CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
A
Abbà, Aborto, Abramo, Adorazione, Adulterio, Aldilà, Alleanza, Ambiente, Amore, Anàmnesi, Angeli, Angoscia, Anima, Anno liturgico, Annuncio, Antico Testamento, Anziani, Apostolato, Apostoli, Apparizioni, Armi, Arte, Ascensione, Ascesi, Assemblea, Associazioni ecclesiali, Assoluzione, Ateismo, Attrizione, Autoerotismo, Autorità, Avvento, Azione Cattolica,
B
C
Canone biblico, Carattere sacramentale, Carisma, Carità, Castità, Catechesi, Catechismo, Catecumenato, Cattolico, Celibato, Cena, Chiesa, Cibo, Civiltà cristiana, Collegialità episcopale, Collettivismo, Comandamenti, Comunicazione, Comunione, Comunità, Concilio, Concupiscenza, Confermazione, Confessione, Conoscenza di Dio, Consacrazione, Consigli evangelici, Contraccezione, Contrizione, Conversione, Coppia, Corpo, Coscienza, Creazione, Credo, Cresima, Criminalità, Cristo, Critica, Croce, Culto, Cultura, Cuore,
Canone biblico
Carattere sacramentale
Carisma
Carità
Castità
Catechesi
Catechismo
Catecumenato
Cattolico
Celibato
Cena
Chiesa
Carattere sacramentale
Carisma
Carità
Castità
Catechesi
Catechismo
Catecumenato
Cattolico
Celibato
Cena
Chiesa
Cibo
Civiltà cristiana
Collegialità episcopale
Collettivismo
Comandamenti
Comunicazione
Comunione
Comunità
Concilio
Concupiscenza
Confermazione
Confessione
Civiltà cristiana
Collegialità episcopale
Collettivismo
Comandamenti
Comunicazione
Comunione
Comunità
Concilio
Concupiscenza
Confermazione
Confessione
Conoscenza di Dio
Consacrazione
Consigli evangelici
Contraccezione
Contrizione
Conversione
Coppia
Corpo
Coscienza
Creazione
Credo
Cresima
Consacrazione
Consigli evangelici
Contraccezione
Contrizione
Conversione
Coppia
Corpo
Coscienza
Creazione
Credo
Cresima
D
E
F
G
I
Idolatria, Illuminismo, Imitazione, Immagini sacre, Immortalità, Impegno, Impresa, Impurità, Incarnazione, Incesto, Indissolubilità, Individuo, Induismo, Indulgenze, Infallibilità, Inferi, Infermi, Inferno, Iniziazione cristiana, Inquinamento ambientale, Intenzione fondamentale, Intercessione, Interpretazione, Invocazione, Islam, Ispirazione, Israele, Istituti secolari,
L
M
Maestro, Magistero, Malattia, Male, Marana tha, Maria, Martirio, Masturbazione, Materia, Materialismo, Matrimonio, Mediazione, Meditazione, Memoriale, Mente, Meriti, Messa, Messia, Ministeri, Ministro, Miracoli, Misericordia, Missione, Mistero, Mistica, Monachesimo, Mondo, Monoteismo, Morale, Morte, Movimenti,
N
O
P
Pace, Padre, Paolo, Papa, Parabole, Paradiso, Parola, Parrocchia, Parusia, Pasqua, Passione, Pastori, Pazienza, Peccato, Pelagianesimo, Pena, Penitenza, Pentecoste, Perdono, Persecuzione, Persona, Piacere, Pietro, Pluralismo, Poligamia, Politeismo, Politica, Popolo, Possessione, Povertà, Predestinazione, Predicazione, Preghiera, Presbitero, Presenza, Primato, Processo, Procreazione responsabile, Profeta, Progresso, Proprietà, Prostituzione, Provvidenza, Prudenza, Pudore, Purgatorio, Purificazione, Puro,
Pazienza
Peccato
Pelagianesimo
Pena
Penitenza
Pentecoste
Perdono
Persecuzione
Persona
Piacere
Pietro
Pluralismo
Peccato
Pelagianesimo
Pena
Penitenza
Pentecoste
Perdono
Persecuzione
Persona
Piacere
Pietro
Pluralismo
Poligamia
Politeismo
Politica
Popolo
Possessione
Povertà
Predestinazione
Predicazione
Preghiera
Presbitero
Presenza
Primato
Politeismo
Politica
Popolo
Possessione
Povertà
Predestinazione
Predicazione
Preghiera
Presbitero
Presenza
Primato
Processo
Procreazione responsabile
Profeta
Progresso
Proprietà
Prostituzione
Provvidenza
Prudenza
Pudore
Purgatorio
Purificazione
Puro
Procreazione responsabile
Profeta
Progresso
Proprietà
Prostituzione
Provvidenza
Prudenza
Pudore
Purgatorio
Purificazione
Puro
R
S
Sacerdozio, Sacramentali, Sacramenti, Sacrificio, Salario, Salmi, Salute, Salvezza, Santi, Santità, Sapienza, Satana, Scienza, Scrittura Sacra, Scuola, Segno, Sentimenti, Servizio, Sessualità, Signore, Simbolo, Sindacato, Società, Soddisfazione, Sofferenza, Solidarietà, Sopravvivenza, Speranza, Spirito Santo, Spiritualità, Sport, Sposi, Stati di vita, Stato, Storia, Successione apostolica, Suffragi, Suicidio, Superstizione,
T
V
Z
Catechismo degli Adulti
Uomo
3-9
, 10-17
, 18-20
, 26-35
, 36-39
, 41-43
, 169-170
, 230
, 244-252
, 276-278
, 306-314
, 352-357
, 366-367
, 370-373
, 374
, 390-400
, 797-798
, 800-804
, 805-806
, 833
, 906-911
, 1017-1018
, 1095-1101
, 1102-1104
, 1140-1143
La sete del cuore
[3] Una donna di Samarìa va al pozzo ad attingere acqua e vi incontra Gesù di Nàzaret. A lui, che avvia il dialogo, risponde ripetutamente con ironia e apparente sicurezza.
Gesù cerca di far emergere in lei una sete diversa, una sete nascosta nel profondo del cuore, per la quale occorre un’altra acqua. Le mette davanti il disordine della sua vita, perché ne prenda coscienza. La donna rimane colpita, ma tenta ancora di sfuggire e deviare il discorso.
Finalmente Gesù le prospetta un rapporto nuovo con Dio, «in spirito e verità» (Gv 4,24); si rivela a lei come il Messia atteso, l’unico in grado di dare l’acqua che disseta per sempre. La donna allora lascia la brocca al pozzo e corre con entusiasmo a chiamare i suoi concittadini: «Venite a vedere» (Gv 4,29). Intuisce di aver trovato ciò che, forse inconsapevolmente, cercava da sempre
La Samaritana ci rappresenta. Ogni uomo ha sete e passa da un pozzo all’altro: un vagare incessante, un desiderio inesauribile, rivolto ai molteplici beni del corpo e dello spirito.
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[4] Nel nostro tempo questa ricerca sembra diventare addirittura una corsa tumultuosa: produrre e consumare, possedere molte cose e fare molte esperienze, cercare impressioni sempre nuove, il piacere e l’utile immediato, tutto e subito. Molti però hanno la sensazione di correre senza una meta, di riempirsi di cose, che risultano vuote. Molti lamentano un impoverimento dei rapporti umani: anonimato, estraneità, incontri superficiali e strumentali, emarginazione dei più deboli, conflittualità e delinquenza. Tutto contrasta con quello che sembra essere il nostro anelito più profondo: essere amati e amare. | |
[5] Molto attuale è un testo biblico, che mette a nudo la logica di una mentalità materialistica: «La nostra vita è breve e triste... Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati... La nostra esistenza è il passare di un’ombra... Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano... Spadroneggiamo sul giusto povero, non risparmiamo le vedove, nessun riguardo per la canizie ricca d’anni del vecchio. La nostra forza sia regola della giustizia, perché la debolezza risulta inutile» (Sap 2,1256-810-11). Sentimento del nulla, bramosia di piacere, prepotenza: una logica coerente, ma triste. | |
Ricerca coraggiosa
| CdA, 801 CONFRONTAVAI |
[7] Nutriamo oggi un’alta considerazione per le scienze che ricercano e procurano un crescente dominio sui fenomeni naturali e sociali. Ma possono tali scienze indicare i fini a cui deve essere indirizzato il potere che ci mettono nelle mani? È ragionevole prestare attenzione solo a ciò che si può vedere e toccare, calcolare e controllare sperimentalmente? Non si lascia fuori così il nucleo centrale della propria e dell’altrui persona: la fiducia, l’amore, la bellezza, la bontà, la gioia, tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta?
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[8]
Occorre liberarsi dai pregiudizi e dal conformismo; occorre essere sinceri e onesti con se stessi. È necessario prendere sul serio le grandi domande, che ognuno di noi si porta dentro
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 10.
«L’ordine del pensiero sta nel cominciare dal proprio io, dal proprio autore, dal proprio fine»
B. Pascal, Pensieri, 146.
«Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17).
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Ambiguità del progresso
[10]
Generazione dopo generazione, gli uomini passano sulla terra. Attraversano le situazioni e le esperienze più diverse, senza mai fermarsi: osservano e agiscono; cercano, trovano, cercano ancora. Trasformano senza posa il mondo e se stessi, con il lavoro e l’economia, la comunicazione e la cultura, la politica e la religione. Portano avanti nei secoli una storia comune, intessuta di luci e ombre, conquiste e fallimenti.
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[11]
Il prodigioso sviluppo delle scienze e della tecnica imprime oggi ai cambiamenti una vertiginosa accelerazione. Abbiamo nelle mani un’ingente quantità di beni e un enorme potere sulla natura: possiamo dare soluzioni nuove ad antichi problemi, come la fame, la malattia, l’ignoranza, la fatica. Cresce la coscienza della dignità e dei diritti fondamentali dell’uomo. Una rete sempre più fitta di rapporti avvolge il mondo, con un movimento continuo di persone, uno scambio intensissimo di informazioni, di merci e di servizi. Si tratta di segnali positivi: sembrano indicare che siamo incamminati verso un futuro di libertà della persona, di unità del genere umano, di integrazione con la natura.Ma il progresso genera anche nuove forme di oppressione, nuovi pericoli e timori. La tecnologia porta con sé il saccheggio delle risorse naturali, l’inquinamento dell’ambiente, lo spettro di una catastrofe ecologica. E, intanto, rimane il sottosviluppo: mai come oggi tanta gente soffre la fame. La dignità della persona è più proclamata che effettivamente rispettata e l’interdipendenza planetaria è ben lontana dal diventare solidarietà. Anzi, sembra estendersi il dominio dell’uomo sull’uomo: regimi totalitari, controllo e manipolazione dell’opinione pubblica, sfruttamento, emarginazione, aborto, violenza diffusa, commercio della droga, pornografia.
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[12] Il progresso è attraversato da inquietanti contraddizioni. Ogni conquista si rivela precaria; ogni soluzione pone nuovi problemi; l’ebbrezza del potere rischia di finire nell’autodistruzione. È spontaneo domandarsi: ha un senso l’impresa storica del genere umano? qual è il suo obiettivo? non svanirà nel nulla come un’immensa illusione?
Possiamo d’altra parte rassegnarci al pessimismo? Se vogliamo edificare una convivenza libera e solidale e promuovere un uso della scienza e della tecnica degno dell’uomo, abbiamo bisogno di valori e norme etiche comuni; e, prima ancora, è necessario un atteggiamento fondamentale di fiducia verso se stessi, gli altri e la realtà in generale.
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Ambiguità dell’esistenza
[13]
Di ambiguità analoga a quella della storia universale sono cariche anche le storie personali, che in essa si incontrano, si allontanano, si rincorrono. Ciascuna è illuminata da esperienze positive, come lo stupore davanti alla verità e alla bellezza, la gioia di essere amati e di amare, il piacere del gioco, dell’arte, del lavoro riuscito. Ciascuna è offuscata da esperienze negative: dolore e miseria, egoismo e ingiustizia, errore, isolamento, paura. Il nonsenso sembra prevalere, perché i mali sono avvertiti più intensamente dei beni e, secondo il proverbio, un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce; soprattutto, la morte minaccia di vanificare gli stessi valori positivi.
È stato detto: la morte non conta, perché, quando ci siamo noi, lei non c’è ancora e, quando c’è lei, non ci siamo più noi. Questo, al più, potrebbe essere vero per gli animali. L’uomo, invece, sa di morire. La morte è «la sua cupa compagna di viaggio»
F. Nietzsche, La gaia scienza, 4, 278. | CdA, 1186 CONFRONTAVAI |
Disincanto del saggio
[14]
Nella Bibbia, il libro di Qoèlet, scritto prima che la divina rivelazione illuminasse pienamente il destino ultraterreno dell’uomo, mette in evidenza l’enigma della condizione umana in tutta la sua apparente assurdità. Qoèlet afferma che l’esperienza offre valori genuini anche se effimeri, come la sapienza, l’azione, lo stare insieme, l’allegria della mensa, la bellezza, il successo, il benessere. Ma questi beni sono mescolati con i mali: «Ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c’è l’iniquità e al posto della giustizia c’è l’empietà» (Qo 3,16), c’è «il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli» (Qo 4,1). E poi, tutti i valori sono ridotti a nulla dalla morte: «Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e l’empio, per il puro e l’impuro, per chi offre sacrifici e per chi non li offre, per il buono e per il malvagio» (Qo 9,2)
Sebbene molte singole cose siano sensate, la vita nel suo insieme non ha un senso comprensibile. L’uomo è sempre in cammino, «non conosce riposo né giorno né notte» (Qo 8,16), ma non approda a niente. Arriva l’inverno della vecchiaia e sulla casa fatiscente calano oscurità e silenzio, mentre si aggirano intorno figure spettrali, in attesa che avvenga il crollo definitivo e «si rompa il cordone d’argento e la lucerna d’oro s’infranga e si rompa l’anfora alla fonte e la carrucola cada nel pozzo» (Qo 12,6). La ricerca rimane perennemente incompiuta, come un movimento interminabile e vuoto: «Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? Una generazione va, una generazione viene ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta verso il luogo da dove risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana; gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro meta, i fiumi riprendono la loro marcia. Tutte le cose sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l’occhio di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire» (Qo 1,2-8).
La visione di Qoèlet è parziale, non falsa. Ha la provvidenziale funzione di demolire l’ottimismo superficiale e illusorio. Considerata in un orizzonte puramente terreno, l’esistenza umana risulta problematica, senza fondamento e senza meta: inutile appare l’immane fatica degli uomini e delle cose.
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Necessità di significato
[15] Tuttavia, in concreto, con il loro operare gli uomini mostrano di credere almeno implicitamente nella vita, perfino quando in teoria non le riconoscono alcun significato. Malgrado il naufragio che tutti li aspetta, non cessano di fare progetti e di volgersi a nuove imprese. Sono continuamente protesi verso un di più, con la mente, con il cuore, con le mani, con i passi dei loro piedi.
Come spiegare questo dinamismo dello spirito umano? Una speranza tenace si nasconde in esso. Si agisce sempre per un fine, per un obiettivo in cui si crede. Anche chi agisce dicendo di non avere prospettive, implicitamente presuppone il contrario. Chi poi si sente chiamato a compiere il bene incondizionatamente, anche quando non ne ricava vantaggi verificabili, di fatto è convinto che un senso complessivo ci deve pur essere. L’esigenza di significato è ineludibile.
Non si può vivere senza un atteggiamento fondamentale di fiducia nella realtà. Se la realtà nel suo insieme fosse caos e illusione, anche le singole cose risulterebbero in definitiva equivalenti tra loro e senza valore. Se la vita nostra e altrui si riducesse a una caduta nel nulla, sarebbe irrilevante scegliere un comportamento piuttosto che un altro. Ma l’equivalenza di tutte le cose non è vivibile. Malgrado tanti problemi e tante delusioni, noi conserviamo la certezza di fondo, anche non espressa, che la realtà nel suo insieme sia sensata; continuiamo a credere nell’importanza della vita, nella capacità della ragione, nei valori etici. Senza speranza e senza valori non possiamo andare avanti.
| CdA, 29 CONFRONTAVAI |
[16] Ma come è possibile dare fiducia a una realtà che si presenta frammentaria e precaria? Come si può mantenere la speranza di fronte alla prospettiva di una morte sicura? Perché alcune azioni sono da fare e altre da evitare assolutamente? Da dove i valori ricevono consistenza? E perché esiste qualcosa e non il nulla? La risposta a questi interrogativi va ricercata in un fondamento originario e in una meta ultima. L’esigenza insopprimibile di significato introduce nell’esperienza religiosa e si configura come apertura al mistero di Dio e insieme al nostro futuro, oltre l’orizzonte spazio-temporale dei fenomeni studiati dalla scienza.
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Universalità del fatto religioso
[18]
Da sempre gli uomini si interrogano circa la loro origine e il loro futuro, la vita e la morte, il bene e il male, la felicità e il dolore, il mistero profondo della realtà
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 1.
A queste grandi domande cercano di trovare una risposta nelle religioni. Tutto il loro cammino storico si alimenta di senso religioso. Ne sono permeati costumi e tradizioni, famiglia e società, arte, musica e letteratura. Un antico scrittore greco osservava: «Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, che ignorano la scrittura, non hanno re, case e ricchezze, non fanno uso di monete, non conoscono teatri e palestre; ma nessuno vide né vedrà mai una città senza templi e senza divinità»
Plutarco, Contro Colote, 31. R. M. Rilke, Il libro d’ore, Il libro della vita monastica.
Perché gli uomini sono spontaneamente religiosi e arrivano a riconoscere, oltre le cose visibili, una potenza arcana, a volte anzi una divinità suprema benevola
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2. | |
Esperienza del mistero
[19] L’uomo nasce e si sviluppa nel contesto della natura e della società. Non possiede la vita da solo: la riceve. Neppure le cose e le persone, che formano il suo ambiente vitale, sono autosufficienti: iniziano, mutano, muoiono, si condizionano reciprocamente. Da dove viene allora una così inesauribile abbondanza di energia e di bellezza? Perché sorgono realtà nuove e imprevedibili e accadono eventi straordinari, che riempiono di meraviglia? È spontaneo intuire che, oltre e dentro i fenomeni della natura e della storia, ci sia una misteriosa presenza, una potenza invisibile, da cui essi in qualche modo dipendono. È ragionevole postulare, oltre la realtà profana soggetta alla caducità e alla morte, una sfera del divino, che possieda la vita in pienezza e sia in grado di dare risposta all’umano bisogno di protezione e di sopravvivenza.
Questa potenza nascosta può essere variamente rappresentata: come energia e ordine impersonale, come una moltitudine di dèi e di spiriti, come un Essere supremo. L’uomo può nutrire il desiderio di catturarla o almeno di influenzarla per i propri scopi, ed è l’atteggiamento magico; oppure può sottomettersi e abbandonarsi fiduciosamente ad essa, attendendo come un dono la liberazione dal male e la pienezza della vita, ed è l’atteggiamento religioso. Quest’ultimo giunge coerentemente ad affermare un Dio unico o almeno un Dio supremo, buono e giusto, senza concorrenti, capace di sottomettere tutte le forze buone e cattive, visibili e invisibili, così da assicurare unità e armonia all’universo, proteggere adeguatamente la vita umana e darle un senso anche oltre la morte. Davanti a lui l’uomo prova stupore, riverenza, bisogno di purificazione; a lui chiede protezione.
| CdA, 30 CONFRONTAVAI |
Il senso religioso
[20] Il senso religioso è l’apertura al Mistero che sostiene il mondo e l’esistenza umana. Viene vissuto all’interno di una comunità, mediante l’accettazione di una dottrina, il culto pubblico e l’osservanza di norme morali. Del Mistero, intravisto solo indirettamente, si parla con il linguaggio dei simboli e delle analogie. Con i riti si evoca la sua presenza e se ne riceve l’energia, che conserva e accresce la vita. Con il giusto comportamento si partecipa all’ordine sapiente del mondo, da esso stabilito.
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Fiducia nella ragione
[26]
L’esperienza religiosa è solo un sentimento, un’intuizione, o anche una conoscenza razionale? Può il nostro ragionamento elevarsi fino a Dio?
La Chiesa crede e insegna che «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale dell’umana ragione a partire dalle cose create»
Concilio Vaticano I, Dei Filius, II - DS 3004; Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 6.
Il nostro accesso a Dio passa anche per la via dell’intelligenza. «La Chiesa rimane ferma, anche se dovesse rimanere sola, nel rivendicare alla ragione questa suprema possibilità»
Paolo VI, Discorso del 27 novembre 1968. | |
[27]
Il libro della Sapienza biasima quanti non giungono a riconoscere il Dio vivente
La Lettera ai Romani rimprovera duramente gli uomini «che soffocano la verità nell’ingiustizia» (Rm 1,18), in quanto rifiutano di riconoscere e adorare il vero Dio, pur avendone un’iniziale conoscenza intellettuale. «Ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto... Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute» (Rm 1,1920). Per chi è ben disposto, l’eterna Potenza invisibile si lascia quasi intravedere attraverso il panorama della creazione. Purtroppo gli uomini, nella loro superbia, si chiudono davanti al mistero di Dio, si lasciano trascinare da passioni vergognose, precipitano nella corruzione morale
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Conoscenza indiretta
[28] Secondo la fede della Chiesa, la ragione può conoscere con certezza l’esistenza di Dio. Ma come mettere in atto concretamente questa capacità?
Dio non è un contenuto di esperienza accanto ad altri. Viene conosciuto indirettamente, attraverso il mondo e l’uomo, come fondamento e orizzonte di ogni cosa. La sua conoscenza viene esplicitata per via di riflessione razionale, secondo diverse prospettive.
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Dalla precarietà a Dio
[29] Il limite e la precarietà delle cose, il loro iniziare, mutare e finire, il fatto che esistono e possono non esistere, tutto indica che il mondo non è autosufficiente e in definitiva riceve esistenza e vita da un Altro, il quale a sua volta basta pienamente a se stesso e non ha bisogno di ricevere da nessuno.
Se una catena pende dall’alto, ogni anello è sostenuto dal precedente; ma poi ci vuole un perno che li sostenga tutti. Senza un ancoraggio definitivo, la contingenza non solo sarebbe irrazionale, ma anche invivibile. Non potremmo sopportare con lucida coerenza il continuo morire di ogni cosa, il continuo precipitare nel nulla. Niente avrebbe valore.
| CdA, 15 CONFRONTAVAI |
Dall’ordine a Dio
[30] Beato chi sa meravigliarsi! La bellezza, la varietà, l’ordine mirabile delle cose, la complessità delle strutture viventi, il mistero della persona umana, intelligente e libera, che torna a sbocciare in ogni bambino che nasce, il semplice fatto che la natura sia intelligibile alla nostra mente: tutto rinvia a una Intelligenza creatrice.
Una cattedrale è ben più che un mucchio di pietre; è una nuova unità ordinata. Per questo le pietre da sole non diventano cattedrale: hanno bisogno di un progetto e di un architetto. Non è pensabile che gli elementi che compongono i corpi dell’universo da soli siano capaci di organizzarsi, fino a formare esseri diversissimi tra loro, di inaudita complessità e con qualità e funzioni originali.
Se nel corso dell’evoluzione il più emerge dal meno, non può trattarsi di un fatto automatico o casuale. Gli elementi naturali, sebbene abbiano un ruolo attivo, non spiegano tutto. Per convergere in una nuova e più perfetta unità, devono essere assunti da un’Intelligenza ordinatrice e creatrice. Questa causa suprema fa emergere la novità dalla continuità dello sviluppo. Sostiene le cause naturali, non interferisce, non si pone accanto, come se fosse una di esse, magari la più potente. Si colloca a un livello diverso, trascendente e immanente nello stesso tempo.
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Dallo spirito umano a Dio
[31]
Si può risalire a Dio non solo a partire dal mondo, ma anche dallo spirito umano. È facile rendersi conto che siamo limitati nel conoscere e nel volere: non possediamo la verità intera né la felicità completa; non conosciamo pienamente neppure un filo d’erba e non riusciamo ad allungare la nostra vita di «un’ora sola» (Lc 12,25); errori e peccati ci opprimono. Tuttavia conosciamo una cosa dopo l’altra, raggiungiamo un bene dopo l’altro, passiamo da un’esperienza all’altra in un dinamismo inesauribile. Non possiamo fermarci a nessun traguardo. Giudichiamo parziale qualsiasi contenuto di conoscenza, perché lo vediamo nella prospettiva dell’essere, come un’isola sullo sfondo dell’oceano. Siamo liberi in ogni scelta, perché non c’è proporzione tra le mete a portata di mano e il bene che desideriamo. Siamo aperti su un orizzonte infinito con l’intuizione e il desiderio; tutte le cose intorno a noi sembrano sussurrare: «Non siamo noi il tuo Dio. Cerca sopra di noi»
Sant’Agostino, Confessioni, 10, 6, 9.
La nostra mente è polarizzata e, per dir così, programmata sull’infinito, come la vista è fatta per la luce. E, come non vediamo la luce in se stessa, ma solo attraverso gli oggetti illuminati, così non conosciamo l’Infinito in se stesso, ma solo attraverso i contenuti particolari della nostra esperienza. L’Infinito, «vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce»
San Bonaventura da Bagnoregio, Il legno della vita, 3, 47. | |
Verità sapienziale
[32]
Nell’universo siamo un granello di polvere, ma dotato di pensiero e di volontà, aperto al mistero infinito. Siamo una minuscola goccia, in cui però si riflette il cielo. Dio ci ha creati capaci di ricevere la sua comunicazione e ora ci offre «nelle cose create una perenne testimonianza di sé»
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 3. Cf. San Tommaso d’Aquino, Commento alla seconda Lettera ai Corinzi, 1, 12. Per udire Dio non basta essere intelligenti; bisogna avere il cuore ben disposto. La sua esistenza è una verità di carattere etico e sapienziale: non la si capisce soltanto, ma la si apprezza, la si accosta in modo appassionato. Può senz’altro essere conosciuta dalla ragione; ma la ragione viene resa disponibile alla ricerca e all’adesione solo quando assumiamo, con l’aiuto della grazia, un atteggiamento umile e rispettoso di meraviglia, fiducia e accoglienza.
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Linguaggio inadeguato
[33]
Confidando nelle possibilità della ragione riguardo a Dio, la Chiesa respinge la tendenza all’agnosticismo, presente nella cultura contemporanea. Rimane però ben consapevole dei limiti umani, non solo etici, ma anche propriamente conoscitivi. Dio «abita una luce inaccessibile» (1Tm 6,16), «ineffabilmente elevato al di sopra di tutto ciò che è e che può essere concepito al di fuori di lui»
Concilio Vaticano I, Dei Filius, I - DS 3001. Cf. Concilio Lateranense IV, Costituzione2 - DS 806. | CCC, 39-43CCC 170-171CdA, 316 CONFRONTAVAI |
[34] In che misura possiamo conoscere Dio? Possiamo riferire a lui i nostri concetti, che più o meno direttamente derivano dall’esperienza sensibile? Possiamo parlare di lui o dobbiamo tacere?
La ragione umana attinge Dio in maniera indiretta e inadeguata; non lo comprende, lo addita soltanto; lo conosce precisamente come mistero. Dio è semplice e sussistente. Se dico di lui che è potente, sapiente e buono, lo rappresento come uno che ha la potenza, la sapienza e la bontà e quindi come un soggetto sussistente, ma purtroppo anche composto e imperfetto. Se invece dico di lui che è la potenza, la sapienza, la bontà e l’essere stesso, lo rappresento come una perfezione semplice e illimitata, ma purtroppo non come un soggetto sussistente. Quanto al modo di rappresentare, i nostri concetti non sono mai idonei per indicare Dio, né quelli concreti né quelli astratti. Neppure il concetto primo di ente, che è incluso in ogni altro, può significare Dio in modo corretto, perché significa ciò che ha l’essere, che lo partecipa
Cf. San Tommaso d’Aquino, Sul Libro delle Cause, 4, 1, 47; Sulla Potenza, q. 7, a. 2 ad 7; q. 7, a. 3 ad 7. Sant’Anselmo d’Aosta, Proslogion, 1, 2. | |
[35] Secondo la fede della Chiesa, fondata sulla Bibbia, la ragione umana attraverso la mediazione delle cose create può conoscere con certezza Dio, principio primo e fine ultimo di tutta la realtà.
La riflessione razionale è valida in se stessa, ma il suo sviluppo è favorito dalle buone disposizioni morali. La conoscenza che si ottiene è vera, ma indiretta e limitata.
| |
Dialogo possibile e desiderato
[36]
La ricerca di Dio per la via delle religioni e della ragione procede con molte incertezze e deviazioni. Dio, benché sia vicinissimo, sembra lontano, senza volto e senza nome: il «Dio ignoto» (At 17,27).
Ma l’apertura razionale al mistero infinito è il presupposto per poter ricevere il dono incomparabilmente più grande della rivelazione storica: «Dio non avrebbe potuto rivelarsi all’uomo, se questi non fosse già stato naturalmente capace di conoscere qualcosa di vero a suo riguardo»
Giovanni Paolo II, Catechesi del 20 marzo 1985. | CdA, 44-45 CONFRONTAVAI CdA 76-85 CONFRONTAVAI |
[37]
Per il fatto di essere aperto a Dio attraverso le creature, l’uomo spontaneamente sente il desiderio esplicito di conoscerlo direttamente in se stesso: cosa impossibile alle sue forze; ma chissà che a Dio non sia possibile? chissà che dopo i doni di questo mondo, non voglia farci il dono di se stesso? chissà che non voglia parlarci da persona a persona? Avremmo allora un orientamento sicuro, una solida nave per attraversare il mare della vita e non più la fragile zattera della filosofia
Cf. Platone, Fedone, 35. | |
La pretesa cristiana
[38] L’annuncio della Chiesa è precisamente questo: il Mistero infinito ci ha rivolto la parola e addirittura ci è venuto incontro personalmente, con il nome e il volto di un uomo, Gesù di Nàzaret, e ci ha chiamati a vivere insieme con lui per l’eternità. Dio fatto uomo, l’uomo innalzato fino a Dio: nessun’altra religione ha una notizia simile, nessuna offre una speranza più audace. Mentre i grandi uomini religiosi, i profeti e i santi avvertono il proprio nulla davanti alla grandezza di Dio e si sentono peccatori, Gesù di Nàzaret con tranquilla sicurezza si è presentato come Figlio di Dio, uguale al Padre: una follia e una bestemmia sulla bocca di qualsiasi altro.
La pretesa è inaudita, ma duemila anni di storia la rendono degna almeno di essere presa in considerazione. Vale la pena esaminarla, senza pregiudizi: un pensiero è veramente libero quando non scarta in partenza nessuna ipotesi.
Gesù ha detto: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 37). In lui trovano risposta le domande più profonde dell’uomo e la ricerca religiosa dei popoli; in lui il viandante assetato trova l’«acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14), come la trovò un giorno la donna di Samarìa.
| CdA, 52 CONFRONTAVAI |
[39] La conoscenza razionale di Dio dispone ad accogliere una eventuale rivelazione di lui nella storia.
L’audacia inaudita della fede cristiana consiste nell’affermare che Dio si è fatto uomo, per innalzare l’uomo fino a Dio, nella comunione immediata con lui.
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Religiosità diffusa
[41] Il fenomeno religioso, oggi come in passato, appare ovunque ben radicato. Anche nel nostro paese, malgrado la secolarizzazione, persiste una religiosità diffusa. Non è detto però che si tratti sempre di fede propriamente cristiana: spesso prevale la devozione interessata; alcune verità centrali del messaggio cristiano vengono negate o messe in dubbio; risulta carente la conoscenza della Bibbia, debole l’appartenenza ecclesiale, incrinata la coerenza tra la pratica religiosa e il vissuto quotidiano.
Perché la religiosità è più agevole e più diffusa della fede? Da dove proviene la sua sorprendente vitalità?
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Una illuminazione comune
[42] La religiosità è un primo orientamento verso il mistero. Nella misura in cui non è inquinata da errori e deviazioni, suppone la iniziale comunicazione che Dio fa a tutti gli uomini mediante la creazione e la sua continua, benevola vicinanza.
Da sempre gli uomini cercano Dio con la loro sete di vita, di verità, di sicurezza e di felicità. Da sempre Dio li illumina, li assiste e li sostiene in questa ricerca; li attrae segretamente a sé per le molte strade delle religioni e delle culture. La sua provvidenza salvifica si estende a tutta la storia umana
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 3. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 3. Frutto di questa illuminazione da parte di Dio sono gli elementi di verità e di bontà presenti nella religiosità umana. In essa, di solito, prevale un atteggiamento di dipendenza creaturale, una consapevolezza di precarietà e un desiderio di protezione. La fede cristiana, invece, si colloca a un livello più elevato. Assume i valori positivi della religiosità umana, ma ha una sua specificità. È la risposta, altamente impegnativa, a una più perfetta comunicazione di Dio, alla quale viene riservato il nome di rivelazione in senso proprio.
| CdA, 24 CONFRONTAVAI CdA 401 CONFRONTAVAI CdA 575 CONFRONTAVAI |
Rivelazione
[43]
La rivelazione è una speciale iniziativa divina. In un ambito storico particolare, Dio liberamente esce dal silenzio
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Magnesia, 8, 2. | |
Paternità universale [169]
Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il «Padre mio» (Mt 7,21) da il «Padre vostro» (Mt 7,11), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli.
Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere “Abbà” anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l’apostolo Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8,15).
Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall’eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa | CdA, 823-825 CONFRONTAVAI |
[170] Non è affatto semplice per l’uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell’ambiente, l’esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l’uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l’esperienza e rivoluziona tutti i rapporti. | |
Dono di se stesso
[230] Gesto di speranza è dunque l’ultima cena. Ma ancor più è gesto di autodonazione per la salvezza dell’umanità.
Mentre mangiavano, Gesù «preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”» (Lc 22,19-20).
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Dio primo protagonista
[244]
Chi ha provocato la morte di Gesù? I suoi avversari storici soltanto? Oppure Dio ha fatto ricadere su di lui il castigo dovuto ai nostri peccati? Ha fondamento l’immagine di un Dio inflessibile, che soddisfa le esigenze della giustizia attraverso il sacrificio di un innocente? Addentrandoci in questi interrogativi ci accostiamo al significato della redenzione.
Dal punto di vista storico, la morte di Gesù è stata voluta dalle autorità ebraiche e romane del tempo e dalla folla di Gerusalemme abilmente manipolata; non da tutti gli ebrei di allora; tanto meno da quelli delle generazioni successive
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
Ma le cause storiche non spiegano adeguatamente la croce di Cristo: ad un livello diverso tutti gli uomini ne sono responsabili. Quei pochi che, in varia misura, l’hanno provocata direttamente sono soltanto i rappresentanti del peccato, radicato in ogni uomo, in ogni popolo e in ogni epoca: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3).
«Secondo le Scritture» significa: secondo il progetto di Dio adombrato nell’Antico Testamento. Dietro la morte di Gesù c’è dunque un disegno di Dio, un disegno di amore, che la fede della Chiesa chiama “mistero della redenzione”. Come l’antico Israele fu liberato dalla schiavitù d’Egitto per ricevere il dono dell’alleanza e della terra promessa
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Mistero d’amore
[245] Il mistero della redenzione, secondo il Nuovo Testamento, è mistero di amore. Per avvicinarci ad esso il più possibile, nessuna prospettiva o linguaggio è più adatto di quello dell’amore gratuito.
Dio è in sé perfettissimo, felice e immutabile: non può né diminuire né crescere, né perdere né acquistare. È per amore del tutto libero e gratuito che chiama in essere le creature e concede la sua alleanza. Non acquista nulla per sé; vuole solo comunicare vita e perfezione; ma lo vuole con assoluta serietà, appassionatamente.
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[246]
L’uomo, creato libero, si chiude con il peccato all’amore e ai doni di Dio. Danneggia se stesso, non Dio. A ognuno potrebbero essere rivolte le parole di Eliu nel libro di Giobbe: «Contempla il cielo e osserva, considera le nubi: sono più alte di te. Se pecchi, che gli fai? Se moltiplichi i tuoi delitti, che danno gli arrechi? Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d’uomo la tua giustizia!» (Gb 35,5-8). E con il concilio Vaticano II si potrebbe aggiungere: «Il peccato è una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 13.
Tuttavia il peccatore offende Dio e gli procura una misteriosa «sofferenza»
Cf. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[247]
Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori
Cf. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, III, q. 47, a. 3; q. 49, a. 4.
L’iniziativa è del Padre: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo «soffre una passione d’amore»
Origene, Omelie su Ezechiele, 6, 6. San Gregorio Taumaturgo, A Teopompo sulla passibilità o impassibilità di Dio. Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 39. | |
[248]
Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: «Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve
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[249]
Si è offerto «con uno Spirito eterno» (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così «lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo»
Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem, 40. | |
Il Crocifisso risorto, nostro Salvatore
[250]
Dio, nella sua misericordia, non solo dona agli uomini peccatori il Figlio unigenito irrevocabilmente, fino alla morte in croce, ma lo risuscita a loro vantaggio, costituendolo loro «capo e salvatore» (At 5,31). Dopo aver reso Gesù solidale con noi fino alla morte, il Padre lo ricolma della sua compiacenza, lo glorifica con la risurrezione e lo costituisce principio di rigenerazione per tutti gli uomini con la potenza dello Spirito Santo: «È stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rm 4,25).
Nell’evento globale della morte e risurrezione di Cristo si attua il mistero della redenzione, in quanto viene preparato e «reso perfetto» (Eb 5,9) per il genere umano il Salvatore, incarnazione dell’amore misericordioso e potente del Padre. «Colui che è più forte di ogni cosa al mondo, è apparso immensamente debole... Egli si è abbassato per gli uomini facendosi uomo e noi siamo saliti su un uomo abbassatosi fino a terra. Egli si è rialzato e noi siamo stati elevati»
San Gregorio Magno, Commento al Libro di Giobbe, 16, 30, 37. | CdA, 274 CONFRONTAVAI CdA 399 CONFRONTAVAI CdA 401-404 CONFRONTAVAI |
[251]
Dopo l’evento pasquale, attraverso il ministero della Chiesa, in virtù dello Spirito di Cristo, la salvezza raggiunge i singoli uomini. Così la vita nuova «viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione... Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro» (2Cor 5,1820).
I credenti, accogliendo la redenzione, diventano anche cooperatori della salvezza degli altri. Seguendo Cristo, sostenuti dalla sua grazia, abbracciano la croce, muoiono al proprio egoismo, ricevono la forza nuova dell’amore e la introducono nel tessuto sociale della famiglia umana.
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[252] Dio Padre ha mandato il suo Figlio tra gli uomini, lo ha lasciato in balìa della loro violenza, lo ha reso solidale con i peccatori fino alla morte in croce, lo ha risuscitato come loro Salvatore: «Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (
Gv 3,16
).
Gesù Cristo, condividendo l’amore del Padre per noi peccatori, si è consegnato nelle nostre mani, si è donato senza riserve fino alla morte, ha portato il peso dei nostri peccati; quindi è risuscitato per comunicarci lo Spirito Santo e renderci giusti. Così ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, lo ha glorificato.
Lo Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, ha animato l’esistenza umana di Gesù, in modo che fosse un continuo dono di sé agli uomini, fino al vertice supremo della morte in croce e della risurrezione.
Gli uomini, nella misura in cui sono peccatori, sono solidali con chi ha condannato e ucciso Gesù; ma possono convertirsi e diventare giusti, perché l’amore di Dio e di Cristo è più forte di ogni peccato.
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Primizia dei risuscitati
[276]
La risurrezione di Gesù fonda la nostra fede nella risurrezione generale al termine della storia.
I discepoli, come gran parte degli ebrei del tempo, aspettavano certamente la risurrezione dei morti. Ma Gesù risorto fu per loro un avvenimento imprevisto, carico di misteriosa novità, in quanto anticipazione di un evento atteso solo per gli ultimi giorni: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,20-22).
L’offerta delle primizie, nel culto ebraico, significava la consacrazione a Dio di tutto il raccolto. Gesù di Nàzaret è risuscitato non come individuo isolato, ma come capo e rappresentante dell’umanità; è la primizia dei risorti e include virtualmente la liberazione di tutti dal peccato e dalla morte; contiene in sé la risurrezione universale, attesa per la fine dei tempi. Tutto comincia a compiersi.
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Speranza certa
[277] Per noi quest’uomo storico, che ha raggiunto la perfezione oltre la storia, è non solo la guida morale, ma il Signore vivente, che attraverso la morte ci apre un futuro definitivo di vita e di pace. La vittoria sul male è sicura; la storia va verso la salvezza; l’ultima parola appartiene alla grazia di Dio. Dobbiamo scrollarci di dosso la tristezza e la rassegnazione, per aprirci al coraggio della speranza.
| CdA, 406 CONFRONTAVAI |
[278] Gesù è risorto come capo dell’umanità: «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,22).
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Ricerca incessante
[306]
La fede genera un movimento incessante di ricerca, che penetra sempre più nel mistero. La molteplicità di avvenimenti storici, esperienze personali e ambienti culturali provoca domande diverse e porta ad acquisire aspetti sempre nuovi della verità, senza mai esaurirla. Già all’interno del Nuovo Testamento, frutto dell’epoca apostolica delle origini e regola della fede per tutte le generazioni successive, è possibile riscontrare una tradizione sostanzialmente unitaria, ma con varietà di accentuazioni, di prospettive e di contributi.
La riflessione della Chiesa continua nei secoli con la partecipazione di tutti i credenti, ma soprattutto con la predicazione e gli scritti dei Padri, con il magistero del papa e dei vescovi, con quell’espressione particolarmente solenne di esso che sono i concili.
Sorgono numerose eresie. Enfatizzano un aspetto parziale della verità in maniera così unilaterale da lasciarne in ombra o negarne altri. Alcune accentuano l’umanità di Cristo a scapito della divinità; altre, viceversa, accentuano la divinità in modo da misconoscere la sua vera e completa umanità. Tutte finiscono per allontanare Dio dalla storia degli uomini, compromettendo la concezione cristiana della salvezza come unione di Dio con l’uomo. Allora, per difendere l’integrità della dottrina ricevuta dagli apostoli e l’unità della Chiesa, confidando nell’assistenza dello Spirito Santo promesso da Cristo, i concili pronunciano definizioni dogmatiche chiarificatrici, come punti fermi che non bloccano la ricerca, ma la preservano dall’imboccare strade sbagliate.
| CdA, 622 CONFRONTAVAI |
I primi sette concili
[307] I primi sette concili ecumenici difendono e spiegano le verità centrali della fede riguardo a Dio e a Cristo. Ancora oggi il loro insegnamento è patrimonio comune di quasi tutti i cristiani, d’oriente e d’occidente.
Il primo concilio di Nicea, celebrato nell’anno 325, proclama che Gesù Cristo è il Figlio unigenito di Dio, generato non creato, consustanziale al Padre, eterno e immutabile. Respinge l’arianesimo, la dottrina secondo cui il Verbo sarebbe la prima e più perfetta delle creature, strumento per la creazione di tutte le altre.
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[308] Il primo concilio di Costantinopoli, dell’anno 381, condanna gli pneumatòmachi, che negano la divinità dello Spirito Santo, e gli apollinaristi, che non riconoscono in Gesù un’anima umana, in quanto al suo posto ci sarebbe il Verbo. Insegna che lo Spirito Santo è persona divina, consustanziale al Padre e al Figlio, e che il Verbo si è fatto uomo vero, completo di anima e di corpo.
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[309] Il concilio di Efeso, dell’anno 431, rifiuta la dottrina nestoriana, secondo cui in Cristo ci sarebbero due soggetti, uniti moralmente: il Verbo e l’uomo Gesù. Afferma che il Verbo non ha unito a sé la persona di un uomo, ma si è fatto uomo e nella sua umanità è nato da Maria, ha sofferto, è risorto; perciò una sola persona, un solo e medesimo Figlio di Dio è vero Dio e vero uomo, e Maria è vera madre di Dio.
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[310] Il concilio di Calcedonia, dell’anno 451, condanna i monofisiti, i quali sostengono che nell’incarnazione la natura umana viene assorbita in quella divina e quindi ammettono in Cristo una umanità solo apparente. Il concilio formula una professione di fede, molto precisa nel linguaggio e destinata ad avere una grande importanza storica:
«Noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo,[composto]di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo Figlio Signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipòstasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo»
Concilio di Calcedonia, Definizione della fede - DS 301-302. Per secoli questa formula è stata ripetuta, tale e quale, per esprimere la fede della Chiesa. Oggi si sente il bisogno di arricchirla con altre prospettive, per evangelizzare efficacemente le culture contemporanee. Ma essa conserva tutto il suo valore di verità e costituisce un’indicazione sicura per il nostro cammino.
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[311] Conferme e precisazioni a questa formula sono venute già nell’antichità dai tre concili successivi.
Il secondo concilio di Costantinopoli, dell’anno 553, ribadisce la condanna di alcune interpretazioni dualiste, vicine a quella nestoriana.
Il terzo concilio di Costantinopoli, degli anni 680-681, condanna il monoenergismo e il monotelismo, ultimi rigurgiti del monofisismo, che pongono in Cristo una sola attività e una sola volontà; riconosce invece l’esistenza di due attività naturali, divina e umana, e in particolare due volontà in armonia tra loro.
Il secondo concilio di Nicea, dell’anno 787, definisce che è conforme alla verità dell’incarnazione raffigurare il Cristo nelle opere d’arte e tributare culto alle sacre immagini, perché l’onore in definitiva è rivolto alla persona rappresentata.
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Incarnazione di Dio e santificazione dell’uomo
[312] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, una sola persona in due nature, un solo soggetto di azioni divine e umane.
Il Figlio eterno si è comunicato a una concreta natura umana, esprimendosi in essa. Pur rimanendo Dio come il Padre, ha voluto vivere e morire da uomo, pensare come noi, volere e agire come noi, sentire e soffrire come noi. Ha assunto un vero corpo e una vera anima, una volontà umana liberamente sottomessa a quella divina, una conoscenza umana derivata dall’esperienza del mondo e dall’esperienza intima di sé e del Padre. Pur rimanendo trascendente, è entrato personalmente in una vera esistenza terrena con un concreto spessore storico: «Si è umiliato, non perdendo la natura di Dio, ma assumendo quella del servo»
Sant’Agostino, Discorsi, 4, 5. | CCC, 478 |
[313]
Prospettive inaudite si aprono sull’amore di Dio per gli uomini e sulla grandezza della nostra vocazione. Dio non ci ha dato solo i beni creati, ma ci ha donato se stesso nella storia, per donarci se stesso nell’eternità. Si è abbassato fino a noi, per innalzarci fino a sé, perché, ricevendo lo Spirito Santo, vivessimo in comunione con il Figlio e diventassimo per grazia figli del Padre: «Il Verbo si è fatto uomo e il Figlio di Dio figlio dell’uomo, perché l’uomo, entrando in comunione con Dio e ricevendo l’adozione filiale, diventi figlio di Dio»
Sant’Ireneo, Contro le eresie, 3, 19, 1. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22. I misteri dell’incarnazione di Dio e della santificazione dell’uomo sono strettamente congiunti. Sia pure in maniera diversa, in ambedue Dio si comunica all’uomo personalmente e l’uomo è accolto in Dio senza perdere la sua piena e concreta verità. È questo il modo proprio del cristianesimo di intendere la salvezza.
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[314] Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, uguale al Padre nella divinità, in tutto simile a noi nell’umanità, eccetto il peccato.
Il Figlio eterno di Dio si è fatto uomo, per renderci partecipi della sua vita filiale e introdurci nell’intimità del Padre.
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Elezione e predestinazione
[352]
Nel Signore morto e risorto gli apostoli e la Chiesa dei primi tempi, illuminati dallo Spirito Santo, hanno intravisto non solo il mistero della vita personale di Dio, ma anche il suo progetto globale sull’uomo e sul mondo. In questa rivelazione è la risposta a domande fondamentali: qual è il senso della storia? ha una direzione e una meta? che cosa possiamo sperare?
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[353]
La storia obbedisce a un disegno di amore
Dio ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha creato gli uomini, per introdurli nella comunione trinitaria: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6). Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito, mediante la sua incarnazione e il dono dello Spirito Santo. Li ha «predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
Cristo è il primo eletto. Noi siamo progettati in modo da poter realizzare la nostra identità in dipendenza da lui. È questa la nostra vocazione costitutiva, che può essere rifiutata, non annullata. Da parte sua Dio vuole che tutti si salvino
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A gloria della sua grazia
Da sempre il Padre genera il Figlio e lo attrae a sé nello Spirito; il Figlio è rivolto al Padre nello stesso Spirito. Dio non soffre di solitudine; è pienamente se stesso nella comunione trinitaria dell’amore: nulla può accrescere la sua perfezione e beatitudine. All’origine del mondo creato c’è solo la “grazia”, cioè l’amore sovranamente libero e gratuito del Padre. Egli non ricava da noi alcuna utilità: «Dio non creò Adamo, perché aveva bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno in cui riporre i suoi benefici»
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 14, 1. | |
[355]
Che senso ha allora l’affermazione di fede, secondo cui Dio ha creato il mondo per la sua gloria
Cf. Concilio Vaticano I,Dei Filius, Canoni I, 5 - DS 3025. Concilio Vaticano I,Dei Filius, I, - DS 3002. | |
Attuazione del disegno
[356]
La suprema glorificazione del Padre, cioè la più alta manifestazione della sua bontà e della sua sapienza, è Gesù Cristo, il Figlio unigenito, fatto uomo, crocifisso e risorto. Per mezzo di lui il Padre conferisce ad ogni cosa la perfezione e il senso definitivo. Fin dall’inizio guarda a lui come modello e meta di ogni sua opera. Anzi, in quanto Verbo, lo ha già con sé come autore dell’intera creazione: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui» (Col 1,16-17).
Il disegno eterno del Padre, «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10), viene rivelato e attuato nella storia secondo un ordine sapiente di eventi, che costituiscono “l’economia del mistero”
Sant’Ireneo di Lione,Contro le eresie, 4, 20, 7. | |
La persona umana
[366]
«Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Unico tra le creature visibili, l’uomo è fatto a immagine di Dio, capace di dialogare con lui, di conoscerlo e di amarlo. Soggetto consapevole di sé, libero e aperto all’infinito, si conosce, si interroga, si possiede, si dona. Soggetto corporeo e sessuato, riceve e trasmette la vita in un tessuto di relazioni, nell’unità del genere umano
| CdA, 801 CONFRONTAVAI |
Origine dell’uomo
[367]
L’uomo è tratto dalla terra e partecipa del mondo materiale; ma riceve direttamente da Dio il soffio della vita spirituale
Cf.San Leone IX,Congratulamurvehementer - DS685; Pio XII,Humani generis - DS3896. | |
Lo scandalo del male
[370] La fede nella Provvidenza è messa a dura prova dallo scandalo del male: dov’è Dio, quando i cataclismi della natura, le guerre, la fame e le malattie fanno strage di intere popolazioni? perché i giusti e gli innocenti soffrono, mentre i malvagi trionfano?
La protesta ha assunto, fin dall’antichità, una forma logica serrata con il filosofo Epicuro: «Dio o vuole togliere il male e non può; o può e non vuole; o non vuole e non può; o vuole e può. Se vuole e non può, è debole; se può e non vuole, è malevolo; se non vuole e non può, è malevolo e debole; se vuole e può, come si addice a lui, perché esiste il male e Dio non lo elimina?»
Lattanzio,Dio è impassibile?, 13. Occorre una risposta articolata. Ma viene subito in mente un’osservazione: Dio è misterioso e le sue vie rimangono nascoste, ma negare Dio significa rinunciare alla speranza di superare il male, rassegnarsi alla sconfitta definitiva.
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[371]
Nella Bibbia, il libro di Giobbe demolisce le facili spiegazioni teologiche, «sentenze di cenere», «difese di argilla» (Gb 13,12); ma, nello stesso tempo, rimprovera chi vuol mettere sotto processo la Provvidenza. L’uomo è troppo piccolo davanti a Dio: vede solo le frange delle sue opere e ode appena un sussurro della sua potenza
Per quali vie si espande la luce, si diffonde il vento d’oriente sulla terra?... Ha forse un padre la pioggia? O chi mette al mondo le gocce della rugiada?... Vai tu a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncini, quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato fra le macchie? Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi nati gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo?» (Gb 38,4-922242839-41). Dio è infinitamente grande e non c’è da sorprendersi che risulti anche misterioso. Sono fuori luogo sia i tentativi di giustificarlo, sia quelli di accusarlo. L’atteggiamento corretto davanti a lui è l’umile e fiducioso abbandono: «Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te» (Gb 42,2).
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L’origine del male
[372] Tuttavia il male ci investe da ogni parte, in molte forme: disgrazie, violenze, malattie, miseria, oppressione, ingiustizia, solitudine, morte. Non possiamo evitare la domanda: da che cosa dipende questa infelice situazione? perché l’uomo è soggetto alla sofferenza?
Molti mali derivano senz’altro dai limiti naturali, dall’inserimento nel mondo. Partecipando a un processo evolutivo globale, l’uomo nasce, si trasforma e muore come gli altri esseri della natura. Può ricevere la vita solo a frammenti.
La precarietà della condizione creaturale viene poi aggravata da innumerevoli colpe personali, che procurano più o meno direttamente una infinità di guai, a sé e agli altri: basti ricordare i danni recati alla salute, le storture della convivenza sociale, le guerre.
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[373] Questa solidarietà negativa non solo inclina a commettere i peccati personali, che causano molte sofferenze, ma impedisce di integrare nella vita, in maniera significativa, i dolori che provengono dagli altri uomini e dai limiti inerenti alla natura. Molte volte, più che il soffrire pesa il soffrire inutilmente, senza un significato. L’universale alienazione da Dio priva l’animo della forza e della gioia, che deriverebbero da un’intensa comunione con lui e sarebbero capaci di riempire e trasfigurare le stesse esperienze dolorose.
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[374]
Secondo l’intenzione del Creatore, l’uomo dovrebbe vivere in un paradiso terrestre
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Corruzione dell’umanità
[390] La prospettiva dell’alleanza viene estesa alla storia universale: ciò che accade tra Dio e Israele, accade in modo analogo tra Dio e l’umanità. All’inizio Dio offre all’uomo la propria amicizia e una condizione di vita paradisiaca. L’uomo gli si ribella con il primo peccato, che stravolge la sua esistenza, e poi affonda in una moltitudine di peccati. Dio, fedele e misericordioso, gli rimane vicino e lo conforta, promettendogli la salvezza.
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[391]
L’uomo cede alle lusinghe del serpente, immagine dell’idolatria e in definitiva di Satana; non si fida di Dio; rifiuta di riconoscerlo come Signore della sua vita e norma del suo agire; non tiene conto dell’ordine sapiente, da lui posto nella creazione. Mangia il frutto dell’albero della scienza del bene e del male e così si fa legge a se stesso. Vuole sperimentare tutto e decidere da sé ciò che è bene e ciò che è male; pretende di realizzare, senza Dio e la sua grazia, il proprio desiderio illimitato di vivere; vuole essere praticamente un dio, autosufficiente e onnipotente.
Ma l’uomo si ritrova nudo, misero e solo in una terra diventata ostile; si sente umiliato dalla vergogna, minacciato dalla morte, incapace di controllare gli istinti. Il rifiuto della comunione con Dio porta con sé la divisione tra gli uomini stessi. L’armonia originaria con Dio, con se stesso, con gli altri e con la natura è perduta; il ritorno al giardino è sbarrato dalla «fiamma della spada folgorante» (Gen 3,24).
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[392]
L’umanità prende a rotolare verso il basso, trascinata dalla logica del peccato. Il male dilaga da ogni parte, come il diluvio: «La terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza» (Gen 6,11). La società precipita nella confusione e nella disgregazione: non bastano tecnica e organizzazione a portare a termine la torre di Babele
| CdA, 1146 CONFRONTAVAI |
[393]
La salvezza può venire solo da Dio. E Dio va a cercare l’uomo; gli fa prendere coscienza del peccato; gli promette la vittoria sul serpente; lo riveste con una tunica di pelle, in segno di premura e di protezione; continua poi a intervenire, salvando Noè e la sua famiglia dal diluvio
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Il potere del peccato
[394]
Il Nuovo Testamento proclama la lieta notizia che la salvezza comincia a realizzarsi. A partire dal mistero della redenzione si comprende meglio anche il mistero del peccato
Da che cosa dipende questa necessità? Dal fatto che «giudei e greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, come sta scritto: Non c’è nessun giusto, nemmeno uno» (Rm 3,9-10). Il mondo intero deve ammutolire e riconoscersi peccatore, poiché «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23); la creazione stessa è soggetta alla caducità e alla corruzione
Lasciati a se stessi, gli uomini commettono molti peccati, perché il loro cuore è cattivo e produce azioni cattive di ogni genere
Come mai si trovano in questa situazione di debolezza e di corruzione? Come mai appartengono al regno delle tenebre? Il peccato e la morte sono entrati nel mondo per colpa dell’uomo stesso
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Tra pelagianesimo e protestantesimo
[395]
La triste schiavitù del genere umano, evidenziata drammaticamente dalla rivelazione, viene ulteriormente precisata nella dottrina della Chiesa. Le prese di posizione del Magistero sono provocate dalla necessità di rispondere a due opposti errori. Nel secolo V il pelagianesimo afferma che l’uomo, a parte il cattivo esempio che ha ricevuto dai progenitori, è sano e può vivere onestamente, senza l’aiuto della grazia di Dio. Al contrario, nella Riforma protestante si sostiene che l’uomo viene al mondo totalmente corrotto e inclinato irresistibilmente al male, senza vera libertà, incapace perfino di cooperare con la grazia divina. La dottrina della Chiesa, stabilita dal secondo sinodo di Orange nel 529 e dal concilio di Trento nel 1546, respinge queste visioni estreme. Questi sono i suoi punti principali: il peccato primordiale dei progenitori ha causato la perdita della giustizia originale per loro e per tutti i discendenti; il peccato originale ereditario è in ogni uomo per il solo fatto di nascere, in quanto riceve una natura umana privata della giustizia originale, ferita e inclinata al peccato; la corruzione non è totale e la libertà può e deve cooperare con la grazia; la redenzione e la grazia di Cristo sono assolutamente necessarie a tutti per la giustificazione e la salvezza; il peccato originale è soppresso mediante il battesimo; rimane la concupiscenza, che deriva dal peccato e dispone al peccato, ma propriamente non è peccato
Cf.Sinodo di Orange II,Canoni 1-2 - DS371-372; Concilio di Trento, Sess.V, Decr. Sul peccato originale 1; 4 - DS1511; 1515; Id., Sess.VI, Decr. Sulla giustificazione, Can.1; 2; 4; 5 - DS1551; 1552; 1554; 1555. | |
Alienazione da Dio
[396] Le indicazioni provenienti dai documenti della fede possono essere ancora approfondite con la riflessione teologica, per evidenziare meglio il senso della verità rivelata, che peraltro rimane sempre misteriosa.
Ogni uomo è plasmato dalla solidarietà con gli altri, con chi lo ha preceduto e con chi lo accompagna. Mai si parte da zero. Viviamo inseriti in una comunicazione incessante di doni naturali, culturali e spirituali. La nostra libertà si attua sempre in una situazione storica oggettiva, da cui viene condizionata. La comunicazione della vita divina avviene in modo da valorizzare le mediazioni umane, perché l’umanità intera sia un solo corpo in Cristo.
I nostri peccati indeboliscono la comunicazione del bene e alimentano il contagio del male. Deformano la società con una mentalità e con strutture di peccato, che gravano sulle decisioni personali. Si sviluppa una storia alienata da Dio e avversa a Cristo, che non coopera alla comunicazione della vita divina, anzi la ostacola e la blocca. Se ogni peccato ha una dimensione sociale, il peccato primordiale dell’umanità ha un’influenza singolare, perché ha messo in moto tutta questa solidarietà negativa e ha impedito la trasmissione della giustizia originale con le sue modalità peculiari di integrità e immortalità.
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[397] Ogni uomo, senza alcuna responsabilità personale, inizia la sua esistenza in questo contesto umano inquinato. Viene al mondo privo della grazia santificante, incapace di entrare in dialogo filiale con il Padre e di amarlo sopra ogni cosa, incline a chiudersi nell’esperienza terrena e ad assolutizzare i beni temporali. Così la sua libertà, indebolita interiormente e per di più condizionata negativamente all’esterno da un ambiente divenuto opaco nei confronti di Dio, non riuscirà ad osservare i comandamenti e arriverà, prima o poi, a commettere gravi peccati personali, incamminandosi verso la perdizione eterna.
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[398] La triste condizione, in cui l’uomo nasce, è uno stato oggettivo della natura umana, trasmesso insieme ad essa, non un atto delle persone. Viene chiamata “peccato originale”, non perché sia una colpa, ma perché deriva dalla colpa altrui e fruttifica in successive colpe personali. Presenta analogie con la situazione permanente di peccato, che si determina in chi ha commesso una grave colpa. Può essere chiamata anche con altri nomi, ad esempio corruzione o alienazione originale.
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La vittoria della Pasqua
[399]
Nessun uomo potrebbe da solo, con le sue forze, uscire dal regno del peccato e della morte. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, ci comunica la potenza del suo Spirito e spezza le catene che ci tengono prigionieri. Ci rigenera a nuova vita, come figli di Dio. Certo, anche dopo la rigenerazione, rimangono l’inclinazione interiore disordinata e l’influsso esteriore negativo, ma questi non sono più irresistibili. Si deve ancora combattere, ma si può vincere. Così anche la sofferenza e la morte rimangono, ma cambiano senso e diventano occasione di crescita spirituale. La vita divina elimina il peccato e trasfigura le sue conseguenze. Ci introduce nella condizione pasquale, superiore alla stessa condizione paradisiaca originale, in quanto ci dà la possibilità di giungere a una perfezione più alta: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20).
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[400] Il peccato primordiale dell’umanità ha impedito
la trasmissione della giustizia originale e della condizione paradisiaca; ha dato avvio a una solidarietà negativa.
Il peccato originale, presente in ogni uomo che viene al mondo, è privazione della grazia santificante, incapacità di entrare in dialogo filiale con Dio e di vincere l’inclinazione a commettere i peccati personali. Il peccato originale viene soppresso nella giustificazione, mediante la comunicazione della grazia divina da parte del Signore, crocifisso e risorto, redentore di tutti gli uomini.
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[797] La Chiesa è il segno e il germe del regno di Dio che cresce nella storia. Il mistero universale della salvezza, concepito nell’eterno disegno del Padre, prefigurato nell’Antico Testamento e attuato una volta per sempre in Cristo morto e risorto, dalla Chiesa viene annunciato con la predicazione della Parola e ripresentato nei sacramenti, perché possa plasmare l’esistenza personale dei credenti e orientare ogni cosa verso la meta definitiva oltre la storia.
La Pasqua di Gesù rivela che il senso della vita e della storia è andare al Padre, entrare nella sua gloria, vivere in comunione perfetta con lui. Il Figlio, mandato dal Padre, torna a lui con tutti quelli che lo seguono. «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre» (Gv 16,28). «Io vado a prepararvi un posto;... ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (Gv 14,2-3).
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[798] In questo grande esodo pasquale sono coinvolti tutti gli uomini, anche se limitato è il numero di quelli che se ne rendono conto. In modi diversi tutti ricevono i benefici della redenzione e sono chiamati a entrare nella festa eterna. Ma i cristiani sono chiamati a inserirsi consapevolmente nel disegno di Dio, a vivere fin d’ora come uomini nuovi, santi e santificatori. Uniti a Cristo nella Chiesa con uno speciale dono dello Spirito, sono costituiti figli di Dio, per offrire al Padre il «culto spirituale» (Rm 12,1) e testimoniare il suo amore davanti a tutti gli uomini, in modo da cooperare alla loro salvezza. Uomini tra gli uomini, si muovono dentro le realtà terrene della famiglia, del lavoro, della vita culturale, sociale e politica; cercano, trovano, sbagliano, soffrono, si rallegrano come tutti i loro compagni di viaggio. Nello stesso tempo e attraverso le medesime realtà sviluppano un dialogo con le Persone divine nella fede, nella speranza e nella carità.
In questa sezione presentiamo la personalità del cristiano nelle sue dimensioni fondamentali: la vocazione a partecipare alla vita divina (capitolo 21); la libertà cristiana e l’etica evangelica della carità (capitolo 22); il valore e la formazione della coscienza (capitolo 23); il cammino dal peccato alla perfezione della vita spirituale (capitolo 24).
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Vocazioni particolari e vocazione comune
[800] Molti ritengono che la vita sia un’avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito.
Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell’esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane
Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, Paolo, i cristiani tutti; alcuni purtroppo rimangono sordi
| CdA, 508-509 CONFRONTAVAI |
Liberi per poter rispondere
[801]
La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere. Anzitutto ci mette in grado di dargli una vera risposta: un sì o un no. Ci dona la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti, autodeterminazione, capacità di scelte consapevoli, non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Ci affida a noi stessi
Ma una scelta non è positiva solo perché è una scelta o perché dà un piacere immediato: molti delitti sono decisioni volontarie, molte esperienze piacevoli sono distruttive. La libertà arbitraria o che cerca solo un facile appagamento non fa crescere, non va in nessuna direzione, si agita soltanto. Il piacere non è un valore in sé, né un criterio legittimo di azione; è solo conseguenza di un obiettivo raggiunto e va considerato buono o cattivo secondo la qualità morale dell’obiettivo stesso. Contrariamente a quanto viene suggerito dalla mentalità edonistica, individualistica e nichilistica, siamo liberi per aderire alla verità e per attuare il bene: «La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo proprio consiglio, così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a lui, alla piena e beata perfezione»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 17.
Una scelta è ragionevole solo se contribuisce alla definitiva realizzazione della persona. Noi da sempre siamo alla ricerca di una pienezza per la nostra vita. Possiamo realizzarci davvero, solo se rispettiamo l’ordine oggettivo dei beni, posto dalla divina sapienza, rimanendo sempre orientati al Bene infinito, l’unico che può appagare il nostro cuore, incapace di trovare riposo nelle soddisfazioni parziali e provvisorie
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 41. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 7. | CCC, 1730-1742 |
Risposta decisiva
[802]
Con la sua chiamata interiore Dio suscita la nostra libertà e si offre come meta alla nostra ricerca. Intanto ci viene incontro pubblicamente nella storia, inviando il suo Figlio Gesù Cristo a invitare tutti gli uomini alla festa della vita eterna. «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22.
L’iniziativa del suo amore ci interpella. Accettare il suo dono con «la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6) significa realizzare se stessi; rifiutare il suo dono con il peccato significa perdere se stessi. «Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita» (1Gv 5,11-12). La risposta che daremo risulterà decisiva per la nostra riuscita o per il nostro fallimento. A ognuno di noi il Signore Gesù ripete l’appello rivolto al giovane ricco: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti... Se vuoi essere perfetto,... vieni e seguimi» (Mt 19,1721). Se vuoi vivere, devi fare il bene. L’urgenza della salvezza fonda l’obbligazione morale.
| CCC, 2002 |
Risposta implicita
[803]
L’appello di Dio risuona anche nel cuore dei non credenti. Anche loro infatti avvertono l’imperativo morale fondamentale: fa’ il bene, evita il male. Lo avvertono come obbligatorio e non solo come ragionevole. Anche quando non c’è un vantaggio personale verificabile, anche quando si tratta con uomini tutt’altro che amabili, si deve fare il bene e non il male. Implicitamente tutti intuiscono che i valori morali sono oggettivi e sono situati nella prospettiva del Bene assoluto che esige obbedienza. Se obbediscono, seguono la chiamata di Dio e accolgono la grazia di Cristo, anche senza saperlo, perché «la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 22. Il cristiano nutre sincera stima per tutti gli uomini di buona volontà; vede in loro dei compagni di viaggio verso la stessa mèta; è disposto a costruire con loro una convivenza giusta e fraterna. Egli rimane però sempre fedele alla propria identità; anzi sollecita con rispetto l’onestà morale a svilupparsi nella direzione della fede esplicita e consapevole.
| CCC, 1954-1960 |
L’antica alleanza
[805] Chiamati a prendere parte alla vita di Dio, dobbiamo renderci consapevoli di che cosa comporti propriamente questa partecipazione.
Nelle diverse religioni il rapporto con Dio a volte assume la forma della distanza e della quasi estraneità; altre volte la forma della identificazione e dell’assorbimento totale. Nella Bibbia è inteso come alleanza e comunione, cioè come unità nell’alterità.
La forma arcaica da cui si parte è quella di un patto di vassallaggio. Con questa figura, presa dall’esperienza sociale e giuridica, si vuole indicare una speciale reciproca appartenenza tra Dio e Israele. Dio fa dono di una sua particolare presenza e promette benedizione, prosperità, pace: «Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (Lv 26,12). Israele da parte sua si obbliga a rispondere con la fede e il culto esclusivo, con l’obbedienza alla legge: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!» (Es 19,8). Il patto, stabilito mediante Mosè
| CCC, 62-64CCC 2060 |
La nuova alleanza
| CCC, 610-611CCC 1965 |
Le virtù umane
[833] La carità si incarna nell’etica: unifica, sostiene ed elèva le virtù umane, energie operative buone che abilitano a compiere il bene sotto vari aspetti specifici. Quattro di esse si chiamano “virtù cardinali”, perché fanno da sostegno e riferimento a numerose altre. Sono la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Tra le molte virtù, che si collegano a queste, si possono ricordare: semplicità, onestà, sincerità, lealtà, fedeltà, cortesia, rispetto, generosità, riconoscenza, amicizia, coraggio, audacia, equilibrio, umiltà, castità, povertà, obbedienza.
Le buone qualità particolari danno concretezza alla perfezione cristiana. Danno alla carità un corpo e un volto.
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Coscienza e soggettivismo etico
[906] La libertà di coscienza, gelosamente rivendicata nella nostra cultura, costituisce un antidoto salutare nei confronti della opposta tendenza a considerare determinanti i condizionamenti psichici e sociali; rappresenta un’istanza preziosa contro la tentazione del conformismo e della manipolazione di massa. Spesso però viene fraintesa. Si arriva a considerare la coscienza come sorgente di verità e di valori. È sintomatico che nel nostro paese la Chiesa sia molto più apprezzata come benefica presenza in campo sociale che non come guida in ambito etico.
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Interiorità morale
[907]
La coscienza è una realtà complessa. L’Antico Testamento non usa quasi mai questa parola per indicare il centro intimo dell’uomo; si serve di un termine equivalente: cuore. Il cuore è la sede di pensieri, ricordi, sentimenti, desideri, progetti e decisioni, che poi emergono e traboccano all’esterno. Esso ha grande rilevanza morale. Con il cuore si distingue il bene dal male; si ama il Signore Dio e lo si tradisce; si ascolta la sua parola e la si respinge. Il cuore può essere indurito, traviato, sordo, cieco; oppure al contrario, per la grazia di Dio, può essere contrito, convertito, puro, nuovo.
L’insegnamento di Gesù, in conformità con l’Antico Testamento, pone il cuore al centro della vita morale. Dal cuore vengono i pensieri, le parole e le azioni, buone e cattive. Nel cuore nascono la fede e l’incredulità. La nuova giustizia evangelica trascende l’osservanza esteriore; esige un cuore retto, purificato dall’orgoglio, dalla cupidigia, dalla lussuria, da ogni disordine: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). La luce interiore deve rischiarare l’intera condotta, come l’occhio limpido rischiara tutto il corpo e la lampada accesa sul candelabro rischiara la casa
Nell’etica biblica il cuore si identifica in definitiva con l’uomo in quanto soggetto morale. Anche gli scritti apostolici del Nuovo Testamento si pongono su questa linea. Inoltre con lo stesso significato usano frequentemente la parola “coscienza”. La coscienza può essere buona o cattiva, macchiata o purificata, sincera o falsa, debole o forte. Nella coscienza tutti gli uomini, anche i pagani, portano scritta la legge morale: «Quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono» (Rm 2,15)
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Risonanza di Dio
[908]
La coscienza comanda in nome di Dio: è questa la sua prima funzione: «È come l’araldo e il messaggero di Dio; ciò che dice non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l’editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha forza di obbligare»
San Bonaventura da Bagnoregio, Commento al II libro delle Sentenze, d. 39, a. 1, q. 3 ad 3. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Teologia morale, Libro I, 1, 1, 1.
Questa dottrina ha ricevuto un’autorevole formulazione nel concilio Vaticano II: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro... La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 16. | |
Percezione dei principi e giudizio operativo
[909]
La coscienza ha un contenuto che si estende dai principi generali alle indicazioni sui singoli atti. Comanda anzitutto ad ogni uomo di fare il bene e di evitare il male. Per il cristiano questo significa vivere secondo la verità di Dio, che è amore, e dell’uomo, che è sua immagine; comporta l’obbedienza filiale alla volontà del Padre e l’osservanza del comandamento fondamentale della carità. «La carità è l’unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato»
Beato Isacco della Stella, Discorsi, 31, 21.
Poiché il bene si concretizza in molti beni o valori, la prima obbligazione si traduce in varie leggi morali universali, che vengono conosciute per via di intuizione e di riflessione e insegnamento. Ancora: dato che i valori si incarnano di volta in volta nei singoli atti, la coscienza attua un discernimento per identificare ciò che è doveroso o conveniente qui e ora. Procede con prudenza, ponendo a servizio della carità non una pavida cautela, ma una sapiente e coraggiosa creatività, in modo da poter mettere in opera i mezzi idonei a raggiungere il fine.
Il discernimento si conclude con il giudizio pratico concretissimo sulla bontà o malizia dell’azione che si sta per compiere. Attraverso il giudizio morale da noi formulato, Dio stesso ci interpella, in alcune situazioni con un comando, in altre con un consiglio o un invito. Ad ognuno rivolge la chiamata ad amare in modo personalissimo, mediante i diversi doni di natura e di grazia che elargisce nel mutevole intreccio delle relazioni e degli avvenimenti.
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Soggetto responsabile
[910] Mediante la coscienza ci raggiunge l’appello di Dio; mediante la coscienza si attua la nostra risposta. Al giudizio pratico sul singolo atto segue la nostra decisione. Può essere obbedienza a Dio o disobbedienza: una scelta che ci qualifica come soggetti moralmente positivi o negativi.
La coscienza comanda; la coscienza ubbidisce o rifiuta di ubbidire; infine la coscienza giudica. Nel momento in cui prendiamo la nostra decisione, siamo consapevoli di agire bene o di agire male. Se scegliamo il bene, siamo in pace perché ci sentiamo in armonia con noi stessi, con la nostra tendenza fondamentale e con Dio. Se invece scegliamo il male, proviamo rimorso, cioè un’intima lacerazione, perché ci sentiamo in contraddizione con noi stessi e con Dio. Pace e rimorso si prolungano successivamente nel tempo, perché il giudizio della coscienza rimane come giudizio sull’azione già compiuta. Si possono riflettere anche sull’aspetto esteriore: «Il cuore dell’uomo cambia il suo volto o in bene o in male» (Sir 13,25).
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Unità di anima e di corpo
[1017]
La coscienza cristiana avverte lucidamente questi doveri, perché ha un’alta considerazione del corpo, elemento costitutivo della persona umana, «destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 14.
Secondo la concezione biblica, l’uomo è «spirito, anima e corpo» (1Ts 5,23), cioè un soggetto partecipe di energia divina, vivo e pieno di desideri, inserito nel mondo e sottomesso alla caducità. La nostra tradizione culturale preferisce invece parlare di anima e di corpo. Ma quel che conta è affermare l’unità dell’uomo, unico soggetto che vive a vari livelli, posto tra cielo e terra, uditore di Dio e interprete delle cose materiali
Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 14. | CCC, 362-368CdA, 366-367 CONFRONTAVAI |
[1018] Il corpo umano è senz’altro un oggetto cosmico tra innumerevoli altri, un punto effimero nell’immensità dell’universo. Ma non si può ridurre a una particella di materia. Già dal punto di vista biologico appare meravigliosamente complesso. Inoltre, fatto ancor più significativo, è integrato nell’esperienza soggettiva della persona.
Io non solo osservo il mio corpo dall’esterno, ma lo vivo consapevolmente dall’interno: nell’agire, nel soffrire, nel toccare, in tutte le mie sensazioni. Io sono il mio corpo. Mediante il corpo ricevo influssi esterni, modifico le cose, comunico con gli altri, esprimo e realizzo me stesso. Una contrazione muscolare diventa nella coscienza un grido di dolore; realtà biologiche come il nascere e il morire, il mangiare e il bere, la sessualità e la malattia si caricano simbolicamente di significati esistenziali. Viceversa, un atteggiamento spirituale diventa gesto concreto: l’amicizia si fa sorriso, sguardo, abbraccio; la fede si fa testimonianza di parole e di opere.
Il corpo è linguaggio; è il dinamico inserirsi del soggetto nel mondo, per incontrare gli altri e rivolgersi a Dio. Partecipa alla dignità della persona ed è chiamato alla gloria eterna. Il rispetto dovuto alla persona si estende dunque anche al suo corpo. «Glorificate Dio nel vostro corpo!» (1Cor 6,20).
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Individualismo e collettivismo
[1095]
Quando si allontana dalla fede in Dio, la cultura elabora un’immagine riduttiva dell’uomo, che oscilla tra individualismo e collettivismo. La prima posizione svaluta la società, come se fosse «qualcosa di esterno all’uomo»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 25. Cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 13; 17; 24-25. Paolo VI, Populorum progressio, 42. | |
La dignità della persona e i suoi diritti fondamentali
[1096]
Da parte sua, la dottrina della Chiesa «risana ed eleva la dignità della persona umana» e «consolida la compagine della società umana»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 40. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 37. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 37. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 25. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 39. | CCC, 1929-1933 |
[1097]
Rispettare la dignità della persona significa in pratica riconoscere, difendere e promuovere alcuni diritti universali, inviolabili, inalienabili: diritto all’esistenza, all’integrità fisica e a un tenore di vita dignitoso; diritto di cercare liberamente la verità, manifestare il proprio pensiero, partecipare al patrimonio culturale; diritto alla libertà di religione; diritto di seguire la propria vocazione, formarsi una famiglia, educare i figli; diritto al lavoro, alla libera iniziativa economica, a una giusta retribuzione; diritto di riunione e di associazione, di emigrazione e di immigrazione, di partecipazione politica e di certezza giuridica
Cf. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 5-15. | |
Dimensione sociale costitutiva
[1098]
La persona è soggetto singolare ed irripetibile, ma è fatta per comunicare, «chiamata dall’intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 40. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 12.
Da questa dimensione sociale, «nativa e strutturale»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 40. | CCC, 1936 |
Pluralismo e solidarietà
[1099]
Purtroppo non mancano tensioni e lacerazioni. Una certa conflittualità sociale è inevitabile, perché esistono interessi oggettivamente concorrenti. Essa svolge un ruolo addirittura positivo, quando si configura come «lotta per la giustizia sociale»
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 14. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 18.
Una convivenza degna dell’uomo non può fondarsi sui rapporti di forza, ma sulla verità, la giustizia, l’amore e la libertà
Cf. Giovanni XXIII, Pacem in terris, 18. Cf. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 38. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 38. | CCC, 1934-1942 |
Principio di sussidiarietà
[1100]
L’autentica solidarietà rifugge sia dall’individualismo che dal collettivismo; valorizza la famiglia e le comunità particolari, in cui le persone sono coinvolte più da vicino. Si articola a vari livelli secondo il principio di sussidiarietà. «Come è illecito togliere ai singoli ciò che essi possono compiere con le forze e l’iniziativa propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto affidare a una maggiore e più alta società quello che può essere fatto dalle minori e inferiori comunità»
Pio XI, Quadragesimo anno, 72 | |
[1101] La persona è il fondamento e il fine della società; la società è il sostegno e il perfezionamento della persona.
È necessario promuovere la dignità e i diritti della persona e costruire una società solidale e pluralistica, dove la famiglia e le comunità particolari siano valorizzate dalle comunità più ampie secondo il principio di sussidiarietà.
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Servizio per il bene comune
[1102] Molti diffidano della politica, preferiscono starsene fuori. Altri vi entrano per affermare interessi personali o di parte. Altri, infine, ne fanno una specie di messianismo, in grado di liberare l’uomo da tutti i suoi mali.
La Chiesa ha un’alta stima per la genuina azione politica; la dice «degna di lode e di considerazione»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 75. Paolo VI, Octogesima adveniens, 46. | |
[1103]
Nella cultura dell’antico oriente, il re veniva adorato come un dio, una manifestazione della divinità suprema. Secondo la Bibbia, invece, i governanti sono soltanto servitori di Dio per il bene del popolo, sottoposti anch’essi alla legge morale e al giudizio esigente del Signore. Così essa si esprime: «Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, governanti di tutta la terra... La vostra sovranità proviene dal Signore; la vostra potenza dall’Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge, né vi siete comportati secondo il volere di Dio» (Sap 6,13-4). «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mc 12,17). «Non c’è autorità se non da Dio... Essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza» (Rm 13,14-5). Occorre pregare «per tutti quelli sta stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (1Tm 2,2).
Lo stato assume un volto demoniaco quando, dimentico del suo ruolo sussidiario di servizio, diventa totalitario e prende il posto di Dio: «Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo... Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande» (Ap 13,1-2). In situazioni del genere ai cristiani si impone il dovere della resistenza.
| CdA, 149 CONFRONTAVAI |
[1104] Secondo la dottrina della Chiesa, l’autentica azione politica è servizio per il bene comune, con trasparenza e competenza.
Il bene comune di una popolazione consiste «nell’insieme di quelle condizioni di vita sociale, con le quali gli uomini, la famiglia e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno e più spedito della loro perfezione»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 74. Cf. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 78. | |
Crescente responsabilità
[1140]
Il primato dell’uomo sulle cose non significa potere di usare e di abusare. Il suo lavoro si svolge sulla base di una donazione da parte di Dio. Più che proprietario, egli è amministratore e deve rendere conto. Purtroppo, «preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita»
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 37. La mentalità distruttiva è antica quanto il genere umano, ma in passato i danni rimanevano circoscritti a motivo del numero esiguo di abitanti e per la limitata capacità tecnologica. La moderna civiltà industriale, che peraltro ha il merito di aver portato il benessere ad intere popolazioni, possiede invece un’aggressività ben altrimenti pericolosa. Il saccheggio indiscriminato rischia di esaurire molte risorse della terra, che non sono rinnovabili. L’inquinamento ambientale si accumula rapidamente e minaccia di provocare sconvolgimenti a catena. Le manipolazioni genetiche aprono la strada verso importanti traguardi, ma anche verso possibili catastrofi biologiche. Il sistema che tiene insieme gli esseri viventi è quanto mai complesso e vulnerabile.
«Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 34. | |
Uso rispettoso della natura
[1141]
Il compito di prendere possesso e governare, affidatoci dal Creatore, non giustifica la prassi aggressiva e spoliatrice. Dio non ci ha consegnato una materia informe, ma un mondo già buono e bello: ben sette volte lo ripete il ritornello nel primo racconto della creazione
Analogo è il messaggio del secondo racconto della creazione. Dio affida all’uomo il giardino perché lo custodisca e lo coltivi e imponga il nome a ogni cosa, cioè le dia un ordine ulteriore
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 43.
L’uomo è chiamato a perfezionare la natura. Purtroppo con il peccato vi introduce il disordine, la «schiavitù della corruzione» (Rm 8,21). «Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba... Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno» (Os 4,2-3). Invece di edificare una degna dimora, si rischia di rendere la terra inabitabile.
In virtù della redenzione l’uomo ritrova l’armonia con la natura. «Infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino... e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace... Il mio popolo abiterà in una dimora di pace» (Is 32,15-18). Il cristiano è chiamato a testimoniare, con il suo impegno ecologico, la speranza che il mondo creato, in un modo che a noi sfugge, entrerà «nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
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[1142]
Dobbiamo accogliere tutte le creature «come se al presente uscissero dalle mani di Dio»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 37.
Non si tratta di una materia amorfa o di un nudo fatto obiettivo, ma di un ordine e un disegno da interpretare, di un linguaggio da ascoltare e capire, di una verità e bellezza da contemplare. La manomissione arbitraria è indice di «una povertà o meschinità dello sguardo dell’uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create»
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 37.
Di conseguenza l’uso deve essere rispettoso e deve tener conto sia della originalità di ogni creatura sia della mutua connessione in un sistema ordinato
Cf. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 34. Tutti siamo responsabili dell’ambiente. Una grande quantità di consumi non comporta automaticamente una migliore qualità della vita. Occorre ripensare il nostro modello di sviluppo; sicuramente è bene darsi uno stile di vita sobrio, che ci consenta di governare la natura senza tiranneggiarla, unendo, sull’esempio di san Benedetto e di san Francesco, l’operosità alla contemplazione. La fedeltà alla vocazione integrale dell’uomo, alla comunione, al lavoro e al riposo è garanzia per la dignità della persona e per la salvaguardia della natura.
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[1143] Il lavoro umano, essendo una cooperazione all’azione creatrice e ordinatrice di Dio, non deve distruggere ma sviluppare l’ordine posto dalla divina Sapienza nel mondo creato. La natura può e deve essere utilizzata a scopi umani, ma deve anche essere contemplata e rispettata: allora essa diventa davvero «una dimora di pace» (Is 32,18).
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