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CATECHISMO DEI GIOVANI
Venite e vedrete

Catechismo dei Giovani

Venite e vedrete
Quello che abbiamo visto e udito

11. Lo Spirito del Signore e la comunità dei credenti Segno del Signore risortoCdA 432-43811. Lo Spirito del Signore e la comunità dei credenti Il popolo santo di DioCdA 450-45511. Lo Spirito del Signore e la comunità dei credenti Una Chiesa in molte ChieseCdA 757-75920. Insieme con Maria, la madre di Gesù Immagine e primizia della ChiesaCdA 760-79520. Insieme con Maria, la madre di Gesù Prediletta dall’eternitàImmacolataSempre VergineMadre di DioDiscepola e cooperatrice del SalvatorePresenza materna nel cammino della ChiesaAssunta in cieloIl culto mariano

(vedi pure )
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(vedi pure nn. )
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Dopo questa lettura di alcuni momenti significativi delle origini della Chiesa, è opportuno fissare l’attenzione su alcuni aspetti Che ne formano l’ossatura perenne.
La Chiesa, segno e strumento della salvezza
Nessuno può vivere pienamente la Comunione con Cristo senza inserirsi nella Chiesa. Scrive Giovanni nella sua prima lettera: "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo" (1Gv 1,3). La comunione con la comunità e la comunione con il Padre e con il Figlio sono inseparabili.
Non si raggiunge il Cristo da soli né direttamente. La comunione con lui passa e si realizza attraverso la comunione di fede con la comunità e attraverso la continuità di tradizione con le origini. L’incontro vero con Cristo non è abbandonato alla libera iniziativa o all’entusiasmo di ciascuno. Del resto, ognuno può facilmente riconoscere nella sua concreta esperienza che il suo incontro con Cristo è stato reso possibile soltanto dalla mediazione della Chiesa: la sua predicazione, la sua liturgia, i suoi molti ministeri, la sua tradizione. Come nessun uomo, così nessun cristiano è un’isola.
Ma perché la Chiesa? La risposta è nell’evento stesso dell’incarnazione del Figlio di Dio. Facendosi carne, la parola di Dio ha accettato di inscriversi nei limiti del tempo, della cultura, del linguaggio umano. Per questa sua scelta la Parola si è fatta come bisognosa: il Figlio di Dio incarnato ha bisogno di discepoli che continuino la sua opera, che annuncino la sua vita e la sua morte e proclamino la sua risurrezione; il Signore, il Figlio dell’uomo, ha bisogno di uomini che suscitino l’attesa della sua venuta definitiva, sino alla fine dei tempi.
La Chiesa è la continuazione di questa missione, che iniziò con gli apostoli. Come la loro fede continuò a dipendere dalla presenza di Gesù, prima fisicamente presente poi risorto, così la nostra fede ha bisogno, per trovare giorno dopo giorno la sua strada, della permanente presenza dello stesso Signore, reso visibile e raggiungibile nella Chiesa. Qui lui è presente, qui agisce indefettibilmente il dono del suo Spirito.
"Fin dall’inizio la Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (Lumen gentium, 1). Lasciandosi conformare dallo Spirito alla persona di Gesù – il Figlio di Dio che amorosamente fa spazio nella sua persona alla nostra debole condizione umana –, la Chiesa è nella storia manifestazione e promessa di quella pace che Dio ha voluto stringere con gli uomini, perché gli uomini siano in pace tra loro e con la creazione.
Attraverso di lei Cristo svela e realizza il progetto di amore che Dio ha per l’umanità: fare di tutto il genere umano l’unico popolo di Dio.
CCC nn. 721-726CCC 746-870CCC 963-975CCC nn. 871-933CdA nn. 425-426CdA 432-438CdA 450-455CdA 757-759CdA 760-795CdG1 pp. 70-72CdG1 75-76CdG1 262-266
Il mistero
della Chiesa:
santa e sempre
bisognosa
di purificazione
Luogo della presenza e dell’incontro con Cristo, la Chiesa non è una società come le altre, per conoscere le quali basta osservarne la struttura organizzativa, gli scopi prefissi, i mezzi per raggiungerli. La Chiesa è, invece, un mistero, una realtà di rivelazione e di salvezza, una realtà che va ben al di là dei suoi aspetti visibili.
Per comprendere la Chiesa, occorre andare in profondità, al di là delle sue strutture organizzative e, persino, al di là degli uomini che la formano. La Chiesa è, infatti, costituita dalla presenza del Signore, dalla sua parola che viene costantemente predicata e dalla fede che l’accoglie. Le strutture organizzative sono la parte visibile, necessaria, del mistero della Chiesa; anche per questo in essa si esprime il mistero dell’incarnazione; ma le strutture e le istituzioni non sono il suo centro o la sua radice.
E nemmeno bisogna arrestarsi agli uomini che la formano e la guidano. Leggendo la storia delle comunità primitive ci è apparso con chiarezza che fra la loro vita concreta e la Parola che annunciavano c’era come una distanza. La Chiesa, allora come oggi, è fatta anche di peccatori. Anche questo fa parte del suo mistero. Dice il Concilio Vaticano II: "La Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento" (Lumen gentium, 8).
Anche se composta di peccatori e sempre bisognosa di riforma, la Chiesa però è pur sempre amata da Dio, luogo della sua presenza, depositaria della sua parola. Dio è sempre fedele alla sua Chiesa. Tutto questo è al tempo stesso consolante e impegnativo: consolante perché è il segno che la fedeltà di Dio non viene mai meno; impegnativo perché costituisce un invito a non scandalizzarsi mai della debolezza dei cristiani.
Una chiamata
per tutti
nella varietà
delle vocazioni
La storia della Chiesa delle origini evidenzia la ricerca della comunione, in rapporti nuovi e creativi, in atteggiamenti di solidarietà e condivisione fra le varie comunità cristiane e all’interno di ciascuna di esse. Diverse sono le membra, ma tutte sono tese alla comune edificazione della Chiesa, corpo di Cristo.
"Negli ultimi giorni, dice il Signore, io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno" (At 2,17; cf. Gl 3,1): le parole di Gioele, con cui Pietro apre il suo discorso a Pentecoste, ci assicurano che nella comunità cristiana non c’è distinzione tra uomini "spirituali", capaci di un rapporto personale con Dio, e uomini "carnali", che ne sarebbero incapaci. Tutti possono e devono conoscere Dio personalmente. Tutti possono rivolgersi a lui come Padre, con la stessa familiarità che fu propria di Gesù. Tutti nella comunità sono protagonisti. Ciascuno nella Chiesa deve vivere da collaboratore attivo e non da cliente occasionale, deve parlare e comunicare e non soltanto ascoltare, deve partecipare alla costruzione della casa comune e non assistervi da spettatore.
Tutto questo in modo originalissimo e personale. Se è vero, infatti, che l’unico Spirito distribuisce a tutti i suoi doni, è altrettanto vero che i doni dello Spirito sono differenti. Uno solo è il corpo, ma molte le membra, ci dice san Paolo (1Cor 12,12). Nessuno, perciò, nella Chiesa svolge in modo ripetitivo e spersonalizzato il compito di un altro. Ciascuno deve cercare e riconoscere, giorno dopo giorno, la propria vocazione. Per molti significa seguire Gesù nella condizione del matrimonio; per altri vuol dire consacrarsi totalmente a lui per un servizio originale al regno di Dio. Molte e diverse sono, dunque, le vocazioni.
Tra queste è singolare e privilegiata la vocazione a professare le virtù evangeliche e le beatitudini nella forma radicale della povertà, della verginità e dell’obbedienza. E la vocazione di quanti si incamminano verso la "vita religiosa": i monaci, i frati, le suore. E una vocazione che, con modalità proprie, chiama altri a un impegno autenticamente consacrato ed evangelico, ma all’interno delle attività comuni e professionali, per un servizio laico tra i laici: è la condizione degli "istituti secolari".
Se le vie e i modi possono essere diversi, tutti però sono chiamati a vivere la radicalità evangelica. A tutti sono proposte le virtù evangeliche e le beatitudini: la virtù della fede e dell’obbedienza al Padre, la povertà e la castità, la franchezza dell’annuncio e della testimonianza del vangelo.
Chiese
particolari
e Chiesa
universale
Le comunità cristiane dei primi tempi sono unite nella comune fede e nella consapevolezza di formare tutte insieme l’unico popolo di Dio, l’unica Chiesa. Ma, dentro questo spazio di unità, c’è anche uno spazio per l’originalità di ciascuna. Ogni comunità ha le sue accentuazioni teologiche e spirituali e anche i suoi problemi: tali differenze non rompono la comunione, bensì la esprimono. Scrive il papa Paolo VI: "Secondo il pensiero del Signore, è la stessa Chiesa che, essendo universale per vocazione e per missione, quando getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani, assume in ogni parte del mondo fisionomie ed espressioni esteriori diverse" (Evangelii nuntiandi, 62).
Giustamente le Chiese del Nuovo Testamento vivono in comunione fra loro, in specie con la Chiesa madre di Gerusalemme, ma resistono alla tentazione di appiattirsi in una uniformità senza specificità locali e culturali. In ogni Chiesa particolare si fa presente e prende forma visibile l’unica Chiesa di Dio, ma in ciascuna con una sua forma propria, non priva di originalità.
Nel Nuovo Testamento la parola "Chiesa" non è usata soltanto per la Chiesa universale, ma anche e più frequentemente per le singole Chiese locali. Tale uso è continuato per molti secoli e ora viene giustamente ripreso. Questa ambivalenza nell’uso del termine "Chiesa" suggerisce un altro dato teologico importante, essenziale per comprendere il mistero della Chiesa. Come la Chiesa particolare – in concreto la diocesi e, nella diocesi, le parrocchie – non è semplicemente la somma dei suoi gruppi, delle sue associazioni, delle sue circoscrizioni organizzative, così la Chiesa universale non è semplicemente la somma delle Chiese particolari sparse nel mondo. Inoltre, la Chiesa particolare non è semplicemente una parte della Chiesa universale. Da un punto di vista superficiale, non sembra altro che una porzione della Chiesa intera. Ma in realtà essa è l’intero mistero della Chiesa che prende forma e si rende presente in un determinato territorio.
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Ne derivano due conseguenze importanti. La prima è che la Chiesa particolare, quantunque possa essere piccola e povera, non deve estraniarsi dalla vita della Chiesa nella sua totalità, ma deve, al contrario, esserne la figura. La seconda è che ciascun cristiano, ciascun gruppo, se vuole inserirsi nella Chiesa di Dio, nella Chiesa universale, deve di fatto inserirsi nella sua Chiesa particolare: è qui infatti che ciascun cristiano incontra concretamente la presenza del Signore, lo Spirito che distribuisce i suoi doni, la parola di Dio, i sacramenti, i fratelli, l’autorità apostolica.
Lo Spirito
e il ministero
apostolico
Nelle Chiese delle origini lo Spirito del Signore è presente e attivo, distribuisce i suoi doni ed è fattore di fedeltà e comunione; ma, per mantenere salda la fedeltà e la comunione nello Spirito, occorre anche la presenza dell’apostolo, con tutto il peso della sua autorità.
L’immagine semplicistica di una Chiesa dei primi tempi senza ministeri e senza leggi, condotta soltanto dal magico agire dei doni che lo Spirito elargisce a ciascuno, è del tutto falsa. Anche oggi una tale comunità sarebbe sempre esposta al rischio di seguire impulsi e scelte che in realtà non vengono dallo Spirito, che non creano comunione e fraternità, ma complicità di interessi, gusto della compagnia e del consenso, fanatismo collettivo e altre contraffazioni della vera comunione.
Eredi del servizio apostolico sono in primo luogo i vescovi. Il vescovo è nella diocesi il custode fedele del vangelo, il primo promotore della carità di Cristo, segno e costruttore di unità e di universalità. I vescovi possono contare, nel loro ministero, sull’assistenza del Signore, che non verrà mai meno: "Chi ascolta voi ascolta me" (Lc 10,16). Al magistero concorde di tutti i vescovi insieme con il papa, è assicurata l’infallibilità. Tutto questo non poggia sulla santità personale, ma sulla fedeltà del Signore che li assiste. Per questo l’obbedienza alle direttive dei vescovi è obbedienza al Signore Gesù.
Nel collegio episcopale, e nell’intera Chiesa, il papa occupa un posto del tutto particolare, in quanto successore di Pietro in Roma. Il suo ruolo è descritto in un passo del Vangelo di Matteo: "E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,18-19). Pietro è la roccia che tiene salda la Chiesa, il punto attorno al quale si forma l’unità di tutte le comunità. Dare le chiavi significa affidare una vera e piena autorità. Legare e sciogliere significa proibire e permettere, giudicare e perdonare.
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A Pietro il Signore risorto affida il compito di pascere le pecore del suo gregge in suo nome (Gv 21,15-19). L’autorità di Pietro si fonda su un dono del Signore per l’autenticità della Chiesa. Nel ministero del papa permane questo dono e rimanda a Cristo, che è il vero Signore della Chiesa. Il vescovo di Roma, successore di Pietro, è dunque "perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli" (Lumen gentium, 23). In forza ditale servizio, egli "ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può esercitare liberamente" (Lumen gentium, 22). Quando definisce la dottrina della fede lo fa infallibilmente, in quanto in lui si concentra il carisma della verità che Dio dona alla Chiesa e al collegio dei suoi pastori.
I grandi santi della Chiesa italiana, a cominciare dai suoi protettori san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena, hanno lasciato una tradizione di obbedienza e venerazione al ministero e alla persona del Papa e lo hanno accompagnato con l’affetto e la preghiera.
Maria,
primizia e madre
della Chiesa
A Pietro e agli apostoli è riconosciuta da tutta la tradizione cristiana la dignità di colonna e fondamento della Chiesa; per questo la Chiesa si definisce apostolica. Solo Maria però, la Madre del Signore, è presentata come "immagine ed eccellentissimo modello" della Chiesa (Lumen gentium, 53).
Pur non avendo avuto alcun ministero pubblico nella prima comunità cristiana, Maria è figura centrale di tutta la comunità ecclesiale. La riconosciamo come prima e perfetta realizzazione della Chiesa, perché "ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45) e, per la fede, è diventata Madre di Dio, anticipando nella sua esistenza quell’intima unione con Cristo su cui riposa il cammino di tutti i credenti verso la comunione perfetta con Dio.
Al ministero apostolico si affianca così il segno della divina maternità di Maria, dono di fecondità e di grazia per la santità di ogni figlio di Dio, nella Chiesa. La maternità divina di Maria, come servizio a Cristo e alla sua esistenza nel tempo, si prolunga nella sua maternità ecclesiale, come servizio al suo corpo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nella comunità dei credenti.
Giovanni, nel suo Vangelo, ha dato una testimonianza particolarmente suggestiva di questo misterioso rapporto tra la Madre del Signore e ogni credente in Cristo. La consegna di Gesù a Giovanni: "Ecco la tua madre", è un pegno dell’unità non interrotta tra il Maestro e i discepoli nella Chiesa; è anche la certezza di un ininterrotto amore con cui Maria abbraccia la vita dei suoi discepoli: "Donna, ecco il tuo figlio" (Gv 19,26-27).
La Madre di Gesù, contemplata nel mistero dell’assunzione in cielo, glorificata nel corpo e nell’anima, è infine immagine e primizia della Chiesa anche nel suo essere in cammino verso il pieno compimento del Regno futuro.
La Chiesa
è missionaria
La Chiesa, nel cammino verso il Regno, è aperta a ogni uomo e a ogni cultura. Essa esiste per portare a tutti gli uomini in tutto il mondo l’annuncio della salvezza. La Chiesa, con la parola della predicazione e con i sacramenti, rende presente Cristo, autore della salvezza.
Il mandato missionario, affidato alla Chiesa, ha una dimensione universale: "tutte le nazioni" (Mt 28,19); "a tutte le genti" (Lc 24,47); "fino agli estremi confini della terra" (At 1,8). Esso "trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito santo, secondo il disegno di Dio Padre (e) scaturisce dall’"amore fontale", cioè dalla carità di Dio Padre" (Ad gentes, 2).
Il Battesimo ha reso ciascuno di noi un missionario, partecipe della missione di tutta la Chiesa, chiamato a testimoniare il vangelo, non cercando gloria e successo, mettendo a frutto le proprie capacità per il servizio dei più poveri, a imitazione della carità di Cristo, anche assumendo posizioni coraggiose e profetiche di fronte alla corruzione del potere politico o economico.
Alla testimonianza è intimamente unito l’annuncio del vangelo, della "buona novella" che cambia l’uomo e la storia. La proclamazione dell’amore di Dio nei confronti di ogni persona e di ogni popolo si esprime nel rispetto e nella stima, diventa espressione dell’intera comunità ecclesiale, mai un fatto puramente individuale.
L’annunciatore, animato dalla fede, è consapevole che la verità proclamata non è puramente umana, ma parola di Dio, dotata di una sua intrinseca e misteriosa potenza. L’attività missionaria, perciò, tende alla realizzazione del piano di Dio, secondo i tempi e i modi che il Padre ha fissato. Nella missione della Chiesa cresce il popolo di Dio. Chi annuncia il vangelo sa raggiungere e accogliere tutti, con il cuore grande della Chiesa, che fa suo l’invito: "Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio" (Is 54,2).
Responsabili
dell’annuncio
Al cuore dell’esperienza cristiana di un giovane sta la consapevolezza di essere amato senza condizioni da Dio in Gesù, da non poter tacere e tenere per sé il dono della salvezza. Essere discepoli di Cristo non è un fatto privato.
Questa consapevolezza non è legata a un momentaneo entusiasmo, ma è una forza incoercibile presente nella vita cristiana, il cui protagonista è lo Spirito. Ed è talmente chiaro questo imperativo nella coscienza credente, che comunicare agli altri il dono della fede è rafforzare e far crescere la propria.
Se si vuol rafforzare la fede e la si vuol aiutare a uscire dalle secche dell’intimismo, del dubbio, dell’incostanza, della perdita di significato, i giovani non possono chiudersi nei problemi personali o nell’isolamento di gruppi protettivi, ma devono aprirsi all’annuncio. "Io sarò con te" (Es 3,12): la parola del Signore non assicura una compagnia contro la solitudine, ma dà certezza nella comunicazione della fede agli altri. La vocazione cristiana, il suo scopo, la sua consistenza è l’apostolato, l’evangelizzazione, la missione.
Tutto il mondo è terra di missione. È terra di missione tutta la condizione umana e la terra di missione è distribuita geograficamente ovunque. Ne è motivo il degrado e la scomparsa della fede anche nei paesi di antica cristianità o la problematicità di essa in alcune condizioni di vita. Non c’è più distinzione tra i giovani che abitano in paesi cristiani e quelli che abitano in paesi di missione: tutti contemporaneamente in tutto il mondo vivono a contatto di situazioni di missione.
La giovinezza in particolare è terra di missione: Gesù spesso vi è sconosciuto, ma spesso vi è anche cercato. Il mondo giovanile è terra di una sete nascosta: una grande sete di Dio, anche se a volte nascosta dietro un atteggiamento di indifferenza o addirittura di ostilità. Sono tanti i giovani che cercano Dio, ma pochi quelli che lo annunciano. Tutta la comunità cristiana ne è responsabile, ma l’educazione alla fede non è pedagogicamente corretta se i giovani non si fanno apostoli dei loro coetanei.
In missione
nel mondo
In questo loro compito, è chiesto anzitutto ai giovani di essere testimoni credibili. La coerenza con il Vangelo in ogni scelta concreta, la limpidezza, la sincerità, l’autenticità sono qualità in cui i giovani si riconoscono e sono la prima strada attraverso cui passa la missionarietà. E Dio che opera la salvezza, ma la credibilità dei testimoni manifesta all’uomo la presenza visibile di Cristo che li abita. Occorre poi anche farsi responsabili della trasformazione del mondo, della realtà sociale, politica, economica e culturale. Il discepolo di Cristo, non è mai osservatore passivo degli eventi. Infine occorre essere portatori della Parola di salvezza. La fede nasce dall’ascolto e i giovani potranno ascoltare, se ci sarà qualcuno che parla loro esplicitamente di Dio e di Cristo.
C’è però una condizione previa a questa missionarietà, una sorta di convinzione di partenza: avere il coraggio culturale, relazionale, intellettuale di vedere in Cristo la vera risposta, la più completa a tutte le domande che riguardano l’uomo e il suo destino. E una certezza che viene dal dono di Dio e riluce dalla propria vita di fede, quando la ricerca sofferta diventa capace di abbandonarsi a Dio.
Questa convinzione si corrobora ad una lettura attenta della storia dell’evangelizzazione delle nostre comunità cristiane. Ogni diocesi, ogni regione ha i suoi padri della fede: martiri, vescovi, laici, donne e uomini coraggiosi, soldati, re o imperatori, semplici schiavi o gente del popolo hanno piantato per primi la croce nelle nostre contrade e hanno lasciato esempi di vita e indicazioni di itinerari coraggiosi. La croce che essi hanno piantato è eredità e impegno.
La missionarietà di una comunità è però autentica solo se sa esprimere anche qualcuno che lascia la sua terra, i suoi amici, il suo futuro stabile e certo, la sua cultura per accorrere là dove scarseggiano gli operai della vigna di Cristo, come prete, come religioso, come laico. È una prospettiva che va coltivata nei contatti con i paesi di missione, soprattutto con le esperienze di giovani che trascorrono alcuni mesi in altre terre e che accolgono giovani di altri continenti nei propri gruppi.
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