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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti

Dolore 130 , 705-706 , 702 , 1020-1024 , 1034

Liberazione dalla sofferenza
[130]  Dando compimento all’attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova 3-73.pnge definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli.
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale.
CdA, 712
CONFRONTAVAI
CdA 854-856
CONFRONTAVAI
Elementi costitutivi
[705] Il sacramento che esprime e attua la conversione del cristiano viene designato con tre nomi, che derivano dai suoi elementi costitutivi: penitenza, confessione, riconciliazione.
Occorre anzitutto la penitenza o cambiamento del cuore. Il peccatore, mosso dallo Spirito Santo, riscopre il volto santo e misericordioso del Padre, esamina se stesso, prende coscienza dei propri peccati; ne prova dolore; li detesta; propone di non commetterli più; si impegna a cambiare radicalmente la propria vita, a riordinarla secondo il vangelo
nota
Cf. Concilio di Trento, Sess. XIV, Decr. Sul sacramento della penitenza, 4 - DS 1676.
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[706] Fare l’esame di coscienza significa valutare la propria posizione davanti a Dio, alla luce della sua parola, e riconoscere i peccati commessi in pensieri, parole, opere e omissioni, gravi o leggeri, con piena responsabilità o per fragilità.
Il pentimento dei peccati si chiama anche “dolore perfetto” o “contrizione”, quando è ispirato dall’amore filiale verso Dio, degno di essere amato sopra ogni cosa; “dolore imperfetto” o “attrizione”, quando è ispirato dalla paura. Nell’un caso come nell’altro include il fermo proposito di rompere con il peccato e di evitare le occasioni, quindi è sufficiente per disporsi a ricevere il perdono nel sacramento; anzi il dolore perfetto, che include anche il proposito di confessarsi al più presto possibile, ottiene subito il perdono, prima del rito sacramentale.
CdA, 927-929
CONFRONTAVAI
[702]  Dopo la sua morte e risurrezione, il Signore ha effettivamente trasmesso alla Chiesa il potere di rimettere i peccati nella potenza dello Spirito, come parte fondamentale della salvezza realizzata nel mistero pasquale: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20,22-23). Per questo l’apostolo Paolo può dire che Dio «ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2Cor 5,18).
Questa missione viene svolta innanzitutto con la predicazione del vangelo, che chiama alla fede e alla conversione, e poi con il battesimo, che cancella ogni genere di peccato. Ma, pur essendo riconciliati, i battezzati non sono immuni per sempre dal peccato; possono ancora cadervi, come accadde agli ebrei nel deserto: tutti attraversarono il mare e ricevettero l’alleanza, pochi restarono fedeli. L’uomo è fragile, come giunco che si piega ad ogni vento: «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12). La vita è un cammino di conversione e la Chiesa è un popolo di penitenti, chiamato a rinnovarsi incessantemente sotto il giudizio esigente e misericordioso della parola di Dio. Ai battezzati ricaduti nella schiavitù del peccato, il Signore offre una nuova possibilità di salvezza attraverso il sacramento della penitenza o riconciliazione, quasi un secondo battesimo.
Gli apostoli sono consapevoli di aver ricevuto da lui il potere di escludere i peccatori dall’assemblea ecclesiale, in vista della loro correzione, e di riammetterli una volta pentiti, come segno efficace della riconciliazione con Dio. Di questo potere si avvale l’apostolo Paolo: mette fuori dalla comunione un incestuoso a Corinto, perché si converta e «il suo spirito possa ottenere la salvezza» (1Cor 5,5); ordina di fare altrettanto «con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme» (1Cor 5,11); infine reintegra nella pienezza della vita ecclesiale un contestatore, che in precedenza era stato escluso.
Rifiuto della sofferenza
[1020] Fa parte della mentalità di chi è cresciuto nella civiltà del benessere rivendicare il diritto alla felicità, a un’elevata qualità della vita. Non si deve più soffrire. Se capita una malattia, ci deve essere una soluzione; la scienza deve trovarla. Si fa eccessivo consumo di farmaci; si ricorre con ossessiva frequenza agli esami clinici. Basta una qualsiasi contrarietà a rendere nervosi e tristi. Timore ed ansia fanno diradare le relazioni sociali intorno al malato grave e alla sua famiglia. Si arriva a dichiarare che accettare la sofferenza è immorale. Non si è capaci di dare un senso a questa esperienza umana fondamentale. Ma quale senso può avere la sofferenza?
Pazienza cristiana
[1021]  Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte 26-488.png come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un’alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. «Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano»
nota
San Cipriano di Cartagine, A Demetriano, 18.
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La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall’altra trova nella sofferenza un’occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell’amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento.
Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri
nota
Cf. Col 1,24.
: «Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo»
nota
Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 19.
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CdA, 130-132
CONFRONTAVAI
CdA 373-374
CONFRONTAVAI
CdA 855-856
CONFRONTAVAI
Alcune attenzioni
[1022]  La sofferenza costituisce una sfida a crescere nella fede e nell’amore; ne è la verifica più sicura: «L’amore vero e puro si dimostra fra mille pene... Chi vuol l’amore, cerchi il patire»
nota
Santa Veronica Giuliani, Diario, 26.12.1694.
. Una volta scoperta questa grande possibilità, si può essere perfino «afflitti, ma sempre lieti» (2Cor 6,10). Così il male è vinto dall’interno, sperimentandolo. Nell’apparente fallimento ci realizziamo più che mai. Occorre però assumere consapevolmente la propria situazione. Per questo in linea di principio è bene che un malato conosca la dura verità della sua malattia. Magari la prudenza consiglierà di manifestarla gradualmente e allusivamente, cercando di prevenire il più possibile il pericolo di scoraggiamento e di depressione.
[1023] Nella prospettiva di un rispetto incondizionato per la persona e di una valorizzazione della stessa sofferenza si collocano alcune particolari attenzioni. I disabili devono essere accolti e inseriti il più possibile nel vivo delle relazioni familiari, ecclesiali e sociali. Gli anziani vanno apprezzati per la loro esperienza e aiutati con un’adeguata assistenza e con iniziative capaci di suscitare il loro interesse. Meritano grande considerazione le professioni degli operatori sanitari, compiute in spirito di servizio, l’impegno per umanizzare le istituzioni, la generosa attività del volontariato, ogni presenza amica accanto a chi soffre.
[1024] Il cristiano apprezza e ama la vita propria e degli altri, anche quando è sfigurata dalla sofferenza e appare assurda. Anzi, nella povertà e nella debolezza riconosce una speciale presenza di Cristo e una possibilità preziosa di crescita e di fecondità spirituale.
Terapia del dolore
[1034] Non vanno però confuse con l’eutanasia le cure terminali che mirano ad alleviare il dolore, anche se indirettamente possono a volte abbreviare la vita. Esse sono lecite per motivi proporzionati. Non bisogna comunque dimenticare che l’aiuto migliore per i morenti rimane l’accompagnamento personale, pieno di carità e di speranza. Un volto e una mano amica non possono essere surrogati dalle apparecchiature sofisticate.