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CATECHISMO DEI GIOVANI
Venite e vedrete

Catechismo dei Giovani

Venite e vedrete
Ricevete lo Spirito Santo

Introduzione alla sezione prima della parte seconda del CdACdA 415-42911. Lo Spirito del Signore e la comunità dei credenti PentecosteSegno del Signore risortoLa comunità cristiana

(vedi pure )
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Lo Spirito Santo è il protagonista che mantiene aperta la storia di Gesù, rendendola sempre attuale e salvifica. Senza lo Spirito, la storia di Gesù, compresa la sua risurrezione, sarebbe rimasta chiusa nel passato, non un evento perennemente contemporaneo.
Lo Spirito assicura la continuità fra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa. Certamente ci sono anche altri fattori di continuità: le Scritture, il ricordo delle parole di Gesù, la testimonianza degli apostoli. Tuttavia, ciò che sostiene e anima la continuità è lo Spirito.
Se il tempo della Chiesa rappresenta per tutte le generazioni l’oggi della salvezza, lo è, appunto, perché è presente lo Spirito. È lui che fa risuonare oggi nella Chiesa la parola di Dio come parola viva di Gesù, alla quale non è lecito sottrarsi.
Lo spirito nella vita di Gesù
La risurrezione non conclude la missione di Gesù, ma dà inizio al tempo nuovo e definitivo della storia di salvezza, nel quale il Signore Gesù continua ad essere presente e protagonista. Non più presente in forma terrena e visibile, ma presente nella Chiesa; qui lo si incontra, in una comunità storica, fatta di uomini deboli e peccatori, ma forte dello Spirito che le è stato donato.
L’angelo della risurrezione ha ricordato alle donne che Gesù, il Vivente, non va cercato fra i morti: non è lì. Anche noi non possiamo cercare Gesù nella nostalgia del ricordo o nella galleria dei grandi uomini del passato. Lo incontriamo nei credenti e nelle comunità, che il suo Spirito va suscitando per il compimento della missione.
Prima di raccontare come lo Spirito continua la missione di Gesù, dobbiamo ricordare che lo stesso Spirito ha accompagnato tutta la vita e l’opera di Gesù. Lo Spirito Santo può infatti continuare la missione di Gesù perché era già presente nella sua vita. Così le due storie, quella di Gesù e quella della Chiesa, si saldano insieme, formando un’unica storia di salvezza.
Secondo le testimonianze evangeliche tutta la vita di Gesù è stata permeata dalla presenza dello Spirito Santo. Gli stessi Vangeli evidenziano alcuni momenti come particolarmente significativi di questa presenza: il concepimento verginale (Mt 1,18Lc 1,25), il battesimo e la tentazione (Mt 3,164,1), il discorso inaugurale nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,18), la preghiera di lode al Padre (Lc 10,21). Con queste annotazioni i Vangeli sinottici intendono presentarci Gesù non soltanto come il portatore dello Spirito, ma come colui che è vissuto nell’obbedienza al Padre e nella docilità allo Spirito.
Diversamente dai Vangeli sinottici, il Vangelo di Giovanni non dice che Gesù fu guidato dallo Spirito. Inserisce però profondamente il tema dello Spirito Santo in tutta la trama dell’opera di Gesù, sottolineando che lo Spirito è legato a Gesù ed è suo dono. All’inizio del Vangelo si legge che Giovanni Battista vide lo Spirito scendere e posarsi su Gesù (Gv 1,32-34), e alla fine si legge che il Signore risorto donò lo Spirito ai discepoli: "Alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"" (Gv 20,22). Gesù non tiene per sé lo Spirito, ma lo dona senza misura (Gv 3,34).
Sempre, per ribadire questo stretto legame, l’evangelista Giovanni, terminando il racconto della crocifissione, annota con molta cura che "uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia, e subito ne uscì sangue e acqua" (Gv 19,34). L’acqua che esce dal fianco di Gesù è lo Spirito Santo. Con una finezza di immagine, non rara nel quarto Vangelo, si insinua forse che il gesto stesso di Gesù morente ha realizzato il dono dello Spirito. "E, chinato il Capo, spirò", o "consegnò lo Spirito" dicono le traduzioni correnti; ma, altrettanto fedelmente, si può tradurre: "E, chinato il capo, donò lo Spirito" (Gv 19,30).
CCC nn. 717-747CCC 767-768CCC nn. 683-716CdA nn. 410-429CdG1 pp. 324-325
Avrete forza
dallo
Spirito Santo
Luca racconta la piena effusione dello Spirito sulla comunità nell’episodio della Pentecoste (At 2,1-13). Prima della discesa dello Spirito, nonostante avessero accompagnato Gesù nel suo ministero e l’avessero ascoltato e veduto, i discepoli non avevano ancora capito la natura del Regno, che egli era venuto a realizzare, né avevano capito i modi della sua attuazione. I due discepoli di Emmaus, che li rappresentano, rimangono ciechi, incapaci di riconoscere Gesù risorto nel viandante che li accompagna, e rivelano di aver perso ogni speranza, di fronte allo scandalo della croce: "Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele" (Lc 24,21). Avevano sperato in una liberazione terrena, immediata, legata a Israele.
Anche dopo la risurrezione i discepoli pongono a Gesù una domanda sbagliata, che svela tutta la loro incomprensione: "E questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?". E Gesù risponde: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,6-8).
I discepoli pensano a un regno particolaristico, chiuso nei confini di Israele ("il regno di Israele"), invece Gesù risponde allargando le loro preoccupazioni al mondo intero ("fino agli estremi confini della terra"). T discepoli pensano che la costruzione del Regno sia opera del solo Gesù ("ricostituirai"), mentre Gesù risponde che l’attuazione del Regno passa anche attraverso la loro testimonianza ("mi sarete testimoni"). I discepoli pensano a una restaurazione vicina ("è questo il tempo"), Gesù invece risponde che il tempo è un segreto di Dio ("il Padre ha riservato alla sua scelta..."). Gesù, infine, sa che la luce, che trasforma la mente dei discepoli, e la forza, che li rende attivi nell’annuncio del suo regno, è unicamente lo Spirito: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi".
La grande svolta avviene il giorno di Pentecoste. Lo Spirito trasforma un gruppo di persone impaurite in testimoni coraggiosi. Nasce in questi uomini una duplice consapevolezza: che il Signore risorto è in mezzo a loro e che Dio affida loro una responsabilità nei confronti del mondo. Sono le due consapevolezze che trasformano un gruppo di uomini in una comunità di salvezza.
Lo Spirito Santo non è donato solo ad alcuni, ma a tutti i membri della comunità, come Pietro esplicita nel suo discorso, citando il profeta Gioele: "Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona" (At 2,17Gl 3,1). Lo Spirito apre i discepoli sul mondo, dà loro il coraggio di proporsi in pubblico, di raccontare davanti a tutti "le grandi opere di Dio" (At 2,11).
Il primo segno dello Spirito è l’annuncio di Gesù Signore e Cristo, come fa Pietro di fronte alla folla accorsa: "Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazareth..." (At 2,22). L’annuncio di Pietro incontra il consenso e il dissenso, suscita reazioni opposte. Lo Spirito Santo rende efficace l’annuncio, ma non lo sottrae alla discussione: "Erano stupiti e perplessi... Altri invece li deridevano..." (At 2,12-13). I miracoli dello Spirito esigono, per essere accolti, l’apertura alla fede.
Lo Spirito
dell’universalità
e della comunione
Per Luca il segno che maggiormente caratterizza la presenza dello Spirito è l’universalità. Egli descrive la venuta dello Spirito non soltanto utilizzando i simboli classici che nella Bibbia accompagnano l’azione di Dio – il vento, il terremoto e il fuoco –, ma aggiungendo un simbolo in più: "Cominciarono a parlare in altre lingue" (At 2,4). Già la tradizione ebraica suggeriva che sul Sinai la voce di Dio si era divisa in più lingue, perché tutte le nazioni potessero comprendere. Luca sottolinea così il compito di unità e di universalità, a cui lo Spirito chiama i discepoli e la Chiesa.
Per suggerire la stessa idea, Luca precisa che la folla accorsa era composta di persone di varie nazionalità, uomini "di ogni nazione che è sotto il cielo", e annota che "ciascuno li sentiva parlare la propria lingua" (At 2,56). Lo Spirito non ha una sua lingua né si lega a una lingua o a una cultura particolare, ma le accetta tutte. Gli uomini, per farsi cristiani, non devono abbandonare le loro lingue né le loro tradizioni in ciò che esprimono di vero e di valido: l’unità dello Spirito è più profonda e non costringe l’uomo ad abbandonare il mondo in cui è cresciuto.
Con la venuta dello Spirito Santo e la nascita della comunità prende avvio, in seno all’umanità, una storia nuova, rovesciata rispetto alla storia iniziata a Babele, dove gli uomini hanno voluto, come conquista propria, salire fino a Dio: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra" (Gen 11,4). È l’eterna tentazione dell’uomo che vuol costruire una città senza Dio e cerca salvezza in se stesso, dal basso, con forze proprie, anziché nell’accoglienza di un dono dall’alto. È un rapporto stravolto, che conduce alla divisione. E difatti il racconto biblico non parla solo di confusione delle lingue, ma più profondamente di dispersione dei popoli: "Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città" (Gen 11,8). Dietro la differenza delle lingue si intravede lo sfascio dell’unità della famiglia umana, la disgregazione: ciascun popolo con un proprio cammino, un popolo contro l’altro.
Ma se a Babele uomini di una stessa lingua non si intendono più, a Pentecoste uomini di lingue diverse si incontrano e si intendono: "Com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?" (At 1,8). La comunione torna ad essere possibile, perché il protagonista è lo Spirito Santo. Lo Spirito di Gesù affida ai discepoli e alla comunità il Compito di imprimere alla storia umana un movimento di riunificazione. Deve però trattarsi di riunificazione nello Spirito, perché protagonista ne è lo Spirito – e, dunque, essa è un dono –, ma anche perché la riunificazione deve attuarsi nella libertà dei figli di Dio e attorno a Dio.
Lo Spirito
per la missione
Lo Spirito della Pentecoste ha trasformato un gruppo di uomini ripiegati su se stessi, in missionari coraggiosi e convincenti, aperti al mondo intero. Il Nuovo Testamento è unanime nel testimoniare che solo lo Spirito è capace di trasformare un uomo in un missionario. Senza lo Spirito Santo non c’è missione. E proprio perché generata dallo Spirito e sempre accompagnata dalla sua presenza, la missione non è un comando che si impone all’uomo dall’esterno, ma una passione Che prorompe dall’interno.
"Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi" (Gv 20,21), dice Gesù. E ancora: "Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo" (Gv 17,18). La missione ha la sua sorgente e il suo modello nella missione del Figlio. "Come il Padre ha mandato me": a prima vista, il verbo "mandare" sembra suggerire che l’origine della missione sia un comando; in realtà l’origine della missione è una comunione d’amore. L’invio del Figlio nel mondo scaturisce da una circolarità di amore tra il Padre e il Figlio: "Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi" (Gv 15,9).
La missione, quella di Gesù come quella dei discepoli, non è solo un gesto di amore, ma scaturisce da una comunione d’amore. La sorgente della missione è la comunione trinitaria: tre Persone divine che si amano e reciprocamente si donano e non soltanto gioiscono del reciproco dono, ma si fanno dono. Il farsi dono è appunto la missione. La missione nasce da una comunione e tende a una comunione. Senza dimenticare che la comunione è anche la forza che rende credibile la missione stessa: "Perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21).
Lo Spirito
cambia il cuore
degli uomini
Il giorno di Pentecoste, "Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici" (At 2,14), non fa che ripetere alla folla la grande lieta notizia: "Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!" (At 2,36). Pietro è convinto che si tratta di una notizia certa, fondata, di eccezionale importanza per tutti: "Sappia con certezza tutta la casa di Israele". Ponendo davanti agli occhi dei suoi uditori "quel Gesù" che essi hanno crocifisso, l’apostolo intende far prendere coscienza del mistero della malvagità umana: "questa generazione perversa" (At 2,40). È la malvagità per cui gli uomini non hanno esitato a condannare alla morte più infame il più giusto degli uomini.
È storia di sempre, è la nostra storia. Nell’affermazione di Pietro è però racchiuso anche un altro aspetto della storia: quel Gesù che abbiamo crocifisso è morto per noi. Alla nostra cattiveria ha contrapposto il suo amore, al nostro rifiuto la sua solidarietà e da questo confronto è uscito vincitore: il Padre lo ha costituito Signore e Messia. La risurrezione non è soltanto vittoria sulla morte, ma vittoria sul peccato del mondo. Non è pensabile una notizia più lieta di questa. Giustamente Pietro l’annuncia ad alta voce, pubblicamente: la malvagità esiste ed è grande; tentare di negarla, anche solo sminuirla, sarebbe menzogna; ma è possibile vincerla e Dio l’ha già vinta.
Il racconto dice che al sentire queste parole gli ascoltatori "si sentirono trafiggere il cuore" (At 2,37). Nel linguaggio biblico il cuore non è la sede dei sentimenti e degli affetti, ma piuttosto il nucleo più profondo della persona, il luogo segreto dove avvengono le riflessioni più intime, dove si prendono le decisioni più importanti, dove nasce l’odio o l’amore, la scelta della verità o della menzogna. Le parole di Pietro raggiungono questo nucleo segreto e profondo degli ascoltatori, sconvolgendolo.
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Quando la verità ti raggiunge nell’intimo, ti accorgi che spesso il tuo modo di pensare e di vivere è sbagliato; allora te ne dispiaci sinceramente e desideri cambiare. Essere toccati nel cuore significa tutto questo. Di qui la domanda: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". La risposta invita a cambiare mentalità, pensieri e ragionamenti; questo vuol dire il primo imperativo: "Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati" (At 2,38). Farsi battezzare nel nome di Gesù, credere nella morte e risurrezione del Signore, è percorrere, a nostra volta, la via della croce. Non si può più convivere con la mentalità mondana: "Salvatevi da questa generazione perversa" (At 2,40).
La risposta di Pietro non è soltanto una serie di imperativi. E anche una promessa: "Riceverete il dono dello Spirito Santo" (At 2,38). Senza il dono dello Spirito, il programma di rinnovamento resterebbe lettera morta e la nostra debolezza continuerebbe ad avere il sopravvento.
Alle sorgenti
della comunità
A conclusione di questa narrazione, il libro degli Atti annota: "Si unirono a loro circa tremila persone" (At 2,41). Convertirsi, concretamente, significa entrare a far parte di una comunità di fede e di vita.
Gesù non ha indicato semplicemente una serie di principi, non si è accontentato di invitare a una generica conversione, ma ha chiamato i discepoli a condividere la strada che egli stesso stava percorrendo. Allo stesso modo i primi missionari non si limitano ad annunciare le esigenze del cambiamento né offrono semplicemente una nuova serie di criteri orientativi; più concretamente ed efficacemente invitano gli ascoltatori a entrare a far parte del cammino della comunità, che negli Atti degli Apostoli è chiamata, appunto, "la via" (At 9,2).
Il racconto di Luca mostra con grande chiarezza che l’annuncio di Gesù non è un semplice parlare di Gesù, né semplicemente l’offerta di una dottrina, neppure semplicemente una nuova proposta di vita, ma un evento che crea una comunione con il Signore nella comunità della Chiesa.

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