Catechismo degli Adulti
6. L’inferno
Tragica possibilità
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La nostra libertà ha una drammatica serietà: siamo chiamati alla vita eterna, ma possiamo cadere nella perdizione eterna. «Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,17). Dio vuole che tutti siano salvati e vivano come suoi figli in Cristo
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Pena eterna
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La pena dell’inferno è per sempre: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,4146). «Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9,48)
Cf. Formula “Fides Damasi” - DS 72.; Sinodo di Costantinopoli, Condanne contro Origene, Can. 9 - DS 411.; Concilio Lateranense IV, Costituzione1 “De fide catholica” - DS 801. | |
Perdita definitiva della comunione con Dio
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In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco
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Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V
Cf. Concilio Lateranense V, Apostolici regiminis - DS 1440. | |
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Piuttosto la pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: «Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!» (Lc 13,27). «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2Ts 1,9). L’esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l’amore di Dio: «Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati»
Origene, I principi, 2, 10, 4.
Il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, «stridore di denti» (Lc 13,28), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l’opposizione ad esso.
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Rifiuto della creazione
[1223]
Rifiutando Dio, si rifiutano anche gli altri uomini e l’intera creazione. Più l’opera di Dio è bella, più il peccatore la trova insopportabile: sebbene l’aria sia limpida e luminosa, il pesce vi rimane asfissiato. Mentre nella vita terrena era possibile rinunciare a Dio e avere soddisfazioni dalle creature, ora da nessuna parte si può trovare refrigerio e rifugio, «come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde» (Am 5,19). L’inferno è dunque la sofferenza di non poter amare nessuna cosa, il rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, del mondo e di se stessi, in contraddizione con la vocazione originaria a vivere in comunione. I reprobi sono uomini falliti, stravolti in tutta la loro personalità.
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Indiretta testimonianza della grandezza di Dio
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Tuttavia, con il loro stesso rifiuto, i dannati manifestano ancora la grandezza della libertà che ricevono in dono, e quindi la grandezza del Creatore. Con il loro tormento affermano la meravigliosa bellezza della grazia che non accettano, la potenza dell’amore che li attrae e che respingono. Come si può intuire, il male è integrato anch’esso nella gloria di Dio: anche se non è soppresso, è vinto per sempre. Tutti vengono da Dio e tutti tornano a lui, o nell’amore o nel terrore: «Dio è unito a tutti, secondo la disposizione intima di ogni persona»
San Massimo il Confessore,A Talassio, 59. | |