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CATECHISMO DEI GIOVANI
Venite e vedrete

Catechismo dei Giovani

Venite e vedrete
Chi ama ha conosciuto Dio

26. Accoglienza e rispetto della vita Il vangelo della vitaDare senso alla sofferenza

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Creandoci a sua immagine e somiglianza Dio ci chiama ad amare, ma non in un qualsiasi modo. Non basta stabilire relazioni con gli altri, se esse non imitano la comunione che è in Dio stesso e quella relazione che Dio ha stabilito con noi.
Creati per amare
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza... Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mc 12,30-31): è il comandamento che ci deriva dalla nostra somiglianza con Dio. È perciò importante conoscere quale sia lo "stile" divino dell’amore, per poterne essere un’immagine fedele. Ne va della nostra felicità, della nostra vita. Davanti ai nostri occhi e ai nostri desideri passano tante proposte che ricorrono, non poche volte abusandone, alla parola "amore". Se scrutiamo la parola di Dio, se proviamo a cogliere le tonalità dei gesti da lui compiuti per l’amore appassionato che nutre nei nostri confronti, possiamo riconoscere alcune caratteristiche di quell’amore che ha sospinto il Creatore a darci vita, il Salvatore a donare la sua vita perché la nostra sia piena, lo Spirito a rinnovarla incessantemente.
Queste caratteristiche sono da accogliere e vivere tutte insieme, come il prisma dei colori nel bianco: se ne manca anche solo una, tutto l’insieme si impoverisce e non potremmo più riconoscere in un amore l’impronta divina da cui nasce.
L’altro prima di me: la gratuità
Dio mi ama senza secondi fini. Non ha bisogno di me. Mi ama gratuitamente. Nella pienezza della comunione che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito, la gioia di Dio è piena e non manca di nulla. Dio ci ha chiamati alla vita senza altro fine che quello di rendere partecipi anche noi di questa intima gioia, per sempre, senza limiti.
L’amore umano è genuino quando viene donato senza secondi fini, solo perché l’altro è amabile. Nell’esperienza dell’innamoramento è racchiuso questo appello: l’altro, l’altra risulta amabile per quello che è, al di là di quello che può dare a me. E si sperimenta il desiderio di poter dare amore "come Dio ha amato noi".
All’opposto della gratuità dell’amore divino sta l’atteggiamento di chi guarda all’altra persona solo per quello che può dare o, cosa ancora più umiliante, tratta l’altro soltanto come un’occasione per sentirsi appagato. Animati dall’amore di Dio, siamo chiamati anche noi a trattare gli altri mirando al loro bene, senza secondi fini.
Quando abbiamo sperimentato di essere anche noi capaci di voler bene a qualcuno senza altri interessi, siamo in grado di intuire qualcosa dell’amore divino, per il quale "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35). In quei momenti scopriamo di poter superare l’infantile bisogno di cercare l’altro per avere da lui qualcosa. Scopriamo che l’amore non è conquista, non è dire a qualcuno: "Tu sei mio". Al contrario, è dono, è gioia di poter dire a qualcuno: "Io sono tuo". In questa natura gratuita dell’amore sta anche la fecondità della sofferenza, del dolore di una malattia, della stessa solitudine accolta e offerta. Là dove la vita si fa dono senza aspettative di ritorno, appare in tutta la sua verità e grandezza l’amore.
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Per sempre:
la fedeltà
Quando la Bibbia racconta dell’amore di Dio per il suo popolo ricorre spesso alle immagini forti di un amore tradito: Dio ha amato il suo popolo come uno sposo, ma esso continuamente lo ha tradito. Diversamente, però, da come solitamente finiscono le storie di amori umani traditi, Dio non ha mai smesso di amare il suo popolo e ogni volta, anzi, ha dichiarato la sua promessa di amarlo ancora di più. Così lo riconosciamo nella liturgia: "Molte volte gli uomini hanno infranto la tua alleanza, e tu invece di abbandonarli hai stretto con loro un vincolo nuovo per mezzo di Gesù, tuo Figlio e nostro Redentore: un vincolo così saldo che nulla potrà mai spezzare" (Messale Romano, Preghiera eucaristica della riconciliazione I).
I profeti ricorrono al vocabolario della gelosia per descrivere l’amore di Dio tradito, ma anche al vocabolario nuziale per rinnovare la promessa divina che il suo amore non verrà mai meno: "Ti farò mia sposa per sempre,... ti fidanzerò con me nella fedeltà" (Os 2,2122). Quando scopriamo di voler bene a qualcuno, sgorgano spontanee espressioni che impegnano il futuro, come "sempre" o "mai". L’amore genuino, quello che ha le sue radici in Dio e matura noi, ha in se stesso, come le più naturali, le parole della fedeltà.
Nell’uomo segnato dal peccato è però sempre in agguato la tentazione di chiudersi in se stesso. Amare qualcuno ci impegna; può dare gioia, ma può anche farci sperimentare il ferimento. Dopo l’ebbrezza dell’innamoramento può rispuntare il calcolo di quanto si dà e quanto si riceve, ritornano le espressioni al condizionale: "Ti amerei ancora se...". Dio ci ama, invece, senza condizioni e ci rivela che anche a noi è possibile farlo. E, rivelandocelo, ce ne rende capaci. Imitare l’amore di Dio significa amare anche quando non ci conviene più amare "per sempre".
Rivivere l’amore di Dio significa spesso perdonare. Senza capacità di perdonare e di rigenerare continuamente dentro di noi quel "per sempre", l’amore non dura. Senza perdono non è possibile a una coppia, che pur si ama, restare insieme; ma non è possibile nemmeno al missionario restare fedele e solidale con la sua gente.
Prendersi cura
della vita:
la fecondità
Dio non è solo Creatore: è Padre. Egli non ha chiamato alla vita le cose e gli uomini per lasciarli al loro destino. Egli vuole che noi abbiamo la vita e l’abbiamo in pienezza (Gv 10,10). Anche nell’amore umano si rivela questo profonda aspirazione: desideriamo che chi è raggiunto dal nostro amore viva e sperimenti la gioia della vita nella sua pienezza. Del resto, l’atto più intimo e più espressivo con il quale un uomo e una donna si dicono l’amore reciproco nel dono del corpo, porta in se stesso una potenzialità creatrice, si risolve nella possibilità di una nuova vita.
L’amore è per natura sua fecondo. Chi restringe il proprio orizzonte al presente, chi sente la vita altrui come una minaccia alla propria, è ancora lontano dal conoscere l’amore genuino. Quando si vuol bene a qualcuno, si è disposti a dare la propria vita per quella altrui.
L’amore fecondo è impegnativo, perché, come è stato per il Creatore, non si limita a suscitare vita, ma porta a prendersene cura. E fecondo l’amore di un uomo e una donna che concepiscono un figlio, ma è fecondo anche l’amore dei figli che si prendono cura della vita stanca dei genitori anziani e sofferenti. È fecondo l’affetto di un amico che porta luce in una vita minacciata dal buio, perché la salva e quasi la fa rinascere. E fecondo l’amore di un parroco per la sua gente, perché aiuta a conoscere e accogliere quell’Amore che solo può rendere la vita piena di significato e, nei sacramenti, fa rinascere alla vita di figli di Dio.
Nessuno escluso:
l’universalità
L’amore che è in Dio si è dilatato, per accogliere tutti noi. La gioia che è nella divina Trinità non è stata considerata "un tesoro geloso" (Fil 2,6) da custodire, nel timore che, condividendolo, sminuisca. L’amore, per natura sua, vuole raggiungere tutti. Esso segue una legge che è strana per chi non ha confidenza con il modo d’agire di Dio: si moltiplica dividendolo con altri (Mc 6,34-44). Chi volesse tenerlo per sé soltanto, lo perderebbe.
È così anche per l’amore umano. Quando si vuol bene a qualcuno, ci si sente aiutati a voler più bene a tutti. Chi vuole tutto per sé, tutto perde. E un amore ancora immaturo quello che vuole isolare due cuori sotto una capanna. È lontana dalla somiglianza divina quella coppia che considera il proprio amore un affare privato e chiude il mondo fuori dalle proprie attenzioni e dalle proprie cure. Anche il gesto più intimo di un amore è debitore verso tutti, verso il mondo intero.
Per questo il matrimonio è anche un atto pubblico: perché un uomo e una donna riconoscono davanti a tutti che dall’amore che è loro donato nasce l’impegno a spendere questo dono a vantaggio dell’intera società.
Nessun amore umano potrà mai essere un’immagine esauriente di quello divino. Così come tanti pittori, posti davanti a un qualunque paesaggio, lo riprodurrebbero in maniera diversa, così anche noi siamo chiamati al nostro personale capolavoro, concretizzando nella nostra vita un’imitazione personalissima di Dio. Quante saranno le persone che Dio chiama alla vita, tanti saranno i modi di interpretare l’invito che egli ha impresso in noi.
La millenaria storia di questa arte interpretativa ha due strade maestre, lungo le quali i percorsi dell’amore umano si incamminano: l’amore sponsale e l’amore consacrato. Entrambi saranno genuini se, come quello divino, saranno gratuiti, fedeli, fecondi e universali.
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