolge sotto il potente “soffio” di Dio. Lo Spirito è l’onnipotenza dell’amore con cui Dio attua il suo progetto nel mondo: produce le cose, dà la vita, suscita i profeti, giustifica i peccatori, fa risorgere i morti
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[337]
Gesù è il Cristo, il consacrato con l’unzione di Spirito Santo: lo riceve dal Padre e lo dona agli uomini. La missione dell’uno è inseparabile da quella dell’altro. Vera missione è quella pubblica di Gesù; missione diversa, ma non meno vera, è quella interiore dello Spirito Santo: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna... E... ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,46).
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[338]
Il suo compito è quello di introdurci nella comunione con Dio. Per mezzo di lui l’amore di Dio viene riversato nei nostri cuori e il Padre e il Figlio prendono dimora in noi. Per mezzo di lui noi diventiamo fratelli di Cristo, a lui uniti come suo corpo, partecipi del suo rapporto filiale verso il Padre
| CdA, 743 CONFRONTAVAI CdA 810-814 CONFRONTAVAI |
[339]
Nel testo sopra citato della Lettera ai Galati, il parallelismo tra la missione del Figlio e dello Spirito, indica che questi, sebbene indissolubilmente unito con il Padre e il Figlio, non è solo energia divina, ma soggetto personale distinto; così in altri testi, dove si dice che agisce liberamente, desidera, intercede, si rattrista; così nelle formule in cui è posto come terzo accanto al Padre e al Figlio
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[340]
Secondo la fede della Chiesa, lo Spirito Santo è Dio insieme al Padre e al Figlio e procede «dal Padre e dal Figlio non come da due principî, ma come da uno solo»
Concilio di Lione II, Costituzione “Fideli ac devota”, 1: La somma Trinità e la fede cattolica - DS 850. Cf. Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1300-1301; Id., Bolla di unione dei Copti “Cantate Domino” - DS 1331. Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Greci “Laetentur caeli” - DS 1301; Concilio Vaticano II, Ad gentes, 2. | |
Il dono
[341]
Lo Spirito Santo «è Persona-amore; è Persona-dono»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 10. San Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 1, 8, 12.
In questo «Amore-dono»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 10.
Lo Spirito è la forza dell’amore, il movimento per condurre ogni cosa al suo pieno compimento in Dio
Cf. Sant’Agostino, Confessioni, 13, 7, 8. | |
[342]
Lo Spirito «soffia dove vuole» (Gv 3,8); è misterioso e inafferrabile, come i suoi simboli biblici: vento, acqua, fuoco, nube, unzione. Arriva ovunque, come presenza attiva del Padre e del Figlio che fa vivere e santifica. Ma è soprattutto la Chiesa il luogo dove «fiorisce lo Spirito»
Sant’Ippolito di Roma, La tradizione apostolica, 35.
«Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità una dominazione, la missione una propaganda, il culto un’evocazione, l’agire cristiano una morale da schiavi. Ma in lui... il cosmo è sollevato e geme nel parto del Regno; l’uomo lotta contro la carne; Gesù Cristo Signore risorto è presente; il vangelo è potenza di vita; la Chiesa è segno di comunione trinitaria; l’autorità è servizio liberatore; la missione è una Pentecoste; la liturgia è memoriale e anticipazione; l’agire umano è deificato»
IV Assemblea mondiale delle Chiese (Uppsala 1968), Discorso di Ignatios Hazim metropolita di Lattaquié (Laodicea) del patriarcato ortodosso greco di Antiochia. | |
Un linguaggio difficile
[344] Secondo un’opinione abbastanza diffusa, il mistero della Trinità sarebbe una dottrina astrusa e lontana dalla vita. In realtà, invece, è una luce che dà significato e bellezza a tutto, sebbene in se stessa non possa essere fissata, perché troppo intensa.
In Cristo e nella sua Chiesa Dio ha dato se stesso, come egli è, Padre e Figlio e Spirito Santo. La fede cristiana fin dalle origini professa il monoteismo trinitario, escludendo da una parte il politeismo e dall’altra il monoteismo rigido; ma, per trovare un’espressione linguistica accurata e precisa, ha impiegato molti secoli; anzi, si può dire che la ricerca continua ancora, perché l’intelligenza del mistero, per quanto inadeguata e debolissima, risulta sempre ardua da formulare.
Le formule trinitarie, proposte con autorità dal magistero ecclesiastico, mettono in evidenza sia l’uguaglianza e l’opera comune delle persone divine sia l’ordine reciproco e dinamico tra di loro. Una delle più complete e analitiche è quella del concilio di Firenze, nell’anno 1442, che riportiamo quasi integralmente: «Un solo, vero Dio, onnipotente, immutabile e eterno, Padre, Figlio e Spirito Santo; uno nell’essenza, trino nelle persone, Padre non generato, Figlio generato dal Padre, Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio... Queste tre persone sono un solo Dio e non tre dèi, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l’essenza, una la natura, una la divinità, una l’immensità, una l’eternità, e tutto è uno, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio... Tutto quello che il Padre è o ha, non lo ha da un altro, ma da se stesso, ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è o ha, lo ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito Santo è o ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme. Ma il Padre e il Figlio non sono due principî dello Spirito Santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono tre principî della creazione, ma un solo principio»
Concilio di Firenze, Bolla di unione dei Copti “Cantate Domino” - DS 1330-1331. | |
Perfetta comunione di carità
[345] Sarebbe ingenuità e presunzione cercare una chiarezza completa. Tuttavia un barlume di luce può venire attraverso la debole, ma preziosa analogia dell’amore umano, che comporta sempre distinzione e comunione di persone, in quanto è trasferire se stesso nell’altro, riporre in lui le ragioni del vivere, la propria vita più vera.
«Se vedi la carità, tu vedi la Trinità»
Sant’Agostino, La Trinità, 8, 8, 12. Sant’Agostino, La Trinità, 8, 10, 14. | |
[346] Nessuna delle tre persone supera le altre nella eternità, nella perfezione o nel potere. Tuttavia il Padre è il primo perché dona e non riceve; il Figlio è secondo perché riceve dal Padre; lo Spirito Santo è terzo perché procede dal Padre attraverso il Figlio. Vivono uno per l’altro, con l’altro e nell’altro in perfetta unità e reciprocità dinamica. Ciascuno è se stesso in quanto è tutto rivolto agli altri e si compenetra con essi, in uno slancio inesauribile di vita che esce eternamente dal Padre e al Padre eternamente si volge.
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[347]
L’unità di Dio rimane fuori discussione: il Padre è l’unico principio di tutta la vita divina; le tre persone insieme sono l’unico principio di tutta la realtà creata. «Un solo Dio e Padre, dal quale sono tutte le cose; e un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose; e un solo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose», proclama il II concilio di Costantinopoli nell’anno 553
Concilio di Costantinopoli II, Condanne contro i “tre Capitoli”, 1 - DS 421. San Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 1, 8, 14. | |
Partecipi della vita trinitaria
[348] Per noi uomini la Trinità è l’origine, il sostegno, la direzione e la meta del nostro cammino. Siamo creati a sua immagine e chiamati a partecipare alla sua vita di amore.
Siamo soggetti singoli e irripetibili; ma ci apparteniamo gli uni gli altri. Tendiamo ad affermare la nostra identità personale, la nostra libertà e originalità; non però nell’isolamento. Per essere noi stessi e sentirci vivi, abbiamo bisogno che altre persone ci accettino e riconoscano il nostro valore; abbiamo bisogno di comunicare con loro e di condividere le cose, gli atteggiamenti, perfino i segreti più intimi. Ciò si può realizzare solo nella reciprocità dell’amore, non certo in altri rapporti umani caratterizzati dalla violenza, dal dominio, dal possesso.
Secondo un detto di Gesù, non riferito dai Vangeli canonici, ma attribuito a lui dall’antica tradizione cristiana, il regno di Dio viene «quando due diventano uno»
Clemente d’Alessandria, Stromati, 3, 13. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 24. | CdA, 808 CONFRONTAVAI |
[349] Un discorso analogo va fatto per tutte le realtà sociali, dalle piccole comunità ai popoli: anch’esse possono svilupparsi solo nella comunicazione reciproca, libera e rispettosa. L’impegno cristiano nella storia mira a realizzare la più grande libertà nella più grande solidarietà, evitando da una parte la solitudine dell’individualismo e dall’altra l’oppressione del collettivismo. Esso riserva un’attenzione privilegiata alla famiglia, riflesso della comunione trinitaria, esperienza primaria della reciprocità, in cui la persona vive e cresce.
La Chiesa, da parte sua, deve porsi come immagine viva e concreta della Trinità, edificandosi come un solo corpo con molte membra, nella comunicazione incessante dei fedeli e delle loro varie aggregazioni.
La Trinità è il mistero di Dio; ma è anche il segreto più profondo della vita dell’uomo.
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[350] Padre, Figlio e Spirito Santo: tre persone un solo Dio. Donazione, Accoglienza, Dono: una perfetta comunione di amore.
Noi, creati a immagine di Dio, ci realizziamo solo nella reciprocità dell’amore, donando e accogliendo, facendo unità.
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Elezione e predestinazione
[352]
Nel Signore morto e risorto gli apostoli e la Chiesa dei primi tempi, illuminati dallo Spirito Santo, hanno intravisto non solo il mistero della vita personale di Dio, ma anche il suo progetto globale sull’uomo e sul mondo. In questa rivelazione è la risposta a domande fondamentali: qual è il senso della storia? ha una direzione e una meta? che cosa possiamo sperare?
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[353]
La storia obbedisce a un disegno di amore
Dio ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha creato gli uomini, per introdurli nella comunione trinitaria: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6). Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito, mediante la sua incarnazione e il dono dello Spirito Santo. Li ha «predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
Cristo è il primo eletto. Noi siamo progettati in modo da poter realizzare la nostra identità in dipendenza da lui. È questa la nostra vocazione costitutiva, che può essere rifiutata, non annullata. Da parte sua Dio vuole che tutti si salvino
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A gloria della sua grazia
Da sempre il Padre genera il Figlio e lo attrae a sé nello Spirito; il Figlio è rivolto al Padre nello stesso Spirito. Dio non soffre di solitudine; è pienamente se stesso nella comunione trinitaria dell’amore: nulla può accrescere la sua perfezione e beatitudine. All’origine del mondo creato c’è solo la “grazia”, cioè l’amore sovranamente libero e gratuito del Padre. Egli non ricava da noi alcuna utilità: «Dio non creò Adamo, perché aveva bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno in cui riporre i suoi benefici»
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 14, 1. | |
[355]
Che senso ha allora l’affermazione di fede, secondo cui Dio ha creato il mondo per la sua gloria
Cf. Concilio Vaticano I,Dei Filius, Canoni I, 5 - DS 3025. Concilio Vaticano I,Dei Filius, I, - DS 3002. | |
Attuazione del disegno
[356]
La suprema glorificazione del Padre, cioè la più alta manifestazione della sua bontà e della sua sapienza, è Gesù Cristo, il Figlio unigenito, fatto uomo, crocifisso e risorto. Per mezzo di lui il Padre conferisce ad ogni cosa la perfezione e il senso definitivo. Fin dall’inizio guarda a lui come modello e meta di ogni sua opera. Anzi, in quanto Verbo, lo ha già con sé come autore dell’intera creazione: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17).
Il disegno eterno del Padre, «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10), viene rivelato e attuato nella storia secondo un ordine sapiente di eventi, che costituiscono “l’economia del mistero”
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 20, 7. | |
Dal Dio della storia al Dio della creazione
[358]
L’attuazione dell’eterno disegno del Padre, incentrato nel suo Figlio Gesù Cristo, passa anzitutto attraverso la creazione. Ma proprio a riguardo di essa numerosi sono gli interrogativi che ci si pongono.
La moderna immagine scientifica del mondo non corrisponde più a quella dell’ambiente in cui fu scritta la Bibbia. Ed ecco allora per noi domande inevitabili: il progresso scientifico contraddice forse la fede biblica? l’evoluzione è forse incompatibile con la creazione? qual è il senso della dottrina sulla creazione? intende descrivere come il mondo è iniziato e si è sviluppato, oppure vuole affermare soltanto la totale dipendenza da Dio?
La fede biblica in Dio creatore è nata come esplicitazione della fede in Dio salvatore. Israele, nell’esodo dall’Egitto e in tutta la sua storia, ha sperimentato come Dio tenga nelle sue mani le persone, i popoli e gli avvenimenti. Di lui ci si può fidare assolutamente. È onnipotente e può sempre mantenere le promesse. È il Signore incontrastato della storia e dell’universo. È il Signore, perché è il creatore e tutto dipende da lui.
Israele ha anche sperimentato come Dio sia imprevedibile, pronto a capovolgere le sorti dei potenti e degli oppressi, ad aprire nuove strade quando tutto sembra bloccato, sovranamente libero nel suo agire storico. Ciò presuppone che sia ugualmente libero nella sua azione creatrice: «Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 33,9).
Il mondo esiste perché Dio lo vuole. Dio è il Signore incondizionato di tutta la realtà. Questo propriamente interessa la fede religiosa. Questo in definitiva è il messaggio che la Bibbia intende dare, anche quando narra diffusamente l’opera divina.
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I racconti della creazione
[359]
I due racconti biblici della creazione fanno parte della cosiddetta “storia primitiva”, comprendente anche il peccato delle origini, la diffusione del male e le promesse di salvezza
Il primo racconto, più recente, procede solenne, come un inno, intessuto di ripetizioni e parallelismi; segue lo schema dei sette giorni, non per indicare sette epoche, ma per insegnare che l’uomo è chiamato a continuare l’opera di Dio con il lavoro e a riposare e far festa con lui, come suo collaboratore e amico; presenta il mondo come un’armonia mirabile, che in virtù dello Spirito e della parola di Dio sorge dalle acque e dalle tenebre, simbolo del caos e del nulla.
Il secondo racconto è il più antico; unisce vivacità e colore descrittivo alla fine penetrazione psicologica; utilizza un altro modello di pensiero simbolico; qui il mondo fiorisce in mezzo al deserto del nulla come un’oasi, irrigata dai fiumi e rigogliosa di vita, come un giardino affidato alle cure dell’uomo; questi non compare più al termine, ma al centro della successione.
Il redattore non avverte alcuna contraddizione tra i due racconti, perché, sia pure con diverse rappresentazioni, essi danno un insegnamento convergente. A lui non interessano le modalità e la successione dei fenomeni, ma la totale dipendenza da Dio, la fondamentale bontà delle creature, la preminente dignità della creatura umana, il valore del lavoro e del riposo, della sessualità e del matrimonio.
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Creazione continua
[360]
Nella Bibbia la creazione è presentata come l’inizio della storia della salvezza, la prima delle mirabili opere di Dio; ma anche come la sua attività continua, il fondamento perenne di ogni cosa. L’universo dipende sempre da Dio, sia per iniziare sia per continuare ad esistere e per svilupparsi verso nuove e più alte forme di vita. Il soffio dello Spirito avvolge e penetra le creature, le sostiene e le fa germogliare come vento di primavera: «Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni. Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,27-30). La creazione non è il gesto compiuto da Dio in un tempo remoto, ma il dono di ogni giorno: «In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28).
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Creazione dal nulla
[361]
Dio crea dal nulla: «Contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti» (2Mac 7,28). Dio crea dal nulla l’universo spirituale e materiale
Cf. Concilio Lateranense IV, Costituzione 1 “De fide catholica” - DS 800; Concilio Vaticano I, Dei Filius, Canoni I, 5 - DS 3025.
La fede nella creazione, così intesa, genera una speranza incrollabile: «Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra» (Sal 124,8). Se Dio può creare dal nulla, a lui tutto è possibile. Può convertire i peccatori, compresi i più induriti, e rigenerarli a una nuova vita spirituale. Può perfino risuscitare dalla tomba, egli che «dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17). Non è senza ragione che nella veglia pasquale, in cui celebriamo la risurrezione di Cristo e la nostra rinascita, si proclami anche il racconto della creazione.
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Discorso religioso e discorso scientifico
[362] Dipendenza continua e totale da Dio: ecco il contenuto della fede. Restano fuori dalla sua prospettiva le modalità fenomeniche del divenire cosmico. Viceversa la scienza indaga proprio queste modalità. Ne consegue che non ha senso contrapporre discorso religioso e discorso scientifico; e neppure tentare di armonizzarli, quasi si trovassero ambedue sullo stesso piano.
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Il mediatore della creazione
[363]
Se il Padre è l’origine prima e il fine ultimo di tutte le cose, Gesù Cristo è il mediatore universale della creazione, non meno che della salvezza. Un motivo in più per alimentare la nostra fiducia e liberarci da ogni soggezione nei confronti di forze minacciose e oppressive: «In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra,... per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1Cor 8,5-6).
Come gli antichi ebrei a partire dall’esperienza dell’esodo hanno approfondito la conoscenza di Dio salvatore, fino a riconoscerlo creatore del cielo e della terra, così i cristiani, a partire dall’esperienza della Pasqua penetrano nel mistero del Cristo salvatore fino a comprendere che tutto viene creato per mezzo di lui e trova in lui consistenza e significato
Le creature vengono all’esistenza e si sviluppano, in quanto il Padre le chiama dal nulla e le attrae a sé mediante il Figlio con la potenza dello Spirito. Il Verbo e lo Spirito Santo sono, per così dire, «le mani»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 7, 4. Sant’Atanasio di Alessandria, Lettera a Serapione, 1, 31. | |
[364] Dio può salvarci, perché è il creatore libero e onnipotente: la creazione è presupposto e inizio della storia della salvezza.
Le creature spirituali e materiali dipendono da Dio in tutto il loro essere: per iniziare, per continuare ad esistere e per svilupparsi.
La ragione potrebbe conoscere la verità della creazione. Facilmente però rimane offuscata e ha bisogno di una luce e di una conferma superiore. «Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede» (Eb 11,3).
Scienza e teologia devono essere consapevoli dei loro limiti: la scienza non riguarda il fondamento primo e il senso ultimo; la fede non riguarda le modalità evolutive.
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Un mondo buono ma incompiuto
[365] Se il mondo dipende interamente da Dio, non dovrebbe essere perfetto? Come mai insieme ad aspetti di meravigliosa bellezza presenta aspetti di disordine e di male? È governato da Dio o da un destino cieco? Il male può ricevere un senso?
Dio ha creato «il cielo e la terra» (Gen 1,1), cioè l’universo, tutto ciò che esiste fuori di lui. Il mondo creato è buono e bello, nelle singole creature e ancor più nella loro interdipendenza e nell’ordine complessivo: «Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza» (Sal 104,24). Il solo fatto che una cosa o una persona esista è segno che è amata: «Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?» (Sap 11,24-25). Dio non dimentica neppure l’erba del campo e i piccoli uccelli del cielo
Le creature ricevono il dono di esistere e quello di agire. Dio fa sì che le cose si facciano, interagiscano tra loro e cooperino con lui. Crea un mondo buono e bello, ma incompiuto, perché possa muoversi attivamente verso la perfezione definitiva: un mondo complesso, dinamico, misterioso. La parte più elevata di esso è costituita da soggetti personali, gli uomini e gli angeli, in grado di tendere al fine liberamente e di interpretare e governare le altre creature.
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La persona umana
[366]
«Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Unico tra le creature visibili, l’uomo è fatto a immagine di Dio, capace di dialogare con lui, di conoscerlo e di amarlo. Soggetto consapevole di sé, libero e aperto all’infinito, si conosce, si interroga, si possiede, si dona. Soggetto corporeo e sessuato, riceve e trasmette la vita in un tessuto di relazioni, nell’unità del genere umano
| CdA, 801 CONFRONTAVAI |
Origine dell’uomo
[367]
L’uomo è tratto dalla terra e partecipa del mondo materiale; ma riceve direttamente da Dio il soffio della vita spirituale
Cf.San Leone IX,Congratulamurvehementer - DS685; Pio XII,Humani generis - DS3896. | |
Creazione degli angeli
[368]
Dio ha creato anche gli angeli
Cf.Concilio Lateranense IV,Costituzione 1 “De fide catholica” - DS800; Concilio Vaticano I,Dei Filius, I e Canoni I, 5 - DS3002; 3025. Cf.Pio XII,Humani generis - DS3891. | |
Provvidenza divina
[369]
Dio dirige tutte le cose alla perfezione definitiva. A ognuna dà consistenza, energia, identità, fine e leggi proprie; insieme le compone in un ordine dinamico globale, «con misura, calcolo e peso» (Sap 11,20). Ed esse, con la loro singolarità e con l’interdipendenza reciproca, celebrano la sua sapienza e il suo amore.
Soprattutto, la Provvidenza divina conduce la storia dell’uomo, perché possa conseguire la meta della sua vocazione. Il Padre veglia con premurosa sollecitudine su tutti e su ciascuno. Dal principio alla fine la Bibbia attesta la coerente attuazione del suo mirabile disegno di salvezza, incentrato in Cristo. Singole vicende, come quelle di Giuseppe venduto dai fratelli, di Mosè salvato dalle acque, di Tobia accompagnato dall’angelo, si offrono, a una lettura di fede, come segni incoraggianti della sua vicinanza. Il credente sa di poter andare avanti con fiducia: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla... Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23,13-4).
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Lo scandalo del male
[370] La fede nella Provvidenza è messa a dura prova dallo scandalo del male: dov’è Dio, quando i cataclismi della natura, le guerre, la fame e le malattie fanno strage di intere popolazioni? perché i giusti e gli innocenti soffrono, mentre i malvagi trionfano?
La protesta ha assunto, fin dall’antichità, una forma logica serrata con il filosofo Epicuro: «Dio o vuole togliere il male e non può; o può e non vuole; o non vuole e non può; o vuole e può. Se vuole e non può, è debole; se può e non vuole, è malevolo; se non vuole e non può, è malevolo e debole; se vuole e può, come si addice a lui, perché esiste il male e Dio non lo elimina?»
Lattanzio,Dio è impassibile?, 13. Occorre una risposta articolata. Ma viene subito in mente un’osservazione: Dio è misterioso e le sue vie rimangono nascoste, ma negare Dio significa rinunciare alla speranza di superare il male, rassegnarsi alla sconfitta definitiva.
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[371]
Nella Bibbia, il libro di Giobbe demolisce le facili spiegazioni teologiche, «sentenze di cenere», «difese di argilla» (Gb 13,12); ma, nello stesso tempo, rimprovera chi vuol mettere sotto processo la Provvidenza. L’uomo è troppo piccolo davanti a Dio: vede solo le frange delle sue opere e ode appena un sussurro della sua potenza
Per quali vie si espande la luce, si diffonde il vento d’oriente sulla terra?... Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada?... Vai tu a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncini, quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato fra le macchie? Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo?» (Gb 38,4-922242839-41). Dio è infinitamente grande e non c’è da sorprendersi che risulti anche misterioso. Sono fuori luogo sia i tentativi di giustificarlo, sia quelli di accusarlo. L’atteggiamento corretto davanti a lui è l’umile e fiducioso abbandono: «Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te» (Gb 42,2).
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L’origine del male
[372] Tuttavia il male ci investe da ogni parte, in molte forme: disgrazie, violenze, malattie, miseria, oppressione, ingiustizia, solitudine, morte. Non possiamo evitare la domanda: da che cosa dipende questa infelice situazione? perché l’uomo è soggetto alla sofferenza?
Molti mali derivano senz’altro dai limiti naturali, dall’inserimento nel mondo. Partecipando a un processo evolutivo globale, l’uomo nasce, si trasforma e muore come gli altri esseri della natura. Può ricevere la vita solo a frammenti.
La precarietà della condizione creaturale viene poi aggravata da innumerevoli colpe personali, che procurano più o meno direttamente una infinità di guai, a sé e agli altri: basti ricordare i danni recati alla salute, le storture della convivenza sociale, le guerre.
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[373] Questa solidarietà negativa non solo inclina a commettere i peccati personali, che causano molte sofferenze, ma impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura. Molte volte, più che il soffrire pesa il soffrire inutilmente, senza un significato. L’universale alienazione da Dio priva l’animo della forza e della gioia, che deriverebbero da un’intensa comunione con lui e sarebbero capaci di riempire e trasfigurare le stesse esperienze dolorose.
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[374]
Secondo l’intenzione del Creatore, l’uomo dovrebbe vivere in un paradiso terrestre
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[375] L’esperienza del male come tale trova dunque la sua origine nel peccato degli angeli e degli uomini, non in Dio. Il Signore crea un mondo in divenire, in cui le creature possano muoversi attivamente e liberamente verso la perfezione. Ciò comporta che innumerevoli esseri vengano continuamente distrutti, perché altri possano vivere, e che gli angeli e gli uomini possano peccare. Dio prende sul serio la libertà delle sue creature, fino a permettere che gli si ribellino. Agisce in modo simile a una madre, che, sia pure con intima sofferenza, espone il suo bambino al rischio di cadere a terra, perché impari a camminare.
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[376]
Dio non impedisce il male; ma ne trae il bene. Il suo atteggiamento si rivela definitivamente nella croce di Gesù Cristo. Egli ama appassionatamente gli uomini, fino a prendere su di sé il peso della loro miseria come fosse la propria. È vicinissimo anche quando sembra assente. Dal delitto più grande, che è la crocifissione di Gesù, trae il più grande bene, che è la sua risurrezione e la nostra redenzione. Fa crescere nella prova l’amore più puro, che riscatta i peccatori dalle loro colpe. Conduce infine alla vittoria e alla liberazione completa: Cristo «vince il peccato con la sua obbedienza fino alla morte e vince la morte con la sua risurrezione»
Giovanni Paolo II,Salvifici doloris, 14. A.Manzoni,I promessi sposi, 8. | |
[377] Dio ha creato un mondo buono, in cammino verso la perfezione definitiva, con gli angeli e gli uomini capaci di muoversi e orientarsi liberamente.
La divina Provvidenza guida il cammino di tutte le creature con sapienza e amore.
Il male dipende in definitiva dall’abuso della libertà da parte delle persone create.
Dio non fa il male; non lo impedisce, perché rispetta la libertà; lo fa servire al bene. «Sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33).
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Servitori di Dio e di Cristo
[378] Nella nostra cultura dubbi e negazioni riguardo agli angeli e ai demòni coesistono con il fascino dell’occulto. Occorre chiarire e chiedersi: ci sono davvero queste presenze nella storia? quale incidenza hanno?
La rivelazione attesta la creazione dei puri spiriti e la loro chiamata alla comunione con Cristo. Creati liberi, possono liberamente accogliere o rifiutare il disegno di Dio. Una parte di essi lo accoglie: sono gli angeli santi. Ora stanno davanti a Dio per servirlo, contemplano la gloria del suo volto e giorno e notte cantano la sua lode
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[379]
Cristo è il loro capo
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Protettori della Chiesa
[380]
In modo analogo gli angeli accompagnano e aiutano la Chiesa nel suo cammino. Incoraggiano gli apostoli
San Basilio di Cesarea,Contro Eunomio, 3, 1. | |
Gli spiriti ribelli
[381]
Altri angeli sono invece nemici dell’uomo. Sono chiamati demòni. Accecati dall’orgoglio, si sono ribellati a Dio con una scelta irreversibile e perciò impossibile da perdonare
| CdA, 181 CONFRONTAVAI |
Satana
[382]
I demòni hanno come capo Satana. La sua forza distruttiva e il suo influsso nella storia sono indicati dalla Bibbia in termini impressionanti: «il principe di questo mondo» (Gv 12,31); «il grande drago, il serpente antico... che seduce tutta la terra» (Ap 12,9); «omicida fin da principio... e padre della menzogna» (Gv 8,44), «colui che della morte ha il potere» (Eb 2,14); il «maligno» che domina «tutto il mondo» (1Gv 5,19). Bisogna dunque vedere in lui una persona, malvagia e potente che, attraverso un’illusione di vita, organizza sistematicamente la perdizione e la morte.
Si può riconoscere un suo influsso particolare nella forza della menzogna e dell’ateismo, nell’atteggiamento diffuso di autosufficienza, nei fenomeni di distruzione lucida e folle. Ma tutta la storia, a cominciare dal peccato primordiale
Concilio Vaticano II,Gaudium et spes, 37.
Così inquietante è la forza del male, che alcune dottrine religiose hanno immaginato l’esistenza di un dio malvagio, indipendente e concorrenziale rispetto al Dio del bene. La Chiesa rifiuta questo modo di vedere
Cf. Concilio Lateranense IV,Costituzione 1 “De fide catholica” - DS800. Paolo VI, Discorso del 15 novembre 1972. | CdA, 186 CONFRONTAVAI |
Vigilanza cristiana
[383]
Nei confronti di Satana e dei demòni bisogna essere vigilanti, ma senza paura. Essi ricevono da Dio le loro energie; possono agire liberamente finché Dio lo permette; loro malgrado, con le loro stesse macchinazioni, come è avvenuto nella passione di Cristo, finiscono per contribuire al regno di Dio e al nostro bene. La supremazia di Dio e di Cristo è totale, dal principio alla fine. Non abbiamo nulla da temere. Cristo ha vinto i demòni e ha dato anche a noi la possibilità di lottare vittoriosamente contro di essi.
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[384] Le rappresentazioni letterarie e artistiche dei secoli passati sono diventate estranee alla cultura del nostro tempo. Sarebbe però un errore pericoloso relegare il demonio nel mondo della pura fantasia: la più fine astuzia del diavolo, secondo un detto famoso, sta proprio nel persuadere la gente che lui non esiste. D’altra parte non bisogna vedere la sua presenza dappertutto e alimentare paure irrazionali o un interesse malsano. Satana esercita un certo fascino sull’uomo moderno, che all’efficienza tecnica tende ad associare l’efficienza magica, cioè la manipolazione a proprio vantaggio delle forze preternaturali. Di qui la diffusione di pratiche superstiziose e culti satanici. Chi cerca Satana, l’ha già trovato. La sete di potere ad ogni costo si oppone radicalmente all’atteggiamento di fede, che è abbandono fiducioso alla volontà di Dio.
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Azione diabolica
[385] Ordinariamente l’azione degli spiriti maligni nei confronti degli uomini consiste nella tentazione al peccato. Ciò che loro interessa è soprattutto il nostro traviamento spirituale. Oltre la tentazione, ad essi vengono attribuiti alcuni fenomeni prodigiosi di carattere negativo: l’ossessione, che è violenza interiore o esteriore per recare turbamento; la possessione, che è presa di possesso del corpo con crisi tempestose, alternate a periodi di calma; la infestazione, che riguarda i luoghi e provoca danni e timori.
Nell’interpretare questo genere di fenomeni, occorre essere estremamente cauti. È diffusa una credulità morbosa nei prodigi demoniaci, nei malefici, nella mala sorte. Si vede il diavolo dappertutto, meno dove sicuramente sta, cioè nel peccato. Per la gran parte dei casi si tratta di immaginazioni e dicerie senza fondamento o di malattie psichiche, spiegabili con i dinamismi dell’inconscio in personalità dissociate. Per un prudente discernimento, vanno consultati psicologi e psichiatri competenti e rispettosi della fede.
Qualche volta però la spiegazione psicologica non sembra adeguata. Si può supporre con buona probabilità l’azione demoniaca in presenza di alcuni segni concomitanti: forza fisica abnorme, comunicazione attraverso lingue ignote, conoscenza di cose lontane o segrete, atmosfera malsana, avversione alle realtà religiose.
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Preghiera di liberazione
[386] In questi casi, come in ogni situazione di sofferenza, è consigliabile ricorrere alla preghiera, umile e fiduciosa, che non pretende di conseguire i risultati ad ogni costo, ma accetta quello che Dio, nella sua provvidenza, dispone. È bene impegnarsi seriamente in un cammino di vita cristiana, comprendente il sacramento della riconciliazione e la comunione eucaristica, le opere di penitenza e di carità, la fedeltà ai propri doveri. Si può ricorrere infine all’esorcismo.
| CdA, 187 CONFRONTAVAI |
[387] L’esorcismo è un sacramentale, un gesto compiuto a nome della Chiesa. Nella forma deprecativa ci si rivolge a Dio, perché cacci il demonio; nella forma imperativa, confidando nella vittoriosa potenza di Cristo, si ordina al demonio di andar via. In ambedue le forme implica un atteggiamento di umile fiducia. L’efficacia non è automatica; dipende dalla volontà di Dio.
Può fare l’esorcismo solo un ministro autorizzato dal vescovo. L’autorizzazione viene data a persone dotate di pietà, scienza, prudenza e integrità morale
Cf.Codice di diritto canonico, 1172. | |
[388] I puri spiriti, rimasti fedeli a Dio, lo glorificano incessantemente con la lode e il servizio; proteggono la Chiesa e accompagnano il nostro cammino verso la vita eterna.
Gli spiriti ribelli odiano Dio e la sua creazione; tentano gli uomini al peccato; mettono in opera varie forme di violenza e di inganno. Sono stati vinti da Cristo. Non bisogna temerli; ma occorre essere vigilanti.
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Corruzione di Israele
[389]
«Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22): ci sono due misteriose solidarietà, l’una conduce alla perdizione e l’altra alla salvezza. Approfondire questa verità significa rispondere a domande come queste: perché Gesù Cristo è il salvatore di tutti gli uomini? perché gli uomini hanno bisogno di essere salvati? in che senso sono tutti peccatori? come si è arrivati a prendere coscienza di questa solidarietà nel male?
L’Antico Testamento vede la storia come un dialogo drammatico tra Dio e il suo popolo. Dio fa dono dell’alleanza e rimane sempre fedele. Israele tradisce l’alleanza e sperimenta quanto sia amaro e rovinoso allontanarsi dal Signore: «Tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento... perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità» (Is 64,5-6). Ma più Dio nella sua misericordia si mostra pronto a perdonare e a riprendere in mano l’avvenire del suo popolo, più questi torna a disfare e a ingarbugliare la tela.
Così Israele comprende che il male morale è difficile da estirpare; si rende conto di essere stato peccatore da sempre, a cominciare dagli antichi padri. Osserva che gli altri popoli lo sono ugualmente; intuisce che l’umanità intera è corrotta fin dalle origini e nessun vivente è giusto davanti a Dio.
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Corruzione dell’umanità
[390] La prospettiva dell’alleanza viene estesa alla storia universale: ciò che accade tra Dio e Israele, accade in modo analogo tra Dio e l’umanità. All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia e una condizione di vita paradisiaca. L’uomo gli si ribella con il primo peccato, che stravolge la sua esistenza, e poi affonda in una moltitudine di peccati. Dio, fedele e misericordioso, gli rimane vicino e lo conforta, promettendogli la salvezza.
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[391]
L’uomo cede alle lusinghe del serpente, immagine dell’idolatria e in definitiva di Satana; non si fida di Dio; rifiuta di riconoscerlo come Signore della sua vita e norma del suo agire; non tiene conto dell’ordine sapiente, da lui posto nella creazione. Mangia il frutto dell’albero della scienza del bene e del male e così si fa legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male; pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio illimitato di vivere; vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e onnipotente.
Ma l’uomo si ritrova nudo, misero e solo in una terra diventata ostile; si sente umiliato dalla vergogna, minacciato dalla morte, incapace di controllare gli istinti. Il rifiuto della comunione con Dio porta con sé la divisione tra gli uomini stessi. L’armonia originaria con Dio, con se stesso, con gli altri e con la natura è perduta; il ritorno al giardino è sbarrato dalla «fiamma della spada folgorante» (Gen 3,24).
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[392]
L’umanità prende a rotolare verso il basso, trascinata dalla logica del peccato. Il male dilaga da ogni parte, come il diluvio: «La terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza» (Gen 6,11). La società precipita nella confusione e nella disgregazione: non bastano tecnica e organizzazione a portare a termine la torre di Babele
| CdA, 1146 CONFRONTAVAI |
[393]
La salvezza può venire solo da Dio. E Dio va a cercare l’uomo; gli fa prendere coscienza del peccato; gli promette la vittoria sul serpente; lo riveste con una tunica di pelle, in segno di premura e di protezione; continua poi a intervenire, salvando Noè e la sua famiglia dal diluvio
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Il potere del peccato
[394]
Il Nuovo Testamento proclama la lieta notizia che la salvezza comincia a realizzarsi. A partire dal mistero della redenzione si comprende meglio anche il mistero del peccato
Da che cosa dipende questa necessità? Dal fatto che «giudei e greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c’è nessun giusto, nemmeno uno» (Rm 3,9-10). Il mondo intero deve ammutolire e riconoscersi peccatore, poiché «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23); la creazione stessa è soggetta alla caducità e alla corruzione
Lasciati a se stessi, gli uomini commettono molti peccati, perché il loro cuore è cattivo e produce azioni cattive di ogni genere
Come mai si trovano in questa situazione di debolezza e di corruzione? Come mai appartengono al regno delle tenebre? Il peccato e la morte sono entrati nel mondo per colpa dell’uomo stesso
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Tra pelagianesimo e protestantesimo
[395]
La triste schiavitù del genere umano, evidenziata drammaticamente dalla rivelazione, viene ulteriormente precisata nella dottrina della Chiesa. Le prese di posizione del Magistero sono provocate dalla necessità di rispondere a due opposti errori. Nel secolo V il pelagianesimo afferma che l’uomo, a parte il cattivo esempio che ha ricevuto dai progenitori, è sano e può vivere onestamente, senza l’aiuto della grazia di Dio. Al contrario, nella Riforma protestante si sostiene che l’uomo viene al mondo totalmente corrotto e inclinato irresistibilmente al male, senza vera libertà, incapace perfino di cooperare con la grazia divina. La dottrina della Chiesa, stabilita dal secondo sinodo di Orange nel 529 e dal concilio di Trento nel 1546, respinge queste visioni estreme. Questi sono i suoi punti principali: il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale per loro e per tutti i discendenti; il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto riceve una natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al peccato; la corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia; la redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la giustificazione e la salvezza; il peccato originale è soppresso mediante il battesimo; rimane la concupiscenza, che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma propriamente non è peccato
Cf.Sinodo di Orange II,Canoni 1-2 - DS371-372; Concilio di Trento, Sess.V, Decr. Sul peccato originale 1; 4 - DS1511; 1515; Id., Sess.VI, Decr. Sulla giustificazione, Can.1; 2; 4; 5 - DS1551; 1552; 1554; 1555. | |
Alienazione da Dio
[396] Le indicazioni provenienti dai documenti della fede possono essere ancora approfondite con la riflessione teologica, per evidenziare meglio il senso della verità rivelata, che peraltro rimane sempre misteriosa.
Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo accompagna. Mai si parte da zero. Viviamo inseriti in una comunicazione incessante di doni naturali, culturali e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni umane, perché l’umanità intera sia un solo corpo in Cristo.
I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male. Deformano la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle decisioni personali. Si sviluppa una storia alienata da Dio e avversa a Cristo, che non coopera alla comunicazione della vita divina, anzi la ostacola e la blocca. Se ogni peccato ha una dimensione sociale, il peccato primordiale dell’umanità ha un’influenza singolare, perché ha messo in moto tutta questa solidarietà negativa e ha impedito la trasmissione della giustizia originale con le sue modalità peculiari di integrità e immortalità.
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[397] Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, inizia la sua esistenza in questo contesto umano inquinato. Viene al mondo privo della grazia santificante, incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo sopra ogni cosa, incline a chiudersi nell’esperienza terrena e ad assolutizzare i beni temporali. Così la sua libertà, indebolita interiormente e per di più condizionata negativamente all’esterno da un ambiente divenuto opaco nei confronti di Dio, non riuscirà ad osservare i comandamenti e arriverà, prima o poi, a commettere gravi peccati personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
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[398] La triste condizione, in cui l’uomo nasce, è uno stato oggettivo della natura umana, trasmesso insieme ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata “peccato originale”, non perché sia una colpa, ma perché deriva dalla colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. Presenta analogie con la situazione permanente di peccato, che si determina in chi ha commesso una grave colpa. Può essere chiamata anche con altri nomi, ad esempio corruzione o alienazione originale.
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La vittoria della Pasqua
[399]
Nessun uomo potrebbe da solo, con le sue forze, uscire dal regno del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri. Ci rigenera a nuova vita, come figli di Dio. Certo, anche dopo la rigenerazione, rimangono l’inclinazione interiore disordinata e l’influsso esteriore negativo, ma questi non sono più irresistibili. Si deve ancora combattere, ma si può vincere. Così anche la sofferenza e la morte rimangono, ma cambiano senso e diventano occasione di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e trasfigura le sue conseguenze. Ci introduce nella condizione pasquale, superiore alla stessa condizione paradisiaca originale, in quanto ci dà la possibilità di giungere a una perfezione più alta: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).
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[400] Il peccato primordiale dell’umanità ha impedito
la trasmissione della giustizia originale e della condizione paradisiaca; ha dato avvio a una solidarietà negativa.
Il peccato originale, presente in ogni uomo che viene al mondo, è privazione della grazia santificante, incapacità di entrare in dialogo filiale con Dio e di vincere l’inclinazione a commettere i peccati personali. Il peccato originale viene soppresso nella giustificazione, mediante la comunicazione della grazia divina da parte del Signore, crocifisso e risorto, redentore di tutti gli uomini.
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In tutta la storia
[401]
Il potere del peccato si propaga insieme al genere umano a partire dalle origini e perciò raggiunge inesorabilmente tutti gli uomini. Ma anche la redenzione abbraccia tutta la storia.
Il racconto biblico del peccato primordiale contiene già una promessa di salvezza, il primo vangelo
Cf. Messale Romano, Preghiera eucaristica IV. | CdA, 24 CONFRONTAVAI CdA 42 CONFRONTAVAI |
In Israele
[402]
La lettura cristiana dell’Antico Testamento vede il Cristo redentore presente nella storia di Israele, prima ancora della sua nascita terrena. Ha plasmato il popolo di Dio. Alle persone, agli avvenimenti, alle istituzioni, ai riti, alla spiritualità ha conferito, al di là della loro consistenza e del loro significato, un’apertura a qualcosa di nuovo, a qualcosa che sarebbe venuto. In queste realtà, a motivo del disegno unitario di Dio, il cristiano vede altrettante promesse e figure di Cristo e della salvezza da lui attuata. Soprattutto considera segno di lui le realtà con cui Dio si fa presente e agisce nei confronti dell’uomo e del mondo: la Parola, la Legge, la Sapienza personificata.
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Negli ultimi tempi
[403]
Quando viene «la pienezza del tempo» (Gal 4,4), il Verbo fatto carne manifesta pienamente nella storia l’amore gratuito e misericordioso del Padre. Compie l’attesa delle passate generazioni e conduce gli antichi giusti alla perfezione celeste
| CdA, 279-280 CONFRONTAVAI |
[404]
Il Signore Gesù non impone il suo potere dall’esterno; ma attrae interiormente i cuori con il dono dello Spirito Santo
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[405] L’efficacia redentiva della Pasqua di Cristo si estende a tutta la storia: Cristo «ieri, oggi e sempre!» (Eb 13,8).
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Primo e ultimo
[406]
Pensiamo mai seriamente alla meta verso cui siamo incamminati? Siamo solidali con gli innumerevoli fratelli che fanno lo stesso cammino? Siamo «lieti nella speranza, forti nella tribolazione» (Rm 12,12)?
Il mondo è stato creato per mezzo di Cristo; è come un’eco e un riflesso di lui; cresce verso di lui; troverà compimento in lui. Egli è «il Primo e l’Ultimo e il Vivente» (Ap 1,17-18). Attraverso di lui Dio vuole «riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,20), liberarle, rinnovarle, perfezionarle, condurle all’unità sotto un solo capo.
Le creature sono orientate al Cristo risorto fin dall’inizio e tendono a lui, per essere veramente se stesse. Gli uomini, elevati alla dignità di figli di Dio, anelano a conseguire in lui la completa rigenerazione, con la glorificazione del proprio corpo e la trasfigurazione del loro ambiente.
L’ultimo traguardo sarà la perfetta comunione, il mondo accolto e pacificato nel Figlio e il Figlio irradiato nel mondo
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Non saremo delusi
[407]
«Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro» (1Cor 1,9). «Chiunque crede in lui non sarà deluso» (Rm 10,11): «quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (Rm 8,30). «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita,... né presente né avvenire,... né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-323537-39).
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generato prima di ogni creatura...
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui
e in vista di lui.
Egli è anche... il primogenito
di coloro che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose»
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[284] L’esperienza pasquale apre definitivamente l’accesso al mistero personale di Gesù. La fede della Chiesa vi penetra progressivamente e riconosce nel Crocifisso risorto il Cristo, il Signore, il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, il vero Dio e vero uomo. In lui Dio ci ha dato se stesso per attirarci a sé; è disceso nella nostra miseria per sollevarci alla sua gloria. La divinità del Cristo indica la misura inaudita dell’amore di Dio per noi e la sublime audacia della nostra speranza.
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L’identità di Gesù
[285]
Le diverse opinioni sull’identità di Gesù dividevano i suoi contemporanei
Ma quale idea si facevano di lui le prime comunità cristiane? Qual è l’autentica fede della Chiesa? Possiamo rendercene conto, passando in rassegna i principali titoli attribuiti a Gesù, a cominciare da quello che è diventato il suo secondo nome: “Cristo”, cioè Messia.
| CdA, 214-216 CONFRONTAVAI |
Discendente di David
[286]
Anticamente si chiamavano “messia” i re di Israele, in quanto consacrati con l’olio e investiti da Dio della missione di governare in suo nome. Figura tipica ne era David. A un suo discendente, secondo la promessa, Dio avrebbe affidato la sovranità su Israele per sempre
Nei periodi di crisi e di sventura nazionale, i profeti annunziavano la futura rinascita attraverso un re-messia ideale, della stirpe di David. Il popolo manteneva desta questa speranza con la preghiera dei salmi.
Al tempo di Gesù l’attesa era molto viva. Ogni tanto qualcuno si metteva a capo di una banda armata e si presentava come messia condottiero, venuto a liberare Israele dalla tirannia di Erode e dal dominio di Roma. Il successo era effimero; ma la gente aspettava, sempre più ansiosa, la riscossa e il trionfo su tutti i nemici.
Da parte sua, Gesù rimane cauto e reticente sulla propria identità di messia, per non essere frainteso. Preferisce che siano gli altri a pronunciarsi. Il riconoscimento definitivo, non più incerto e timido, viene dopo la Pasqua.
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Messia glorificato
[287]
I primi credenti dell’ambiente palestinese professano che Gesù è il Cristo, il Messia glorificato, consacrato con l’unzione di Spirito Santo, intronizzato alla destra del Padre.
Quel titolo, che durante la vita terrena del Maestro poteva far pensare a una sovranità in senso politico nazionale, adesso si libera di ogni ambiguità. Gesù è Messia-re di un regno che riguarda tutti i popoli e la loro storia, ma soprattutto va al di là della storia. Davvero Dio ha glorificato il suo Servo obbediente
La professione di fede: «Gesù è il Cristo», diventa a poco a poco un nome proprio, “Gesù Cristo”, quasi a indicare che tutta la sua esistenza umana si identifica con la missione di salvatore. E ad Antiòchia di Siria i suoi seguaci per la prima volta ricevono il nome di «cristiani» (At 11,26): nome che poi si è affermato, perché adatto a suggerire l’intimo legame con il Cristo, la partecipazione alla sua vita e alla sua missione, la consacrazione con l’unzione del suo Spirito nel battesimo e nella cresima.
| CdA, 216 CONFRONTAVAI |
Nella storia
[289]
Le comunità palestinesi di lingua aramaica, tutte protese alla futura venuta del Messia nella gloria, lo invocavano già come Signore: «Marana tha» (1Cor 16,22)
| CdA, 401 CONFRONTAVAI |
[290]
Secondo l’Antico Testamento, “Signore” (in ebraico Adonài, in greco Kyrios) è titolo riservato a Dio: «Io sono il Signore e non v’è alcun altro» (Is 45,5). Gesù come uomo riceve dal Padre questo nome, «che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), a motivo della sua obbedienza fino alla morte in croce; ma nella profondità della sua persona da sempre vive insieme a Dio e in perfetta uguaglianza con lui. La signoria che egli esercita sui singoli credenti e sulla Chiesa, sulla storia degli uomini e sul mondo intero, è quella stessa di Dio, per dare vita e salvezza con la potenza dello Spirito.
Egli non opprime, ma libera e fa crescere. Chi piega il ginocchio davanti a lui, rimane in piedi davanti ai potenti della terra e non teme il destino o la minaccia di forze oscure
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Nell’universo
[291]
Nella fede delle comunità cristiane di cultura ellenistica viene sempre più esplicitata la signoria di Cristo nei confronti dell’universo. Ogni creatura è orientata verso di lui fin dal principio e aspetta di trovare in lui la sua verità e il suo compimento. Le potenze cosmiche sono da lui sottomesse e ricondotte all’armonia, perché il mondo non precipiti nel caos e nel nulla. Egli trascende l’universo, perché esiste prima di tutte le cose, che «sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
| CdA, 356 CONFRONTAVAI CdA 406 CONFRONTAVAI |
Un nuovo significato
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Singolare unità con il Padre
| CdA, 166 CONFRONTAVAI CdA 168 CONFRONTAVAI |
[295] È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di Gesù con il Padre.
Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35). A sua volta il Figlio vive totalmente per la gloria del Padre: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). E, di fronte alla passione, l’obbedienza arriva alla suprema dedizione: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo...» (Gv 14,31).
L’unità del Figlio con il Padre è tale, che vedendo l’uno si vede anche l’altro: sono uno nell’altro, sono una cosa sola. Il Padre, che in se stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si manifesta attraverso l’amore del Figlio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9).
L’unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l’unità di essere. Il Figlio si distingue dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è inferiore, perché opera con lui in tutte le sue opere, vive da sempre presso di lui, è Dio insieme a lui, quasi una sua «irradiazione e... impronta» (Eb 1,3), «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre»
Concilio di Costantinopoli I, Simbolo di Nicea-Costantinopoli. | |
[296] Gesù è il Figlio unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell’intimità del Padre, perché «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
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La Parola e la Sapienza
[297] Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo originale come “il Verbo (la Parola)”.
Inesauribile efficacia, secondo l’Antico Testamento, possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l’universo. A sua volta la divina sapienza abita dall’eternità accanto a Dio
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La persona del Verbo
[298]
Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso, non è un’astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,114).
Il Verbo invisibile apparve dunque visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere anche nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l’umanità dispersa
Cf. Messale Romano, Prefazio di Natale III. | |
[299] Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia umanissima di libertà e di finitudine.
Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive rivolto al Padre, è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana
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Il vangelo della nascita
[301] La prima comunità dei credenti, animata dallo Spirito Santo e guidata dagli Apostoli, penetra progressivamente nella profondità del mistero di Gesù; comprende che tutta la sua esistenza è rivelazione di Dio e causa di salvezza per noi. In questa prospettiva anche gli episodi salienti che circondano la sua nascita diventano vangelo, perché lasciano già intravedere quello che poi si manifesterà pienamente alla luce di Pasqua, che cioè Dio è con noi per salvarci e riportarci alla comunione con sé. Si tratta di ricordi, fedelmente custoditi e trasmessi in ambito familiare, che ora vengono compresi nel loro profondo significato.
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Nel racconto di Matteo
[302]
Matteo apre il suo Vangelo con una genealogia e organizza gli avvenimenti della nascita di Gesù in cinque quadri
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Nel racconto di Luca
[303]
L’evangelista Luca racconta la nascita e la vita nascosta di Gesù in parallelo con quella di Giovanni Battista, presentandolo come dono incomparabile e gratuito di Dio ai poveri
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I misteri dell’infanzia e della vita nascosta
[304]
Nella nascita del Messia, povero tra i poveri, viene anticipata la suprema povertà del Crocifisso e comincia a risplendere la gloria di Dio, intesa come rivelazione del suo amore. Nella circoncisione del bambino Gesù si esprimono la sua appartenenza al popolo di Israele e la sua sottomissione alla legge. Nella presentazione al tempio Israele, rappresentato da Simeone e Anna, vede coronata la sua attesa e incontra il suo salvatore, mandato da Dio anche come «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). Nella venuta dei Magi sono le nazioni pagane che, mediante i loro rappresentanti, vanno incontro al Messia di Israele e lo adorano come salvatore universale. Nella fuga in Egitto si annuncia per il Messia un futuro di contrasti e persecuzioni: attuerà la sua missione attraverso la sofferenza. Nel ritrovamento nel tempio emerge la consapevolezza di Gesù circa la propria missione e la propria identità di Figlio di Dio.
La lunga permanenza di Gesù a Nàzaret, intessuta di fatica quotidiana e di ordinari rapporti con la gente anonima di un oscuro villaggio, manifesta anch’essa la condiscendenza di Dio e la sua volontà di essere con noi e per noi. Dio ama la vita quotidiana che non fa notizia, caratterizzata dalla famiglia e dal lavoro, la vita della quasi totalità del genere umano. In essa si lascia incontrare: basta viverla come un dono e un compito, con fede e amore. Non è necessario compiere grandi imprese per essere santi.
| CCC, 527-534CdA, 777-779 CONFRONTAVAI |
Ricerca incessante
[306]
La fede genera un movimento incessante di ricerca, che penetra sempre più nel mistero. La molteplicità di avvenimenti storici, esperienze personali e ambienti culturali provoca domande diverse e porta ad acquisire aspetti sempre nuovi della verità, senza mai esaurirla. Già all’interno del Nuovo Testamento, frutto dell’epoca apostolica delle origini e regola della fede per tutte le generazioni successive, è possibile riscontrare una tradizione sostanzialmente unitaria, ma con varietà di accentuazioni, di prospettive e di contributi.
La riflessione della Chiesa continua nei secoli con la partecipazione di tutti i credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri, con il magistero del papa e dei vescovi, con quell’espressione particolarmente solenne di esso che sono i concili.
Sorgono numerose eresie. Enfatizzano un aspetto parziale della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcune accentuano l’umanità di Cristo a scapito della divinità; altre, viceversa, accentuano la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte finiscono per allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l’uomo. Allora, per difendere l’integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l’unità della Chiesa, confidando nell’assistenza dello Spirito Santo promesso da Cristo, i concili pronunciano definizioni dogmatiche chiarificatrici, come punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano dall’imboccare strade sbagliate.
| CdA, 622 CONFRONTAVAI |
I primi sette concili
[307] I primi sette concili ecumenici difendono e spiegano le verità centrali della fede riguardo a Dio e a Cristo. Ancora oggi il loro insegnamento è patrimonio comune di quasi tutti i cristiani, d’oriente e d’occidente.
Il primo concilio di Nicea, celebrato nell’anno 325, proclama che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile. Respinge l’arianesimo, la dottrina secondo cui il Verbo sarebbe la prima e più perfetta delle creature, strumento per la creazione di tutte le altre.
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[308] Il primo concilio di Costantinopoli, dell’anno 381, condanna gli pneumatòmachi, che negano la divinità dello Spirito Santo, e gli apollinaristi, che non riconoscono in Gesù un’anima umana, in quanto al suo posto ci sarebbe il Verbo. Insegna che lo Spirito Santo è persona divina, consustanziale al Padre e al Figlio, e che il Verbo si è fatto uomo vero, completo di anima e di corpo.
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[309] Il concilio di Efeso, dell’anno 431, rifiuta la dottrina nestoriana, secondo cui in Cristo ci sarebbero due soggetti, uniti moralmente: il Verbo e l’uomo Gesù. Afferma che il Verbo non ha unito a sé la persona di un uomo, ma si è fatto uomo e nella sua umanità è nato da Maria, ha sofferto, è risorto; perciò una sola persona, un solo e medesimo Figlio di Dio è vero Dio e vero uomo, e Maria è vera madre di Dio.
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[310] Il concilio di Calcedonia, dell’anno 451, condanna i monofisiti, i quali sostengono che nell’incarnazione la natura umana viene assorbita in quella divina e quindi ammettono in Cristo una umanità solo apparente. Il concilio formula una professione di fede, molto precisa nel linguaggio e destinata ad avere una grande importanza storica:
«Noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo,[composto]di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipòstasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo»
Concilio di Calcedonia, Definizione della fede - DS 301-302. Per secoli questa formula è stata ripetuta, tale e quale, per esprimere la fede della Chiesa. Oggi si sente il bisogno di arricchirla con altre prospettive, per evangelizzare efficacemente le culture contemporanee. Ma essa conserva tutto il suo valore di verità e costituisce un’indicazione sicura per il nostro cammino.
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[311] Conferme e precisazioni a questa formula sono venute già nell’antichità dai tre concili successivi.
Il secondo concilio di Costantinopoli, dell’anno 553, ribadisce la condanna di alcune interpretazioni dualiste, vicine a quella nestoriana.
Il terzo concilio di Costantinopoli, degli anni 680-681, condanna il monoenergismo e il monotelismo, ultimi rigurgiti del monofisismo, che pongono in Cristo una sola attività e una sola volontà; riconosce invece l’esistenza di due attività naturali, divina e umana, e in particolare due volontà in armonia tra loro.
Il secondo concilio di Nicea, dell’anno 787, definisce che è conforme alla verità dell’incarnazione raffigurare il Cristo nelle opere d’arte e tributare culto alle sacre immagini, perché l’onore in definitiva è rivolto alla persona rappresentata.
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Incarnazione di Dio e santificazione dell’uomo
[312] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature, un solo soggetto di azioni divine e umane.
Il Figlio eterno si è comunicato a una concreta natura umana, esprimendosi in essa. Pur rimanendo Dio come il Padre, ha voluto vivere e morire da uomo, pensare come noi, volere e agire come noi, sentire e soffrire come noi. Ha assunto un vero corpo e una vera anima, una volontà umana liberamente sottomessa a quella divina, una conoscenza umana derivata dall’esperienza del mondo e dall’esperienza intima di sé e del Padre. Pur rimanendo trascendente, è entrato personalmente in una vera esistenza terrena con un concreto spessore storico: «Si è umiliato, non perdendo la natura di Dio, ma assumendo quella del servo»
Sant’Agostino, Discorsi, 4, 5. | CCC, 478 |
[313]
Prospettive inaudite si aprono sull’amore di Dio per gli uomini e sulla grandezza della nostra vocazione. Dio non ci ha dato solo i beni creati, ma ci ha donato se stesso nella storia, per donarci se stesso nell’eternità. Si è abbassato fino a noi, per innalzarci fino a sé, perché, ricevendo lo Spirito Santo, vivessimo in comunione con il Figlio e diventassimo per grazia figli del Padre: «Il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio figlio dell’uomo, perché l’uomo, entrando in comunione con Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 19, 1. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22. I misteri dell’incarnazione di Dio e della santificazione dell’uomo sono strettamente congiunti. Sia pure in maniera diversa, in ambedue Dio si comunica all’uomo personalmente e l’uomo è accolto in Dio senza perdere la sua piena e concreta verità. È questo il modo proprio del cristianesimo di intendere la salvezza.
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[314] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell’umanità, eccetto il peccato.
Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell’intimità del Padre.
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L’identità di Gesù
[285]
Le diverse opinioni sull’identità di Gesù dividevano i suoi contemporanei
Ma quale idea si facevano di lui le prime comunità cristiane? Qual è l’autentica fede della Chiesa? Possiamo rendercene conto, passando in rassegna i principali titoli attribuiti a Gesù, a cominciare da quello che è diventato il suo secondo nome: “Cristo”, cioè Messia.
| CdA, 214-216 CONFRONTAVAI |
Discendente di David
[286]
Anticamente si chiamavano “messia” i re di Israele, in quanto consacrati con l’olio e investiti da Dio della missione di governare in suo nome. Figura tipica ne era David. A un suo discendente, secondo la promessa, Dio avrebbe affidato la sovranità su Israele per sempre
Nei periodi di crisi e di sventura nazionale, i profeti annunziavano la futura rinascita attraverso un re-messia ideale, della stirpe di David. Il popolo manteneva desta questa speranza con la preghiera dei salmi.
Al tempo di Gesù l’attesa era molto viva. Ogni tanto qualcuno si metteva a capo di una banda armata e si presentava come messia condottiero, venuto a liberare Israele dalla tirannia di Erode e dal dominio di Roma. Il successo era effimero; ma la gente aspettava, sempre più ansiosa, la riscossa e il trionfo su tutti i nemici.
Da parte sua, Gesù rimane cauto e reticente sulla propria identità di messia, per non essere frainteso. Preferisce che siano gli altri a pronunciarsi. Il riconoscimento definitivo, non più incerto e timido, viene dopo la Pasqua.
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Messia glorificato
[287]
I primi credenti dell’ambiente palestinese professano che Gesù è il Cristo, il Messia glorificato, consacrato con l’unzione di Spirito Santo, intronizzato alla destra del Padre.
Quel titolo, che durante la vita terrena del Maestro poteva far pensare a una sovranità in senso politico nazionale, adesso si libera di ogni ambiguità. Gesù è Messia-re di un regno che riguarda tutti i popoli e la loro storia, ma soprattutto va al di là della storia. Davvero Dio ha glorificato il suo Servo obbediente
La professione di fede: «Gesù è il Cristo», diventa a poco a poco un nome proprio, “Gesù Cristo”, quasi a indicare che tutta la sua esistenza umana si identifica con la missione di salvatore. E ad Antiòchia di Siria i suoi seguaci per la prima volta ricevono il nome di «cristiani» (At 11,26): nome che poi si è affermato, perché adatto a suggerire l’intimo legame con il Cristo, la partecipazione alla sua vita e alla sua missione, la consacrazione con l’unzione del suo Spirito nel battesimo e nella cresima.
| CdA, 216 CONFRONTAVAI |
Nella storia
[289]
Le comunità palestinesi di lingua aramaica, tutte protese alla futura venuta del Messia nella gloria, lo invocavano già come Signore: «Marana tha» (1Cor 16,22)
| CdA, 401 CONFRONTAVAI |
[290]
Secondo l’Antico Testamento, “Signore” (in ebraico Adonài, in greco Kyrios) è titolo riservato a Dio: «Io sono il Signore e non v’è alcun altro» (Is 45,5). Gesù come uomo riceve dal Padre questo nome, «che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), a motivo della sua obbedienza fino alla morte in croce; ma nella profondità della sua persona da sempre vive insieme a Dio e in perfetta uguaglianza con lui. La signoria che egli esercita sui singoli credenti e sulla Chiesa, sulla storia degli uomini e sul mondo intero, è quella stessa di Dio, per dare vita e salvezza con la potenza dello Spirito.
Egli non opprime, ma libera e fa crescere. Chi piega il ginocchio davanti a lui, rimane in piedi davanti ai potenti della terra e non teme il destino o la minaccia di forze oscure
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Nell’universo
[291]
Nella fede delle comunità cristiane di cultura ellenistica viene sempre più esplicitata la signoria di Cristo nei confronti dell’universo. Ogni creatura è orientata verso di lui fin dal principio e aspetta di trovare in lui la sua verità e il suo compimento. Le potenze cosmiche sono da lui sottomesse e ricondotte all’armonia, perché il mondo non precipiti nel caos e nel nulla. Egli trascende l’universo, perché esiste prima di tutte le cose, che «sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16).
| CdA, 356 CONFRONTAVAI CdA 406 CONFRONTAVAI |
Un nuovo significato
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Singolare unità con il Padre
| CdA, 166 CONFRONTAVAI CdA 168 CONFRONTAVAI |
[295] È soprattutto il Vangelo di Giovanni che mette in risalto il singolarissimo legame di Gesù con il Padre.
Con ineffabile gratitudine, Gesù è consapevole di ricevere tutto da lui: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35). A sua volta il Figlio vive totalmente per la gloria del Padre: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). E, di fronte alla passione, l’obbedienza arriva alla suprema dedizione: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo...» (Gv 14,31).
L’unità del Figlio con il Padre è tale, che vedendo l’uno si vede anche l’altro: sono uno nell’altro, sono una cosa sola. Il Padre, che in se stesso è invisibile, si rivela e si dona attraverso il Figlio. Il suo amore inaudito per gli uomini si manifesta attraverso l’amore del Figlio: «In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1Gv 4,9).
L’unità di rivelazione del Figlio con il Padre suppone l’unità di essere. Il Figlio si distingue dal Padre, in quanto con lui dialoga, da lui è inviato e a lui è sottomesso; tuttavia non gli è inferiore, perché opera con lui in tutte le sue opere, vive da sempre presso di lui, è Dio insieme a lui, quasi una sua «irradiazione e... impronta» (Eb 1,3), «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre»
Concilio di Costantinopoli I, Simbolo di Nicea-Costantinopoli. | |
[296] Gesù è il Figlio unigenito di Dio fatto uomo, che ci introduce nell’intimità del Padre, perché «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27).
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La Parola e la Sapienza
[297] Con riferimento alla cultura giudeo-ellenistica, largamente imbevuta di tradizione biblica sulla parola di Dio e sulla divina sapienza, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù in modo originale come “il Verbo (la Parola)”.
Inesauribile efficacia, secondo l’Antico Testamento, possiede la parola di Dio, che conduce la storia degli uomini, crea e governa l’universo. A sua volta la divina sapienza abita dall’eternità accanto a Dio
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La persona del Verbo
[298]
Il Vangelo di Giovanni va oltre queste personificazioni e addita una persona precisa. Il Verbo eterno del Padre, creatore del mondo e guida della storia, vicino a Dio e Dio lui stesso, non è un’astrazione evanescente, ma si è fatto uomo mortale, in un luogo e in un tempo determinati; si identifica con la persona di Gesù di Nàzaret: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,114).
Il Verbo invisibile apparve dunque visibilmente nella nostra carne; colui che è generato prima dei secoli cominciò ad esistere anche nel tempo, per reintegrare l’universo nel disegno del Padre e ricondurre a lui l’umanità dispersa
Cf. Messale Romano, Prefazio di Natale III. | |
[299] Il nostro pensiero, per poter raggiungere gli altri, diventa suono di una voce. Il Verbo di Dio, per esprimersi e donarsi agli uomini, si è fatto vero e fragile uomo, con una storia umanissima di libertà e di finitudine.
Senza lasciare il cielo, dove da sempre e per sempre vive rivolto al Padre, è disceso sulla terra per essere Dio con noi, nostro amico e fratello. Ha condiviso in tutto eccetto il peccato, la nostra condizione umana
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Il vangelo della nascita
[301] La prima comunità dei credenti, animata dallo Spirito Santo e guidata dagli Apostoli, penetra progressivamente nella profondità del mistero di Gesù; comprende che tutta la sua esistenza è rivelazione di Dio e causa di salvezza per noi. In questa prospettiva anche gli episodi salienti che circondano la sua nascita diventano vangelo, perché lasciano già intravedere quello che poi si manifesterà pienamente alla luce di Pasqua, che cioè Dio è con noi per salvarci e riportarci alla comunione con sé. Si tratta di ricordi, fedelmente custoditi e trasmessi in ambito familiare, che ora vengono compresi nel loro profondo significato.
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Nel racconto di Matteo
[302]
Matteo apre il suo Vangelo con una genealogia e organizza gli avvenimenti della nascita di Gesù in cinque quadri
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Nel racconto di Luca
[303]
L’evangelista Luca racconta la nascita e la vita nascosta di Gesù in parallelo con quella di Giovanni Battista, presentandolo come dono incomparabile e gratuito di Dio ai poveri
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I misteri dell’infanzia e della vita nascosta
[304]
Nella nascita del Messia, povero tra i poveri, viene anticipata la suprema povertà del Crocifisso e comincia a risplendere la gloria di Dio, intesa come rivelazione del suo amore. Nella circoncisione del bambino Gesù si esprimono la sua appartenenza al popolo di Israele e la sua sottomissione alla legge. Nella presentazione al tempio Israele, rappresentato da Simeone e Anna, vede coronata la sua attesa e incontra il suo salvatore, mandato da Dio anche come «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32). Nella venuta dei Magi sono le nazioni pagane che, mediante i loro rappresentanti, vanno incontro al Messia di Israele e lo adorano come salvatore universale. Nella fuga in Egitto si annuncia per il Messia un futuro di contrasti e persecuzioni: attuerà la sua missione attraverso la sofferenza. Nel ritrovamento nel tempio emerge la consapevolezza di Gesù circa la propria missione e la propria identità di Figlio di Dio.
La lunga permanenza di Gesù a Nàzaret, intessuta di fatica quotidiana e di ordinari rapporti con la gente anonima di un oscuro villaggio, manifesta anch’essa la condiscendenza di Dio e la sua volontà di essere con noi e per noi. Dio ama la vita quotidiana che non fa notizia, caratterizzata dalla famiglia e dal lavoro, la vita della quasi totalità del genere umano. In essa si lascia incontrare: basta viverla come un dono e un compito, con fede e amore. Non è necessario compiere grandi imprese per essere santi.
| CCC, 527-534CdA, 777-779 CONFRONTAVAI |
Ricerca incessante
[306]
La fede genera un movimento incessante di ricerca, che penetra sempre più nel mistero. La molteplicità di avvenimenti storici, esperienze personali e ambienti culturali provoca domande diverse e porta ad acquisire aspetti sempre nuovi della verità, senza mai esaurirla. Già all’interno del Nuovo Testamento, frutto dell’epoca apostolica delle origini e regola della fede per tutte le generazioni successive, è possibile riscontrare una tradizione sostanzialmente unitaria, ma con varietà di accentuazioni, di prospettive e di contributi.
La riflessione della Chiesa continua nei secoli con la partecipazione di tutti i credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri, con il magistero del papa e dei vescovi, con quell’espressione particolarmente solenne di esso che sono i concili.
Sorgono numerose eresie. Enfatizzano un aspetto parziale della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcune accentuano l’umanità di Cristo a scapito della divinità; altre, viceversa, accentuano la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte finiscono per allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l’uomo. Allora, per difendere l’integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l’unità della Chiesa, confidando nell’assistenza dello Spirito Santo promesso da Cristo, i concili pronunciano definizioni dogmatiche chiarificatrici, come punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano dall’imboccare strade sbagliate.
| CdA, 622 CONFRONTAVAI |
I primi sette concili
[307] I primi sette concili ecumenici difendono e spiegano le verità centrali della fede riguardo a Dio e a Cristo. Ancora oggi il loro insegnamento è patrimonio comune di quasi tutti i cristiani, d’oriente e d’occidente.
Il primo concilio di Nicea, celebrato nell’anno 325, proclama che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile. Respinge l’arianesimo, la dottrina secondo cui il Verbo sarebbe la prima e più perfetta delle creature, strumento per la creazione di tutte le altre.
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[308] Il primo concilio di Costantinopoli, dell’anno 381, condanna gli pneumatòmachi, che negano la divinità dello Spirito Santo, e gli apollinaristi, che non riconoscono in Gesù un’anima umana, in quanto al suo posto ci sarebbe il Verbo. Insegna che lo Spirito Santo è persona divina, consustanziale al Padre e al Figlio, e che il Verbo si è fatto uomo vero, completo di anima e di corpo.
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[309] Il concilio di Efeso, dell’anno 431, rifiuta la dottrina nestoriana, secondo cui in Cristo ci sarebbero due soggetti, uniti moralmente: il Verbo e l’uomo Gesù. Afferma che il Verbo non ha unito a sé la persona di un uomo, ma si è fatto uomo e nella sua umanità è nato da Maria, ha sofferto, è risorto; perciò una sola persona, un solo e medesimo Figlio di Dio è vero Dio e vero uomo, e Maria è vera madre di Dio.
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[310] Il concilio di Calcedonia, dell’anno 451, condanna i monofisiti, i quali sostengono che nell’incarnazione la natura umana viene assorbita in quella divina e quindi ammettono in Cristo una umanità solo apparente. Il concilio formula una professione di fede, molto precisa nel linguaggio e destinata ad avere una grande importanza storica:
«Noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo,[composto]di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipòstasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo»
Concilio di Calcedonia, Definizione della fede - DS 301-302. Per secoli questa formula è stata ripetuta, tale e quale, per esprimere la fede della Chiesa. Oggi si sente il bisogno di arricchirla con altre prospettive, per evangelizzare efficacemente le culture contemporanee. Ma essa conserva tutto il suo valore di verità e costituisce un’indicazione sicura per il nostro cammino.
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[311] Conferme e precisazioni a questa formula sono venute già nell’antichità dai tre concili successivi.
Il secondo concilio di Costantinopoli, dell’anno 553, ribadisce la condanna di alcune interpretazioni dualiste, vicine a quella nestoriana.
Il terzo concilio di Costantinopoli, degli anni 680-681, condanna il monoenergismo e il monotelismo, ultimi rigurgiti del monofisismo, che pongono in Cristo una sola attività e una sola volontà; riconosce invece l’esistenza di due attività naturali, divina e umana, e in particolare due volontà in armonia tra loro.
Il secondo concilio di Nicea, dell’anno 787, definisce che è conforme alla verità dell’incarnazione raffigurare il Cristo nelle opere d’arte e tributare culto alle sacre immagini, perché l’onore in definitiva è rivolto alla persona rappresentata.
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Incarnazione di Dio e santificazione dell’uomo
[312] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature, un solo soggetto di azioni divine e umane.
Il Figlio eterno si è comunicato a una concreta natura umana, esprimendosi in essa. Pur rimanendo Dio come il Padre, ha voluto vivere e morire da uomo, pensare come noi, volere e agire come noi, sentire e soffrire come noi. Ha assunto un vero corpo e una vera anima, una volontà umana liberamente sottomessa a quella divina, una conoscenza umana derivata dall’esperienza del mondo e dall’esperienza intima di sé e del Padre. Pur rimanendo trascendente, è entrato personalmente in una vera esistenza terrena con un concreto spessore storico: «Si è umiliato, non perdendo la natura di Dio, ma assumendo quella del servo»
Sant’Agostino, Discorsi, 4, 5. | CCC, 478 |
[313]
Prospettive inaudite si aprono sull’amore di Dio per gli uomini e sulla grandezza della nostra vocazione. Dio non ci ha dato solo i beni creati, ma ci ha donato se stesso nella storia, per donarci se stesso nell’eternità. Si è abbassato fino a noi, per innalzarci fino a sé, perché, ricevendo lo Spirito Santo, vivessimo in comunione con il Figlio e diventassimo per grazia figli del Padre: «Il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio figlio dell’uomo, perché l’uomo, entrando in comunione con Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 19, 1. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22. I misteri dell’incarnazione di Dio e della santificazione dell’uomo sono strettamente congiunti. Sia pure in maniera diversa, in ambedue Dio si comunica all’uomo personalmente e l’uomo è accolto in Dio senza perdere la sua piena e concreta verità. È questo il modo proprio del cristianesimo di intendere la salvezza.
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[314] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell’umanità, eccetto il peccato.
Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell’intimità del Padre.
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Mistero oscuro e luminoso
[316] La nostra conoscenza di Dio è indiretta e inadeguata. Che senso ha allora indagare la sua vita intima, ciò che egli è in se stesso?
Nella nostra cultura è abbastanza diffuso l’agnosticismo, che tende a circoscrivere la capacità dell’intelligenza umana dentro l’orizzonte terreno e si mostra estremamente diffidente verso ogni tentativo di parlare di Dio. È significativo che nel nostro paese, accanto a quelli che si dichiarano non credenti o indifferenti, molte siano le persone che si ritrovano nella definizione di Dio come Mistero.
D’altra parte, un rapporto religioso vivo non può fare a meno di una qualche conoscenza positiva ed è ancor più significativo che la grande maggioranza della gente si riconosca nella definizione cristiana: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Non si può aver fiducia in chi resta completamente sconosciuto.
| CdA, 34 CONFRONTAVAI |
[317] Nella rivelazione storica Dio si manifesta e si nasconde nello stesso tempo; ci offre una conoscenza luminosa, associata a ombre impenetrabili. La sorgente infinita dell’essere e della vita rimane al di là di tutte le cose e di tutti i pensieri; ma in Gesù di Nàzaret lascia trasparire qualcosa del suo segreto. La storia del Cristo non è storia di una sola persona, ma di tre persone: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Il Dio ignoto si rivela come mistero di comunione e di amore.
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[318]
Una singolare dialettica attraversava le promesse di salvezza nell’Antico Testamento: da una parte si affermava che negli ultimi tempi Dio sarebbe intervenuto in prima persona per liberare e riunire il suo popolo, e stabilire in esso la sua dimora; dall’altra si accentuava il ruolo che avrebbero svolto le mediazioni della Parola
L’enigma trova soluzione nella storia di Gesù: Messia, Parola e Sapienza di Dio, attraverso il quale si rende presente il Padre e viene donato lo Spirito. Una storia trinitaria dal principio alla fine, perché Dio vi si impegna personalmente come egli è.
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[319]
Gesù riceve il battesimo nelle acque del Giordano ed ecco la voce del Padre presentarlo al mondo e lo Spirito scendere su di lui
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[320]
Con la Pentecoste inizia il cammino storico della comunità cristiana, Chiesa di Dio, corpo del Cristo e tempio vivo dello Spirito. In essa si entra con il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
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Fede trinitaria della Chiesa
[321]
La fede cristiana fin dalle origini è cristologica e trinitaria, perché nel mistero di Cristo, il consacrato con l’olio della sovranità divina, noi incontriamo «il Padre che fa l’unzione, il Figlio che la riceve, lo Spirito che è l’unzione stessa»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 18, 3.
Nel II secolo nascono i “simboli della fede” e nascono esplicitamente trinitari. Ecco uno dei più antichi, quello della cosiddetta Didascalia degli Apostoli: «Credo nel Padre dominatore dell’universo e in Gesù Cristo Salvatore nostro e nello Spirito Santo Paraclito»
Costituzioni apostoliche, 7, 41. San Giustino, Prima apologia, 65, 3. | |
Parola e silenzio
[322]
L’amore inaudito di Dio per noi trova il suo fondamento nel mistero di amore che Dio è in se stesso. Davanti a questo mistero il discorso umano è un povero balbettare e volentieri cede il posto al silenzio e all’adorazione. I mistici, che nella contemplazione hanno una conoscenza di Dio senza concetti, molto più perfetta di quella ordinaria, non riescono ad esporla come vorrebbero; lasciano intuire qualcosa delle meraviglie intraviste più con la loro personale trasformazione che non mediante i tentativi di raccontare: «Non si trova parola che suoni adeguata; nessun pensiero può mai giungervi, nessuna mente allargarsi fin là, tanto supera il tutto; come è vero che Dio non può esser spiegato mai»
Beata Angela da Foligno, Il libro, Memoriale, 9, 361-363. | |
Elezione e predestinazione
[352]
Nel Signore morto e risorto gli apostoli e la Chiesa dei primi tempi, illuminati dallo Spirito Santo, hanno intravisto non solo il mistero della vita personale di Dio, ma anche il suo progetto globale sull’uomo e sul mondo. In questa rivelazione è la risposta a domande fondamentali: qual è il senso della storia? ha una direzione e una meta? che cosa possiamo sperare?
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[353]
La storia obbedisce a un disegno di amore
Dio ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha creato gli uomini, per introdurli nella comunione trinitaria: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6). Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito, mediante la sua incarnazione e il dono dello Spirito Santo. Li ha «predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
Cristo è il primo eletto. Noi siamo progettati in modo da poter realizzare la nostra identità in dipendenza da lui. È questa la nostra vocazione costitutiva, che può essere rifiutata, non annullata. Da parte sua Dio vuole che tutti si salvino
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A gloria della sua grazia
Da sempre il Padre genera il Figlio e lo attrae a sé nello Spirito; il Figlio è rivolto al Padre nello stesso Spirito. Dio non soffre di solitudine; è pienamente se stesso nella comunione trinitaria dell’amore: nulla può accrescere la sua perfezione e beatitudine. All’origine del mondo creato c’è solo la “grazia”, cioè l’amore sovranamente libero e gratuito del Padre. Egli non ricava da noi alcuna utilità: «Dio non creò Adamo, perché aveva bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno in cui riporre i suoi benefici»
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 14, 1. | |
[355]
Che senso ha allora l’affermazione di fede, secondo cui Dio ha creato il mondo per la sua gloria
Cf. Concilio Vaticano I,Dei Filius, Canoni I, 5 - DS 3025. Concilio Vaticano I,Dei Filius, I, - DS 3002. | |
Attuazione del disegno
[356]
La suprema glorificazione del Padre, cioè la più alta manifestazione della sua bontà e della sua sapienza, è Gesù Cristo, il Figlio unigenito, fatto uomo, crocifisso e risorto. Per mezzo di lui il Padre conferisce ad ogni cosa la perfezione e il senso definitivo. Fin dall’inizio guarda a lui come modello e meta di ogni sua opera. Anzi, in quanto Verbo, lo ha già con sé come autore dell’intera creazione: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17).
Il disegno eterno del Padre, «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10), viene rivelato e attuato nella storia secondo un ordine sapiente di eventi, che costituiscono “l’economia del mistero”
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 20, 7. | |
Il mediatore della creazione
[363]
Se il Padre è l’origine prima e il fine ultimo di tutte le cose, Gesù Cristo è il mediatore universale della creazione, non meno che della salvezza. Un motivo in più per alimentare la nostra fiducia e liberarci da ogni soggezione nei confronti di forze minacciose e oppressive: «In realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra,... per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1Cor 8,5-6).
Come gli antichi ebrei a partire dall’esperienza dell’esodo hanno approfondito la conoscenza di Dio salvatore, fino a riconoscerlo creatore del cielo e della terra, così i cristiani, a partire dall’esperienza della Pasqua penetrano nel mistero del Cristo salvatore fino a comprendere che tutto viene creato per mezzo di lui e trova in lui consistenza e significato
Le creature vengono all’esistenza e si sviluppano, in quanto il Padre le chiama dal nulla e le attrae a sé mediante il Figlio con la potenza dello Spirito. Il Verbo e lo Spirito Santo sono, per così dire, «le mani»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 7, 4. Sant’Atanasio di Alessandria, Lettera a Serapione, 1, 31. | |
Primo e ultimo
[406]
Pensiamo mai seriamente alla meta verso cui siamo incamminati? Siamo solidali con gli innumerevoli fratelli che fanno lo stesso cammino? Siamo «lieti nella speranza, forti nella tribolazione» (Rm 12,12)?
Il mondo è stato creato per mezzo di Cristo; è come un’eco e un riflesso di lui; cresce verso di lui; troverà compimento in lui. Egli è «il Primo e l’Ultimo e il Vivente» (Ap 1,17-18). Attraverso di lui Dio vuole «riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,20), liberarle, rinnovarle, perfezionarle, condurle all’unità sotto un solo capo.
Le creature sono orientate al Cristo risorto fin dall’inizio e tendono a lui, per essere veramente se stesse. Gli uomini, elevati alla dignità di figli di Dio, anelano a conseguire in lui la completa rigenerazione, con la glorificazione del proprio corpo e la trasfigurazione del loro ambiente.
L’ultimo traguardo sarà la perfetta comunione, il mondo accolto e pacificato nel Figlio e il Figlio irradiato nel mondo
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Non saremo delusi
[407]
«Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro» (1Cor 1,9). «Chiunque crede in lui non sarà deluso» (Rm 10,11): «quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (Rm 8,30). «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?... Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita,... né presente né avvenire,... né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-323537-39).
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generato prima di ogni creatura...
Tutte le cose sono state create per mezzo di lui
e in vista di lui.
Egli è anche... il primogenito
di coloro che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose»
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Consacrati come Gesù
[421]
Nella teofania al fiume Giordano, Dio con l’effusione dello Spirito Santo ha consacrato e presentato pubblicamente Gesù di Nàzaret come Messia, per manifestare attraverso di lui la potenza misericordiosa del suo regno. Nella Pentecoste, Gesù, risorto dalla morte e costituito Messia e Signore nella pienezza del suo potere, consacra e presenta pubblicamente con il dono dello Spirito la comunità dei credenti come popolo messianico, per manifestare attraverso di essa l’efficacia della sua redenzione. Lo Spirito Santo ha condiviso la vicenda terrena di Gesù come «un compagno inseparabile,... una presenza continua»
San Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo, 16. | CCC, 668-672 |
Regno di Dio e signoria di Gesù
[422] Gesù, mentre predicava il vangelo del Regno, perdonava i peccatori e guariva i malati: indicava così che il regno di Dio era già presente come germe di una salvezza completa, spirituale e corporea.
I discepoli, da parte loro, proclamano che Dio ha risuscitato Gesù, il Crocifisso, e lo «ha costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Il cuore del loro messaggio e della fede cristiana è questo: Gesù è morto, è risorto, «è il Signore» (Rm 10,9). Ormai il regno del Padre si identifica con la signoria del Risorto: perciò Filippo in Samarìa reca «la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo» (At 8,12) e Paolo a Roma incontra la gente «annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo» (At 28,31).
Come quella del Maestro anche la predicazione dei discepoli si mostra efficace, operando conversioni e guarigioni in gran numero. I miracoli, uniti all’annuncio del vangelo, manifestano lo Spirito Santo, dato alla Chiesa come primizia della salvezza totale; nello stesso tempo indicano che Gesù è veramente risorto e continua ancora a operare attraverso i suoi inviati.
| CdA, 208 CONFRONTAVAI CdA 211 CONFRONTAVAI CdA 262 CONFRONTAVAI |
[423]
Il primo miracolo che viene narrato dagli Atti degli apostoli è la guarigione dello storpio che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del tempio di Gerusalemme: «Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio» (At 3,3-8).
Il miracolo attira la folla. Pietro allora prende la parola e spiega: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?... Il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete» (At 3,1216). Successivamente Pietro e Giovanni vengono arrestati e portati davanti al sinedrio, il tribunale supremo. E lì Pietro ribadisce con forza: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,1012).
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[424] Le conversioni e i miracoli, che accompagnano la predicazione degli apostoli e dei loro collaboratori, attestano tangibilmente che il regno di Dio coincide con la presenza del Signore risorto e che questa coincide con il dono dello Spirito Santo. Come Dio, Re e Padre, si rendeva visibile attraverso Gesù, così il Signore Gesù si rende visibile attraverso la comunità dei credenti, animata dal suo Spirito.
| CdA, 191 CONFRONTAVAI |
Il tempo della Chiesa
L’evangelista Luca distingue il tempo della preparazione, in cui sono in vigore «la Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16), il tempo dell’attuazione «in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi» (At 1,21), il tempo della Chiesa, dall’ascensione di Gesù alla sua ultima venuta gloriosa, in cui la salvezza viene diffusa e testimoniata «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Paolo conosce un tempo tra la risurrezione di Cristo e il compimento totale, durante il quale le potenze ostili vengono sottomesse
Secondo Matteo, Gesù stesso prevede un futuro, in cui «molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe» (Mt 8,11); sarà anche stagione in cui la zizzania crescerà insieme al grano in attesa della mietitura
Analogamente, secondo Giovanni, il Maestro preannuncia che lo Spirito e i discepoli gli renderanno testimonianza
| CdA, 202 CONFRONTAVAI |
La Chiesa segno e strumento
[426]
Nel Nuovo Testamento il regno di Dio, presente nella storia durante il tempo intermedio tra la Pasqua e la parusia, viene chiamato anche regno di Cristo
| CCC, 774-776 |
[427] Sebbene il Regno faccia germogliare grandi valori ovunque, solo nella Chiesa si rende apertamente visibile. Non è la fede della Chiesa che deve essere subordinata a criteri mondani, ma al contrario è il mondo che deve essere valutato in base all’insegnamento e all’esperienza di fede della Chiesa. Solo nella comunità dei credenti è possibile seguire Cristo in modo adeguato. Custodendo la testimonianza degli apostoli, essa offre la possibilità di conoscerlo fedelmente; celebrando i sacramenti, procura la possibilità di incontrarlo personalmente. A differenza di ogni altra aggregazione umana, non solo conserva la memoria del suo fondatore, ma nello Spirito mantiene un contatto vivente con lui e da lui continua a ricevere luce.
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Segno e presenza di Cristo pastore
[518] La missione da svolgere contribuisce a individuare l’identità dei ministri ordinati. Questa però è connotata essenzialmente dal loro rapporto con Cristo.
In virtù del sacramento essi diventano rappresentanti di Cristo, pastore e servo, nella triplice funzione profetica, regale e sacerdotale. Come il Padre ha mandato il Figlio e si è manifestato attraverso di lui, così Gesù manda i suoi discepoli e si rende presente attraverso di loro. Colui che invia, viene lui stesso insieme con coloro che sono inviati. Essi non sono semplici delegati, ma segno visibile ed efficace della sua presenza. Non sono intermediari, ma consentono di incontrare in modo umano l’unico mediatore. Non solo lo rappresentano, ma lo ripresentano. Quello che Gesù diceva riferendosi al Padre, essi lo possono ripetere in riferimento a Gesù: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo» (Gv 8,29).
| CCC, 886CCC 888-896CCC 1548-1549CdA, 719-720 CONFRONTAVAI |
Una sequela più espressiva
[546] La vita consacrata è un carisma dello Spirito, finalizzato sia alla santificazione personale che all’edificazione della Chiesa. Comporta un nuovo modo di essere e di agire.
Se tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù, i consacrati sono chiamati a seguirlo più da vicino, configurati a lui anche nel genere esteriore di vita
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 46; Id., Perfectae caritatis, 25. In concreto la vita consacrata è caratterizzata dalla professione dei tre consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza in una forma di vita stabile e riconosciuta dalla Chiesa. La castità è totale dono di sé al Signore, un dono vissuto nella perfetta continenza sessuale e nell’amicizia disinteressata verso tutti. La povertà è libertà di fronte alle cose, rinuncia al possesso, sobrietà nell’uso, disponibilità a condividere. L’obbedienza è accoglienza della volontà di Dio, mediante la sottomissione alla regola, ai superiori e alla comunità, rinunciando a programmare in modo individuale la propria esistenza. Insieme i tre consigli riportano le grandi tendenze del cuore umano nella logica della carità; rendono umili e vuoti di sé, aperti a Dio e ai fratelli, pronti a camminare verso la perfezione. L’impegno a viverli viene assunto con i voti o con altri vincoli sacri. Associato ad altri elementi, come la centralità della preghiera, della parola di Dio e dell’eucaristia, gli esercizi ascetici ed eventualmente la comunità religiosa e le attività di apostolato, questo impegno viene a costituire una forma stabile di vita, che l’autorità della Chiesa riconosce canonicamente.
| CCC, 1973-1974 |
Parola viva ed efficace
[610] Oggi la parola è inflazionata nel chiasso della pubblicità e della propaganda, nel vuoto di tanti discorsi e scritti; perciò la sua reputazione è in ribasso. Si sente dire: «Contano i fatti e non le parole». Ma è veramente così? La parola non è solo informazione: è comunicazione e azione. Provoca gioia e dolore, amicizia e ostilità, reazioni e iniziative. La sua forza costruisce e distrugge, unisce e divide; fa andare avanti la storia non meno dei fatti economici e tecnici.
A maggior ragione è attiva e feconda la parola di Dio che crea, libera, santifica, giudica e sconvolge. «La mia parola non è forse come il fuoco e come un martello che spacca la roccia?» (Ger 23,29). «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,... così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11). «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12).
| CCC, 65 |
[611]
La parola di Dio è Dio stesso che si rivela e si dona nella storia degli uomini, fino a comunicarsi personalmente in Gesù di Nàzaret. Gesù è la Parola eterna e creatrice di Dio fatta carne
Secondo gli Atti degli apostoli, la Parola, colma di Spirito Santo, porta avanti il cammino della Chiesa: cresce, si rafforza e si diffonde. I protagonisti umani sono i suoi servitori
Questa Parola non è solo una notizia riguardante la salvezza, ma è parte integrante dell’avvenimento stesso della salvezza; non solo ha per contenuto Cristo morto e risorto, ma prima ancora è Cristo stesso, che parla attraverso i suoi inviati: «Mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo» (2Cor 2,17). I discepoli continuano a predicare e a insegnare in suo nome e con la sua presenza
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Rivelazione attualizzata
[612]
Il cristianesimo non è la religione di un libro, per quanto sacro possa essere, ma la religione «della Parola incarnata e vivente»
San Bernardo di Chiaravalle, Lodi alla Beata Vergine Maria che riceve l’annunzio, 4, 11.
Nella Chiesa «Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il vangelo»
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 33. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 7. Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 7. Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 4. | CCC, 79CCC 108CCC 1084CdA, 58 CONFRONTAVAI |
[613]
Attraverso la Parola e i sacramenti, debitamente accolti, il Signore conforma a sé i credenti e viene a vivere in loro, prolungando in qualche modo la sua incarnazione. Con la Parola fa risplendere davanti al loro sguardo la propria immagine e li attrae a sé. Con i sacramenti ristruttura la loro esistenza secondo la medesima immagine e li unisce a sé. La sua verità e la sua grazia sono ugualmente necessarie per edificare la vita cristiana.
| CdA, 607-608 CONFRONTAVAI |
Liturgia pasquale
[634]
Di ritorno dalla Grecia e dalla Macedonia, Paolo si ferma a Tròade, nell’Asia Minore. La domenica, giorno della risurrezione del Signore, la comunità cristiana della città si riunisce, per ascoltare la parola di Dio e celebrare l’eucaristia. C’è aria di festa; molte lampade sono accese per la veglia notturna. L’apostolo parla a lungo e l’assemblea lo segue con attenzione. A un certo momento un ragazzo di nome Eutìco, seduto sulla finestra, si addormenta e precipita dal terzo piano. Lo raccolgono morto. Paolo scende, lo abbraccia e nel nome del Signore lo riporta alla vita tra lo stupore e la gioia di tutti. Poi prosegue la celebrazione con l’offerta e la distribuzione del pane eucaristico, pegno di vita eterna
Davvero nella liturgia della Chiesa è presente il Signore risorto e ci rende partecipi della sua vittoria pasquale sulla morte! È significativo che durante i primi tre secoli i cristiani abbiano avuto una sola festa, la Pasqua: settimanale ogni domenica, annuale all’inizio della primavera. La liturgia cristiana è essenzialmente celebrazione del mistero pasquale; solo in riferimento ad esso prende in considerazione altri eventi salvifici.
Ma che cosa significa celebrare? Perché si compiono gesti simbolici e rituali? Come si colloca la liturgia cristiana nella storia della salvezza?
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Azioni di Cristo e della Chiesa
[643]
Nelle altre religioni i riti sono azioni simboliche dei credenti per esprimere la loro ricerca di Dio. Evidentemente anche nel cristianesimo i sacramenti sono azioni di culto della comunità ecclesiale. Ma la Chiesa fa i sacramenti in quanto aderisce a Cristo e accoglie la sua iniziativa. È innanzitutto il Signore Gesù che nella liturgia unisce a sé i fedeli per ricondurli al Padre: «Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende culto all’eterno Padre»
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 7. | CCC, 1136 |
Cristo autore dei sacramenti
[644]
«Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1). La Chiesa non dispone dei sacramenti a suo piacimento; li riceve e li custodisce fedelmente. Il loro autore è il Signore Gesù, che li ha istituiti una volta per sempre e ogni volta agisce in essi per comunicare lo Spirito e la vita nuova. La celebrazione è un incontro con lui: «Non per via di specchi, né per mezzo di enigmi, ma faccia a faccia ti sei mostrato a me, o Cristo, e io nei tuoi sacramenti trovo te»
Sant’Ambrogio, Apologia del profeta David, 1, 2. | CCC, 1137-1139CCC 1210 |
Morti e risorti con Cristo
[671]
Il significato del battesimo va ben oltre il simbolismo naturale del lavare con acqua, che indica una purificazione; lo si può cogliere solo alla luce della storia della salvezza.
Molti eventi nell’Antico Testamento prefigurano questo sacramento. Sulle acque della creazione aleggia lo Spirito di Dio, per suscitare la vita in tutte le sue forme
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Memoria e presenza
[688] La liturgia eucaristica ripresenta, nel contesto di una preghiera di lode e di ringraziamento e nella forma di un convito sacrificale, il sacrificio pasquale di Cristo, perché diventi il nostro sacrificio e ci coinvolga nel suo dinamismo di carità.
Secondo l’uso degli ebrei, che a tavola lodavano e ringraziavano Dio per i doni della vita, del nutrimento e dell’alleanza, anche Gesù nell’ultima cena pronuncia sul pane e sul vino una sua preghiera di benedizione e di ringraziamento per l’opera della salvezza che si va compiendo. Quindi dà il pane a mangiare e il vino a bere, come sacramento del suo corpo donato e del suo sangue versato per la riconciliazione universale: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1Cor 11,23-25). Quando era stata conclusa l’alleanza del monte Sinai, il sangue delle vittime, sparso sull’altare e sul popolo, indicava plasticamente, secondo la mentalità dell’uomo antico, un rapporto di consanguineità e di parentela tra Dio e Israele. Gesù, con la sua morte e risurrezione, pone tra il Padre e l’umanità intera il suo corpo e il suo sangue, cioè la sua persona e la sua vita, per la nuova ed eterna alleanza.
Alla luce dell’esperienza di Pasqua e di Pentecoste, nello stupore e nella gioia per le opere mirabili della creazione, della redenzione e della santificazione, la Chiesa riprende la preghiera di lode e di ringraziamento di Gesù al Padre e la prolunga nei secoli: «È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo...»
Messale Romano, Prefazio comune II.
Nello stesso tempo, obbediente al comando: «Fate questo in memoria di me», la Chiesa ripete il gesto e le parole del Signore sul pane e sul vino, invocando lo Spirito consacratore: «Manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri... Egli prese il pane... Allo stesso modo prese il calice...»
Messale Romano, Preghiera eucaristica III. | CdA, 636-638 CONFRONTAVAI |
[689]
Nella forma di un convito sacrificale la Chiesa rivive l’evento totale della Pasqua; fa memoria della morte e risurrezione del Signore
Cf. Concilio di Trento, Sess. XIII, Decr. Sul sacramento dell’eucaristia, 4 - DS 1642. Cf.Ivi, 1 - DS 1636. | |
Il santo sacrificio
[690]
A motivo di questa memoria che si fa presenza, la Chiesa non esita a considerare l’eucaristia vero sacrificio, senza timore di compromettere l’unicità del sacrificio della croce: «Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta, ti offriamo, o Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo»
Messale Romano, Preghiera eucaristica III. Didachè, 14, 1, 3.
L’eucaristia non compromette l’unicità della croce, perché non è una ripetizione né un’aggiunta, ma la ripresentazione, qui e ora, sotto i segni sacramentali, di quello stesso atto di donazione con cui Gesù è morto ed è stato glorificato
Cf. Concilio di Trento, Sess. XIII, Dottr. Sul sacrificio della messa, 1 - DS 1740. San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Ebrei, 17, 3.
Il sacrificio pasquale fu compiuto «una volta per sempre» (Eb 10,10); ma rimane sempre attuale presso il Padre come «redenzione eterna» (Eb 9,12). Cristo nello Spirito offre al Padre se stesso, la Chiesa e tutta la creazione. Esprime visibilmente questa offerta nel rito liturgico, che è innanzitutto un suo gesto simbolico. La Chiesa, animata dal medesimo Spirito, si associa a Cristo nello stesso rito e offre al Padre lui e se stessa con lui
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11.
«Cristo nostra Pasqua si è immolato. Egli continua a offrirsi per noi e intercede come nostro avvocato: sacrificato sulla croce più non muore e con i segni della passione vive immortale»
Messale Romano, Prefazio pasquale III. Messale Romano, Prefazio della SS. Eucaristia I. Paolo VI, Credo del Popolo di Dio, 24. | |
Comunione con Cristo e con i fratelli
[691]
La comunione eucaristica ha un carattere tutt’altro che intimistico e sentimentale. Far comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi con lui al Padre e ai fratelli: «A noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito»
Messale Romano, Preghiera eucaristica III.
Il Signore Gesù viene a vivere in noi e ci assimila a sé: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,55-57). La vita che egli comunica è la sua carità verso il Padre e verso tutti gli uomini.
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Partecipi dell’amore sponsale di Cristo
[735] Qual è il significato specificamente cristiano del matrimonio? Porsi questa domanda significa interrogarsi sul dono di grazia proprio di questo sacramento.
Gli sposi sono ministri del sacramento e al tempo stesso coloro che lo ricevono. Con una scelta libera, ispirata dall’amore, l’uomo e la donna si legano l’uno all’altro, impegnando la propria persona e l’intera esistenza: «Io prendo te come mio sposo (mia sposa) e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita»
Sacramento del matrimonio, 28. | CdA, 1055-1056 CONFRONTAVAI |
Singolare appartenenza
[742] La Chiesa è riunita intorno a Cristo. Si tratta di un legame soltanto morale o di una realtà più profonda?
Il popolo di Dio porta con sé nella storia un mistero di comunione. Una voce potente ferma Paolo sulla via di Damasco: «”Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Rispose: “Chi sei, o Signore?”. E la voce: “Io sono Gesù, che tu perseguiti!”» (At 9,4-5). Le persecuzioni contro i cristiani feriscono personalmente Cristo stesso, perché la Chiesa è misteriosamente unita a lui, è suo corpo.
Il Signore morto e risorto attrae a sé tutti coloro che non si chiudono nel rifiuto: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Così potente è la sua carità, che i credenti vengono assunti in lui e lui viene a vivere in essi: «Rimanete in me e io in voi... Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,4-5).
Il suo corpo individuale, cioè la sua concreta umanità personale, consegnato alla morte e glorificato presso Dio, può accogliere in sé la moltitudine, per la quale si è offerto in sacrificio. Questa unità ha inizio con il battesimo e si perfeziona con l’eucaristia ed è così intima, che Paolo arriva a dire ai cristiani: «Voi siete corpo di Cristo» (1Cor 12,27); «Tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Più tardi, esprimendo la stessa verità con un linguaggio in parte diverso, le lettere paoline della prigionia presenteranno Cristo come capo, cioè principio vitale e direttivo, e la Chiesa come corpo, prolungamento vivo di lui, sociale e visibile.
Questa visione di fede è rimasta nella Tradizione fino ai nostri giorni. Secondo la dottrina del concilio Vaticano II, «la santa Chiesa, che è comunità di fede, speranza e carità, è stata voluta da Cristo unico mediatore come un organismo visibile sulla terra; egli lo sostenta incessantemente e se ne serve per espandere su tutti la verità e la grazia. Ma la società gerarchicamente organizzata da una parte e il corpo mistico dall’altra, l’aggregazione visibile e la comunità spirituale, la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà; esse costituiscono al contrario un’unica realtà complessa, fatta di un duplice elemento, umano e divino»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8. | |
Lo Spirito dell’unità
[743]
Il vincolo, con cui il Signore incorpora a sé i credenti, è lo Spirito Santo. Ecco a riguardo tre formule assai incisive. La prima è di san Paolo: siamo stati immersi in «un solo Spirito» per essere inseriti in «un solo corpo» (1Cor 12,13). La seconda è di sant’Ireneo: «Come dalla farina non si può fare, senz’acqua, un solo pane, così noi, che siamo molti, non potevamo diventare uno in Cristo Gesù, senza l’acqua che viene dal cielo»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 17, 2. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 7.
Il corpo ecclesiale di Cristo è dunque animato dallo Spirito Santo: «unico e identico nel capo e nelle membra, egli dà a tutto il corpo vita, unità e moto»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 7. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 4. | CdA, 338 CONFRONTAVAI |
Uniti e distinti
[744]
Uniti intimamente a Cristo mediante lo Spirito, i fedeli non rischiano di perdere la loro personalità, libertà e originalità, perché lo Spirito, mentre unisce, crea anche la varietà dei doni, delle vocazioni, dei servizi. Cristo e la Chiesa si appartengono reciprocamente ma rimangono distinti, come lo sposo e la sposa diventano “una sola carne” ma sono uno di fronte all’altro. L’immagine nuziale integra opportunamente quella del corpo.
Nel Nuovo Testamento vi sono anche altre immagini per evocare il mistero della Chiesa nel suo rapporto con Cristo e con le altre persone divine: ovile
Già l’amicizia umana è capace di creare una certa unità. Gli amici si incontrano, stanno volentieri insieme, si confidano i segreti più intimi; anzi si trasferiscono in qualche modo uno nell’altro, si identificano affettivamente, fino a diventare “un’anima in due corpi”. In questa prospettiva, ma a ben diversa profondità, possiamo collocare le parole di Gesù ai suoi discepoli: «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15); «Io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv 14,20). Lo Spirito, che unisce il Figlio al Padre, in modo simile unisce i discepoli al Figlio per ricondurli al Padre.
| CCC, 753-757CdA, 499-502 CONFRONTAVAI |
[745] «La Chiesa intera appare come un popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»
Concilio Vaticano II
,
Lumen gentium
, 4. Cf.
San Cipriano di Cartagine
,
La preghiera del Signore
, 23.
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Maternità della Chiesa
[771]
La divina maternità è il fondamento della posizione eminente e singolare di Maria nel mistero della salvezza. Sembrerebbe una proprietà talmente esclusiva da non ammettere alcuna analogia. Invece anche nella sua maternità Maria è figura, cioè modello e attuazione perfetta, della Chiesa, vergine e madre
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 63-64.
Questa dottrina si appoggia a una tradizione, che prende avvio dalle parole di Gesù stesso: «Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21). L’interpretazione che ne danno gli antichi Padri è molto realistica: la Chiesa genera Cristo nei cristiani e i cristiani come membra di Cristo; anzi «ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio»
Sant’Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca, 2, 2.
Ai nostri giorni il concilio Vaticano II insegna che la Chiesa è vergine e madre in modo simile, anche se nello stesso tempo diverso, a quello di Maria: essa infatti, in virtù dello Spirito Santo, mediante la predicazione, i sacramenti e la testimonianza di carità, genera e fa crescere i credenti come figli di Dio e, poiché questi partecipano alla vita dell’Unigenito, genera e fa crescere anche la presenza di Cristo in loro
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 64-65. | |
Maria madre per la sua fede
[772]
D’altra parte la maternità di Maria non è soltanto una generazione biologica, ma una relazione di grazia, vissuta nella fede e nella carità. Più che per aver portato il Figlio in grembo e averlo allattato al seno, Maria è beata per aver creduto alla parola del Signore. «Ha concepito Cristo prima nel cuore che nel grembo», dice sant’Agostino
Sant’Agostino, Discorsi, 215, 4. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 63.
Dio non si è servito di Maria «in modo puramente passivo»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 56. | |
Maternità divina
[773]
Fin dalle origini la dignità della divina maternità ha attirato l’attenzione e lo stupore della Chiesa. L’evangelista Luca onora Maria come la Madre del Signore, tenda della divina presenza, arca della nuova alleanza. I cristiani cominciano presto a invocarla come Madre di Dio. Lo attesta già una bella preghiera del III secolo: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta»
Liturgia delle ore, Compieta, Antifone della Beata Vergine Maria. Cf. Concilio di Efeso, Seconda lettera di Cirillo a Nestorio - DS 251.
Per ogni donna la maternità comporta un legame personale permanente con il figlio. La maternità di Maria integra questa dimensione umana ordinaria in una comunione con Dio senza pari. Il Padre celeste le comunica lo Spirito di infinita tenerezza, con cui egli si compiace del Figlio generandolo nell’eternità; la fa partecipare alla propria fecondità perché il Figlio nasca anche nella storia, come uomo e come primogenito di molti fratelli. Madre di Dio è «il nome proprio dell’unione con Dio, concessa a Maria Vergine», «che realizza nel modo più eminente la predestinazione soprannaturale... elargita a ogni uomo»
Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 4. | CdA, 309-310 CONFRONTAVAI CdA 312 CONFRONTAVAI |
[774] «Vergine Madre di Dio, colui che il mondo non può contenere facendosi uomo si chiuse nel tuo grembo»
Messe della Beata Vergine Maria
, 4: Santa Maria madre di Dio, Antifona d’ingresso.
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Cammino di fede e di carità
[775] Il Cristo è l’unico maestro e l’unico redentore; da lui riceviamo la grazia di essere suoi discepoli e cooperatori, partecipi della sua vita e della sua missione, santi e santificatori.
Maria è la più perfetta seguace di Cristo
Cf. Paolo VI, Marialis cultus, 35. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 61. | |
Annuncio
| CCC, 490 |
Visitazione
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Nascita di Gesù
[778]
Gesù nasce a Betlemme in condizioni di indigenza e di emarginazione, e Maria lo presenta ai pastori come Messia per i poveri, povero egli stesso
| CCC, 525-530 |
I tre giorni dello smarrimento
[779]
A dodici anni Gesù partecipa al pellegrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pasqua e compie un misterioso gesto profetico
| CCC, 534 |
Le nozze di Cana
[780]
Comincia la vita pubblica di Gesù. A Cana di Galilea, Maria presenta al Figlio l’umana indigenza: «Non hanno più vino»; poi invita i servi a compiere la sua volontà: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,35). Così coopera all’«inizio» dei segni e contribuisce a suscitare la fede dei primi seguaci: «Gesù... manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2,11). Viene indicata come la «donna», figura del popolo di Dio nell’ora in cui si celebra la nuova alleanza nuziale con il Signore, che riceverà il sigillo definitivo nella Pasqua di morte e risurrezione.
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Le ardue esigenze del Regno
[781]
Gesù procede nel suo ministero e rivela gradualmente le esigenze del regno di Dio. Maria è chiamata a superare la sua umanissima premura materna per il Figlio. Quando si reca da lui insieme ai parenti, che vogliono moderarne lo zelo e invitarlo a una maggiore precauzione, deve ascoltare la risposta decisa: «Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,35). Fedele discepola, comprende sempre meglio cosa significa essere la serva del Signore dietro al Messia-Servo, incamminato verso la croce.
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Presso la croce di Gesù
[782]
Sul Calvario Maria è accanto alla croce
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 58. | CCC, 964 |
Madre dei redenti
[783]
«Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l’obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva legò con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la sua fede»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 22, 4.
La maternità divina verso Cristo si dilata nella maternità universale. In virtù dello Spirito Santo, Maria diventa «per noi madre nell’ordine della grazia»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 61. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 63. | CCC, 494 |
[784] Fedele discepola del Verbo fatto uomo, Maria cercò costantemente il volere di Dio e lo compì con amore
Cf.
Messe della Beata Vergine Maria
, 10: Santa Maria discepola del Signore, Prefazio.
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Rapporto personale
[816]
La vita cristiana è relazione personale con Cristo, un dialogo e un cammino con lui. Si tratta non solo di accettare il suo insegnamento, ma «di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre»
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 19. | CdA, 633 CONFRONTAVAI |
[817]
«Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). Il discepolo di Gesù deve assumere il suo atteggiamento filiale di obbedienza al Padre e al divino disegno di salvezza, che lo ha condotto alla croce e alla risurrezione. «Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9).
Camminare dietro a Cristo significa camminare nella carità
Ma è impossibile amare come Cristo ha amato, se egli stesso non ama in noi; è impossibile andargli dietro, se egli stesso non viene a vivere dentro di noi. Ebbene, comunicandoci lo Spirito Santo, egli entra nella nostra esistenza e la vive con noi, sì che ogni cristiano può dire come Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Egli perciò non rimane un modello esteriore; anzi, viene interiorizzato in virtù dello Spirito.
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Configurati a Cristo
[818]
I mezzi ordinari e certi, con cui il Signore ci assimila a sé, sono la Parola e i sacramenti, soprattutto il battesimo e l’eucaristia. «Il battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel mistero pasquale della morte e risurrezione, lo riveste di Cristo... La partecipazione poi all’eucaristia, sacramento della nuova alleanza, è vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna, principio e forza del dono totale di sé»
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 21. | CdA, 607-608 CONFRONTAVAI |
Nelle diverse esperienze
[819]
Come ben dimostra l’esperienza dei santi che sono i più vicini al divino modello, ciò non reca pregiudizio all’originalità e creatività personale. Non si tratta infatti di ripetere meccanicamente quello che Gesù ha fatto, ma di comportarsi come egli si comporterebbe adesso al nostro posto. La prassi cristiana comprende: il dialogo diretto con il Signore mediante la preghiera e i sacramenti; il dialogo con gli altri mediante la solidarietà umana e la condivisione della fede; il dono di sé mediante l’azione e la sofferenza. Tutto questo però con misura e modalità diverse per ciascuno, secondo la varietà dei carismi e delle situazioni. Le diverse esperienze si integrano e si sostengono reciprocamente all’interno della comunità. La sequela in concreto avviene nella Chiesa e attesta che in essa Cristo è sempre vivo e presente.
«Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli ci condurrà tutti alla vita eterna»
San Benedetto da Norcia, Regola, 72, 11-12. Santa Chiara di Assisi, Lettere, 4, 11-12. Santa Chiara di Assisi, Lettere, 2, 21. | |
[820] L’esistenza cristiana, plasmata dall’ascolto della Parola e dai sacramenti, è un rapporto personale con Cristo, un cammino dietro a lui sulla via della croce e della risurrezione, amando come egli ha amato, fino al dono totale di se stessi, nella concretezza e varietà delle esperienze personali.
| |
Esercizio delle virtù
[948] Questo lavoro complesso e paziente di purificazione va verso una progressiva unificazione e dilatazione interiore. Non si tratta di fare il vuoto o di annullare se stessi, alla maniera delle tradizioni ascetiche orientali, ma di acquistare il dominio di sé, per essere veramente liberi di donarsi a Dio e ai fratelli, per conformarsi sempre più a Cristo crocifisso e risorto.
| CCC, 1811CCC 1828CCC 2015 |
Obbedienza filiale
[848]
«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Gesù Cristo ci porta la buona notizia che siamo amati da Dio e ci persuade interiormente con il dono dello Spirito Santo. Noi possiamo accogliere Dio come Padre e gli altri come fratelli; ci sentiamo liberi dalla solitudine e dall’ossessione del successo ad ogni costo; riusciamo ad accettare perfino le situazioni dolorose senza ribellarci, anzi benedicendo.
Lo Spirito ci fa guardare a Cristo come modello di vita; ci aiuta ad agire come lui in sintonia con la volontà del Padre, per poter diventare anche noi “amore”, come «Dio è amore» (1Gv 4,16). Ci fa comprendere che i comandamenti esprimono le esigenze autentiche della nostra crescita e promuovono il nostro vero bene. Ci dà la capacità di osservarli secondo l’antica promessa: «Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro;... perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e le mettano in pratica» (Ez 11,19-20). Ci porta ad osservarli non «per timore del castigo», come lo schiavo, non per «attrattiva della ricompensa», come il mercenario, ma «per il bene in se stesso e per l’amore di colui che comanda», come figli
San Basilio di Cesarea,Regole maggiori, Prologo, 3. | CdA, 151-152 CONFRONTAVAI |
Gesù nostra via
[865]
Gli atteggiamenti indicati dalle beatitudini tracciano la via cristiana alla felicità; in definitiva si riassumono nell’affidarsi totalmente all’amore di Dio e nel riamare Dio e gli altri fino al dono totale di sé. Su questa via Gesù si pone davanti a noi come modello vivo e personale, con una forza di persuasione e una ricchezza di valori che trascende qualsiasi norma etica. Egli incarna la legge e la supera nell’amore. È la «via nuova e vivente» (Eb 10,20), «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Chi lo segue «non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
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Si prega con Cristo e si prega Cristo
[968]
Se il Padre è la meta, Gesù Cristo è «la via» (Gv 14,6). Egli associa alla propria preghiera quella della Chiesa e di tutta l’umanità. Ogni esperienza di orazione, dal balbettìo infantile alla contemplazione mistica, si compie nel suo nome.
Gesù intercede per noi come mediatore; ma come persona divina è anche destinatario della nostra preghiera; «prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi»
Sant’Agostino,Commento ai Salmi, 85, 1. | |
La parusia
[1175]
La Chiesa delle origini crede che il Signore Gesù, morto e risorto, ha aperto una storia di salvezza universale, cosmica
La parusia è la meta della storia. Porterà la perfezione totale dell’uomo e del mondo. Dio infatti ha voluto «ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10), «per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose» (Col 1,20). La nostra risurrezione è prolungamento della sua
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 45. | CCC, 673-674CCC 100CdA, 276-277 CONFRONTAVAI CdA 1211 CONFRONTAVAI |
[1176]
Per mezzo di Cristo l’umanità viene ricondotta «al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,18). Il Padre è origine prima e termine ultimo: crea, santifica, glorifica e attrae a sé attraverso il Figlio, che eternamente è rivolto a lui nello Spirito. Il suo disegno si attua in tutto il corso della storia: creazione, diffusione dei popoli, elezione di Israele, inaugurazione del regno in Cristo, espansione di esso mediante la Chiesa in mezzo alle nazioni della terra, fino a quando la parusia del Signore Gesù coronerà queste opere meravigliose in una grande pasqua cosmica. Allora la famiglia umana, dopo tanto faticoso peregrinare, entrerà nel riposo di Dio
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[1228]
Nella beatitudine celeste, come già nel cammino terreno, sarà sempre Gesù Cristo la porta di accesso al Padre. Il Signore crocifisso e risorto, comunicando in modo definitivo il suo Spirito, ci unirà perfettamente a sé e ci renderà pienamente figli di Dio, capaci di vedere il Padre «come egli è» (1Gv 3,2). Dio «sarà visto nel regno dei cieli nella pienezza della sua paternità. Lo Spirito infatti prepara gli uomini nel Figlio. Il Figlio li conduce al Padre. Il Padre dona l’incorruttibilità e la vita eterna, che derivano dalla visione di Dio»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 20, 5. | |
Gesù nostra via
[865]
Gli atteggiamenti indicati dalle beatitudini tracciano la via cristiana alla felicità; in definitiva si riassumono nell’affidarsi totalmente all’amore di Dio e nel riamare Dio e gli altri fino al dono totale di sé. Su questa via Gesù si pone davanti a noi come modello vivo e personale, con una forza di persuasione e una ricchezza di valori che trascende qualsiasi norma etica. Egli incarna la legge e la supera nell’amore. È la «via nuova e vivente» (Eb 10,20), «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Chi lo segue «non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
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Meravigliosa rivelazione
[1233]
«Disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”» (Gv 14,6).
Il Signore Gesù è l’unica via per arrivare al Padre, perché è la rivelazione di Dio in questo mondo e la comunicazione della sua vita agli uomini. È la via, perché è anche la meta: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30).
L’originalità del cristianesimo è proprio questa: Dio si è fatto uomo e ci chiama a vivere eternamente con sé; si è donato nella storia, perché vuole donarsi nell’eternità. Le altre religioni intuiscono che esiste la divinità, sorgente misteriosa di ogni cosa; avvertono che, dopo la morte, ci deve essere un premio per i giusti e un castigo per i malvagi. Ma sono lontane dal pensare che Dio abbia condiviso personalmente la nostra condizione umana, legandosi a noi per sempre, e che il premio destinato ai giusti sia la partecipazione alla vita stessa di Dio.
| CdA, 38 CONFRONTAVAI |
Lieti nella speranza
[1234]
«Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11). Se crediamo che Dio è arrivato a dare il Figlio unigenito e lo Spirito Santo per attirarci a sé, dobbiamo anche noi amare senza misura e costruire la Chiesa come comunità di carità al servizio di tutto il mondo. Cristo è la via «nuova e vivente» (Eb 10,20) da seguire e la meta dove incontreremo il Padre. Lo Spirito Santo ci unisce sempre più a lui e ci rende «lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli» (Rm 12,12-13). «Canta dunque come il viaggiatore, canta e cammina, senza deviare, senza indietreggiare, senza voltarti. Qui canta nella speranza, lassù canterai nel possesso. Questo è l’alleluia della strada, quello l’alleluia della patria»
Sant’Agostino, Discorsi, 256, 3. | |
Il grande segno
[74]
In fatto di fede c’è chi si contenta di un sottile pragmatismo: afferma di credere semplicemente perché lo trova bello, significativo, gratificante. Non basta però che un messaggio sia funzionale ai nostri bisogni, perché sia vero. La fede cristiana è risposta motivata e ragionevole a Dio che ci viene incontro e in qualche modo lascia trasparire la sua presenza nella storia. Ma cosa ha di così rilevante la vicenda di Israele e della Chiesa, perché si possa vedere in essa una speciale manifestazione di Dio? Non presenta forse luci e ombre come ogni altra vicenda umana?
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[75]
È vero: in questa storia, per chi non vuol vedere, c’è abbastanza oscurità; ma c’è anche abbastanza luce per chi vuol vedere
Cf. B. Pascal, Pensieri, 430. Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 4. | |
Storicità di Gesù
[76]
Riguardo al carattere storico della rivelazione cristiana, occorre innanzitutto sottolineare che Gesù di Nàzaret non è un’idea, ma una persona concreta. Lo confermano anche documenti di provenienza ebraica e pagana. Ma sono in sostanza i quattro Vangeli a farcelo conoscere nella sua vicenda personale, nella sua azione e nel suo insegnamento. Occorre allora chiedersi se ci si può fidare dei Vangeli: non potrebbe trattarsi di racconti leggendari?
I quattro Vangeli hanno valore storico, in quanto riferiscono fedelmente le opere e le parole di Gesù, ripensate alla luce degli eventi pasquali sotto l’influsso dello Spirito Santo
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 19.
La fede cristiana incontra Dio in un uomo in carne ed ossa, visto con gli occhi, udito con gli orecchi e toccato con le mani
| |
[77]
Alla figura storica di Gesù si risale attraverso una verifica attenta, articolata in fasi successive: confronto tra le edizioni antiche dei Vangeli, nei papiri e nei codici, per stabilire il testo autentico; studio delle redazioni, per mettere in luce la forma letteraria e la teologia degli evangelisti; esame delle tradizioni utilizzate, per individuare la loro forma più arcaica; controllo delle informazioni in base ad alcuni criteri di attendibilità storica.Si tratta di un cammino a ritroso, attraverso il quale ci si rende conto di come i dati originari furono selezionati, sintetizzati, interpretati e ordinati secondo le esigenze della predicazione nelle varie comunità, ma sempre con la preoccupazione e la convinzione di essere fedeli alla memoria di Gesù e con la garanzia dei responsabili e dei testimoni oculari. Prima di scrivere, si avvertiva l’esigenza di compiere accurate ricerche e di vagliare le testimonianze
Possiamo essere sicuri che i Vangeli ci consentono di raggiungere la figura storica di Gesù nei suoi lineamenti principali, nelle costanti del suo insegnamento e della sua prassi, nei momenti cruciali della sua vita pubblica, nella sua assoluta originalità.
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Singolarità di Gesù
[78] La figura di Gesù è così singolare che nessuno avrebbe potuto immaginarla, se non si fosse imposta da sé. Gesù è diverso dai grandi uomini religiosi: non manifesta incertezze, non si riconosce peccatore; parla e opera con una sicurezza e un potere senza pari. Identifica concretamente se stesso e il proprio agire con la presenza di Dio e la venuta del suo regno; rivendica un’autorità superiore a quella dei profeti; si considera decisivo per la salvezza, esigendo dedizione incondizionata.
| CdA, 213 CONFRONTAVAI |
| CdA, 214 CONFRONTAVAI |
Presenza continua
[80]
Secondo il Nuovo Testamento, il Signore risorto continua ad essere presente nella comunità dei credenti con la potenza dello Spirito Santo, fino alla fine del mondo. Tale presenza è nascosta, ma si manifesta indirettamente attraverso molti doni dello Spirito, in particolare la perseveranza nella fede e nella retta dottrina, la santità della vita e la forza dei miracoli, perché la Chiesa sia segno pubblico ed efficace della salvezza.
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[81] Se consideriamo le infinite contraddizioni del pensiero umano, è sorprendente che in quasi duemila anni la Chiesa, pur sbagliando e correggendosi in molte cose, sia rimasta sempre fedele alla verità rivelata nella sua professione di fede, malgrado abbia subito, nelle diverse epoche, pressioni culturali, sociali e politiche di ogni genere.
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[82]
Ancor più, data la fragilità dell’uomo, meraviglia il fenomeno della santità eroica. Sebbene i credenti risultino in gran parte mediocri e peccatori, tuttavia in ogni epoca, in situazioni e forme diverse, si rinnova la sublime testimonianza di numerosi cristiani totalmente rivolti a Dio e ai fratelli. Nei santi «Dio rivela vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 50. | |
[83]
Parimenti, in ogni epoca, fino ai nostri giorni, continuano a verificarsi nel nome di Gesù «guarigioni, miracoli e prodigi» (At 4,30), come agli inizi. Molte volte si tratta di fantasie popolari; spesso però sono fatti così ben documentati da escludere ogni ragionevole dubbio e riconosciuti scientificamente inspiegabili, in quanto comportano trasformazioni eccezionali e istantanee nell’organismo umano e nella natura. È sorprendente che simili fatti avvengano costantemente in circostanze religiose, in connessione con il Cristo e secondo la sua promessa
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[84] Ci sono ombre e luci nella storia del popolo di Dio; ma è con Gesù di Nàzaret che bisogna fare i conti, non con le deficienze vere o presunte dei suoi seguaci. Nella personalità unica del Cristo si concentra un insieme coerente di segni parziali, che vanno a costituire un solo grande segno, in cui è ragionevole riconoscere la mano potente e misericordiosa di Dio.
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