INDICE
Catechismo degli Adulti
2. Produrre e possedere senza cupidigia
L’ansia di produrre e possedere
[1120] La qualità più considerata nella nostra cultura è la capacità professionale. Si tratta indubbiamente di un valore autentico. Ma facilmente può degenerare in assillo produttivo, smania di guadagnare, ambizione di carriera e ricerca del successo ad ogni costo. Il potere e la ricchezza diventano misura di riuscita personale, modello di vita proposto e riproposto dai mezzi di comunicazione. Si è qualcuno se si è professionisti altamente specializzati, se si possiede una seconda casa, una seconda macchina, se si frequentano certi ambienti raffinati, eleganti, se si fanno certi viaggi. I più deboli finiscono inesorabilmente emarginati dalla concorrenza. Si affonda nel materialismo pratico, incapaci di amore disinteressato, indifferenti verso Dio, spiritualmente ciechi.
La Chiesa contesta decisamente questa mentalità: «Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro»
Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 6. Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 35; Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 12. | |
La “disumana ricchezza” nella Bibbia
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La condanna della ricchezza disumana attraversa tutto l’Antico Testamento. L’avidità rende ansiosi di accumulare, magari con la frode e la prepotenza; sfrutta i poveri o li umilia con lo spreco ostentato. I ricchi confidano nei loro mezzi; non si curano di Dio, lo dimenticano e lo rinnegano. «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono» (Sal 49,21). «Chi confida nella propria ricchezza cadrà» (Pr 11,28).
Nel Nuovo Testamento, Gesù invita a confidare in Dio, Padre sempre premuroso e vicino, e a vivere nel presente liberi dall’ansia per il domani. L’uomo vale assai più dei beni materiali e del potere. È stoltezza far dipendere il proprio valore e la propria salvezza dalla ricchezza accumulata. La salvezza, come il Maestro sottolinea in casa delle due sorelle Marta e Maria, viene dall’abbandono fiducioso alla parola di Dio e non dall’attivismo pieno di affanni
Lavoro e ricchezza, pur essendo certamente dei beni, non danno senso alla vita. Sono essi piuttosto a ricevere senso dalla comunione con Dio e con i fratelli. Il cristiano si guarda dalla bramosia del possesso, da «quella avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3,5); lavora in pace, vive con sobrietà. Chi eccelle solo per l’entità di guadagni o dei consumi non costituisce per lui un modello; gli appare carente di umanità e schiavo delle cose, posseduto dalle ricchezze più che capace di possederle
Cf. San Basilio di Cesarea, Sui ricchi; Sant’Ambrogio, La storia di Nabot, 13, 54. San Basilio di Cesarea, Sull’avarizia, 6. | CdA, 146 CONFRONTAVAI |
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Il cristiano, al contrario, è convinto che «diviene più ricco l’uomo misericordioso, quando comincia ad avere di meno per donare ai poveri»
San Massimo di Torino,Discorsi, 71, 44. | CdA, 147 CONFRONTAVAI |