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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti

Bene 6 , 801 , 892-896 , 905-924

Ricerca coraggiosa
[6] Abbiamo un’acuta consapevolezza della nostra libertà. Ma la libertà non è forse sterile se non persegue obiettivi degni dell’uomo? Non si riduce a un vano agitarsi davanti alla morte? Per essere davvero liberi, non dobbiamo forse cercare la verità e il bene?
CdA, 801
CONFRONTAVAI
Liberi per poter rispondere
[801]  La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere. Anzitutto ci mette in grado di dargli una vera risposta: un sì o un no. Ci dona la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti, autodeterminazione, capacità di scelte consapevoli, non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Ci affida a noi stessi
nota
Cf. Sir 15,14.
: «Se vuoi, osserverai i comandamenti; l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere» (Sir 15,15).
Ma una scelta non è positiva solo perché è una scelta o perché dà un piacere immediato: molti delitti sono decisioni volontarie, molte esperienze piacevoli sono distruttive. La libertà arbitraria o che cerca solo un facile appagamento non fa crescere, non va in nessuna direzione, si agita soltanto. Il piacere non è un valore in sé, né un criterio legittimo di azione; è solo conseguenza di un obiettivo raggiunto e va considerato buono o cattivo secondo la qualità morale dell’obiettivo stesso. Contrariamente a quanto viene suggerito dalla mentalità edonistica, individualistica e nichilistica, siamo liberi per aderire alla verità e per attuare il bene: «La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo proprio consiglio, così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 17.
.
Una scelta è ragionevole solo se contribuisce alla definitiva realizzazione della persona. Noi da sempre siamo alla ricerca di una pienezza per la nostra vita. Possiamo realizzarci davvero, solo se rispettiamo l’ordine oggettivo dei beni, posto dalla divina sapienza, rimanendo sempre orientati al Bene infinito, l’unico che può appagare il nostro cuore, incapace di trovare riposo nelle soddisfazioni parziali e provvisorie
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 41.
. La nostra incessante ricerca «è ultimamente un appello del Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l’eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell’uomo»
nota
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 7.
.
CCC, 1730-1742
Contenuto
[892]  I precetti morali, in quanto riflettono il dinamismo stesso della vita proteso alla perfezione, esprimono un «ordine morale oggettivo»
nota
Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 7.
, necessario sia per darsi un progetto di esistenza personale significativo sia per dare fondamento alla convivenza pacifica della società. Sono determinanti per la valutazione morale delle singole azioni. La moralità di un atto umano dipende innanzitutto dal suo contenuto, «ordinabile o meno a Dio» e alla «perfezione della persona»
nota
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 78.
. Non si deve fare il male morale perché ne venga il bene
nota
Cf. Rm 3,8.
.
Intenzione
[893]  L’intenzione soggettiva che si aggiunge all’azione non può 22-432.pngriscattare un atto in se stesso disordinato: «Quanto agli atti che sono per se stessi dei peccati... chi oserebbe affermare che, compiendoli per buoni motivi, non sarebbero peccati?»
nota
Sant’Agostino,Contro la menzogna, 8, 18.
. L’eventuale intenzione soggettiva buona può al più attenuare la colpevolezza personale. Viceversa l’intenzione è di grande importanza quando si tratta di qualificare ulteriormente un atto che in se stesso è buono o indifferente; in tal caso i comportamenti esteriori acquistano significato dall’atteggiamento interiore, dal cuore.
Circostanze
[894] Analogamente le circostanze che accompagnano un atto e le conseguenze prevedibili che derivano da esso non possono renderlo onesto se è in se stesso disordinato. Possono però modificare la responsabilità personale, rendere disordinato un atto di per sé buono, aggravare ulteriormente un atto già in sé disordinato.
Il disordine intrinseco
[895]  Esistono atti intrinsecamente disordinati per il loro contenuto, indipendentemente dalle intenzioni e dalle conseguenze
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 80.
. Alcune azioni, come la bestemmia, l’apostasia, l’uccisione diretta di un innocente, i disordini sessuali, la falsa testimonianza, sono disordinate a prescindere dai danni o dai vantaggi che ne potrebbero derivare e dalle eventuali buone finalità di chi le compie.
[896] La moralità di un atto umano dipende innanzitutto dal suo contenuto oggettivo, poi dall’intenzione soggettiva, dalle circostanze e dalle conseguenze.
[905] Il cristiano cerca di avere uno sguardo limpido di fede, per poter giudicare e agire correttamente in ogni situazione. Cammina sulla via dell’amore a Dio e ai fratelli. I passi da fare di volta in volta gli sono suggeriti dallo Spirito attraverso la voce interiore della coscienza, convenientemente educata.
Coscienza e soggettivismo etico
[906] La libertà di coscienza, gelosamente rivendicata nella nostra cultura, costituisce un antidoto salutare nei confronti della opposta tendenza a considerare determinanti i condizionamenti psichici e sociali; rappresenta un’istanza preziosa contro la tentazione del conformismo e della manipolazione di massa. Spesso però viene fraintesa. Si arriva a considerare la coscienza come sorgente di verità e di valori. È sintomatico che nel nostro paese la Chiesa sia molto più apprezzata come benefica presenza in campo sociale che non come guida in ambito etico.
Interiorità morale
[907]  La coscienza è una realtà complessa. L’Antico Testamento non usa 23-441.pngquasi mai questa parola per indicare il centro intimo dell’uomo; si serve di un termine equivalente: cuore. Il cuore è la sede di pensieri, ricordi, sentimenti, desideri, progetti e decisioni, che poi emergono e traboccano all’esterno. Esso ha grande rilevanza morale. Con il cuore si distingue il bene dal male; si ama il Signore Dio e lo si tradisce; si ascolta la sua parola e la si respinge. Il cuore può essere indurito, traviato, sordo, cieco; oppure al contrario, per la grazia di Dio, può essere contrito, convertito, puro, nuovo.
L’insegnamento di Gesù, in conformità con l’Antico Testamento, pone il cuore al centro della vita morale. Dal cuore vengono i pensieri, le parole e le azioni, buone e cattive. Nel cuore nascono la fede e l’incredulità
nota
Cf. Mt 13,15. (cit. di Is 6,10);( Mc 11,23Lc 24,25.
. La nuova giustizia evangelica trascende l’osservanza esteriore; esige un cuore retto, purificato dall’orgoglio, dalla cupidigia, dalla lussuria, da ogni disordine: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). La luce interiore deve rischiarare l’intera condotta, come l’occhio limpido rischiara tutto il corpo e la lampada accesa sul candelabro rischiara la casa.
Nell’etica biblica il cuore si identifica in definitiva con l’uomo in quanto soggetto morale. Anche gli scritti apostolici del Nuovo Testamento si pongono su questa linea. Inoltre con lo stesso significato usano frequentemente la parola “coscienza”. La coscienza può essere buona o cattiva, macchiata o purificata, sincera o falsa, debole o forte. Nella coscienza tutti gli uomini, anche i pagani, portano scritta la legge morale: «Quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono» (Rm 2,15)
nota
Cf. 1Pt 3,21.
. La coscienza cristiana è l’uomo nuovo in Cristo, divenuto consapevole di sé nella fede. Egli vive «la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera» (1Tm 1,5). Attua le esigenze di essa, seguendo i suggerimenti dello Spirito Santo
nota
Cf. Rm 8,5-9.
, cercando di «discernere la volontà di Dio» (Rm 12,2) nelle situazioni concrete, vigilando su tutta la sua condotta. Nella coscienza si fa sentire la chiamata di Dio, che propone sia i valori e le norme, che orientano il cammino, sia gli appelli personali, che indicano i singoli passi da compiere.
Risonanza di Dio
[908]  La coscienza comanda in nome di Dio: è questa la sua prima 23-442.pngfunzione: «È come l’araldo e il messaggero di Dio; ciò che dice non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l’editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha forza di obbligare»
nota
San Bonaventura da Bagnoregio, Commento al II libro delle Sentenze, d. 39, a. 1, q. 3 ad 3.
. In quanto risonanza interiore della norma suprema che è la divina volontà, la coscienza diventa a sua volta «norma prossima degli atti umani»
nota
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Teologia morale, Libro I, 1, 1, 1.
.
Questa dottrina ha ricevuto un’autorevole formulazione nel concilio Vaticano II: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro... La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 16.
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Percezione dei principi e giudizio operativo
[909]  La coscienza ha un contenuto che si estende dai principi generali alle indicazioni sui singoli atti. Comanda anzitutto ad ogni uomo di fare il bene e di evitare il male. Per il cristiano questo significa vivere secondo la verità di Dio, che è amore, e dell’uomo, che è sua immagine; comporta l’obbedienza filiale alla volontà del Padre e l’osservanza del comandamento fondamentale della carità. «La carità è l’unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato»
nota
Beato Isacco della Stella, Discorsi, 31, 21.
.
Poiché il bene si concretizza in molti beni o valori, la prima obbligazione si traduce in varie leggi morali universali, che vengono conosciute per via di intuizione e di riflessione e insegnamento. Ancora: dato che i valori si incarnano di volta in volta nei singoli atti, la coscienza attua un discernimento per identificare ciò che è doveroso o conveniente qui e ora. Procede con prudenza, ponendo a servizio della carità non una pavida cautela, ma una sapiente e coraggiosa creatività, in modo da poter mettere in opera i mezzi idonei a raggiungere il fine.
Il discernimento si conclude con il giudizio pratico concretissimo sulla bontà o malizia dell’azione che si sta per compiere. Attraverso il giudizio morale da noi formulato, Dio stesso ci interpella, in alcune situazioni con un comando, in altre con un consiglio o un invito. Ad ognuno rivolge la chiamata ad amare in modo personalissimo, mediante i diversi doni di natura e di grazia che elargisce nel mutevole intreccio delle relazioni e degli avvenimenti.
Soggetto responsabile
[910] Mediante la coscienza ci raggiunge l’appello di Dio; mediante la coscienza si attua la nostra risposta. Al giudizio pratico sul singolo atto segue la nostra decisione. Può essere obbedienza a Dio o disobbedienza: una scelta che ci qualifica come soggetti moralmente positivi o negativi.
La coscienza comanda; la coscienza ubbidisce o rifiuta di ubbidire; infine la coscienza giudica. Nel momento in cui prendiamo la nostra decisione, siamo consapevoli di agire bene o di agire male. Se scegliamo il bene, siamo in pace perché ci sentiamo in armonia con noi stessi, con la nostra tendenza fondamentale e con Dio. Se invece scegliamo il male, proviamo rimorso, cioè un’intima lacerazione, perché ci sentiamo in contraddizione con noi stessi e con Dio. Pace e rimorso si prolungano successivamente nel tempo, perché il giudizio della coscienza rimane come giudizio sull’azione già compiuta. Si possono riflettere anche sull’aspetto esteriore: «Il cuore dell’uomo cambia il suo volto o in bene o in male» (Sir 13,25).
[911] La coscienza è appello personale da parte di Dio nella singola situazione concreta. Simultaneamente è giudizio dell’uomo su un atto da compiere, che si sta compiendo o che già è stato compiuto, e implicitamente giudizio su se stesso in relazione al fine ultimo.
Esercizio complesso
[912]  «Bada che la luce che è in te non sia tenebra» (Lc 11,35). La coscienza non è la norma suprema, ma la norma prossima; non è propriamente la parola stessa di Dio, ma la 23-444.pngsua eco in noi. Perciò non è infallibile. Può sbagliare nell’identificare i valori e ancor più nel discernere i singoli atti. Non basta dire: «Io seguo la mia coscienza». Prima di tutto bisogna cercare la verità. Per conoscere la verità sul bene morale, occorrono un cuore retto e un giudizio prudente. Vi è coinvolta la personalità intera: intelligenza, volontà, sentimento, esperienza, sapere e fede.
«Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). La coscienza deve essere educata e purificata. L’appello di Dio viene riconosciuto solo da chi sa ascoltare.
Se uno non vive quello che crede, finisce per credere quello che vive. «La coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 16.
. I valori appaiono deformati e sproporzionati, come un dito che, avvicinato all’occhio, appare enorme e quasi non lascia vedere altro. Occorre uno sguardo di fede limpido, aperto alla verità e all’obbedienza.
[913]  L’itinerario di formazione della coscienza retta si compone di molti elementi: ravvivare spesso la totale disponibilità alla verità e al bene; essere pronti a lasciarsi mettere in discussione; liberarsi da orgoglio, egoismo e affetti disordinati, pregiudizi e cattive abitudini; alimentare con la preghiera un atteggiamento di disponibilità allo Spirito Santo, che sostiene il nostro cammino spirituale con i suoi doni; coltivare la familiarità con la parola di Dio
nota
Cf. 2Tm 3,16.
; aderire al magistero del papa e dei vescovi; partecipare a una concreta esperienza ecclesiale; acquisire una sufficiente conoscenza dell’etica cristiana; informarsi accuratamente sui casi concreti e valutarli secondo criteri di fede, di carità, di conformità alla propria vocazione; consultarsi nelle scelte più importanti o più difficili con persone sagge e prudenti. Segno di rettitudine può essere la consolazione spirituale, risonanza vitale positiva della comunione con Dio. Ma la grazia non si misura con il sentimento. Anche la desolazione può venire da Dio.
La coscienza retta e certa
[914]  La coscienza impegnata seriamente nella ricerca del vero bene arriva ordinariamente a formulare un giudizio prudente sulla bontà o meno di una scelta. Si ha allora la coscienza retta e certa, alla quale si deve sempre obbedire, anche se obiettivamente fosse erronea e confondesse il bene con il male: «Nulla è immondo in se stesso; ma, se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo» (Rm 14,14). Dio vuole che noi facciamo il bene così come lo conosciamo. La coscienza erronea in buona fede conserva tutta la sua dignità perché, pur sbagliando nell’identificare il bene concreto, si mantiene fedele alla volontà fondamentale di Dio, che comanda di fare il bene e di evitare il male. Ciò non toglie comunque che il male resti male e che l’errore possa causare danni.
CCC, 1790-1794
[915]  Quando invece la coscienza rimane dubbia, bisogna rinviare la decisione, altrimenti ci si rende disponibili a compiere il male. Se un cacciatore spara al bersaglio nell’incertezza che si tratti di un animale o di un uomo, diventa colpevole di omicidio, anche se effettivamente colpisce solo un animale. Tutto quello che non viene da una convinzione interiore in spirito di fede è peccato
nota
Cf. Rm 14,23.
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Non si richiede tuttavia una certezza assoluta, impossibile da raggiungere nella prassi, ma solo una certezza prudente, che escluda il timore ragionevole di sbagliare. Anzi, anche quando non si riesce a risolvere il dubbio, si può almeno raggiungere una certezza pratica indiretta, ricorrendo a regole generali di prudenza come queste: finché non si prova il contrario si presume il buon diritto del possessore, dell’accusato, del superiore, di ciò che è tradizionale e ordinario, di ciò che è favorevole; una legge dubbia non obbliga, perché non è in grado di indicare il valore morale.
[916] A volte si verifica la situazione di coscienza perplessa, quando uno erroneamente pensa di essere tenuto a due obblighi incompatibili tra loro e di peccare qualunque cosa faccia. In tal caso, se la decisione non può essere rimandata, si deve scegliere ciò che sembra il male minore.
[917] Siamo responsabili davanti alla nostra coscienza, perché è il portavoce di Dio, ma siamo anche responsabili della nostra coscienza, perché deve essere educata.
Norma morale e responsabilità
[918]  Gli atti propriamente umani, di cui siamo responsabili, sono quelli coscienti e liberi. Perché la responsabilità nel bene e nel male sia 23-446.pngcompleta, sono necessari la piena avvertenza e il deliberato consenso. L’avvertenza non si riduce a un sapere teorico, facile da acquisire con una informazione nozionistica. Comporta che la norma sia compresa come espressione di un valore ed esigenza di un’autentica crescita. Presuppone una complessa educazione, fatta di ascolto, riflessione e verifica esperienziale.
Certo, la legge di Dio vale per tutti. Non c’è «gradualità della legge», ma «legge della gradualità»
nota
Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 34.
. A nessuno è lecito assumere la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa è bene e che cosa è male. Anzi sappiamo che Cristo «ci ha donato la possibilità di realizzare l’intera verità del nostro essere»
nota
Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 103.
.
Tuttavia di fatto c’è una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene: «L’uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita»
nota
Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 34.
.
Cammino graduale
[919]  La responsabilità personale di ciascuno è proporzionata alla sua attuale capacità di apprezzare e volere il bene, in una situazione caratterizzata da molteplici condizionamenti psichici, culturali, sociali. Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è possibile. Non si tratta di abbassare la montagna, ma di camminare verso la vetta con il proprio passo. L’educatore deve proporre obiettivi proporzionati, senza debolezza e senza impazienza. Il primo impegno da esigere è la preghiera, che è possibile a tutti: «Dio non comanda cose impossibili, ma comandando ti impegna a fare quello che puoi, a chiedere quello che non puoi»
nota
Sant’Agostino, La natura e la grazia, 43, 50.
, «e ti aiuta perché tu possa»
nota
Concilio di Trento, Sess. VI, Decr. Sulla giustificazione, 11 - DS 1536.
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[920] Disordine morale oggettivo e peccato personale non vanno confusi. Lo stesso grave disordine può essere peccato mortale in alcuni, veniale o inesistente in altri, secondo che la loro responsabilità sia piena, parziale o nulla. La Chiesa è maestra e madre: da una parte insegna con fermezza la verità; dall’altra cerca di comprendere la fragilità umana e la difficoltà di certe situazioni.
CdA, 836
CONFRONTAVAI
[921] La norma morale è uguale per tutti, ma la responsabilità è propria di ciascuno e proporzionata alla concreta capacità di riconoscere e volere il bene.
Diritto alla libertà di coscienza
[922]  Nella cultura moderna si è affermata la distinzione tra dimensione politica e dimensione etico-religiosa. Lo stato democratico, fatte salve le necessità dell’ordine pubblico, non interferisce nella sfera delle scelte personali. Si tratta di un’evoluzione sostanzialmente positiva, conforme alla concezione cristiana dell’uomo. Nessuno deve essere discriminato a motivo delle proprie convinzioni. Gli uomini sono tenuti a cercare e ad accogliere la verità; ma devono farlo liberamente, attraverso l’educazione e il dialogo, secondo la loro dignità di persone e la loro natura sociale
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae, 2; 3.
. La coscienza va rispettata anche quando sbaglia
nota
Cf. Rm 14,3-4.
: «Bisogna tirar una linea, anzi un gran muro di separazione fra l’errore e l’errante, impugnando quello, e questo rispettando ed amando»
nota
A. Rosmini, Apologetica, Prefazione.
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È compito della Chiesa promuovere la formazione di coscienze adulte e responsabili, dando così un contributo prezioso al bene della stessa società civile. È facile intuire quanto un robusto senso morale e una viva consapevolezza dei valori di dignità della persona, libertà, solidarietà, sacralità della vita, stabilità della famiglia giovino alla pacifica convivenza.
Obiezione di coscienza
[923] La coscienza cristiana a volte contesta qualche legge particolare; non intende però contestare lo stato come tale, almeno quando è democratico e rispetta i diritti fondamentali della persona. L’obiezione di coscienza, mettendo in luce i limiti e i rischi di qualche soluzione approvata dalla maggioranza, richiama l’attenzione sul fatto che non sempre ciò che è legale è anche morale, e in definitiva favorisce l’ulteriore crescita umana della società.
[924] Gli uomini non devono essere forzati ad agire contro la propria coscienza né essere impediti di agire in conformità ad essa, purché rispettino l’ordine pubblico e la giustizia.