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CATECHISMO DEI GIOVANI
Venite e vedrete

Catechismo dei Giovani

Venite e vedrete
I due saranno una carne sola

27. Sessualità, matrimonio e verginità Pari dignità di uomo e donnaL’amore coniugaleIl servizio alla vita

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La Bibbia non dà molte indicazioni esplicite su come un uomo e una donna debbano vivere il loro amore, ma dice molto di come Dio ha amato l’umanità. Un uomo e una donna vivranno l’autenticità del loro amore e daranno vita a un’immagine della comunione che è in Dio, se nel costruire tra loro la comunione di "una carne sola" (Mt 19,6) imiteranno l’amore divino nei suoi tratti irrinunciabili.
La strada che viene qui indicata non è già tutta percorsa fin dall’inizio. Si tratta, appunto, di un cammino: dalla scoperta dell’altro o dell’altra come un bisogno di completezza per la propria vita, fino alla scoperta di lui o di lei come un dono che ci viene fatto dal Signore e, infine, all’esperienza che l’amore vero è sempre e soltanto un dono.
Reciprocità e gratuità
L’amore di un uomo e una donna sarà "gratuito". Questo significa forse che non sarà reciproco? Nessuno accetterebbe di formare coppia, se non fosse certo di essere ricambiato nel proprio amore.
La gratuità non esclude la reciprocità: significa però che, per un cristiano, l’amore genuino non misura quanto dà e cosa riceve. Se ti sentissi amato soltanto per ciò che dai, ti sentiresti umiliato. Così anche tu sei chiamato ad amare al di là di ciò che potresti ricevere e anche quando l’altra persona non fosse più in grado di darti niente. L’aprirsi totalmente all’altra o all’altro diventa così il modo più vero per ritrovare e stessi: è quanto Paolo lascia intendere quando dice all’uomo che "chi ama la propria moglie ama se stesso" (Ef 5,28).
Quando una persona sceglie l’altra per donarsi a lei, imita l’amore divino. Nessun rapporto di coppia reggerebbe, se entrambi si preoccupassero solo di ricevere. Non si dà per ricevere, anzi noi stessi sperimentiamo che il nostro amore è più forte quando è pago di aver donato, quando pensiamo di aver ricevuto abbastanza solo perché abbiamo potuto dimostrare a qualcuno il bene che gli vogliamo.
Sempre e comunque
Proprio perché gratuito, l’amore di un uomo e una donna sarà anche "fedele". Esso non si limita nel tempo né ad alcune condizioni, ma progetta il "sempre" e il "comunque", "nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia" (Rito del sacramento del Matrimonio, 28). Una coppia, una famiglia sono immagine della comunione trinitaria quando, al suo interno, ciascuno si sente impegnato a non ritirare il proprio affetto e la propria cura nemmeno quando l’altro sbaglia, tradisce o fa del male. La fedeltà si mostra nel perdono più forte dell’offesa, nel bene più forte del male, nell’amore davvero più vitale di tutto ciò che mortifica, a immagine dell’amore di Cristo, che è morto per noi "mentre eravamo ancora peccatori" (Rm 5,8).
Essere fedeli vuol dire anche sentirsi impegnati a coltivare l’amore e a educarlo, non solo perché sia forte nelle difficoltà, ma perché, crescendo, maturi in ciascuno dei due una vita più piena. Il Matrimonio, in questo senso, non è la "tomba dell’amore", come va ripetendo un certo cinismo superficiale. Al contrario, esso è la culla di un amore che vuol crescere; la promessa che io ti starò sempre al fianco perché tu e io insieme sapremo attingere di volta in volta a una risorsa nuova del nostro amore, che oggi è amore di sposi, domani sarà amore di genitori, poi di nonni, sempre di amici.
Fedeltà è quindi impegno quotidiano a modellare un progetto sempre in costruzione; è anche vigilanza e creatività, perché il rapporto fra i due non scada mai a sciatteria, non sia mai banalizzato né dato per scontato. San Giovanni Crisostomo suggerisce ai giovani sposi di fare questo discorso alla loro sposa: "Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco alla mia stessa vita. Infatti l’esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura" (Sulla lettera agli Efesini, 8).
CCC nn. 1643-1654CCC 2333-2335CCC 2360-2400CdA nn. 1052-1065CdG1 pp. 77-82CdG1 267-269
Per dare
la vita
L’amore di un uomo e una donna sarà "fecondo". Esso è immagine e somiglianza dell’amore divino perché, come quello, ha in sé una capacità creatrice: suscita la vita e la cura.
"Nel Compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell’amore di Dio creatore e come suoi interpreti" (Gaudium et spes, 50).
È nella natura, nella spontaneità del rapporto fra un uomo e una donna che esso sia orientato a generare la vita. Sarà dunque autentico se non si chiude per egoismo a questa Capacità; la saprà invece amministrare con generosità e responsabilità.
"Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra"" (Gen 1,28). Dio ha legato la sua volontà creatrice alla responsabilità dell’uomo e della donna come coppia.
Di qui la motivazione profonda della responsabilità dell’uomo e della donna di fronte alla vita e la ragione per cui non se ne può essere padroni, ma solo collaboratori.
Di qui l’assurdità inaccettabile del gesto che sopprime, con l’aborto, quella vita cui si è dato inizio.
Essere fecondi non significa però soltanto generare figli alla vita, ma anche prendersene cura, amandoli, come Dio li ama, per il semplice fatto che esistono; perché sono quel che sono, non perché realizzano i nostri desideri.
Anche ad essere fecondi ci si prepara, educandosi ad amare la vita in tutte le sue espressioni e cominciando ad amare da figli la vita dei genitori, da fratelli la vita di chi vive nella stessa casa, al di là dei caratteri, delle differenze di opinioni, prendendosi cura delle necessità di tutti, accettando che la vita degli altri possa chiedere qualcosa alla nostra.
Non si è fecondi solo per una capacità biologica, se non si è disposti e non ci si prepara a donare la propria vita. In questo senso, anche a una coppia che non può avere figli è possibile realizzare una fecondità piena, nel prendersi cura, ad esempio con l’adozione o con l’affido, di una vita già nata.
Insieme
incontro
agli altri
L’amore sponsale sarà "accogliente" verso tutti. Esiste anche un egoismo a due, tipico della vita matrimoniale, quando gli sposi si chiudono in se stessi, ignorando il mondo attorno a loro. Ma un uomo e una donna, se vogliono che il loro amore sia immagine di quello divino e che la loro casa sia "quasi una Chiesa domestica" (Lumen gentium, 11), non possono progettare un’esperienza di famiglia che li isoli dal mondo. Volersi bene non è un motivo per chiudersi agli altri, bensì una spinta ad aprirsi, ad accogliere tutti. L’amore che li tiene saldamente uniti tornerà a vantaggio di quanti ne sono in ricerca e di quanti ne hanno più bisogno. Il confronto con altri coniugi, inoltre, li aiuterà a discernere nelle inevitabili difficoltà della vita e a trovare sempre nuovi incentivi per conservare limpido e saldo il proprio rapporto.
Due giovani che si scoprono innamorati sono portati a isolarsi per approfondire la loro intesa e per conoscersi in quella confidenza alla quale gli altri non sono ammessi. Si cercano reciprocamente come se l’uno fosse per l’altro la sola realtà che interessa. Ma quando l’amore matura, i due imparano a incontrarsi per andare insieme incontro agli altri. Si cercano, ma non per escludere gli altri, bensì per essere capaci di un’accoglienza più grande, sostenuti dal bene che si vogliono.
Quando l’amore matura, conduce alla concretezza del sapersi inseriti in una società, verso la quale si hanno dei doveri e davanti alla quale si è responsabili delle proprie scelte. Ciascuno deve rendere conto alla società dei progetti di vita che fa: se vuole impegnarsi nel lavoro o no, se vuole costruire una famiglia o no. L’amore cristiano "che è il vincolo della perfezione" (Col 3,14), da cui tutto, anche il vincolo sponsale, deve lasciarsi illuminare, non accetta esclusioni e confini.
Il modo di pensare comune ci porta a confondere intimità con privatezza e a sentire entrambe come beni da difendere contro il resto della società. I cristiani che hanno scelto di formare una famiglia, ne fanno un motivo non per chiudersi dietro la porta di casa, ma per dare insieme il proprio contributo alla società e alla comunità ecclesiale; non per "realizzare se stessi", ma per rendere il mondo intero più simile a quello che Dio lo chiama a essere: una famiglia dove si vive da fratelli. "La famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società" (Gaudium et spes, 52).
Il linguaggio
del corpo
A questo punto è comprensibile perché, nel giudizio della Chiesa, fra un uomo e una donna non si dà amore maturo al di fuori del contesto matrimoniale. Si potrà dire fedele un amore che non impegna tutto se stesso, compreso il proprio futuro? Si potrà dire fecondo un rapporto di coppia che esclude di principio la nascita di un figlio? Si potrà dire aperto alla società un amore che da essa si difende e non vuole assumersi ruoli e responsabilità di coppia?
È comprensibile l’impegno responsabile che la Chiesa chiede a un uomo e una donna nel dirsi l’amore reciproco con il linguaggio intimo del corpo e della sessualità. Se esso non è adeguato, nei tempi e nei modi, all’amore che vuol tradurre e agli impegni che di conseguenza dichiara di assumersi, può risolversi in un inganno reciproco. Non è secondo verità dirsi con il corpo: "Sono tuo", "Sono tua", nei rapporti cosiddetti prematrimoniali, finché non si è impegnati davvero con tutto se stessi, compreso il futuro, nel dono definitivo di sé all’altra persona. Questo impegno il cristiano lo assume pubblicamente nella celebrazione del sacramento del Matrimonio, dinanzi alla sua comunità. Non è secondo verità dar vita a gesti che possono concepire una nuova vita, se questa viene esclusa o non si è ancora in grado di prendersene cura.
Come impariamo a trovare parole adeguate per dire ciò che vogliamo far sapere e non essere fraintesi, così occorre essere responsabili di quanto diciamo con i gesti del corpo e imparare quindi a soppesare le parole del linguaggio sessuale: "Ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto" (1Ts 4,4).
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Nel sacramento
del Matrimonio
Il cammino lungo dell’amore trova consacrazione nel sacramento del Matrimonio. Amarsi per un cristiano e una cristiana è amarsi nel Signore. "Questo mistero è grande", come ricorda san Paolo, e può essere compreso solo "in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (Ef 5,32).
L’amore della coppia cristiana è manifestazione dell’amore stesso di Dio, rivelato nell’amore con cui "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25) e a cui la Chiesa risponde nell’amore che è servizio o, come dice ancora san Paolo, sottomissione (Ef 5,24). Chi ha questa fede non può che porre il proprio amore nel segno della presenza dello Spirito.
Consacrare il proprio amore nel segno dell’amore di Cristo, significa riconoscere che esso è risposta a una vocazione, con cui il Padre invita a diventare suoi collaboratori per la comunione e la vita. Attraverso questa consacrazione, l’amore umano riceve il dono della novità della Pasqua di Cristo: la nuova vita, già comunicata nel Battesimo, viene resa capace di esplicitare tutte le potenzialità dell’amore nella dimensione della coppia e della famiglia, accogliendo e vivendo l’amore stesso di Dio.
Per questo la coppia cristiana celebra il Matrimonio nella Chiesa, esprimendo di fronte a tutta la comunità la volontà di amore e di unità e l’impegno a divenire, per tutti i fratelli, segno dell’amore di Cristo e della Chiesa. A questa celebrazione si giunge dopo un cammino di confronto con la parola del Signore, in cui si matura la comprensione del mistero che si è chiamati a vivere e la consapevolezza degli impegni che si assumono.
Il fidanzamento è il tempo prezioso di questa crescita, tempo di grazia nel quale più immediata e gioiosa è la scoperta dell’amore, che appare dono gratuito e sorprendente. Ma è anche tempo di impegno e di cammino, che va speso non solo per conoscersi reciprocamente, senza infingimenti e con autenticità, ma per approfondire la propria vocazione, per accogliere il disegno di Dio sulla propria vita insieme, diventando consapevoli delle responsabilità che si assumono, maturando il desiderio di mettersi a servizio l’uno dell’altro come pure dei figli che verranno e della comunità in cui si andrà a vivere.
È il tempo in cui si costruisce quella progressiva compenetrazione di sentimenti e di interessi, che sola consente di giungere a pronunciare con verità le parole della donazione reciproca nel patto coniugale. Allora e soltanto allora la parola del corpo, la comunione intima propria degli sposi, sarà veicolo di grazia e segno di quella donazione incondizionata e indissolubile a cui ci si impegna.
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