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CATECHISMO DEI GIOVANI
Venite e vedrete

Catechismo dei Giovani

Venite e vedrete
Quel giorno si fermarono presso di lui


(vedi pure )
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I due giovani del Vangelo accettano la proposta di Gesù: "Venite e vedrete". Vanno e si fermano presso di lui (Gv 1,39). La fede nasce da un’esperienza, la risposta approda a un incontro. Gesù, infatti, non è una verità astratta di cui impadronirsi, ma una persona.
Il ritmo della vita di oggi ci ha insinuato l’idea che tutto si giochi in decisioni immediate, azioni rapide: tutto subito. Non è così per lo sviluppo di abilità agonistiche e sportive, non così per l’apprendimento di un’arte, per la formazione del carattere, per l’esperienza dell’amore. Anche le più belle esperienze di servizio odi volontariato non sono il diario di qualche sporadica buona azione, ma una esperienza consolidata di vita, di ascolto, di dono, di sentirsi a disposizione dell’urgenza dell’altro. Chi decide di offrire la propria vita a Dio nella verginità o nel matrimonio, vive un lento, gioioso, tirocinio di amore, in cui impara a stabilire con l’altro o l’altra una reciprocità costruttiva. Una novità di vita non si improvvisa; il dono di sé esige di sapersi fermare, prendere in mano la vita, abbandonare la pigrizia della conformità, ritrovare se stessi, permettere a una nuova presenza di dispiegarsi e di trasformarci. Così è stato per i discepoli di Gesù.
Questa esperienza, decisiva adesso come allora, rimane possibile anche per noi, grazie allo Spirito, che ci guida alla verità tutta intera e ci annuncia pienamente il mistero del Salvatore (Gv 16,13-15). Questa progressiva scoperta è la vita spirituale: non è solo uno stato di coscienza interiore, ma è una viva presenza di Dio che impegna tutta la nostra persona e i nostri rapporti con gli altri. La certezza che non siamo soli determina dall’interno l’orizzonte dell’esistenza.
Discepoli
Una piccola esperienza di amore, di libertà o di pace ci allarga gli orizzonti e ci fa intuire che ci sono un amore, una libertà, una pace più profondi di quelli vissuti e assaporati. il senso della vita e del mondo è un mistero che abbraccia la nostra esistenza; talora ci illumina e ci riscalda il cuore; a volte, non riuscendo a percepirlo, camminiamo nella fiducia di poterlo raggiungere in esperienze più profonde.
E non potrebbe essere questo il mistero del "Dio vivente" (Dt 5,26), che da sempre sostiene il cammino della nostra vita? Non può essere questo il volto del "Dio ignoto" (At 17,23), che invita a muoverci con coraggio, anche in mezzo alle difficoltà, per cogliere nel profondo i segni della sua presenza? Non è forse Dio quella Pace che rende possibili le nostre realizzazioni di pace, quella Libertà che sorregge e fortifica i nostri cammini di libertà, quell’Amore che ci rende possibili le nostre più vere esperienze di amore? E non è forse, infine, il mistero di Dio quella Vita che dà speranza gioiosa anche al compimento della nostra vita terrena?
All’inizio e alla fine della ricerca si affaccia il mistero di Dio, come il Principio che tutto sorregge e come il Compimento che tutto illumina e tutto porta a pienezza. Il nostro cuore inquieto cerca lui e nella fiducia in lui trova la sua pace. Restare con Gesù e ascoltare quanto egli dice su Dio, Padre suo e Padre nostro, è introdursi in questa esperienza.
La vita spirituale è, così, scoprirsi discepoli di un Dio che d viene incontro e d parla. L’incontro di amore con Dio Padre, rivela chi noi siamo: figli, amati da sempre e per sempre. Confessare questa attiva presenza di Dio è il compito della fede e della preghiera. Esse d fanno riconoscere che noi siamo viventi in Dio, perché lui è Padre e noi siamo figli suoi. Se facciamo nostra questa esperienza di fede, essa opera un discernimento sulla nostra vita, fa decadere come inconsistente la nostra presunzione e fa crescere in noi il credente e il discepolo.
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Fratelli
Nel cercare risposte alle nostre numerose domande, spesso pensiamo di doverci muovere da soli. Ci sono certo gli amici, ci sono i compagni di studi o di lavoro, di squadra o di avventura, c’è anche qualche esperienza di gruppo formativo o associativo, ma alla fine sentiamo che tocca a noi decidere. Da soli pensiamo anche di godere delle nostre conquiste. Eppure sentiamo che la nostra vita non è salvata, la nostra ricerca non è appagata, se non modifichiamo i nostri rapporti con gli altri. Sappiamo che star bene non basta, se non è uno star bene insieme. L’esperienza di fede matura sempre dentro una comunità e conduce a vivere inseriti in una comunità rinnovata nei suoi rapporti.
I due giovani del Vangelo cercano insieme e insieme vengono introdotti all’incontro con Gesù: "Venite e vedrete". La fraternità nella ricerca li porta alla fraternità nell’esperienza dello stare con Gesù. Egli li conduce, poco a poco, a una duplice comunione: quella con gli altri discepoli, pur così diversi per estrazione e temperamento, e, più oltre, alla comunione stessa con Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Scoprono che la comunione con Dio fonda la possibilità di vivere da fratelli.
Questa fraternità si sviluppa nella Chiesa. In essa ogni persona giunge a Cristo, lo incontra e rivive l’esperienza di comunione con Dio e con i fratelli. Questa è la risposta alla domanda di vita piena dei due giovani del Vangelo. Incontrare Gesù è possibile anche oggi: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!" (Eb 13,8). È possibile vivere con lui e con lui percorrere il cammino della vita. L’incontro con Gesù nasce nella Chiesa e conduce alla Chiesa.
Apostoli
Dopo essersi fermati "presso" Gesù, i due giovani del Vangelo incontrano Simone, fratello di Andrea, e gli dicono: "Abbiamo trovato il Messia". Il Messia era atteso come salvatore, capace di rispondere alle domande più profonde di ogni uomo e di appagarne il desiderio di vita piena. Ma egli era atteso anche come salvatore di un intero popolo, Israele, di persone legate tra loro inscindibilmente da una storia comune. Ed è questa stessa storia, l’intero popolo che domanda un salvatore.
Diverse erano le attese sulla figura del Messia, tanto da risultare difficile descriverlo in un’unica forma compiuta. L’Antico Testamento ne parla da angolature diverse, secondo le molteplici accentuazioni delle attese del popolo.
Giovanni il Battezzatore aveva guidato i due giovani discepoli a riconoscere in Gesù il Messia, come "Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo". Gesù Cristo è Messia-Salvatore, non perché si mette a capo di un esercito di liberazione, ma perché toglie il peccato del mondo e rende possibile agli uomini vivere nella carità, unica via per la pienezza di vita.
Gesù è Messia perché vince il male con il bene, l’arroganza con la mitezza, la prepotenza con il servizio. Nel "discorso della montagna", considerato lo statuto del nuovo popolo di Dio, chiede a chi vuol essere suo discepolo una carità che può venire solo da Dio:
"Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste" (Mt 5,44-45). È il programma dell’intera vita di Gesù che, anche sulla croce, invoca il perdono per quanti lo hanno condannato (Lc 23,34).
Donandoci lo Spirito, l’Amore stesso che è in Dio, Gesù va oltre un insegnamento puramente dottrinale, rendendoci realmente capaci di amare come Dio ama. Qui sta la salvezza per ciascuno di noi e per l’intera famiglia umana, perché soltanto rapporti di carità possono rendere questo mondo luogo di vita. "Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male" aveva detto Dio consegnando la Legge al suo popolo (Dt 30,15). Gesù rende perfetta questa Legge nel comandamento dell’amore, consegnandolo al definitivo popolo di Dio, la Chiesa.
La carità, nel comandamento dell’amore, regola ogni progetto di convivenza tra i cristiani, converte ogni politica e fonda ogni modello di società, aperta al rispetto e al dialogo. Così Gesù è Messia-Salvatore di un intero popolo, non soltanto di singole persone.

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