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CATECHISMO DEGLI ADULTI

Catechismo degli Adulti

Fiducia nella ragione
[26]  L’esperienza religiosa è solo un sentimento, un’intuizione, o anche 1-27.pnguna conoscenza razionale? Può il nostro ragionamento elevarsi fino a Dio?
La Chiesa crede e insegna che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione a partire dalle cose create»
nota
Concilio Vaticano I, Dei Filius, II - DS 3004; Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 6.
. Questa dichiarazione del Concilio Vaticano I, ripresa dal Concilio Vaticano II, è un’affermazione di fede, ma costituisce un caposaldo a difesa della ragione e della sua dignità.
Il nostro accesso a Dio passa anche per la via dell’intelligenza. «La Chiesa rimane ferma, anche se dovesse rimanere sola, nel rivendicare alla ragione questa suprema possibilità»
nota
Paolo VI, Discorso del 27 novembre 1968.
: la sua convinzione deriva dalla rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento.
[27]  Il libro della Sapienza biasima quanti non giungono a riconoscere il Dio vivente. I più stolti sono quelli che adorano come divinità gli oggetti senza vita costruiti dalle mani stesse dell’uomo, immagini d’oro, d’argento, di legno; ma falliscono anche coloro che rivolgono l’attenzione alle grandi opere di Dio, alle forze della natura, quali il fuoco, l’aria, l’acqua, le stelle. Questi ultimi si muovono nella giusta direzione, ma neppure loro arrivano alla meta. Conquistati dalla bellezza e dalla potenza delle creature, «si lasciano sedurre dall’apparenza» (Sap 13,7) e le divinizzano, senza risalire al loro Creatore: «Dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere» (Sap 13,1). Avrebbero invece dovuto capire quanto più bello e più potente è colui che le ha create, perché «dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore» (Sap 13,5).
La Lettera ai Romani rimprovera duramente gli uomini «che soffocano la verità nell’ingiustizia» (Rm 1,18), in quanto rifiutano di riconoscere e adorare il vero Dio, pur avendone un’iniziale conoscenza intellettuale. «Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto... Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute» (Rm 1,1920). Per chi è ben disposto, l’eterna Potenza invisibile si lascia quasi intravedere attraverso il panorama della creazione. Purtroppo gli uomini, nella loro superbia, si chiudono davanti al mistero di Dio, si lasciano trascinare da passioni vergognose, precipitano nella corruzione morale
nota
Cf. Rm 1,18-32.
.
Conoscenza indiretta
[28] Secondo la fede della Chiesa, la ragione può conoscere con certezza l’esistenza di Dio. Ma come mettere in atto concretamente questa capacità?
Dio non è un contenuto di esperienza accanto ad altri. Viene conosciuto indirettamente, attraverso il mondo e l’uomo, come fondamento e orizzonte di ogni cosa. La sua conoscenza viene esplicitata per via di riflessione razionale, secondo diverse prospettive.
Dalla precarietà a Dio
[29] Il limite e la precarietà delle cose, il loro iniziare, mutare e finire, il fatto che esistono e possono non esistere, tutto indica che il mondo non è autosufficiente e in definitiva riceve esistenza e vita da un Altro, il quale a sua volta basta pienamente a se stesso e non ha bisogno di ricevere da nessuno.
Se una catena pende dall’alto, ogni anello è sostenuto dal precedente; ma poi ci vuole un perno che li sostenga tutti. Senza un ancoraggio definitivo, la contingenza non solo sarebbe irrazionale, ma anche invivibile. Non potremmo sopportare con lucida coerenza il continuo morire di ogni cosa, il continuo precipitare nel nulla. Niente avrebbe valore.
CdA, 15
CONFRONTAVAI
Dall’ordine a Dio
[30] Beato chi sa meravigliarsi! La bellezza, la varietà, l’ordine mirabile delle cose, la complessità delle strutture viventi, il mistero della persona umana, intelligente e libera, che torna a sbocciare in ogni bambino che nasce, il semplice fatto che la natura sia intelligibile alla nostra mente: tutto rinvia a una Intelligenza creatrice.
Una cattedrale è ben più che un mucchio di pietre; è una nuova unità ordinata. Per questo le pietre da sole non diventano cattedrale: hanno bisogno di un progetto e di un architetto. Non è pensabile che gli elementi che compongono i corpi dell’universo da soli siano capaci di organizzarsi, fino a formare esseri diversissimi tra loro, di inaudita complessità e con qualità e funzioni originali.
Se nel corso dell’evoluzione il più emerge dal meno, non può trattarsi di un fatto automatico o casuale. Gli elementi naturali, sebbene abbiano un ruolo attivo, non spiegano tutto. Per convergere in una nuova e più perfetta unità, devono essere assunti da un’Intelligenza ordinatrice e creatrice. Questa causa suprema fa emergere la novità dalla continuità dello sviluppo. Sostiene le cause naturali, non interferisce, non si pone accanto, come se fosse una di esse, magari la più potente. Si colloca a un livello diverso, trascendente e immanente nello stesso tempo.
Dallo spirito umano a Dio
[31]  Si può risalire a Dio non solo a partire dal mondo, ma anche dallo spirito umano. È facile rendersi conto che siamo limitati nel conoscere e nel volere: non possediamo la verità intera né la felicità completa; non conosciamo pienamente neppure un filo d’erba e non riusciamo ad allungare la nostra vita di «un’ora sola» (Lc 12,25); errori e peccati ci opprimono. Tuttavia conosciamo una cosa dopo l’altra, raggiungiamo un bene dopo l’altro, passiamo da un’esperienza all’altra in un dinamismo inesauribile. Non possiamo fermarci a nessun traguardo. Giudichiamo parziale qualsiasi contenuto di conoscenza, perché lo vediamo nella prospettiva dell’essere, come un’isola sullo sfondo dell’oceano. Siamo liberi in ogni scelta, perché non c’è proporzione tra le mete a portata di mano e il bene che desideriamo. Siamo aperti su un orizzonte infinito con l’intuizione e il desiderio; tutte le cose intorno a noi sembrano sussurrare: «Non siamo noi il tuo Dio. Cerca sopra di noi»
nota
Sant’Agostino, Confessioni, 10, 6, 9.
.
La nostra mente è polarizzata e, per dir così, programmata sull’infinito, come la vista è fatta per la luce. E, come non vediamo la luce in se stessa, ma solo attraverso gli oggetti illuminati, così non conosciamo l’Infinito in se stesso, ma solo attraverso i contenuti particolari della nostra esperienza. L’Infinito, «vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce»
nota
San Bonaventura da Bagnoregio, Il legno della vita, 3, 47.
, è sempre davanti a noi, anche se non ce ne rendiamo conto: non si tratta di una proiezione illusoria, ma di un presupposto oggettivo del nostro conoscere e volere. Ci attrae a sé con la sua presenza velata e implicita, attraverso le creature; mette in moto e sostiene tutto il nostro agire spirituale.
Verità sapienziale
[32]  Nell’universo siamo un granello di polvere, ma dotato di pensiero e di volontà, aperto al mistero infinito. Siamo una minuscola goccia, in cui però si riflette il cielo. Dio ci ha creati capaci di ricevere la sua comunicazione e ora ci offre «nelle cose create una perenne testimonianza di sé»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 3.
. Ci parla senza fare rumore, con il suo stesso operare
nota
Cf. San Tommaso d’Aquino, Commento alla seconda Lettera ai Corinzi, 1, 12.
.
Per udire Dio non basta essere intelligenti; bisogna avere il cuore ben disposto. La sua esistenza è una verità di carattere etico e sapienziale: non la si capisce soltanto, ma la si apprezza, la si accosta in modo appassionato. Può senz’altro essere conosciuta dalla ragione; ma la ragione viene resa disponibile alla ricerca e all’adesione solo quando assumiamo, con l’aiuto della grazia, un atteggiamento umile e rispettoso di meraviglia, fiducia e accoglienza.
Linguaggio inadeguato
[33]  Confidando nelle possibilità della ragione riguardo a Dio, la Chiesa respinge la tendenza all’agnosticismo, presente nella cultura contemporanea. Rimane però ben consapevole dei limiti umani, non solo etici, ma anche propriamente conoscitivi. Dio «abita una luce inaccessibile» (1Tm 6,16), «ineffabilmente elevato al di sopra di tutto ciò che è e che può essere concepito al di fuori di lui»
nota
Concilio Vaticano I, Dei Filius, I - DS 3001.
. Le creature ricevono tutto da lui e quindi hanno con lui una certa somiglianza; ma la dissomiglianza è ancora maggiore
nota
Cf. Concilio Lateranense IV, Costituzione2 - DS 806.
.
CCC, 39-43CCC 170-171CdA, 316
CONFRONTAVAI
[34] In che misura possiamo conoscere Dio? Possiamo riferire a lui i nostri concetti, che più o meno direttamente derivano dall’esperienza sensibile? Possiamo parlare di lui o dobbiamo tacere?
La ragione umana attinge Dio in maniera indiretta e inadeguata; non lo comprende, lo addita soltanto; lo conosce precisamente come mistero. Dio è semplice e sussistente. Se dico di lui che è potente, sapiente e buono, lo rappresento come uno che ha la potenza, la sapienza e la bontà e quindi come un soggetto sussistente, ma purtroppo anche composto e imperfetto. Se invece dico di lui che è la potenza, la sapienza, la bontà e l’essere stesso, lo rappresento come una perfezione semplice e illimitata, ma purtroppo non come un soggetto sussistente. Quanto al modo di rappresentare, i nostri concetti non sono mai idonei per indicare Dio, né quelli concreti né quelli astratti. Neppure il concetto primo di ente, che è incluso in ogni altro, può significare Dio in modo corretto, perché significa ciò che ha l’essere, che lo partecipa
nota
Cf. San Tommaso d’Aquino, Sul Libro delle Cause, 4, 1, 47; Sulla Potenza, q. 7, a. 2 ad 7; q. 7, a. 3 ad 7.
. Dio propriamente non è un ente tra gli altri; rimane al di là di tutti gli enti come fondamento necessario della loro esistenza. Non possiamo pensarlo direttamente in se stesso. D’altra parte in lui, proprio perché è il fondamento originario, devono concentrarsi, in modo eminente e misterioso, tutte le perfezioni disseminate nelle creature. Le perfezioni pure, che di per sé non comportano alcun limite, si trovano in lui formalmente; le altre virtualmente. Quanto ai significati e ai contenuti i nostri concetti si possono dunque riferire a Dio. Possiamo conoscerlo indirettamente e limitatamente. Il discorso teologico rimane in ogni caso un balbettare al limite del silenzio, un preludio all’adorazione: «Ti supplico, Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come abbia a cercarti, dove e come possa trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove andrò a cercarti? Se poi sei dappertutto, perché non ti vedo qui presente? Tu certo abiti una luce inaccessibile»
nota
Sant’Anselmo d’Aosta, Proslogion, 1, 2.
.
[35] Secondo la fede della Chiesa, fondata sulla Bibbia, la ragione umana attraverso la mediazione delle cose create può conoscere con certezza Dio, principio primo e fine ultimo di tutta la realtà.
La riflessione razionale è valida in se stessa, ma il suo sviluppo è favorito dalle buone disposizioni morali. La conoscenza che si ottiene è vera, ma indiretta e limitata.

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