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CATECHISMO DEI GIOVANI
Venite e vedrete

Catechismo dei Giovani

Venite e vedrete
Chi vede me vede il Padre

2. Dio cammina con gli uomini Credibilità della rivelazione cristianaCdA 145-1644. Dono di libertà e comunione Liberi dagli interessi e dalle paureLiberi dal legalismoLiberati per essere fratelli

(vedi pure nn. )
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L’errore oggi più diffuso è affermare l’umanità di Gesù e negarne invece la divinità. Ma anche l’errore contrario non è meno grave. La divinità di Gesù si è manifestata a noi proprio attraverso la sua umanità. "Chi ha visto me ha visto il Padre", dice Gesù a Filippo (Gv 14,9). Filippo vede un uomo in carne ed ossa che parla in aramaico, con l’accento della Galilea: ma è proprio in quell’uomo che egli deve scorgere la presenza del Padre.
Non si può rispondere alla domanda su chi è Gesù, se non si incontra anzitutto il suo modo concreto di essere uomo. A rivelarlo come inviato da Dio potevano bastare i miracoli; ma per rivelare la novità inaspettata del suo essere Figlio di Dio occorreva la precisa vicenda umana che egli ha vissuto. Senza dire che conoscere Gesù nella sua umanità significa conoscere un progetto di umanità: cioè come l’uomo deve essere per corrispondere al piano di Dio, come deve vivere per essere in mezzo ai propri fratelli la trasparenza di Dio. Gesù è la verità di Dio e dell’uomo.
Molti sono gli aspetti dell’umanità di Gesù meritevoli di attenzione e di alcuni abbiamo già parlato: il suo modo di ragionare, di rapportarsi alle folle, ai discepoli, ai peccatori, all’ambiente in cui viveva. Se ora riprendiamo il discorso è per sottolinearne tre, che ci appaiono fondamentali: la libertà, l’obbedienza e la dedizione.
Gesù, uomo libero
Non è facile definire Gesù, non solo nella sua divinità, ma anche nei suoi aspetti umani. Già all’inizio del suo ministero (Mc 1,21-28), di fronte ai suoi primi discorsi e ai primi gesti, la folla si pone l’interrogativo: "Che è mai questo?". La risposta è che Gesù insegna con autorità, non come gli scribi, e che il suo insegnamento è nuovo. Nuovo non significa semplicemente qualcosa di non mai detto prima o di non mai sentito altrove. La novità di Gesù non è semplicemente cronologica, ma qualitativa: qualcosa che ti rigenera, ti rinnova e ringiovanisce. Gesù non è come gli altri: ecco la prima impressione della folla. In ciò che egli fa e annuncia c’è come una rottura, anche se poi, sorprendentemente, ciò che egli dice è ciò di cui l’uomo ha realmente bisogno.
Più avanti, sul finire del ministero in Galilea, la folla definirà Gesù ricorrendo a note figure del passato: Giovanni Battista, Elia, Geremia, un profeta (Mc 8,27-28). Con questo la gente coglie in qualche modo la grandezza di Gesù, ma non ne coglie la profonda originalità.
Specialmente nei dibattiti con i suoi avversari, Gesù mostra di saper andare con grande lucidità al fondo delle cose; è uomo libero, che non si lascia condizionare dai luoghi comuni, né sociali né religiosi. Interrogato sulla questione del riposo nel giorno di sabato (Mc 2,23-28), non si lascia distrarre dalla casistica consueta, ma taglia corto con una battuta che esprime un punto di vista completamente nuovo: "Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!". Così Gesù fa comprendere che è un’altra l’immagine di Dio e di comportamento morale che bisogna avere in mente, al di là della casistica.
Negli ultimi giorni che precedono la sua passione, Gesù a Gerusalemme si scontra con i rappresentanti di tutti i gruppi sociali e viene coinvolto nei loro più accesi dibattiti (Mc 12,13-40): erodiani, farisei e zeloti questionavano sulla liceità di pagare le tasse agli invasori romani; i sadducei polemizzavano con i farisei sul tema della risurrezione; i rabbini si preoccupavano di quale fosse il centro della Legge. Di fronte a ogni questione, Gesù cerca di condurre chi lo interroga a una visione nuova del problema. Non si lascia rinchiudere nei termini stretti in cui gli altri ponevano la questione. Egli si mostra sempre convinto che c’è qualcosa di più profondo da recuperare, qualcosa che rinnova i problemi dalle fondamenta. Di questa sapienza e libertà di Gesù la folla si accorgeva: come annota Marco, rimaneva ammirata di lui: "Nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo", "la folla lo ascoltava volentieri" e "Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!" (Gv 7,46).
CCC nn 432CCC 516CCC 539CdA nn. 78-85CdA 145-164CdG1 pp. 192-199
Libero
per appartenere
al Padre
Gesù è libero non solo dagli schemi consolidati e dai luoghi comuni, ma anche dal fascino del denaro e da quello del potere, dalla sua stessa famiglia e dagli amici, persino da se stesso, come esigerà anche dai suoi discepoli.
A un tale che gli dice: "Ti seguirò dovunque tu vada", Gesù risponde: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo" (Lc 9,57-58). La vita di Gesù è povera e nomade. Non c’è dubbio che le ragioni di questa scelta vadano cercate in un atteggiamento di incondizionata fiducia nel Padre e nella volontà di possedere la maggior libertà possibile per dedicarsi completamente alla propria missione.
Gesù assume un certo distacco di fronte alle persone che detengono il potere (Mt 11,8Lc 13,3222,25). Non si lascia incantare dalla loro potenza. Né confida in loro né li teme. Soprattutto, Gesù non imbocca la via del potere: la respinge come una tentazione (Mt 4,1-11).
Quando molti discepoli lo abbandonano perché il suo discorso è duro, Gesù non cambia il suo discorso né lo attenua, ma si rivolge ai Dodici dicendo: "Forse anche voi volete andarvene?" (Gv 6,67). I dodici sono il gruppo dei discepoli a lui più cari, i più amati, sono la sua nuova famiglia; ma per Gesù, la verità della propria missione viene prima.
Gesù ha avuto una famiglia e una cerchia di parenti. Anche nei loro confronti ha affermato la propria libertà. In proposito, sono significativi due episodi. Il primo è riportato da Luca nei racconti dell’infanzia: Gesù smarrito è ritrovato nel tempio (Lc 2,41-52). La madre dice al figlio: "Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed ecco la risposta inattesa di Gesù: "Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Dicendo: "Tuo padre", Maria intendeva riferirsi a Giuseppe. Ma dicendo: "Padre mio", Gesù si riferisce a Dio. Gesù afferma dunque con molta forza il primato della sua appartenenza a Dio e la priorità della propria vocazione su ogni altro legame.
Il secondo episodio è riportato dal Vangelo di Marco (Mc 3,31-35). Gesù sta parlando alla folla, che è seduta in cerchio. Arrivano la madre e i parenti e qualcuno lo avverte: "Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano". Gesù non interrompe il discorso né saluta i parenti. Gira lo sguardo su quelli che gli stanno attorno ed esclama: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre". Gesù afferma così che la sua famiglia è più ampia della parentela e che per quanto riguarda la sua missione non è disposto a concedere privilegi a nessuno, neppure ai parenti. La sua famiglia è ampia come l’intero cerchio della folla che lo circonda.
La radicalità del Maestro fa scuola. Chi lo segue, non può stare a lungo a tentennare, a soppesare cosa perde e cosa guadagna. Guardando a lui trova la forza di scegliere, di liberarsi da tutte le appartenenze di comodo che lo legano.
Gesù,
uomo religioso
e obbediente
La radice della libertà di Gesù va cercata nella sua profonda religiosità. Gesù è anzitutto un uomo costantemente "davanti a Dio". Egli parla di Dio e soltanto di Dio. E trae dalla propria profonda esperienza religiosa i criteri per agire e per giudicare.
Gesù intuisce in profondità la realtà, perché vede le cose e le valuta a partire da Dio. In tutto ciò che fa – anche, e si direbbe soprattutto, in quelle cose che sconcertano – Gesù intende unicamente rivelare il vero volto del Padre, il suo atteggiamento verso l’uomo, il suo amore per tutti.
Gesù è libero e al tempo stesso è totalmente obbediente a Dio. Gesù ha vissuto la sua intera esistenza nella più totale obbedienza al Padre. Strano modo di intendere e di vivere la libertà! Ma per Gesù questo è il solo modo di essere veramente liberi. Libero non è chi trasgredisce, né chi si riserva la possibilità di fare di volta in volta ciò che più gli piace, ma chi ha il coraggio di scegliere per la verità e quindi di legarsi, di appartenere, di vivere una fedeltà.
Dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera" (Gv 4,34). È una delle affermazioni più importanti per comprendere la coscienza che Gesù ha di sé, il suo rapporto con Dio, il suo modo di intendere l’esistenza. Egli è proteso nello sforzo continuo di una totale obbedienza. Non è venuto a dire parole proprie, tali da mettere in mostra se stesso. E venuto a dire unicamente le parole del Padre. A differenza degli uomini che cercano la gloria gli uni dagli altri, Gesù cerca la gloria che viene dal Padre (Gv 5,41-44).
È l’obbedienza che ci permette di intravedere l’identità di Gesù, non solo nel suo essere uomo, ma Figlio. L’obbedienza è la categoria che forse più di ogni altra ci fa vedere la natura, la profondità e la direzione della libertà del Figlio di Dio. Nell’esperienza di Gesù scorgiamo al vivo la tensione fra obbedienza e libertà. Tensione, ma non lacerazione. Gesù non contrappone i due valori, ma li unifica nella categoria della verità e dell’amore (Gv 8,32). Proprio obbedendo, Gesù manifesta la sua identità, manifesta chi è, vive la realtà che gli è propria: la sua verità di uomo e di Figlio in ascolto, di immagine perfetta del Padre.
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Gesù,
uomo
per gli altri
Senza verità non c’è libertà, e neppure senza l’amore. La vera libertà è estroversa, la sua misura non è il proprio interesse ma il dono di sé. Lo spazio della libertà è il servizio. Volendo rendere visibile la sua verità, cioè la sua identità di Figlio, Gesù ha scelto di vivere un’esistenza in dono, un’esistenza aperta, costantemente proiettata al di là di sé. La verità che fa liberi è l’amore. Gesù ha vissuto per primo l’ideale proposto ai discepoli: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà" (Mc 8,35).
La donazione di Gesù trova il suo vertice nella morte in croce, ma è stata la legge di tutta la sua esistenza, sin dall’inizio. Egli dice che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per le moltitudini" (Mc 10,45). La parola "riscatto" evoca la solidarietà più radicale: è l’atteggiamento dell’uomo che, di fronte al parente che cade in schiavitù, non si rifugia nel disinteresse, non prende le distanze, ma si sente coinvolto e solidale, al punto di sostituirsi a lui. È questa la logica profonda che ha guidato tutta l’esistenza di Gesù.
Gesù, dunque, è un uomo libero da tutto e da tutti, anche se profondamente solidale con tutti; è uomo totalmente per gli altri, fino al completo dono di sé. Un modo, questo, certamente esaltante di essere uomo, ma anche difficile. Gesù ha trovato il coraggio di esserlo nella comunione con il Padre. È Gesù stesso che ci svela questo lato profondo, intimo, della sua persona. Alla fine dei discorsi dell’ultima cena, i discepoli pieni di entusiasmo dicono a Gesù: "Ora conosciamo che sai tutto... Per questo crediamo che sei uscito da Dio" (Gv 16,30). Ma Gesù ribatte: "Adesso credete? Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete, ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me" (Gv 16,31-32). Se Gesù trova la forza di donarsi totalmente a Dio e ai fratelli, sino al punto da rimanere solo, è perché sa di non essere solo: il Padre è con lui.

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