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CONFRONTA I TESTI DEI CATECHISMI

CATECHISMO DEGLI ADULTI

Decimo comandamento
[890]  Il decimo comandamento “Non desiderare la roba d’altri” educa alla povertà del cuore e ai desideri dello Spirito. Proibisce l’invidia e la cupidigia dei beni altrui, da cui derivano furti, rapine, frodi, ingiustizie e violenze.
CCC, 2534-2550CdA, 1112-1143
CONFRONTAVAI
CATECHISMO DEGLI ADULTI
1112 - 1143

[1112] Il cristiano vive il lavoro e il riposo come un dono di Dio, libero dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere, che accecano il cuore e portano a sfruttare i più deboli. Condivide volentieri i beni con gli altri; si impegna perché la dignità e i diritti della persona umana vengano posti a fondamento dell’ordine economico e perché sia rispettato l’ordine armonioso della natura.
Dimensione costitutiva dell’uomo
[1113] In alcuni paesi, tra cui il nostro, l’eccezionale sviluppo scientifico, tecnico, economico degli ultimi due secoli ha prodotto una situazione di prosperità. Si accumulano capitali, tecnologia, esperienza imprenditoriale e amministrativa, redditi, consumi. È la civiltà del lavoro e del benessere, ricca di valori e di ambiguità, le cui radici traggono alimento dalla stessa tradizione cristiana.
CCC, 307CCC 373CCC 2415
[1114]  Il lavoro, finalizzato a prendere possesso dell’ambiente, è per la Bibbia una dimensione costitutiva dell’uomo, come la sessualità e la socialità: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Gen 1,27-28).
Avendo creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, Dio non lo chiama solo a lavorare, ma anche a riposare. Egli infatti, nel realizzare l’opera della creazione, lavora e riposa
nota
Cf. Gen 2,2-3.
. Secondo la rappresentazione simbolica del linguaggio mitico, sei giorni lavora e il settimo giorno riposa: questo significa che il suo agire è sovranamente libero, produttivo di perfezione e di bellezza, gratificante. L’uomo partecipa al lavoro e al riposo di Dio: ambedue sono per lui una benedizione e un dono, ambedue fecondi di vita e necessari per affermare la dignità e il primato della persona umana sopra le altre creature visibili.
Soggiogare la terra e dominare gli animali dell’acqua, dell’aria e del suolo vuol dire prendere possesso dell’ambiente e governarlo. Lo stesso concetto esprimono le immagini di custodire e coltivare il giardino e di imporre il nome a tutti gli animali. Si tratta di rispettare l’ordine posto in essere dal Creatore e di svilupparlo a proprio vantaggio, scoprendo progressivamente e usando con responsabilità le risorse della natura, per soddisfare i bisogni propri, della famiglia e della società. È l’impresa grandiosa della scienza e del lavoro per umanizzare il mondo, farne la degna dimora dell’uomo, una casa di libertà e di pace.
[1115]  Il lavoro è nello stesso tempo necessità vitale e affermazione di 29-535.png libertà, segno di dipendenza e di trascendenza rispetto alla natura. Solo l’uomo lavora, perché, a differenza degli animali, è soggetto intelligente, capace di progettare e operare creativamente. Mentre produce cose utili, sviluppa anche la sua umanità, un insieme di importanti valori: iniziativa, coraggio, realismo, tenacia, ordine, solidarietà. Esprime e attua la sua dignità di persona. Si può così parlare di un diritto dell’uomo al lavoro: «La libertà medesima, respiro della persona, è, in certo modo..., condizionata da queste primordiali esigenze: del lavoro e del pane»
nota
G. La Pira, L’attesa della povera gente, 20.
.
Perché il lavoro possa rivelare e mantenere il suo senso, non deve assorbire tutte le energie. Deve lasciare spazio alla contemplazione, all’amicizia, alla famiglia, al gioco. Ecco la necessità del riposo, finalizzato non tanto a reintegrare le forze fisiche in vista di una nuova fatica, quanto a consolidare le motivazioni fondamentali dell’esistenza. Ed è molto opportuno, anzi indispensabile, che questo riposo si concentri particolarmente in un giorno di festa, per celebrare comunitariamente la bellezza della vita e sperimentare insieme la benevola vicinanza di Dio.
Valore sfigurato e restaurato
[1116]  Il credente accoglie le creature come dono dalle mani di Dio, come beni adatti a soddisfare i bisogni dell’uomo, ad accrescere le sue possibilità di vita. Secondo la Bibbia, le ricchezze sono una benedizione del Signore, anche se di minore importanza rispetto ad altri benefici, quali la sapienza, la giustizia, la pace dell’anima. Disprezzarle sarebbe meschinità di spirito, forse invidia e risentimento.
Lavoro e possesso vengono sfigurati dal peccato, ma la valutazione di fondo resta positiva. Fatica, amarezza e rischio di sterilità fanno sentire il loro peso: «Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te... Con il sudore del tuo volto mangerai il pane» (Gen 3,17-19). Ma questa maledizione non annulla la benedizione originaria. Il lavoro diventa un bene arduo, ma resta pur sempre un bene, via insostituibile per affermare la dignità dell’uomo e il suo primato sul mondo visibile. Anzi la difficoltà costituisce una sfida e un’occasione per crescere in umanità. Di qui l’alta considerazione che la Bibbia e la tradizione cristiana riservano alla virtù della laboriosità.
Ma la laboriosità, per essere autentica, deve accompagnarsi con l’impegno per la giustizia, per un ordine economico-sociale in cui il lavoratore resti soggetto libero, signore e non schiavo. Il peccato crea un disordine strutturale, che tende a ridurre l’uomo a puro strumento di produzione, a forza lavoro. Gli ebrei in Egitto vengono assoggettati a un lavoro duro, monotono e sfruttato, un lavoro senza senso e senza riposo. Dio però libera gli oppressi, restituisce un senso al lavoro e concede il riposo
nota
Cf. Es 3,7-10.
. Il giorno di festa sarà memoria efficace della liberazione donata dal Signore, perno di una società libera e solidale, protezione per la dignità dei più deboli
nota
Cf. Dt 5,12-15.
.
CCC, 400
[1117]  Il Signore Gesù, con la sua umile fatica di operaio, il suo ministero pubblico e la sua croce e risurrezione, risana e perfeziona definitivamente la dignità e il primato della persona umana anche nell’ambito del lavoro. La Chiesa ne è consapevole fin dalle origini: «Non c’è più schiavo né libero..., poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28); «Lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore» (1Cor 7,22). Il lavoro assume un più alto significato: «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità» (Col 3,23-24).
Chi lavora con amore, nel rispetto della dignità di ogni persona, non solo contribuisce al progresso terreno, ma anche alla crescita del regno di Dio. Prolunga l’opera del Creatore e coopera all’attuazione del disegno della Provvidenza nella storia, associandosi al Cristo redentore
nota
Cf.Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 34.
. Si avvicina a Dio, facendo propria la pienezza di senso da lui data al lavoro. Ma per viverla consapevolmente e coerentemente, ha bisogno di un’adeguata formazione, di momenti di spiritualità. In particolare, ha bisogno del riposo e della festa, dono di Dio come il lavoro.
Il tempo libero
[1118] Oggi il tempo lasciato libero dal lavoro produttivo è cresciuto notevolmente dal punto di vista quantitativo ed è destinato a crescere ancora. È un fenomeno di per sé positivo. Il tempo libero risponde a un bisogno profondo della persona ed è una realtà che ha in se stessa il proprio scopo e valore, in quanto espressione di creatività, convivialità e spiritualità. Sua destinazione dovrebbero essere la preghiera personale e comunitaria, la formazione culturale, la contemplazione della natura e dell’arte, la ricreazione e il gioco, la famiglia, l’amicizia, la solidarietà sociale.
Purtroppo la logica della produzione e del profitto invade anche il tempo libero e soffoca la creatività personale. Ne derivano insoddisfazione e tensione, tanto che si avverte la necessità di “liberare” il tempo libero. Occorre una saggia educazione al turismo, al divertimento, allo sport, all’uso dei mezzi della comunicazione sociale.
CdA, 658
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CdA 883
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[1119] «Sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro... Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo» (Es 20,9-11).
L’ansia di produrre e possedere
[1120] La qualità più considerata nella nostra cultura è la capacità professionale. Si tratta indubbiamente di un valore autentico. Ma facilmente può degenerare in assillo produttivo, smania di guadagnare, ambizione di carriera e ricerca del successo ad ogni costo. Il potere e la ricchezza diventano misura di riuscita personale, modello di vita proposto e riproposto dai mezzi di comunicazione. Si è qualcuno se si è professionisti altamente specializzati, se si possiede una seconda casa, una seconda macchina, se si frequentano certi ambienti raffinati, eleganti, se si fanno certi viaggi. I più deboli finiscono inesorabilmente emarginati dalla concorrenza. Si affonda nel materialismo pratico, incapaci di amore disinteressato, indifferenti verso Dio, spiritualmente ciechi.
La Chiesa contesta decisamente questa mentalità: «Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro»
nota
Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 6.
. L’uomo non vale per quello che produce o possiede o consuma, ma per se stesso
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 35; Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 12.
. È il messaggio che viene dalla rivelazione biblica.
La “disumana ricchezza” nella Bibbia
[1121]  La condanna della ricchezza disumana attraversa tutto l’Antico Testamento. L’avidità rende ansiosi di accumulare, magari con la frode e la prepotenza; sfrutta i poveri o li umilia con lo spreco ostentato. I ricchi confidano nei loro mezzi; non si curano di Dio, lo dimenticano e lo rinnegano. «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono» (Sal 49,21). «Chi confida nella propria ricchezza cadrà» (Pr 11,28).
Nel Nuovo Testamento, Gesù invita a confidare in Dio, Padre sempre premuroso e vicino, e a vivere nel presente liberi dall’ansia per il domani. L’uomo vale assai più dei beni materiali e del potere. 29-538.pngÈ stoltezza far dipendere il proprio valore e la propria salvezza dalla ricchezza accumulata. La salvezza, come il Maestro sottolinea in casa delle due sorelle Marta e Maria, viene dall’abbandono fiducioso alla parola di Dio e non dall’attivismo pieno di affanni. Anzi, «la preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto» (Mt 13,22). Il cuore appesantito dai beni e sedotto dai piaceri diventa insensibile al prossimo e sordo alla voce dello Spirito: «Nessuno può servire a due padroni...: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24). La ricchezza è un padrone spietato che sbarra la strada verso il Regno.
Lavoro e ricchezza, pur essendo certamente dei beni, non danno senso alla vita. Sono essi piuttosto a ricevere senso dalla comunione con Dio e con i fratelli. Il cristiano si guarda dalla bramosia del possesso, da «quella avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3,5); lavora in pace, vive con sobrietà. Chi eccelle solo per l’entità di guadagni o dei consumi non costituisce per lui un modello; gli appare carente di umanità e schiavo delle cose, posseduto dalle ricchezze più che capace di possederle
nota
Cf. San Basilio di Cesarea, Sui ricchi; Sant’Ambrogio, La storia di Nabot, 13, 54.
, meritevole del rimprovero di san Basilio: «Tu sei veramente povero, anzi, privo di ogni vero bene. Sei povero di amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne»
nota
San Basilio di Cesarea, Sull’avarizia, 6.
.
CdA, 146
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[1122]  Il cristiano, al contrario, è convinto che «diviene più ricco l’uomo misericordioso, quando comincia ad avere di meno per donare ai poveri»
nota
San Massimo di Torino,Discorsi, 71, 44.
. Assume come ideale il povero delle beatitudini evangeliche: più bisognoso di Dio e degli altri che delle cose, mite e alieno da aggressività e concorrenza sleale, puro di cuore e capace di ammirare la bellezza, godere l’amicizia e accogliere la parola che salva. Egli modera l’istinto di possesso
nota
Cf. 1Tm 6,8-10.
; educa i suoi desideri; rifiuta l’attivismo esasperato, lo spreco consumista, lo sfruttamento degli altri; gli fa orrore la pratica dell’usura, che procura sofferenze gravissime alle famiglie e umilia la dignità e i diritti delle persone.
CdA, 147
CONFRONTAVAI
[1123] La “disumana ricchezza” mette le cose al posto di Dio, è idolatria; impedisce di aiutare il prossimo, chiude nell’egoismo; fissa l’attenzione sui vantaggi immediati, rimuove il pensiero della vita futura. Essa è povertà interiore, mentre la povertà evangelica è ricchezza interiore.
Economia di comunione
[1124] I beni di questo mondo possono rendere il cuore insensibile a Dio e al prossimo, ma possono anche diventare strumento di comunione.
L’Antico Testamento riconosce il diritto alla proprietà privata e comanda di non rubare, non desiderare i beni del prossimo
nota
Cf. Es 20,1517.
e non spostare i confini in maniera fraudolenta
nota
Cf. Dt 19,14.
. Nello stesso tempo stabilisce precisi oneri sociali a carico della proprietà: la spigolatura, le decime, l’anno sabbatico, l’anno giubilare
nota
Cf. Lv 25,8-17.
, il dovere dell’elemosina
nota
Cf. Dt 15,7-11.
. I beni che il Creatore ha affidato al genere umano, non possono essere posseduti egoisticamente, ma devono essere condivisi e tornare a vantaggio di tutti.
Gesù urge con forza questa esigenza: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33). Chi si converte, come il pubblicano Zaccheo, dona almeno una parte consistente dei suoi beni
nota
Cf. Lc 19,1-10.
.
L’apostolo Paolo esorta i cristiani a lavorare alacremente, per non essere di peso agli altri
nota
Cf. 1Ts 4,12.
e per aiutare «chi si trova in necessità» (Ef 4,28). Raccomanda di donare liberamente, per convinzione interiore, con generosità e con gioia: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,6-7).
La circolazione dei beni materiali contribuisce all’edificazione della comunità: «È con i nostri patrimoni che diventiamo fratelli»
nota
Tertulliano, Apologetico, 39, 10.
. Nello stesso tempo la persona si realizza nella sua più intima vocazione e sperimenta che donare è bello; anzi: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!» (At 20,35).
Funzione sociale della proprietà e del lavoro
[1125]  Il magistero recente della Chiesa conferma la legittimità della proprietà privata, considerandola «come un prolungamento della libertà umana»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 71.
, indispensabile all’autonomia della persona e della famiglia. Contemporaneamente ribadisce però l’universale destinazione dei beni. Ciò significa che la proprietà ha un’intrinseca funzione sociale e deve essere gestita in modo da tornare a vantaggio di tutti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 69; Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 43.
.
Il superfluo economico deve essere messo a disposizione del prossimo, con la donazione o con altro impiego socialmente utile. Quanto ai beni produttivi, è lecito possederli solo se vengono usati come strumenti a servizio del lavoro
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 14.
.
[1126]  Il lavoro stesso, di cui la proprietà è frutto e strumento, non è un fatto individuale isolato, ma sociale, anzi un processo storico comune, del quale tutti siamo eredi e protagonisti. Basti pensare per quante mani passa un oggetto qualunque, ad esempio un libro, durante il suo processo di formazione, che ingloba vari elementi, come il testo, la carta, la stampa, la distribuzione. Tutti partecipiamo, con ruoli e funzioni diverse, a un’immensa comunità di lavoro, nella quale si producono e si scambiano beni di ogni genere. «Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri»
nota
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 31.
. Ne consegue che ognuno è chiamato a svolgere il suo compito «così da prestare un conveniente servizio alla società»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 34.
, al di là della propria famiglia. Ciò comporta che si agisca con competenza professionale, dedizione personale, premura per umanizzare il luogo di lavoro, impegno per armonizzare gli interessi particolari con quelli generali, iniziativa culturale e politica perché la dignità della persona sia posta al centro del sistema produttivo.
[1127] Una spiritualità della vita economica si caratterizza per questi valori: sobrietà, disponibilità a condividere i beni, serietà e competenza nel lavoro, solidarietà sociale, sensibilità politica, attenzione alle esigenze della propria famiglia, redenzione delle situazioni di fallimento o di ingiustizia mediante il significato della croce.
La condivisione nella Chiesa delle origini
[1128] La condivisione dei beni materiali è importante anche per la vita e la missione della Chiesa.
Già durante la vita pubblica di Gesù, la comunità dei discepoli al suo seguito tiene una cassa comune, per il necessario sostentamento e per la beneficenza verso i poveri
nota
Cf. Gv 13,29.
. Nell’età apostolica le assemblee, che si riuniscono a celebrare l’eucaristia, sono consapevoli che la “cena del Signore” implica la condivisione anche dei beni materiali. Fin d’allora, nella celebrazione liturgica domenicale, si fanno collette, in cui ciascuno mette a disposizione i propri risparmi, con libertà e generosità. Ciò che si raccoglie viene amministrato sotto la direzione dei responsabili della comunità, prima gli apostoli
nota
Cf. At 4,375,2.
e poi i vescovi
nota
Cf. San Giustino,Prima apologia, 67, 6.
. Deve servire all’assistenza dei poveri, al sostentamento dei ministri, all’attività di evangelizzazione. Sebbene il servizio per il regno di Dio di per sé sia gratuito e non possa essere retribuito
nota
Cf. Mt 10,8-10.
, tuttavia anche gli operai del vangelo devono avere il necessario per vivere: «il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo» (1Cor 9,14).
Il sostegno economico oggi
[1129]  Oggi, in situazioni tanto diverse rispetto a quelle delle origini, il sostegno economico alla Chiesa si regge ancora sugli stessi motivi e 29-541.pngcriteri fondamentali. Il servizio dei poveri, le attività pastorali, l’azione missionaria, le opere di educazione e di assistenza, la costruzione e manutenzione dei luoghi di culto, il sostentamento del clero hanno esigenze molto più complesse, ma in definitiva si basano ancora sul contributo volontario dei fedeli. La necessaria cooperazione dello stato si configura come supporto all’effettivo esercizio della libertà religiosa e come riconoscimento della positiva funzione della Chiesa in ambito sociale. In una moderna società pluralistica ci deve essere spazio per la Chiesa e per le sue opere, espressione originale e creativa dell’amore cristiano
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 8.
.
[1130] «Se avete comuni i beni eterni, quanto più i beni temporali!»
nota
Didachè , 4, 8.
.
Per un sistema economico più umano
[1131] Dover dare risposta a bisogni sempre più raffinati e vari, ha portato il lavoro moderno a elaborare informazioni e servizi, più ancora che a manipolare direttamente le cose materiali. Ma esso presuppone sempre, in ogni sua fase, le risorse della natura, messe a disposizione dal Creatore, e mantiene la vocazione originaria ad attuare il primato dell’uomo sul mondo visibile.
All’antica laboriosità agricola e artigianale è subentrato un sistema produttivo esteso e complesso. Contemporaneamente si è affermata una visione meccanica e deterministica dell’economia, che «ignora le dimensioni trascendenti della persona umana e la riduce al circolo angusto della produzione e del consumo»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso ai cardinali e alla curia romana per gli auguri natalizi, 23 dicembre 1991.
. Tale mentalità ha ispirato una politica economica inadeguata e, nella forma collettivistica, clamorosamente fallimentare.
In realtà l’economia rimane pur sempre un insieme di relazioni tra uomini. Presenta certo tendenze, leggi e compatibilità oggettive. Ma, sebbene condizionate, le persone possono intervenire con le loro scelte sull’intera dinamica: sull’individuazione dei bisogni, sull’uso delle risorse, sulla quantità e qualità della produzione e dei consumi, sulla distribuzione dei redditi. Il sistema, per quanto complesso, rimane affidato alla loro responsabilità e deve essere finalizzato alla loro dignità.
[1132]  Bisogna che l’uomo sia valorizzato come protagonista, prima risorsa e destinatario dello sviluppo: «La libertà e la creatività della persona umana debbono essere messe al centro anche dell’ordine economico»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso ai cardinali e alla curia romana per gli auguri natalizi, 23 dicembre 1991.
. E d’altra parte «occorre adattare tutto il processo del lavoro produttivo alle esigenze della persona»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 67.
. L’uomo ha la priorità sul lavoro e il lavoro ha la priorità sul capitale, cioè sull’insieme degli strumenti di produzione
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 12.
. Per quanto è possibile, su scala più o meno vasta, si dovrà organizzare la produzione ricercando un ragionevole profitto, ma salvaguardando i diritti della persona e le esigenze della famiglia.
Produzione socialmente utile
[1133]  Più degli affari conta la qualità della vita. Bisogna produrre per soddisfare i bisogni autentici della gente e non innanzitutto per 29-543.pngfavorire il capitale finanziario e lo stesso sviluppo tecnologico. Si sa che riesce abbastanza facile pilotare la domanda: mentre i bisogni fisiologici restano piuttosto stabili, quelli psichici risultano malleabili e possono essere indotti artificialmente, facendo leva sulla forza degli istinti. Così si producono e si vendono in grande quantità prodotti inutili o addirittura dannosi, come la droga, la pornografia e le armi. La produzione deve essere socialmente utile: è questione di responsabilità e di educazione, che coinvolge non solo i produttori, ma anche i consumatori e gli operatori culturali, specie quelli delle comunicazioni sociali.
Lavoro idoneo
[1134] Ogni persona ha il diritto-dovere di lavorare secondo le proprie attitudini. L’attuazione generalizzata di questo diritto presuppone un clima di solidarietà diffusa.
La donna deve essere messa in grado di conciliare l’occupazione con la sua vocazione di madre. Lo stesso lavoro domestico dovrebbe avere un giusto riconoscimento da parte della società
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 19.
.
Retribuzione e condizioni di lavoro
[1135]  La retribuzione deve «garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell’impresa e al bene comune»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 67.
. Il lavoro non è una merce; il contratto di lavoro non è un contratto di scambio, affidato al puro gioco della concorrenza.
I contributi e le prestazioni sociali, come assegni familiari, assistenza sanitaria, pensione di invalidità e vecchiaia, assicurazioni varie, sono vie facilmente praticabili per ridurre gli squilibri e ridistribuire il reddito.
Oltre il giusto trattamento economico, bisogna assicurare ai lavoratori una dignitosa qualità della vita: orari e ritmi di lavoro ragionevoli, garanzie per la salute e l’incolumità, riposo e ferie.
CCC, 1867
Contrattazione sindacale
[1136]  Per «assicurare i giusti diritti dei lavoratori nel quadro del bene comune dell’intera società»
nota
Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 20.
, essi si uniscono in libere associazioni sindacali, che provvedono tra l’altro a concludere contratti collettivi con le associazioni degli imprenditori. Una certa conflittualità è inevitabile, ma imprenditorialità, lavoro dipendente e capitale hanno bisogno uno dell’altro e sono chiamati a cooperare. In ogni caso la lotta deve essere non contro qualcuno, ma per la giustizia. Il metodo ordinario da seguire è la trattativa; lo sciopero è l’ultimo rimedio in caso di necessità, assicurando comunque i servizi pubblici essenziali.
Partecipazione alla gestione
[1137]  L’impresa è una società di uomini liberi: imprenditori, lavoratori, detentori del capitale. I dipendenti devono essere trattati come corresponsabili
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 4.
. Fatta salva l’unità di direzione, richiesta dalla necessaria competenza e rapidità delle decisioni, è auspicabile qualche forma di partecipazione alla gestione e un certo controllo sulle strategie imprenditoriali
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 68.
. Del resto lo sviluppo dell’impresa moderna mette sempre più in evidenza che è l’uomo, con il suo lavoro disciplinato e creativo, il principale fattore produttivo, più rilevante della terra e del capitale
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 32; 35.
: egli conosce i multiformi bisogni degli altri uomini, le potenzialità produttive e il modo più idoneo di organizzarle. Se questo si verifica soprattutto nella funzione imprenditoriale, è comunque fuori dubbio che la valorizzazione di tutte le componenti umane, oltre che essere eticamente corretta, favorisce la stessa efficienza economica dell’azienda.
Economia di mercato
[1138]  L’economia di mercato in se stessa è positiva e rispondente alle esigenze della libertà: fa emergere i bisogni della gente, utilizza al meglio le risorse, forma prezzi equi. Tuttavia la concorrenza non basta da sola a prevenire gli squilibri, anche perché si presta ad essere manipolata. Il mercato ha bisogno anch’esso di essere finalizzato all’uomo. È compito dello stato coordinare, stimolare e integrare
nota
Cf. Giovanni XXIII, Mater et magistra, 40.
. Esso deve dare precise regole al mercato con una appropriata legislazione, offrire un quadro di riferimento alle imprese con la programmazione, sanare gli squilibri pericolosi con interventi diretti in campo economico.
Solo nel contesto del bene comune, l’iniziativa privata esprime le autentiche esigenze della persona e realizza il suo primato sulle cose.
[1139] «L’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale»
nota
Concilio Vaticano II , Gaudium et spes , 63
.
Crescente responsabilità
[1140]  Il primato dell’uomo sulle cose non significa potere di usare e di abusare. Il suo lavoro si svolge sulla base di una donazione da parte di Dio. Più che proprietario, egli è amministratore e deve rendere conto. Purtroppo, «preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita»
nota
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 37.
.
La mentalità distruttiva è antica quanto il genere umano, ma in passato i danni rimanevano circoscritti a motivo del numero esiguo di abitanti e per la limitata capacità tecnologica. La moderna civiltà industriale, che peraltro ha il merito di aver portato il benessere ad intere popolazioni, possiede invece un’aggressività ben altrimenti pericolosa. Il saccheggio indiscriminato rischia di esaurire molte risorse della terra, che non sono rinnovabili. L’inquinamento ambientale si accumula rapidamente e minaccia di provocare sconvolgimenti a catena. Le manipolazioni genetiche aprono la strada verso importanti traguardi, ma anche verso possibili catastrofi biologiche. Il sistema che tiene insieme gli esseri viventi è quanto mai complesso e vulnerabile.
«Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 34.
.
Uso rispettoso della natura
[1141]  Il compito di prendere possesso e governare, affidatoci dal Creatore, non giustifica la prassi aggressiva e spoliatrice. Dio non ci ha consegnato una materia informe, ma un mondo già buono e bello: ben sette volte lo ripete il ritornello nel primo racconto della creazione. La natura certo non è divina e intangibile; è soltanto un’opera di Dio, ma è un’opera armoniosa, frutto della sapienza creatrice e ordinatrice. Il lavoro dell’uomo dovrà essere ordinatore, a somiglianza di quello di Dio; dovrà sviluppare il senso già posto in esso da Dio.
Analogo è il messaggio del secondo racconto della creazione. Dio affida all’uomo il giardino perché lo custodisca e lo coltivi e imponga il nome a ogni cosa, cioè le dia un ordine ulteriore. Ma gli proibisce di mangiare il frutto «dell’albero della conoscenza del bene e del male» (Gen 2,17), ossia di usare in maniera arbitraria il suo potere
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 43.
.
L’uomo è chiamato a perfezionare la natura. Purtroppo con il peccato vi introduce il disordine, la «schiavitù della corruzione» (Rm 8,21). «Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba... Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno» (Os 4,2-3). Invece di edificare una degna dimora, si rischia di rendere la terra inabitabile.
In virtù della redenzione l’uomo ritrova l’armonia con la natura. «Infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino... e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace... Il mio popolo abiterà in una dimora di pace» (Is 32,15-18). Il cristiano è chiamato a testimoniare, con il suo impegno ecologico, la speranza che il mondo creato, in un modo che a noi sfugge, entrerà «nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
[1142]  Dobbiamo accogliere tutte le creature «come se al presente uscissero dalle mani di Dio»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 37.
.
Non si tratta di una materia amorfa o di un nudo fatto obiettivo, ma di un ordine e un disegno da interpretare, di un linguaggio da ascoltare e capire, di una verità e bellezza da contemplare. La manomissione arbitraria è indice di «una povertà o meschinità dello sguardo dell’uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create»
nota
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 37.
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Di conseguenza l’uso deve essere rispettoso e deve tener conto sia della originalità di ogni creatura sia della mutua connessione in un sistema ordinato
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 34.
. Possiamo finalizzare le cose a nostro vantaggio, ma sviluppando e perfezionando una finalità già data. Dobbiamo inoltre considerare il bene delle future generazioni e non solo della nostra.
Tutti siamo responsabili dell’ambiente. Una grande quantità di consumi non comporta automaticamente una migliore qualità della vita. Occorre ripensare il nostro modello di sviluppo; sicuramente è bene darsi uno stile di vita sobrio, che ci consenta di governare la natura senza tiranneggiarla, unendo, sull’esempio di san Benedetto e di san Francesco, l’operosità alla contemplazione. La fedeltà alla vocazione integrale dell’uomo, alla comunione, al lavoro e al riposo è garanzia per la dignità della persona e per la salvaguardia della natura.
[1143] Il lavoro umano, essendo una cooperazione all’azione creatrice e ordinatrice di Dio, non deve distruggere ma sviluppare l’ordine posto dalla divina Sapienza nel mondo creato. La natura può e deve essere utilizzata a scopi umani, ma deve anche essere contemplata e rispettata: allora essa diventa davvero «una dimora di pace» (Is 32,18).