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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti


Dialogo possibile e desiderato
[36]  La ricerca di Dio per la via delle religioni e della ragione procede con molte incertezze e deviazioni. Dio, benché sia vicinissimo, sembra lontano, senza volto e senza nome: il «Dio ignoto» (At 17,27).
Ma l’apertura razionale al mistero infinito è il presupposto per poter ricevere il dono incomparabilmente più grande della rivelazione storica: «Dio non avrebbe potuto rivelarsi all’uomo, se questi non fosse già stato naturalmente capace di conoscere qualcosa di vero a suo riguardo»
nota
Giovanni Paolo II, Catechesi del 20 marzo 1985.
. Ecco, invece, che le creature sono in se stesse adatte a manifestare Dio in qualche modo, perché le loro molteplici perfezioni riflettono la sua perfezione infinita. E, a sua volta, l’intelligenza dell’uomo è in grado di ricevere questa iniziale manifestazione indiretta. Non si può, quindi, escludere in partenza che nella storia emergano segni particolarmente trasparenti della personale e libera iniziativa di salvezza da parte di Dio.
CdA, 44-45
CONFRONTAVAI
CdA 76-85
CONFRONTAVAI
[37]  Per il fatto di essere aperto a Dio attraverso le creature, l’uomo spontaneamente sente il desiderio esplicito di conoscerlo direttamente in se stesso: cosa impossibile alle sue forze; ma chissà che a Dio non sia possibile? chissà che dopo i doni di questo mondo, non voglia farci il dono di se stesso? chissà che non voglia parlarci da persona a persona? Avremmo allora un orientamento sicuro, una solida nave per attraversare il mare della vita e non più la fragile zattera della filosofia
nota
Cf. Platone, Fedone, 35.
.
Autotestimonianza e autodonazione
[44]  Non si conosce una persona come fosse un oggetto, osservando e calcolando. Nel suo nucleo più intimo, può essere conosciuta 2-37.pngsolo se si esprime liberamente, se comunica agli altri i suoi sentimenti e le sue intenzioni, i suoi pensieri e le sue decisioni, in un dialogo fatto di parole e di azioni, cioè in una storia concreta. Mentre i segreti della natura vengono raggiunti dall’esterno con l’osservazione scientifica, il segreto proprio di un soggetto cosciente e libero si apre dall’interno, per la via dell’autotestimonianza.
Qualcosa di simile avviene nella rivelazione che Dio fa di se stesso e del suo disegno di amore verso l’uomo. Nella sua intima vita personale Dio non può essere conosciuto per via di intuizione o riflessione umana, ma solo per sua libera iniziativa. Perciò, «per il suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé»; pur rimanendo invisibile, parla e si dona attraverso «eventi e parole intimamente connessi tra loro»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 2.
e complementari, cioè attraverso una storia.
Eventi e parole
[45]  Gli eventi contengono la realtà significata dalle parole. Confermano e verificano le parole. Riguardano un popolo o singole persone all’interno di esso. Sono pubblici o privati, miracolosi o ordinari. Si compiono «una volta per sempre» (Eb 9,12), cioè in un tempo preciso e irripetibile, ma con valore perenne e universale. Sono nuovi e imprevedibili, ma si inseriscono nella continuità storica, secondo un progetto unitario e in vista di una meta definitiva.
Il significato e la connessione profonda degli avvenimenti vengono 2-38.pngindicati da Dio ai suoi messaggeri attraverso una comunicazione interiore, chiara e indubitabile, che poi si traduce in parole pronunciate e infine scritte. Le parole interpretano gli eventi come opera di Dio e a volte li provocano efficacemente. Chiamano, promettono e comandano, perché gli eventi si compiano; li raccontano e li spiegano, perché accadano di nuovo.
Attraverso gli eventi e le parole si svolge la trama di una concreta storia terrena, in cui Dio stesso liberamente porta avanti il suo dialogo con gli uomini per dare loro speranza e futuro. Progressivamente egli si fa conoscere e si dona, fino a comunicare pienamente se stesso in Gesù Cristo; rende gli uomini capaci di rispondergli, di accogliere la sua presenza e di partecipare alla sua vita.
CdA, 103
CONFRONTAVAI
CdA 176
CONFRONTAVAI
CdA 608
CONFRONTAVAI
[441]  Il concilio Vaticano II ha riprovato severamente pregiudizi, ingiustizie e violenze del passato, cercando di avviare un nuovo rapporto tra cristiani ed ebrei: «Questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura... La Chiesa, che condanna tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei e spinta non da motivi politici ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
.
Tutti i peccatori, di tutti i tempi e di tutti i popoli, sono causa della morte di Gesù. La responsabilità storica della sua morte coinvolge solo una parte delle autorità ebraiche e degli abitanti di Gerusalemme di quel tempo; soprattutto vi hanno un ruolo decisivo anche le autorità romane. Immotivata è l’accusa di deicidio, proprio perché la condanna di Gesù partiva dal mancato riconoscimento della sua divinità.
Nessun testo della Scrittura giustifica poi l’affermazione che Dio abbia maledetto il popolo ebraico; al contrario, i doni e l’elezione di Israele sono irrevocabili: «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio» (Rm 11,2).
La Chiesa condanna tutte le forme di persecuzione degli ebrei nella storia, fino allo sterminio programmato di cui sono stati vittime nel XX secolo. Il rifiuto di ogni discriminazione e il riconoscimento delle responsabilità, anche dei cristiani, sono il presupposto per impedire il diffondersi dell’antisemitismo e per aprirsi ad una reciproca comprensione.
CCC, 595-598
Parentela spirituale
[442]  La necessità di un dialogo, amichevole e costruttivo, trova 11-222.pngfondamento non solo nel rispetto dovuto a ogni persona umana, ma anche nel particolare legame che unisce le due religioni, legame di vera parentela spirituale. Il cristianesimo ha le sue radici nell’ebraismo: la fede cristiana ha ereditato l’Antico Testamento e continua a nutrirsi di esso; il Figlio di Dio si è fatto uomo ebreo, ha predicato agli ebrei e rimane per sempre ebreo; la prima Chiesa è nata ebrea e ha trasmesso alle generazioni successive numerosi elementi liturgici, istituzionali e spirituali di origine ebraica. Giustamente Giovanni Paolo II ha chiamato gli ebrei nostri «fratelli maggiori»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso alla comunità ebraica nella sinagoga di Roma, 13 marzo 1986.
.
Dialogo fraterno
[446] Il dialogo tra cristiani ed ebrei deve mirare innanzitutto a una migliore conoscenza reciproca, premessa indispensabile per la fiducia e la collaborazione. Noi cristiani dobbiamo considerare non solo l’antico Israele, ma anche gli sviluppi dell’ebraismo post-biblico: il giudaismo rabbinico e la sua feconda tradizione etica e giuridica; la Qabbalah, mistica dell’unità, in cui confluiscono speculazione cosmologica, allegoria biblica e attesa messianica; il chassidismo, religiosità semplice, intensa e gioiosa; infine le correnti moderne, come l’ebraismo ortodosso e quello riformato.
[447]  La diversità va presa sul serio e rispettata. Ma ci dobbiamo anche rendere conto che il comune patrimonio spirituale è grande: un solo Dio, creatore, signore della storia, trascendente e presente; bontà del mondo creato, sviluppo proteso a un compimento ultimo, risurrezione dei morti e vita eterna; tradizione orale accanto alla Scrittura
nota
Cf. Dt 17,8-13.
, istituzioni ecclesiali derivate dalla sinagoga; etica dell’amore verso Dio e il prossimo, senso della famiglia, della giustizia e della solidarietà; liturgia come memoriale, lettura dell’Antico Testamento e preghiera dei Salmi, feste ebraiche come la Pasqua e la Pentecoste attualizzate con nuovo significato, elementi rituali di derivazione ebraica come il battesimo, la preghiera eucaristica di benedizione, la stessa struttura complessiva della Messa. Conoscere la religione ebraica giova a conoscere meglio anche la religione cristiana. Alla reciproca conoscenza è dedicata ogni anno la giornata per il dialogo ebraico-cristiano del 17 gennaio.
[448] Motivo fondamentale di divisione rimane la diversa posizione riguardo al Messia. Per noi cristiani egli è già venuto in Gesù di N‡zaret; per gli ebrei non si è ancora manifestato. Tuttavia, gli uni e gli altri attendiamo una sua venuta futura al termine della storia. L’interpretazione cristiana dell’economia salvifica distingue la promessa, il compimento parziale e il compimento ultimo: sul primo e sul terzo di questi momenti è possibile trovare convergenze tra cristiani ed ebrei. Ampia soprattutto può essere la collaborazione nella prassi, per la promozione della giustizia e della pace. Per gli uni e per gli altri, pur con diversa consapevolezza, si tratta in definitiva di preparare l’umanità ad accogliere il Messia e il regno di Dio.
[449] I cristiani sono legati agli ebrei da una speciale parentela spirituale: hanno in comune con loro un patrimonio religioso da mettere a frutto nel dialogo e nella collaborazione.
[465] Chi apre un dialogo autentico si lascia guidare dalla carità per le persone e dal desiderio di totale fedeltà al vangelo. Non mette in dubbio pregiudizialmente la sincera adesione a Cristo da parte dei fratelli di altre confessioni. Cerca di conoscerne in maniera non superficiale la storia, la dottrina, la psicologia religiosa, la vita spirituale e liturgica. Prende sul serio le divergenze, ben sapendo che soffrire per la disunione è più fruttuoso di una unità ambigua. Ha cura di far emergere le istanze valide, che di solito si nascondono anche nelle posizioni discordanti, ed è pronto ad accoglierle e valorizzarle.
Annuncio e dialogo
[579]  L’annuncio di Cristo deve essere fatto in un clima di dialogo e di collaborazione: «La Chiesa non vede un contrasto tra l’annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55.
. Piuttosto in essi vede due aspetti, distinti e complementari, della sua missione evangelizzatrice. La proclamazione del vangelo deve essere permeata di spirito dialogico, sia per rispetto all’uomo sia per coerenza col messaggio stesso. Il dialogo, a sua volta, deve preparare il terreno al vangelo e non porsi come esperienza autosufficiente e conclusiva.
CCC, 856
Urgenza
[581] Aumenta sempre più a livello mondiale l’interdipendenza tecnologica, economica, politica e culturale. Cresce la mobilità delle popolazioni. Si va verso forme di società multietnica e multireligiosa. Il dialogo tra le religioni sta diventando sempre più urgente.
Finalità
[582]  I cristiani devono dialogare con i seguaci di altre religioni per conoscerli correttamente ed essere correttamente conosciuti da loro, per superare pregiudizi e malintesi, per stabilire relazioni reciproche di stima, rispetto, accoglienza e amicizia, in modo che ognuna delle parti possa approfondire la propria esperienza di fede e avvicinarsi di più a Dio. Dialogare non deve significare cedere al relativismo o al sincretismo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto ed attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55.
. Si tratta invece di percepire, ovunque si trovino, i raggi «di quella Verità che illumina tutti gli uomini»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
; di coltivare i semi del Verbo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 11.
, gli elementi «di verità e di grazia»
nota
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 9.
, sparsi nelle varie tradizioni.
Modalità
[583] Il dialogo assume forme molteplici. Vi è il dialogo della vita quotidiana, in ambiente familiare, professionale e sociale; il dialogo della collaborazione a obiettivi e opere di promozione umana; il dialogo dei patrimoni religiosi e delle tradizioni teologiche ad opera di esperti; il dialogo delle esperienze spirituali vive, come la preghiera, la contemplazione, la ricerca appassionata di Dio.
Disponibilità
[584] Il dialogo non si sviluppa spontaneamente. È minacciato dalla istintiva diffidenza per il diverso, dai complessi di inferiorità o di superiorità, dal peso dei contrasti secolari. Va costruito pazientemente, con convinzione. Bisogna rispettare e accogliere l’altro come persona; condividerne gioia e sofferenza; conoscere e presentare la religione dell’altro con obiettività, in modo che egli vi si riconosca; non aver paura di lasciarsi mettere in discussione; essere incondizionatamente aperti al mistero di Dio, sempre più grande dei nostri pensieri. Vivendo il dialogo con questi atteggiamenti, i non cristiani potranno incontrare Cristo e trovare in lui il compimento della loro esperienza e della loro storia. I cristiani potranno anch’essi ricevere grandi benefici, perché il vangelo rivela più profondamente il suo significato nel confronto con le altre religioni.
[585] La Chiesa cattolica crede in questo genere di relazioni, perché crede nella dignità di ogni uomo e nella presenza salvifica di Dio in tutta la storia. È significativo al riguardo che sia stato istituito il pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e che siano stati invitati ad Assisi i rappresentanti di molte tradizioni religiose per il grande incontro di preghiera del 27 ottobre 1986.
Principali interlocutori
[586]  Meritano particolare attenzione le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, per i loro valori spirituali e per la sempre più consistente presenza nel mondo cristiano, anche in Italia, a causa di migrazioni, viaggi e qualche conversione. È importante individuarne almeno i caratteri generali, sulla scia del concilio Vaticano II
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2-3.
, pur nella consapevolezza che si tratta di realtà complesse, per le quali occorrerebbero ulteriori approfondimenti.
Induismo
[587] L’induismo è la tradizione religiosa dell’India, antica di quattromila anni e in continua evoluzione. Più precisamente si tratta di un complesso di religioni e di filosofie, di mitologie e di regole, diverse e a volte perfino contraddittorie. Vi si trovano comunque alcuni elementi, condivisi generalmente o quasi.
[588] C’è una rivelazione divina originaria, contenuta nei libri sacri. Esistono molte divinità preposte ad ogni aspetto della vita e del mondo. Al di sopra di esse vi è una Realtà ultima, concepita come mistero trascendente e impersonale, inconoscibile e ineffabile, oppure come Dio unico, personale, benevolo. La divinità suprema si manifesta con le sue discese, o teofanie, in figure concrete, che possono essere dèi, uomini straordinari, immagini sacre.
Il mondo fenomenico si sviluppa in un divenire ciclico ed eterno. La sua realtà è inconsistente, anzi è apparenza, illusione, sofferenza. L’uomo è costituito da un’anima, che esiste da sempre e trasmigra da un corpo all’altro. Il ciclo delle rinascite segue la legge della fruttificazione degli atti. Consapevoli o inconsapevoli che siano, essi producono i loro frutti, buoni o cattivi. Di conseguenza si è destinati a rinascere come esseri superiori o inferiori, come ricchi o poveri, come sani o malati, come membri di una casta o di un’altra, o come fuori casta. Comunque, in qualsiasi condizione, tutto è effimero, tutto è dolore. La sofferenza è una necessità cosmica.
[589]  C’è però una possibilità di salvezza. L’anima può liberarsi dal ciclo delle rinascite, uscire dal mondo dell’apparenza, raggiungere l’unità con la Realtà ultima divina, trovando così la beatitudine definitiva. Questa aspirazione sostiene i seguaci dell’induismo nel loro cammino: «Cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
.
Le vie principali per giungere alla liberazione sono tre. La prima è la via dell’azione disinteressata: comporta che si osservino fedelmente, con distacco da motivi egoistici, facendone un’offerta a Dio, i riti religiosi e i doveri morali generali, come la non violenza, la veracità, la castità, il rispetto della proprietà altrui, la generosità, la pazienza, nonché i doveri particolari del proprio stato, conformando così tutta la propria esistenza all’ordine divino e universale. La seconda è la via della conoscenza: passando attraverso l’impegno morale e ascetico, la concentrazione interiore e l’esperienza mistica superiore, conduce il saggio a trovare il vero Sé e in esso anche la Realtà ultima, ad acquisire la consapevolezza dell’unità del soggetto profondo con la divinità. La terza è la via della devozione: è adatta per ogni genere di persone e consiste nella confidenza e nell’amore, rivolti a Dio, benevolo e misericordioso, che salva per grazia chiunque si abbandona totalmente a lui e lo ama appassionatamente.
[590] Da un punto di vista cristiano, riconosciamo in questa tradizione religiosa importanti valori, ma anche limiti e pericoli. La concezione di Dio come Mistero trascendente e ineffabile o come Essere personale è senz’altro elevata; ma non esclude che si finisca per cadere da una parte nel monismo panteista e dall’altra, soprattutto a livello popolare, nel politeismo idolatrico. Ammirevole è il primato conferito alla vita spirituale, specialmente se lo confrontiamo con il materialismo e il secolarismo occidentale; purtroppo però comporta un deprezzamento del mondo, della storia e della società, ridotti ad apparenza illusoria e considerati insignificanti, anzi di ostacolo, in rapporto alla salvezza. Di conseguenza favorisce una diffusa rassegnazione alle disuguaglianze sociali, assegnate dal destino. Nobile è l’etica e appassionata la ricerca della salvezza definitiva; tuttavia vi si riscontra un carattere marcatamente individualista, che esclude ogni solidarietà e mediazione salvifica, ogni idea di redenzione e di comunione dei santi; non a caso anche il culto è un fatto essenzialmente privato. Generoso è lo spirito di tolleranza verso le altre religioni; ma si confonde con il relativismo e il sincretismo: le religioni, secondo la mentalità induista, sono tutte vere e tutte imperfette; Cristo stesso può essere accettato come una discesa della divinità, rifiutando però la pretesa che egli sia unico e assoluto.
Malgrado le ombre non siano di poco conto, il discernimento cristiano si rallegra di intravedere raggi intensi di quella luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Soprattutto sulla via della devozione arrivano a maturazione esperienze gioiose di amore personale verso Dio, simili a quelle dei santi cristiani, come testimonia questa splendida preghiera del poeta Tukaram (secolo XVII): «Tu tieni la mia mano e mi guidi con fermezza, sempre e dovunque presente al mio fianco. Mentre io vado e mi appoggio a Te, tu porti il mio carico pesante... Io riconosco in ogni uomo un amico, in ogni incontro un congiunto. Come un bimbo felice, vado giocando nel tuo caro mondo, o Dio».
Buddhismo
[591] Il buddhismo è nato nell’ambito dell’induismo; ma si è posto fuori di esso, per averne rifiutato i libri sacri e la dottrina del Soggetto permanente, del Sé che si identifica con la Realtà ultima. Ha un fondatore storico, il principe indiano Siddharta Gautama (563-483 a.C. circa), che, dopo varie vicende, ha raggiunto attraverso la meditazione il “risveglio” alla verità essenziale dell’esistenza, trovando la soluzione al problema del dolore e diventando un Buddha, cioè un “risvegliato”.
[592] La dottrina più antica e più vicina al pensiero del fondatore afferma anzitutto che l’esistenza umana e ogni altra realtà, tutto è dolore, precarietà, insoddisfazione, vuoto. L’origine del dolore è la “sete” di vivere e di godere, il desiderio avido e appassionato, che condanna l’uomo al ciclo delle rinascite. Per liberarsi dal dolore e uscire dal vano divenire, occorre sopprimere il desiderio e annullare il proprio io illusorio. Si esce così dal mondo dei fenomeni e, come una goccia si perde nel mare, si entra nell’aldilà ineffabile, nel Vuoto che è pienezza, nell’Assenza che è pace definitiva, nel nirvana.
[593]  La via che conduce all’estinzione del desiderio e quindi alla cessazione del dolore è costituita da otto sentieri, che riguardano la saggezza, la condotta etica, l’esercizio psicofisico della meditazione. La saggezza, cioè “la comprensione giusta, il pensiero giusto”, consiste in una presa di coscienza esperienziale intorno alla verità del dolore, del desiderio e della loro soppressione. La condotta etica, cioè “la parola giusta, l’azione giusta, i mezzi di esistenza giusti”, esige la rinuncia a tutto ciò che non favorisce la liberazione e che può recare pregiudizio agli altri, come la menzogna, la maldicenza, l’ingiuria, l’omicidio, l’amore illecito, il furto, la cupidigia; viceversa comporta la pratica delle virtù, come la sopportazione delle sofferenze, la non violenza, la benevolenza amichevole, la compassione, il sereno equilibrio e il controllo di sé. La meditazione, cioè “lo sforzo giusto, l’attenzione giusta, la concentrazione giusta”, è una disciplina che impegna il corpo e la mente; fissa l’attenzione intensa e prolungata su ogni fenomeno che emerge nella coscienza, qui e ora, dimenticando però il proprio io, finché non raggiunga la visione intuitiva della precarietà e del vuoto di ogni cosa e non spenga ogni desiderio. Si legge nel Canone buddhista: «Felice la solitudine di colui che si rallegra avendo appreso la Buona legge ed avendo acquistato la visione! Felice la libertà dalla sofferenza nel mondo e il ritegno dal danneggiare le creature! Felice la libertà dalle passioni di questo mondo ed il superamento dei desideri! Che ci si sciolga dalla vanità dell’”ego”, questa è la suprema felicità»
nota
Udâna, 2, 1.
.
[594] L’ideale buddhista è incarnato dai monaci. Essi fuggono il mondo, per mettersi in una condizione più idonea al cammino di liberazione; assumono la povertà e la castità, per spegnere il desiderio rispettivamente di possedere e di esistere; praticano assiduamente la meditazione, per dissolvere il proprio io illusorio e giungere all’illuminazione suprema.
[595] Non sembra propriamente corretto classificare il buddhismo antico come una filosofia, in quanto si presenta come una via di liberazione definitiva. Però si tratta di una liberazione che è conquista dell’uomo e non grazia di Dio. «Fate voi stessi la vostra salvezza», avrebbe raccomandato il Buddha morente ai suoi discepoli. In concreto la possibilità di raggiungere il nirvana sembra riservata solo ai monaci; la moltitudine dei laici sembra destinata a una ulteriore reincarnazione, più o meno elevata secondo il grado di purificazione raggiunto.
Non sorprende che successivamente il buddhismo, per quanto riguarda la maggioranza dei suoi aderenti, si sia evoluto in senso più chiaramente religioso. La liberazione, secondo questa versione, può essere ottenuta da tutti, anche dai laici, con la fiducia nella benevolenza del Buddha supremo, che è Dio stesso, e dei bodhisattva, saggi illuminati che, mossi da compassione, aiutano gli uomini a raggiungere la salvezza.
[596] Posto di fronte al buddhismo, il cristiano, pur provando ammirazione per una spiritualità così nobile e raffinata, è preso anche da gravi perplessità. È certo doveroso annullare ogni desiderio egoistico; ma è possibile annullare il desiderio di vivere come tale? Non è più bello attuarlo nella comunione? La mèta definitiva non va pensata come pienezza della persona anziché come dissoluzione di essa? È vero che l’uomo e il mondo sono sottomessi alla caducità e alla sofferenza; ma è ragionevole ridurli a un flusso di impressioni e di fenomeni senza valore? Non sono piuttosto da considerare creazione di Dio, incamminati verso un compimento ultimo? Se un certo distacco dal mondo è necessario per sviluppare valori importanti, come la preghiera, la contemplazione, l’armonia con la natura, non occorre forse anche un serio impegno nel mondo per realizzare il progresso civile? Infine, un’etica nobile ed esigente come quella buddhista dispone senz’altro alla salvezza; ma basta a conquistarla? Non è più confortante pensare che questa sia donata per grazia e sia offerta a tutti, anche a chi non cammina per la retta via? Secondo la fede cristiana, non è l’uomo che raggiunge con le sue sole forze la perfezione ultima, fuggendo magari dal mondo e da se stesso; ma è Dio che viene a noi, assume l’uomo e il mondo e li porta a compimento.
Islam
[597] L’islam è la più recente delle religioni universali. Ne è fondatore Maometto (570-632 d.C.), nella cui attività si distinguono due periodi: il primo, a La Mecca, è incentrato sulla predicazione del monoteismo e dell’imminente giudizio di Dio contro i politeisti e i ricchi che opprimono i poveri; il secondo, a Medina, è dedicato all’organizzazione giuridica della nuova comunità islamica e alla guerra santa. Maometto si presenta come “il Sigillo dei profeti”, che porta a compimento la rivelazione, già affidata ad Abramo, a Mosè, a Davide, a Gesù. Il libro sacro, il Corano, è la parola di Dio, da lui dettata letteralmente. Autorità profetica hanno anche i detti e gli atti di Maometto, che costituiscono la tradizione.
[598] L’islam è una religione semplice nella dottrina, nei riti e nei valori etici; minuziosa nelle regole giuridiche.
Esiste un solo Dio, personale, incomprensibile, onnipotente, clemente e misericordioso, che ha creato gli angeli, gli uomini e tutte le cose. Da lui vengono il bene e la sventura. Egli risusciterà i morti e nel giudizio finale premierà i buoni con il paradiso e condannerà i malvagi all’inferno. Così lo invoca più volte al giorno ogni fedele, con la prima “sura” del libro sacro: «Nel Nome di Dio, Misericordioso e Compassionevole. Lode a Dio, Signore dei mondi, il Misericordioso e il Compassionevole, Padrone del giorno del giudizio. Te noi serviamo, te invochiamo in aiuto. Guidaci sulla retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la tua grazia, non di quelli coi quali sei adirato, né di quelli che vagano nell’errore»
nota
Corano, 1.
.
[599] Il giusto atteggiamento dell’uomo davanti a Dio è la sottomissione, che implica obbedienza e abbandono fiducioso. La parola araba “islam” significa appunto “sottomissione”. Questa si esprime concretamente nella professione di fede e nelle pratiche religiose. La fede viene sintetizzata nella formula: “Non c’è Dio se non Allah e Maometto è il suo Profeta”. Le pratiche religiose sono la preghiera, l’elemosina, il digiuno, il pellegrinaggio. La preghiera rituale è regolata da norme precise: si deve compiere cinque volte al giorno al momento fissato, in stato di purità legale, eseguendo con esattezza i gesti prescritti; in forma comunitaria si deve celebrare il venerdì alla moschea, con la partecipazione almeno degli uomini. L’elemosina è una tassa obbligatoria a vantaggio dei poveri, alla quale è possibile aggiungere anche prestazioni volontarie. Il digiuno consiste nel rinunciare al cibo, al tabacco, ai profumi, ai rapporti sessuali dalla luce dell’alba al buio della sera tutti i giorni durante il mese di ramadan. Il pellegrinaggio a La Mecca va compiuto, almeno una volta nella vita, da ogni musulmano adulto e sano. Dovere dei credenti è infine la “guerra santa”, o meglio lo sforzo per affermare i diritti di Dio in tutti gli ambiti della vita: comporta innanzitutto il combattimento spirituale per conformare se stessi alla volontà divina, quindi lo sforzo missionario per estendere l’islam, arrivando, se necessario, anche alla conquista armata.
[600] I musulmani, al di là delle differenze nazionali, appartengono tutti a una sola comunità di fede e di solidarietà fraterna, regolata dalla legge religiosa, sia nella sfera spirituale che in quella temporale.
[601]  A parte l’ebraismo, nessun’altra religione ha tanti elementi comuni con il cristianesimo come l’islam
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 3.
. Tuttavia il dialogo non è facile. Pesa ancora la memoria del passato: dieci secoli di violenta contrapposizione hanno visto da parte degli arabi e dei turchi i ripetuti tentativi di invadere l’Europa e da parte dell’occidente le crociate medievali e la moderna colonizzazione forzata. Oggi la civiltà occidentale, secolarizzata, individualista e consumista, penetra nel mondo islamico e lo corrode dal di dentro, suscitando la reazione dell’integralismo musulmano, che coinvolge nella stessa avversione anche il cristianesimo. Del resto la difficoltà del dialogo non nasce solo da situazioni storiche contingenti.
[602] L’islam attinge vari motivi polemici nello stesso Corano. Accusa ebraismo e cristianesimo di aver corrotto le Sacre Scritture. Rifiuta le verità cristiane fondamentali: la Trinità, l’incarnazione e la redenzione. Esalta Gesù, ma solo come uomo santo e grande profeta.
[603] Comune alle due religioni è la giusta preoccupazione che la fede non sia separata dalla vita e che ogni attività sia sottomessa alla volontà di Dio. Ma ciò non giustifica una legislazione minuziosa, che pretenda regolare le cose una volta per sempre: ne rimarrebbero facilmente soffocate le esigenze concrete dell’amore e del servizio all’uomo; ci si esporrebbe all’incompatibilità con nuove situazioni impreviste. Tantomeno comporta la confusione tra lo spirituale e il temporale, con la conseguente giustificazione dello stato teocratico islamico, così diverso dal moderno stato democratico.
Riconosciamo che i musulmani tradizionalmente hanno praticato una certa tolleranza nei confronti di cristiani ed ebrei, conferendo loro uno speciale statuto di ospiti protetti. Ma oggi la dignità della persona umana e il riconoscimento dei suoi diritti esigono la piena cittadinanza per le minoranze, la libertà di coscienza per tutti, la parità sociale dell’uomo e della donna, offuscata tra l’altro dalla poligamia.
Condividiamo la valutazione positiva della vita terrena, della prosperità economica, della giustizia sociale, del progresso culturale. Ma non possiamo vedere nel successo temporale il segno sicuro della benedizione di Dio. Rimarrebbe senza significato l’esperienza umana fondamentale della sofferenza.
[604] Sono innegabili nella tradizione islamica gli alti valori morali e religiosi che alimentano la vita spirituale di milioni e milioni di uomini. Non manca però in campo etico qualche concessione di troppo alla debolezza umana. Soprattutto il rapporto con Dio è inteso come sottomissione e non come amore. Fanno eccezione i mistici; ma essi si trovano ai margini dell’ortodossia ufficiale.
Malgrado le profonde divergenze, cristianesimo e islam si incontrano nella fede in un solo Dio, onnipotente e misericordioso. Il grido: «Dio è grande!», che ha così profonda risonanza nei musulmani, affascina anche i cristiani. Animati da questa fede, gli uni e gli altri possono camminare insieme verso un’attuazione più piena della libertà, della fraternità, della convivenza pacifica.
[605] In tutte e tre le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, si sviluppano esperienze che superano le dottrine ufficiali e vanno in direzione dell’unione amorosa con Dio, sia presso i mistici che presso la gente devota. Ci rallegriamo di riconoscere in ciò un’importante affinità con il cristianesimo, un segno della presenza di Cristo stesso e della sua grazia.
[606] Il dialogo interreligioso tende a sviluppare una corretta conoscenza reciproca e a stabilire relazioni amichevoli, in modo da favorire il progresso spirituale di ciascuno. Alimenta nei non cristiani un atteggiamento di apertura alla verità di Cristo; conduce i cristiani ad una più profonda comprensione del vangelo. È urgente soprattutto il dialogo dei cristiani con i seguaci delle altre religioni universali: induismo, buddhismo e islam.
Urgenza
[581] Aumenta sempre più a livello mondiale l’interdipendenza tecnologica, economica, politica e culturale. Cresce la mobilità delle popolazioni. Si va verso forme di società multietnica e multireligiosa. Il dialogo tra le religioni sta diventando sempre più urgente.
Finalità
[582]  I cristiani devono dialogare con i seguaci di altre religioni per conoscerli correttamente ed essere correttamente conosciuti da loro, per superare pregiudizi e malintesi, per stabilire relazioni reciproche di stima, rispetto, accoglienza e amicizia, in modo che ognuna delle parti possa approfondire la propria esperienza di fede e avvicinarsi di più a Dio. Dialogare non deve significare cedere al relativismo o al sincretismo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto ed attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55.
. Si tratta invece di percepire, ovunque si trovino, i raggi «di quella Verità che illumina tutti gli uomini»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
; di coltivare i semi del Verbo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 11.
, gli elementi «di verità e di grazia»
nota
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 9.
, sparsi nelle varie tradizioni.
Modalità
[583] Il dialogo assume forme molteplici. Vi è il dialogo della vita quotidiana, in ambiente familiare, professionale e sociale; il dialogo della collaborazione a obiettivi e opere di promozione umana; il dialogo dei patrimoni religiosi e delle tradizioni teologiche ad opera di esperti; il dialogo delle esperienze spirituali vive, come la preghiera, la contemplazione, la ricerca appassionata di Dio.
Disponibilità
[584] Il dialogo non si sviluppa spontaneamente. È minacciato dalla istintiva diffidenza per il diverso, dai complessi di inferiorità o di superiorità, dal peso dei contrasti secolari. Va costruito pazientemente, con convinzione. Bisogna rispettare e accogliere l’altro come persona; condividerne gioia e sofferenza; conoscere e presentare la religione dell’altro con obiettività, in modo che egli vi si riconosca; non aver paura di lasciarsi mettere in discussione; essere incondizionatamente aperti al mistero di Dio, sempre più grande dei nostri pensieri. Vivendo il dialogo con questi atteggiamenti, i non cristiani potranno incontrare Cristo e trovare in lui il compimento della loro esperienza e della loro storia. I cristiani potranno anch’essi ricevere grandi benefici, perché il vangelo rivela più profondamente il suo significato nel confronto con le altre religioni.
[585] La Chiesa cattolica crede in questo genere di relazioni, perché crede nella dignità di ogni uomo e nella presenza salvifica di Dio in tutta la storia. È significativo al riguardo che sia stato istituito il pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e che siano stati invitati ad Assisi i rappresentanti di molte tradizioni religiose per il grande incontro di preghiera del 27 ottobre 1986.
Principali interlocutori
[586]  Meritano particolare attenzione le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, per i loro valori spirituali e per la sempre più consistente presenza nel mondo cristiano, anche in Italia, a causa di migrazioni, viaggi e qualche conversione. È importante individuarne almeno i caratteri generali, sulla scia del concilio Vaticano II
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2-3.
, pur nella consapevolezza che si tratta di realtà complesse, per le quali occorrerebbero ulteriori approfondimenti.
Induismo
[587] L’induismo è la tradizione religiosa dell’India, antica di quattromila anni e in continua evoluzione. Più precisamente si tratta di un complesso di religioni e di filosofie, di mitologie e di regole, diverse e a volte perfino contraddittorie. Vi si trovano comunque alcuni elementi, condivisi generalmente o quasi.
[588] C’è una rivelazione divina originaria, contenuta nei libri sacri. Esistono molte divinità preposte ad ogni aspetto della vita e del mondo. Al di sopra di esse vi è una Realtà ultima, concepita come mistero trascendente e impersonale, inconoscibile e ineffabile, oppure come Dio unico, personale, benevolo. La divinità suprema si manifesta con le sue discese, o teofanie, in figure concrete, che possono essere dèi, uomini straordinari, immagini sacre.
Il mondo fenomenico si sviluppa in un divenire ciclico ed eterno. La sua realtà è inconsistente, anzi è apparenza, illusione, sofferenza. L’uomo è costituito da un’anima, che esiste da sempre e trasmigra da un corpo all’altro. Il ciclo delle rinascite segue la legge della fruttificazione degli atti. Consapevoli o inconsapevoli che siano, essi producono i loro frutti, buoni o cattivi. Di conseguenza si è destinati a rinascere come esseri superiori o inferiori, come ricchi o poveri, come sani o malati, come membri di una casta o di un’altra, o come fuori casta. Comunque, in qualsiasi condizione, tutto è effimero, tutto è dolore. La sofferenza è una necessità cosmica.
[589]  C’è però una possibilità di salvezza. L’anima può liberarsi dal ciclo delle rinascite, uscire dal mondo dell’apparenza, raggiungere l’unità con la Realtà ultima divina, trovando così la beatitudine definitiva. Questa aspirazione sostiene i seguaci dell’induismo nel loro cammino: «Cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
.
Le vie principali per giungere alla liberazione sono tre. La prima è la via dell’azione disinteressata: comporta che si osservino fedelmente, con distacco da motivi egoistici, facendone un’offerta a Dio, i riti religiosi e i doveri morali generali, come la non violenza, la veracità, la castità, il rispetto della proprietà altrui, la generosità, la pazienza, nonché i doveri particolari del proprio stato, conformando così tutta la propria esistenza all’ordine divino e universale. La seconda è la via della conoscenza: passando attraverso l’impegno morale e ascetico, la concentrazione interiore e l’esperienza mistica superiore, conduce il saggio a trovare il vero Sé e in esso anche la Realtà ultima, ad acquisire la consapevolezza dell’unità del soggetto profondo con la divinità. La terza è la via della devozione: è adatta per ogni genere di persone e consiste nella confidenza e nell’amore, rivolti a Dio, benevolo e misericordioso, che salva per grazia chiunque si abbandona totalmente a lui e lo ama appassionatamente.
[590] Da un punto di vista cristiano, riconosciamo in questa tradizione religiosa importanti valori, ma anche limiti e pericoli. La concezione di Dio come Mistero trascendente e ineffabile o come Essere personale è senz’altro elevata; ma non esclude che si finisca per cadere da una parte nel monismo panteista e dall’altra, soprattutto a livello popolare, nel politeismo idolatrico. Ammirevole è il primato conferito alla vita spirituale, specialmente se lo confrontiamo con il materialismo e il secolarismo occidentale; purtroppo però comporta un deprezzamento del mondo, della storia e della società, ridotti ad apparenza illusoria e considerati insignificanti, anzi di ostacolo, in rapporto alla salvezza. Di conseguenza favorisce una diffusa rassegnazione alle disuguaglianze sociali, assegnate dal destino. Nobile è l’etica e appassionata la ricerca della salvezza definitiva; tuttavia vi si riscontra un carattere marcatamente individualista, che esclude ogni solidarietà e mediazione salvifica, ogni idea di redenzione e di comunione dei santi; non a caso anche il culto è un fatto essenzialmente privato. Generoso è lo spirito di tolleranza verso le altre religioni; ma si confonde con il relativismo e il sincretismo: le religioni, secondo la mentalità induista, sono tutte vere e tutte imperfette; Cristo stesso può essere accettato come una discesa della divinità, rifiutando però la pretesa che egli sia unico e assoluto.
Malgrado le ombre non siano di poco conto, il discernimento cristiano si rallegra di intravedere raggi intensi di quella luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Soprattutto sulla via della devozione arrivano a maturazione esperienze gioiose di amore personale verso Dio, simili a quelle dei santi cristiani, come testimonia questa splendida preghiera del poeta Tukaram (secolo XVII): «Tu tieni la mia mano e mi guidi con fermezza, sempre e dovunque presente al mio fianco. Mentre io vado e mi appoggio a Te, tu porti il mio carico pesante... Io riconosco in ogni uomo un amico, in ogni incontro un congiunto. Come un bimbo felice, vado giocando nel tuo caro mondo, o Dio».
Buddhismo
[591] Il buddhismo è nato nell’ambito dell’induismo; ma si è posto fuori di esso, per averne rifiutato i libri sacri e la dottrina del Soggetto permanente, del Sé che si identifica con la Realtà ultima. Ha un fondatore storico, il principe indiano Siddharta Gautama (563-483 a.C. circa), che, dopo varie vicende, ha raggiunto attraverso la meditazione il “risveglio” alla verità essenziale dell’esistenza, trovando la soluzione al problema del dolore e diventando un Buddha, cioè un “risvegliato”.
[592] La dottrina più antica e più vicina al pensiero del fondatore afferma anzitutto che l’esistenza umana e ogni altra realtà, tutto è dolore, precarietà, insoddisfazione, vuoto. L’origine del dolore è la “sete” di vivere e di godere, il desiderio avido e appassionato, che condanna l’uomo al ciclo delle rinascite. Per liberarsi dal dolore e uscire dal vano divenire, occorre sopprimere il desiderio e annullare il proprio io illusorio. Si esce così dal mondo dei fenomeni e, come una goccia si perde nel mare, si entra nell’aldilà ineffabile, nel Vuoto che è pienezza, nell’Assenza che è pace definitiva, nel nirvana.
[593]  La via che conduce all’estinzione del desiderio e quindi alla cessazione del dolore è costituita da otto sentieri, che riguardano la saggezza, la condotta etica, l’esercizio psicofisico della meditazione. La saggezza, cioè “la comprensione giusta, il pensiero giusto”, consiste in una presa di coscienza esperienziale intorno alla verità del dolore, del desiderio e della loro soppressione. La condotta etica, cioè “la parola giusta, l’azione giusta, i mezzi di esistenza giusti”, esige la rinuncia a tutto ciò che non favorisce la liberazione e che può recare pregiudizio agli altri, come la menzogna, la maldicenza, l’ingiuria, l’omicidio, l’amore illecito, il furto, la cupidigia; viceversa comporta la pratica delle virtù, come la sopportazione delle sofferenze, la non violenza, la benevolenza amichevole, la compassione, il sereno equilibrio e il controllo di sé. La meditazione, cioè “lo sforzo giusto, l’attenzione giusta, la concentrazione giusta”, è una disciplina che impegna il corpo e la mente; fissa l’attenzione intensa e prolungata su ogni fenomeno che emerge nella coscienza, qui e ora, dimenticando però il proprio io, finché non raggiunga la visione intuitiva della precarietà e del vuoto di ogni cosa e non spenga ogni desiderio. Si legge nel Canone buddhista: «Felice la solitudine di colui che si rallegra avendo appreso la Buona legge ed avendo acquistato la visione! Felice la libertà dalla sofferenza nel mondo e il ritegno dal danneggiare le creature! Felice la libertà dalle passioni di questo mondo ed il superamento dei desideri! Che ci si sciolga dalla vanità dell’”ego”, questa è la suprema felicità»
nota
Udâna, 2, 1.
.
[594] L’ideale buddhista è incarnato dai monaci. Essi fuggono il mondo, per mettersi in una condizione più idonea al cammino di liberazione; assumono la povertà e la castità, per spegnere il desiderio rispettivamente di possedere e di esistere; praticano assiduamente la meditazione, per dissolvere il proprio io illusorio e giungere all’illuminazione suprema.
[595] Non sembra propriamente corretto classificare il buddhismo antico come una filosofia, in quanto si presenta come una via di liberazione definitiva. Però si tratta di una liberazione che è conquista dell’uomo e non grazia di Dio. «Fate voi stessi la vostra salvezza», avrebbe raccomandato il Buddha morente ai suoi discepoli. In concreto la possibilità di raggiungere il nirvana sembra riservata solo ai monaci; la moltitudine dei laici sembra destinata a una ulteriore reincarnazione, più o meno elevata secondo il grado di purificazione raggiunto.
Non sorprende che successivamente il buddhismo, per quanto riguarda la maggioranza dei suoi aderenti, si sia evoluto in senso più chiaramente religioso. La liberazione, secondo questa versione, può essere ottenuta da tutti, anche dai laici, con la fiducia nella benevolenza del Buddha supremo, che è Dio stesso, e dei bodhisattva, saggi illuminati che, mossi da compassione, aiutano gli uomini a raggiungere la salvezza.
[596] Posto di fronte al buddhismo, il cristiano, pur provando ammirazione per una spiritualità così nobile e raffinata, è preso anche da gravi perplessità. È certo doveroso annullare ogni desiderio egoistico; ma è possibile annullare il desiderio di vivere come tale? Non è più bello attuarlo nella comunione? La mèta definitiva non va pensata come pienezza della persona anziché come dissoluzione di essa? È vero che l’uomo e il mondo sono sottomessi alla caducità e alla sofferenza; ma è ragionevole ridurli a un flusso di impressioni e di fenomeni senza valore? Non sono piuttosto da considerare creazione di Dio, incamminati verso un compimento ultimo? Se un certo distacco dal mondo è necessario per sviluppare valori importanti, come la preghiera, la contemplazione, l’armonia con la natura, non occorre forse anche un serio impegno nel mondo per realizzare il progresso civile? Infine, un’etica nobile ed esigente come quella buddhista dispone senz’altro alla salvezza; ma basta a conquistarla? Non è più confortante pensare che questa sia donata per grazia e sia offerta a tutti, anche a chi non cammina per la retta via? Secondo la fede cristiana, non è l’uomo che raggiunge con le sue sole forze la perfezione ultima, fuggendo magari dal mondo e da se stesso; ma è Dio che viene a noi, assume l’uomo e il mondo e li porta a compimento.
Islam
[597] L’islam è la più recente delle religioni universali. Ne è fondatore Maometto (570-632 d.C.), nella cui attività si distinguono due periodi: il primo, a La Mecca, è incentrato sulla predicazione del monoteismo e dell’imminente giudizio di Dio contro i politeisti e i ricchi che opprimono i poveri; il secondo, a Medina, è dedicato all’organizzazione giuridica della nuova comunità islamica e alla guerra santa. Maometto si presenta come “il Sigillo dei profeti”, che porta a compimento la rivelazione, già affidata ad Abramo, a Mosè, a Davide, a Gesù. Il libro sacro, il Corano, è la parola di Dio, da lui dettata letteralmente. Autorità profetica hanno anche i detti e gli atti di Maometto, che costituiscono la tradizione.
[598] L’islam è una religione semplice nella dottrina, nei riti e nei valori etici; minuziosa nelle regole giuridiche.
Esiste un solo Dio, personale, incomprensibile, onnipotente, clemente e misericordioso, che ha creato gli angeli, gli uomini e tutte le cose. Da lui vengono il bene e la sventura. Egli risusciterà i morti e nel giudizio finale premierà i buoni con il paradiso e condannerà i malvagi all’inferno. Così lo invoca più volte al giorno ogni fedele, con la prima “sura” del libro sacro: «Nel Nome di Dio, Misericordioso e Compassionevole. Lode a Dio, Signore dei mondi, il Misericordioso e il Compassionevole, Padrone del giorno del giudizio. Te noi serviamo, te invochiamo in aiuto. Guidaci sulla retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la tua grazia, non di quelli coi quali sei adirato, né di quelli che vagano nell’errore»
nota
Corano, 1.
.
[599] Il giusto atteggiamento dell’uomo davanti a Dio è la sottomissione, che implica obbedienza e abbandono fiducioso. La parola araba “islam” significa appunto “sottomissione”. Questa si esprime concretamente nella professione di fede e nelle pratiche religiose. La fede viene sintetizzata nella formula: “Non c’è Dio se non Allah e Maometto è il suo Profeta”. Le pratiche religiose sono la preghiera, l’elemosina, il digiuno, il pellegrinaggio. La preghiera rituale è regolata da norme precise: si deve compiere cinque volte al giorno al momento fissato, in stato di purità legale, eseguendo con esattezza i gesti prescritti; in forma comunitaria si deve celebrare il venerdì alla moschea, con la partecipazione almeno degli uomini. L’elemosina è una tassa obbligatoria a vantaggio dei poveri, alla quale è possibile aggiungere anche prestazioni volontarie. Il digiuno consiste nel rinunciare al cibo, al tabacco, ai profumi, ai rapporti sessuali dalla luce dell’alba al buio della sera tutti i giorni durante il mese di ramadan. Il pellegrinaggio a La Mecca va compiuto, almeno una volta nella vita, da ogni musulmano adulto e sano. Dovere dei credenti è infine la “guerra santa”, o meglio lo sforzo per affermare i diritti di Dio in tutti gli ambiti della vita: comporta innanzitutto il combattimento spirituale per conformare se stessi alla volontà divina, quindi lo sforzo missionario per estendere l’islam, arrivando, se necessario, anche alla conquista armata.
[600] I musulmani, al di là delle differenze nazionali, appartengono tutti a una sola comunità di fede e di solidarietà fraterna, regolata dalla legge religiosa, sia nella sfera spirituale che in quella temporale.
[601]  A parte l’ebraismo, nessun’altra religione ha tanti elementi comuni con il cristianesimo come l’islam
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 3.
. Tuttavia il dialogo non è facile. Pesa ancora la memoria del passato: dieci secoli di violenta contrapposizione hanno visto da parte degli arabi e dei turchi i ripetuti tentativi di invadere l’Europa e da parte dell’occidente le crociate medievali e la moderna colonizzazione forzata. Oggi la civiltà occidentale, secolarizzata, individualista e consumista, penetra nel mondo islamico e lo corrode dal di dentro, suscitando la reazione dell’integralismo musulmano, che coinvolge nella stessa avversione anche il cristianesimo. Del resto la difficoltà del dialogo non nasce solo da situazioni storiche contingenti.
[602] L’islam attinge vari motivi polemici nello stesso Corano. Accusa ebraismo e cristianesimo di aver corrotto le Sacre Scritture. Rifiuta le verità cristiane fondamentali: la Trinità, l’incarnazione e la redenzione. Esalta Gesù, ma solo come uomo santo e grande profeta.
[603] Comune alle due religioni è la giusta preoccupazione che la fede non sia separata dalla vita e che ogni attività sia sottomessa alla volontà di Dio. Ma ciò non giustifica una legislazione minuziosa, che pretenda regolare le cose una volta per sempre: ne rimarrebbero facilmente soffocate le esigenze concrete dell’amore e del servizio all’uomo; ci si esporrebbe all’incompatibilità con nuove situazioni impreviste. Tantomeno comporta la confusione tra lo spirituale e il temporale, con la conseguente giustificazione dello stato teocratico islamico, così diverso dal moderno stato democratico.
Riconosciamo che i musulmani tradizionalmente hanno praticato una certa tolleranza nei confronti di cristiani ed ebrei, conferendo loro uno speciale statuto di ospiti protetti. Ma oggi la dignità della persona umana e il riconoscimento dei suoi diritti esigono la piena cittadinanza per le minoranze, la libertà di coscienza per tutti, la parità sociale dell’uomo e della donna, offuscata tra l’altro dalla poligamia.
Condividiamo la valutazione positiva della vita terrena, della prosperità economica, della giustizia sociale, del progresso culturale. Ma non possiamo vedere nel successo temporale il segno sicuro della benedizione di Dio. Rimarrebbe senza significato l’esperienza umana fondamentale della sofferenza.
[604] Sono innegabili nella tradizione islamica gli alti valori morali e religiosi che alimentano la vita spirituale di milioni e milioni di uomini. Non manca però in campo etico qualche concessione di troppo alla debolezza umana. Soprattutto il rapporto con Dio è inteso come sottomissione e non come amore. Fanno eccezione i mistici; ma essi si trovano ai margini dell’ortodossia ufficiale.
Malgrado le profonde divergenze, cristianesimo e islam si incontrano nella fede in un solo Dio, onnipotente e misericordioso. Il grido: «Dio è grande!», che ha così profonda risonanza nei musulmani, affascina anche i cristiani. Animati da questa fede, gli uni e gli altri possono camminare insieme verso un’attuazione più piena della libertà, della fraternità, della convivenza pacifica.
[605] In tutte e tre le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, si sviluppano esperienze che superano le dottrine ufficiali e vanno in direzione dell’unione amorosa con Dio, sia presso i mistici che presso la gente devota. Ci rallegriamo di riconoscere in ciò un’importante affinità con il cristianesimo, un segno della presenza di Cristo stesso e della sua grazia.
La cultura oggettiva
[1154]  In un gruppo umano molti soggetti che parlano creano a poco a poco una lingua. Così, più globalmente, molti soggetti che comunicano e cooperano creano una cultura, cioè un insieme organico di significati e di forme, un loro «modo di fare uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 53.
, un loro stile di vita e una loro scala di valori.
La cultura è un sistema di elementi in relazione tra loro e in continua evoluzione storica: elementi interpretativi come la lingua, la letteratura, l’arte, lo spettacolo, la scienza, la filosofia, l’etica, la religione; elementi sociali come i costumi, le leggi, le istituzioni; elementi operativi come la tecnica, l’economia, i manufatti. Vi si incarnano il senso generale della vita e le esperienze fondamentali della famiglia, dell’amicizia, della convivenza, del lavoro, della bellezza, della sofferenza, della morte e della divinità. Ogni popolo vi trova la sua identità, la sua anima collettiva, il suo patrimonio prezioso accumulato di generazione in generazione
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 44.
.
Le culture sono molte e questa varietà è voluta da Dio, come un riflesso della sua multiforme sapienza. I tentativi di colonizzazione forzata sono contrari alla dignità delle persone e dei popoli. Le minoranze culturali hanno diritto a speciale rispetto e sostegno. Tuttavia le culture devono mantenersi aperte e integrarsi liberamente tra loro, attivando uno scambio e un dialogo incessante.
Fede e cultura
[1155] Una cultura consapevole dei suoi limiti e disponibile alla ricerca non solo è feconda, ma anche adatta a ricevere il vangelo. Viceversa una cultura chiusa nella propria autosufficienza rende più difficile l’adesione a Cristo, a prescindere dal fatto che sia di qualità rozza o raffinata.
L’evangelizzazione, da parte sua, se vuole essere efficace, deve inserirsi nella cultura e negli interessi vitali di ogni popolo, ovviamente senza tradire la verità del messaggio cristiano. «L’evangelizzazione perde molto della sua forza e della sua efficacia se non tiene in considerazione il popolo concreto al quale si rivolge, se non utilizza la sua lingua, i suoi segni e simboli, se non risponde ai problemi da esso posti, se non interessa la sua vita reale. Ma d’altra parte l’evangelizzazione rischia di perdere la propria anima e di svanire, se il suo contenuto resta svuotato o snaturato col pretesto di tradurlo»
nota
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 63.
.
Penetrando in un determinato mondo culturale, il vangelo lo trasforma profondamente dall’interno, valorizza gli elementi positivi e contesta quelli negativi. Evangelizzare significa «portare la buona novella in tutti gli strati dell’umanità e... rendere nuova l’umanità stessa..., raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno della salvezza»
nota
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 18-19.
. «Indipendenti di fronte alle culture, il vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna»
nota
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 20.
.
[1156] Dio comunica con l’uomo in modo umano secondo una dinamica di incarnazione, il divino si esprime nell’umano e l’umano viene assunto nel divino. La parola di Dio non si confonde con la cultura; ma neppure si separa da essa.
30-555.pngSempre viene a noi, inserita in qualche forma culturale, e si trasmette da una cultura all’altra attraverso un processo di donazione e di accoglienza, di purificazione e di rinnovamento, esplicitando sempre più la sua inesauribile ricchezza di significato e di vita.
“Solo all’interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e creatrice di storia”
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 44.
, rielaborando il patrimonio precedente, sviluppando idee e opere nuove.
L’unica fede si incarna in culture diverse. E queste in varia misura possono dirsi cristiane. Al loro interno assumono forme peculiari anche le espressioni più direttamente ecclesiali: formulazioni dottrinali, scelte pastorali, riti liturgici e devozioni popolari.
Nel mondo occidentale contemporaneo l’eredità culturale della modernità convive con la nuova mentalità postmoderna, caratterizzata dal disorientamento riguardo alla verità e ai valori, dalla diffidenza per le teorie e i progetti totalizzanti, dal ripiegamento sulle esperienze frammentarie, individuali, provvisorie.
In tale contesto l’evangelizzazione esige molteplici attenzioni: liberarsi da rappresentazioni e comportamenti legati a epoche passate, accogliere, contestandone però le interpretazioni ambigue e unilaterali, i valori della modernità, che del resto hanno radici cristiane, come i diritti dell’uomo, la pari dignità della donna, la giusta autonomia delle realtà terrene; tenere desto il dialogo sul mistero dell’uomo e sulla necessità di ancorare la libertà alla verità; proporre la verità di Cristo, che coincide con la carità, mediante l’esperienza vissuta dell’amore reciproco e dell’amore preferenziale ai poveri, perché la sua bellezza desti meraviglia e dia significato ad ogni dimensione della vita; sviluppare una solida identità cristiana, aperta però a dialogare con tutti, a dare e a ricevere, a rinnovarsi incessantemente; favorire lo scambio tra le culture, aprendole ai valori universali, in modo che si possa formare una cultura planetaria, in cui le singole identità culturali siano rispettate e valorizzate. Assumendo tali atteggiamenti, i cristiani testimoniano che i beni dell’uomo hanno il loro ultimo fondamento in Cristo e che “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui… e tutte sussistono in lui” (Col 1, 16-17).
[1157] La cultura è un bene fondamentale, necessario alla vita e alla crescita dell’uomo, un patrimonio comune dal quale ogni persona attinge e al quale porta il suo contributo.
Ogni cultura è chiamata ad aprirsi al dialogo interculturale e all’incontro con il vangelo.
Dialogo vivo con Dio
[957] I gesti, con cui l’uomo rivolge consapevolmente l’attenzione alla divinità e invoca il suo aiuto per avere vita e felicità, occupano da sempre un posto centrale nelle religioni. Alla luce della rivelazione sappiamo che l’uomo cerca Dio perché Dio cerca l’uomo e lo attrae a sé.
CdA, 20
CONFRONTAVAI
[958] Nell’Antico Testamento Dio si fa interlocutore personale del suo popolo mediante una storia di eventi e parole; crea un legame speciale di alleanza. La preghiera è ascolto della sua parola e risposta ad essa; è dialogo in cui, al di là della dipendenza creaturale, viene vissuto consapevolmente il rapporto di alleanza.
Abramo vive l’intimità con Dio come ascolto attento, obbedienza, abbandono fiducioso nelle prove e intercessione audace per i peccatori. Mosè, confidente e cooperatore di Dio, presenta le sue difficoltà, ma obbedisce; intercede con perseveranza per il popolo. I profeti hanno un’esperienza diretta di Dio, che li sostiene in mezzo alle tribolazioni. Cercano appassionatamente il suo volto; lavorano e lottano per la sua causa. Chiamano Israele a una preghiera che non sia solo un insieme di cerimonie esteriori, ma conversione del cuore e osservanza dei comandamenti.
CdA, 44
CONFRONTAVAI
Dialogo filiale
[960] Gesù introduce nella storia la preghiera filiale: la vive in prima persona e la comunica ai credenti.
Prega molto durante la vita pubblica: loda e ringrazia il Padre, accoglie con prontezza la sua volontà.
Prega all’avvicinarsi dell’”ora” decisiva della morte e risurrezione. Elevando al Padre quella che giustamente viene detta “Preghiera sacerdotale”
nota
Cf. Gv 17,1.
, richiama tutto il disegno di Dio che si sviluppa nella storia della salvezza, dà voce all’anèlito universale verso la comunione trinitaria, perché tutto giunga a compimento.
Prega durante la passione: «Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà» (Eb 5,7).
Prega con una confidenza del tutto singolare, chiamando Dio: «Abbà» (Mc 14,36). Incarna nella sua esperienza umana l’atteggiamento del Figlio unigenito, eternamente rivolto al Padre.
CdA, 166
CONFRONTAVAI
CdA 168
CONFRONTAVAI
CdA 172-173
CONFRONTAVAI
CdA 293-294
CONFRONTAVAI
CdA 330
CONFRONTAVAI
Comunione consapevole
[965] In ogni religione la preghiera è il gesto centrale. Gesù stesso pregava a lungo, interrompendo la sua attività. Da che cosa nasce questa necessità vitale? Perché non basta dedicarsi con onestà e generosità agli impegni familiari e professionali e alle opere buone?
La vita non è solo efficienza e lavoro; è anche contemplazione, amicizia, gioco, festa. Nella preghiera l’uomo vive consapevolmente la dipendenza da Dio e l’amore per lui; ringrazia e loda per i doni ricevuti; chiede e si dispone ad accogliere quelli sperati. Più precisamente il cristiano attua consapevolmente la comunione filiale con Dio in Cristo, esprimendo l’atteggiamento fondamentale di fede, speranza e carità con modulazioni diverse secondo le situazioni, gioiose o tristi, individuali o comunitarie.
CCC, 2559-2565
Da persona a persona
[966]  La preghiera è il rapporto con Dio divenuto pienamente 25-469.png consapevole; per questo non manca mai in ogni autentica vita religiosa. Alcune tradizioni la intendono come colloquio con Dio, altre come rientro solitario in se stessi.
Per i cristiani, nella storia della salvezza Dio si rivela non come potenza anonima, ma come soggetto personale, che parla, ascolta, è sempre vicino. Pregare, allora, significa dialogare con lui da persona a persona, dargli del tu, mettersi davanti a lui faccia a faccia, cuore a cuore.
Si prega il Padre
[967]  Il nostro primo interlocutore è la prima persona della Santissima Trinità. Il cristiano, sia nella lode sia nella supplica, in definitiva si rivolge sempre a Dio Padre, principio senza principio della altre persone divine e di ogni dono partecipato alle creature. La sua preghiera, come tutta la sua vita, è sempre un andare al Padre insieme a Cristo nello Spirito
nota
Cf. Ef 5,19-20.
. Sostanziata di adorazione e di amore filiale, animata dallo Spirito e associata al sacrificio pasquale di Gesù, essa giunge gradita al cuore del Padre e lo fa trasalire di tenerezza.
CdA, 821-825
CONFRONTAVAI
Si prega con Cristo e si prega Cristo
[968]  Se il Padre è la meta, Gesù Cristo è «la via» (Gv 14,6). Egli associa alla propria preghiera quella della Chiesa e di tutta l’umanità. Ogni esperienza di orazione, dal balbettìo infantile alla contemplazione mistica, si compie nel suo nome.
Gesù intercede per noi come mediatore; ma come persona divina è anche destinatario della nostra preghiera; «prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi»
nota
Sant’Agostino,Commento ai Salmi, 85, 1.
. Già nel Nuovo Testamento si trovano preghiere rivolte a Gesù e la formula Marana tha (Signore vieni)
nota
Cf. 1Cor 16,22.
appartiene al primitivo strato aramaico della tradizione neotestamentaria, come Abbà. Tutte le tradizioni liturgiche successive contengono preghiere rivolte a Cristo. Merita anche di essere ricordata, per il grande rilievo che ha nella spiritualità orientale, l’invocazione del nome di Gesù, tramandata dai monaci del Sinai, di Siria, dell’Athos. La formula viene ripetuta con frequenza facendo riferimento al battito del cuore o al ritmo della respirazione: “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di me peccatore”. La nostra povertà di peccatori è avvicinata ai titoli della sua grandezza. A lui ci accostiamo come mendicanti fiduciosi nella sua misericordia.
Si prega nello Spirito e si prega lo Spirito
[969]  Lo Spirito Santo ci fa dire: «Abbà, Padre!» (Rm 8,15) e «intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,27). «Unisce tutta la Chiesa all’unica preghiera di Cristo e la rivolge al Padre»
nota
Messale Romano, Principi e norme, 8.
. È anche il dono fondamentale che dobbiamo chiedere
nota
Cf. Lc 11,13.
. Essendo poi persona divina, è interlocutore della nostra preghiera: non solo prega in noi e per noi, ma è pregato da noi. La liturgia contiene splendide invocazioni rivolte allo Spirito, come la sequenza di Pentecoste “Vieni, Santo Spirito”
nota
Cf. Messale Romano, Solennità di Pentecoste, Sequenza.
e l’inno “Vieni, Spirito creatore”
nota
Cf. Liturgia delle ore, Vespri della solennità di Pentecoste, Inno.
.
Si prega insieme ai santi e si pregano i santi
[970] In dipendenza da Cristo unico mediatore, anche i santi sono cooperatori e destinatari della nostra preghiera. Ci insegnano a pregare con l’esempio e gli scritti; lodano e supplicano Dio insieme con noi. Al di là della nostra consapevolezza esplicita, preghiamo sempre inseriti nella comunione universale in Cristo e mai come individui isolati. Siamo dunque accompagnati dai santi. Ma possiamo anche dialogare con loro, lodarli e supplicarli, perché sono persone. Non costituiscono uno schermo nei confronti di Dio e di Cristo. Lodandoli, celebriamo un frutto del mistero pasquale e un riflesso della bontà divina. Ricorrendo alla loro intercessione, riconosciamo umilmente che siamo indegni di presentarci davanti a Dio e abbiamo bisogno della solidarietà dei fratelli.
CCC, 2683-2684
[971]  Tra i santi ha una posizione singolare la Vergine Maria. È il modello della preghiera cristiana, intesa come ascolto, contemplazione, lode, intercessione. Accompagna, quasi in un perenne cenacolo, la preghiera della Chiesa
nota
Cf. At 1,14.
. A lei salgono sempre la lode commossa e la supplica fiduciosa. Insieme al “Padre nostro” la preghiera più familiare è l’”Ave Maria”, costituita appunto da un saluto gioioso di lode per le meraviglie che Dio ha compiuto in lei e per mezzo di lei, dandoci Gesù, e da una supplica, perché nella sua santità interceda per noi peccatori, per le nostre attuali necessità e per il momento decisivo della morte.
CdA, 792-794
CONFRONTAVAI
Si prega anche con il corpo
[972]  La preghiera cristiana è un dialogo a più voci, che ha l’ultimo riferimento in Dio Padre. A questo dialogo il credente non partecipa solo con la mente, ma con tutta la persona: intelligenza, volontà, affettività, corporeità. La preghiera nasce dal cuore, ma coinvolge anche il corpo. Gesù stesso prega a voce alta e con i gesti. L’adesione interiore a Dio si esprime e si sviluppa nel linguaggio del corpo, valorizzando numerosi simboli vocali, gestuali, ambientali.
Le parole spontanee, le formule, i testi sacri hanno evidentemente un grande rilievo. Entrano nella stessa orazione mentale. Perfino nella contemplazione una parola ripetuta serve a tenere desto l’amore.
La musica e il canto fanno vibrare intensamente le segrete profondità del cuore. Per questo in connessione con la liturgia si è formato un patrimonio immenso e meraviglioso di creazioni musicali.
I gesti sono simboli di atteggiamenti spirituali. Variano da una cultura all’altra, anzi da un’assemblea all’altra. I più comuni sono: le posizioni del corpo in piedi, seduto, in ginocchio, prostrato a terra; il movimento delle mani, il cammino processionale, la danza. Devono essere fatti con dignità, espressività e devozione.
Infine svolgono una funzione simbolica i luoghi, gli edifici sacri, l’arredamento, le immagini.
CCC, 1146-1148CCC 1156-1158CCC 2702
Immagini sacre
[973]  «Del Dio invisibile non fare nessuna immagine; ma quando tu vedi l’incorporeo divenuto uomo, fa l’immagine della forma umana; quando l’invisibile diventa visibile nella carne, dipingi la somiglianza dell’invisibile»
nota
San Giovanni Damasceno, Difesa delle immagini sacre, 1, 16.
. Dio è mistero invisibile. Direttamente in se stesso non è rappresentabile, ma si è reso visibile nel suo Figlio fatto uomo
nota
Cf. Gv 14,9.
. Il Cristo a sua volta riflette la sua perfezione su Maria, gli angeli e i santi, su ogni uomo e sull’intero mondo creato. Così dall’unica perfetta immagine derivano altre immagini viventi. Infine un’ulteriore derivazione sono da considerare le opere d’arte dipinte o scolpite, come una figura riflessa nello specchio. Le immagini artistiche rimandano dunque alle persone, a Cristo e quindi al mistero di Dio. La loro contemplazione non solo facilita la conoscenza, ma ravviva una comunione vitale, realizza un incontro, irradia una presenza. La loro mediazione non è solo didattica, ma anche cultuale. Si rivela particolarmente valida in una civiltà delle immagini, qual è la nostra. Ci dona un aiuto prezioso per pregare e ci invita a scoprire il volto di Dio negli uomini, nostri compagni di viaggio.
CCC, 1159-1162CdA, 753
CONFRONTAVAI
[974] La preghiera è colloquio di fede e di amore anzitutto con le Persone divine e poi con la Vergine Maria, gli angeli e i santi. In definitiva però è sempre rivolta al Padre, per lodarlo e supplicarlo. Coinvolge tutta la persona del credente, anche il suo corpo.