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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti


[409] Il Signore risorto, comunicando lo Spirito Santo, raduna intorno a sé la Chiesa, popolo della nuova alleanza, mediazione salvifica di verità e di grazia, mistero di intima unione con Dio e tra gli uomini.
[410] Il libro degli Atti degli apostoli racconta l’ascensione visibile di Gesù al cielo, come una svolta nella storia della salvezza.
Il Signore risorto scompare agli occhi dei discepoli: «Una nube lo sottrasse al loro sguardo» ( At 1,9 ). A Gerusalemme, in questo momento, cessa la sua presenza visibile, la sua vicenda storica personale. E da Gerusalemme parte il cammino della Chiesa, secondo il programma tracciato da lui stesso: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra» ( At 1,8 ).
[411] Ricevuto il dono promesso, i discepoli gli danno testimonianza, non come a un personaggio defunto, relegato nel passato, ma come a un vivo, risorto dalla morte e presente ancora nella storia degli uomini, sia pure in modo diverso. Anzi sono convinti che attraverso i suoi inviati è lui stesso, il Messia-Servo, ucciso dagli uomini e glorificato da Dio, a comunicare la salvezza a tutte le nazioni, secondo l’antica profezia: «Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» ( Is 49,6; cf. At 13,4726,23). Lo Spirito Santo non viene a supplire la sua assenza, ma ad attuare la sua nuova presenza. Con il dono dello Spirito e la missione della Chiesa, egli rimane nella storia, per attirare gli uomini a sé e ricondurli al Padre. Il tempo della Chiesa, che è anche tempo dello Spirito, trova così la sua collocazione tra la risurrezione di Cristo e la risurrezione universale.
[412] Ma il mistero della Chiesa è in qualche modo presente in tutta la storia. Essa infatti è progettata nell’eterno disegno del Padre; è prefigurata fin dall’origine del mondo, in quanto tutto è orientato a lei; è preparata nell’Antico Testamento; è fondata da Gesù Cristo nella pienezza dei tempi; è manifestata pubblicamente mediante il dono pentecostale dello Spirito Santo; si compirà nella gloria eterna.
[413] Ora presenteremo la Chiesa come popolo di Dio degli ultimi tempi, radunato da Gesù Cristo e animato dallo Spirito Santo (capitolo 11). Tratteremo la varietà dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni e, in particolare, la distinzione dei fedeli in tre stati di vita: ministri ordinati, laici, persone di vita consacrata (capitolo 12). Esporremo la missione della Chiesa a servizio del regno di Dio, da accogliere, annunciare, celebrare e testimoniare (capitolo 13).
[414] Il Signore Gesù raduna i suoi discepoli nella Chiesa, comunità storica vivificata dallo Spirito, segno pubblico ed efficace del regno di Dio e della salvezza, popolo della nuova alleanza aperto a tutte le genti, santa e bisognosa di purificazione, una su tutta la terra e presente nella molteplicità delle Chiese particolari, fedele all’eredità apostolica e inesauribilmente creativa in culture ed epoche diverse.
[415] Nel nostro paese molti si dichiarano cattolici per tradizione culturale, perché la Chiesa è “l’agenzia del sacro” più autorevole. Molti vedono la comunità cristiana come un fatto sociale positivo, perché svolge un’importante azione educativa e assistenziale. Nello stesso tempo, però, non la ritengono necessaria per il loro rapporto con Dio. L’individualismo religioso è molto diffuso. Ma è giusto considerare la Chiesa come una realtà semplicemente umana? Occorre ricercare la sua origine e il segreto della sua vitalità.
Nasce il popolo messianico
[416]  Durante la vita pubblica, Gesù di Nàzaret ha avviato con i discepoli un’esperienza di comunione e di missione. Risorto dalla morte, li riunisce di nuovo intorno a sé con le apparizioni pasquali dei quaranta giorni, e traccia il programma della loro missione universale. Con l’ascensione si sottrae al loro sguardo; ma essi rimangono uniti nel suo nome e si raccolgono in una casa di Gerusalemme insieme a Maria, sua madre
nota
Cf. At 1,9-14.
.
Sono pochi: gli apostoli, i parenti, alcune donne, altri seguaci; in tutto, dice l’evangelista Luca, circa centoventi persone. Eppure sono persuasi che da loro sta ripartendo il raduno dell’Israele degli ultimi tempi: per questo, con l’elezione di Mattia al posto di Giuda, reintegrano il collegio dei Dodici, simbolo delle dodici tribù introdotte nel regno messianico
nota
Cf. At 1,15-26.
. Riconoscono di essere uomini poveri, fragili e deboli, ma aspettano fiduciosi il dono dello Spirito Santo, promesso dal Maestro, e perseverano «assidui e concordi nella preghiera» (At 1,14).
CdA, 200-205
CONFRONTAVAI
[417]  Viene il giorno di Pentecoste: festa della mietitura, in cui si 11-213.pngoffrono al tempio le primizie del raccolto, ma soprattutto festa dell’alleanza, in cui si celebra la legge data da Dio attraverso Mosè. Quanto accade in questo giorno ai seguaci di Gesù, viene narrato come una teofania, simile a quella del monte Sinai: rumore fragoroso, vento potente, lingue di fuoco. «Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi» (At 2,2-4). Lo Spirito è la nuova legge scritta nei cuori, che era stata promessa attraverso i profeti: «Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi» (Ez 36,27). «Era conveniente che nel giorno in cui fu data la legge antica, in quello stesso giorno, fosse data la grazia dello Spirito»
nota
Severiano di Gabala, Commento agli Atti degli apostoli, 2, 1.
.
La nuova legge dello Spirito è vita in Cristo, energia di amore, luce di sapienza, varietà di doni, prima ancora di essere comandamento. Consacra i discepoli di Gesù come assemblea della nuova alleanza, germoglio del popolo di Dio radunato negli ultimi tempi, secondo le promesse e le attese.
[418]  Il popolo messianico nasce aperto a tutte le genti. Il gruppo originario narra «le grandi opere di Dio» (At 2,11), cominciando a «parlare in altre lingue» (At 2,4). Pietro fa risonare il primo annuncio del vangelo davanti a una folla di persone «di ogni nazione che è sotto il cielo» (At 2,5). Molti di loro accettano il messaggio e si fanno battezzare. È davvero la festa del raccolto! «Lo Spirito riconduceva all’unità le tribù separate e offriva al Padre le primizie di tutte le genti»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 17, 2.
.
Una perenne Pentecoste
[419]  A Pentecoste si completa la fondazione della Chiesa e si avvia la sua espansione. L’evento di quel giorno è un mistero perenne. La comunità cristiana vive e si rigenera incessantemente in una comunicazione di fede e di carità, attivata dallo Spirito Santo
nota
Cf. At 9,31.
: «Dove è la Chiesa, là è anche lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, là è la Chiesa e ogni grazia»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 24, 1.
. Ogni giorno la Chiesa nasce dall’alto, dallo Spirito del Signore. Solo secondariamente sorge dalla libera decisione dei credenti, «che si sottomettono a lui» (At 5,32) e si lasciano convocare. È l’iniziativa della grazia a suscitare la risposta della fede. Il dono risplende nella povertà di coloro che lo ricevono: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4,7); «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono» (1Cor 1,27-28).
[420] La Chiesa vive per il dono dello Spirito Santo, accolto con umiltà e fede dai seguaci di Gesù Cristo.
Consacrati come Gesù
[421]  Nella teofania al fiume Giordano, Dio con l’effusione dello Spirito Santo ha consacrato e presentato pubblicamente Gesù di Nàzaret come Messia, per manifestare attraverso di lui la potenza misericordiosa del suo regno. Nella Pentecoste, Gesù, risorto dalla morte e costituito Messia e Signore nella pienezza del suo potere, consacra e presenta pubblicamente con il dono dello Spirito la comunità dei credenti come popolo messianico, per manifestare attraverso di essa l’efficacia della sua redenzione. Lo Spirito Santo ha condiviso la vicenda terrena di Gesù come «un compagno inseparabile,... una presenza continua»
nota
San Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo, 16.
. Ora viene comunicato ai suoi discepoli, perché partecipino alla sua vita e cooperino alla sua missione.
CCC, 668-672
Regno di Dio e signoria di Gesù
[422] Gesù, mentre predicava il vangelo del Regno, perdonava i peccatori e guariva i malati: indicava così che il regno di Dio era già presente come germe di una salvezza completa, spirituale e corporea.
I discepoli, da parte loro, proclamano che Dio ha risuscitato Gesù, il Crocifisso, e lo «ha costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Il cuore del loro messaggio e della fede cristiana è questo: Gesù è morto, è risorto, «è il Signore» (Rm 10,9). Ormai il regno del Padre si identifica con la signoria del Risorto: perciò Filippo in Samarìa reca «la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo» (At 8,12) e Paolo a Roma incontra la gente «annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo» (At 28,31).
Come quella del Maestro anche la predicazione dei discepoli si mostra efficace, operando conversioni e guarigioni in gran numero. I miracoli, uniti all’annuncio del vangelo, manifestano lo Spirito Santo, dato alla Chiesa come primizia della salvezza totale; nello stesso tempo indicano che Gesù è veramente risorto e continua ancora a operare attraverso i suoi inviati.
CdA, 208
CONFRONTAVAI
CdA 211
CONFRONTAVAI
CdA 262
CONFRONTAVAI
[423]  Il primo miracolo che viene narrato dagli Atti degli apostoli è la guarigione dello storpio che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del tempio di Gerusalemme: «Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio» (At 3,3-8).
Il miracolo attira la folla. Pietro allora prende la parola e spiega: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?... Il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete» (At 3,1216). Successivamente Pietro e Giovanni vengono arrestati e portati davanti al sinedrio, il tribunale supremo. E lì Pietro ribadisce con forza: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,1012).
[424] Le conversioni e i miracoli, che accompagnano la predicazione degli apostoli e dei loro collaboratori, attestano tangibilmente che il regno di Dio coincide con la presenza del Signore risorto e che questa coincide con il dono dello Spirito Santo. Come Dio, Re e Padre, si rendeva visibile attraverso Gesù, così il Signore Gesù si rende visibile attraverso la comunità dei credenti, animata dal suo Spirito.
CdA, 191
CONFRONTAVAI
Il tempo della Chiesa
[425] Il Nuovo Testamento attribuisce alla Chiesa un tempo specifico nella storia della salvezza.
L’evangelista Luca distingue il tempo della preparazione, in cui sono in vigore «la Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16), il tempo dell’attuazione «in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi» (At 1,21), il tempo della Chiesa, dall’ascensione di Gesù alla sua ultima venuta gloriosa, in cui la salvezza viene diffusa e testimoniata «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Paolo conosce un tempo tra la risurrezione di Cristo e il compimento totale, durante il quale le potenze ostili vengono sottomesse e i popoli entrano nella Chiesa
nota
Cf. Rm 11,25.
.
Secondo Matteo, Gesù stesso prevede un futuro, in cui «molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe» (Mt 8,11); sarà anche stagione in cui la zizzania crescerà insieme al grano in attesa della mietitura
nota
Cf. Mt 13,30.
.
Analogamente, secondo Giovanni, il Maestro preannuncia che lo Spirito e i discepoli gli renderanno testimonianza e le pecore disperse si raduneranno in un unico gregge.
CdA, 202
CONFRONTAVAI
La Chiesa segno e strumento
[426]  Nel Nuovo Testamento il regno di Dio, presente nella storia durante il tempo intermedio tra la Pasqua e la parusia, viene chiamato anche regno di Cristo. La Chiesa ne è l’attuazione manifesta, il segno pubblico e lo strumento efficace, o sacramento. In virtù di una comunicazione speciale dello Spirito, acquista una funzione profetica
nota
Cf. At 2,17.
; diventa il «sale della terra», la «luce del mondo», la «città collocata sopra un monte» (Mt 5,13-14), la «nazione santa» (1Pt 2,9) chiamata a rivelare la santità di Dio in mezzo a tutti i popoli.
CCC, 774-776
[427] Sebbene il Regno faccia germogliare grandi valori ovunque, solo nella Chiesa si rende apertamente visibile. Non è la fede della Chiesa che deve essere subordinata a criteri mondani, ma al contrario è il mondo che deve essere valutato in base all’insegnamento e all’esperienza di fede della Chiesa. Solo nella comunità dei credenti è possibile seguire Cristo in modo adeguato. Custodendo la testimonianza degli apostoli, essa offre la possibilità di conoscerlo fedelmente; celebrando i sacramenti, procura la possibilità di incontrarlo personalmente. A differenza di ogni altra aggregazione umana, non solo conserva la memoria del suo fondatore, ma nello Spirito mantiene un contatto vivente con lui e da lui continua a ricevere luce.
[428] Con il dono dello Spirito Santo, il regno di Dio e del suo Messia si manifesta pubblicamente nella storia mediante la Chiesa.
L’esperienza originaria
[429]  Lo Spirito Santo riunisce i credenti nella Chiesa. L’amore del Padre, rivelato dal Figlio morto e risorto, viene comunicato ai discepoli, 11-216.pngperché diventino la famiglia di Dio, inviata al mondo come segno tangibile della sua vicinanza.
Nel giorno stesso di Pentecoste si forma la prima comunità, quella di Gerusalemme, madre e modello di tutte le altre che seguiranno. Secondo il racconto di Luca, la sua crescita è prodigiosa. Ancor più mirabile appare il quadro della vita comunitaria, sebbene non manchi il comportamento indegno di qualche membro.
I credenti sono «assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Ascoltano e meditano la parola di Dio. Lodano e ringraziano continuamente il Signore; invocano il suo aiuto nelle difficoltà. Celebrano il mistero della morte e risurrezione di Cristo con l’eucaristia, ripetendo il gesto da lui compiuto nell’ultima cena. Stanno volentieri insieme; si fanno carico dei servizi necessari; condividono i beni materiali, con libertà e generosità, continuando l’esperienza già fatta da alcuni di loro insieme a Gesù. Portano ovunque la loro coraggiosa testimonianza, suscitando la simpatia del popolo e l’ostilità della classe dirigente, specialmente di quella di orientamento sadduceo. Gli apostoli, e particolarmente Pietro, svolgono, con autorità e semplicità, un compito prezioso di guida e di animazione.
CCC, 1342CCC 2623-2624CCC 770-771
Identità visibile della Chiesa
[430] Si tratta di un’esperienza storica irripetibile, in cui però è delineata la figura essenziale di ogni vera comunità cristiana: comunità concreta di credenti in Cristo, uomini in carne ed ossa, santi e peccatori, riuniti sotto la guida dei pastori, nella condivisione di beni spirituali e materiali, dove il mistero pasquale del Signore è proclamato con la predicazione, attualizzato nell’eucaristia e negli altri sacramenti, vissuto nella carità.
Per essere riconoscibile come segno davanti al mondo, la Chiesa deve possedere una precisa identità visibile; deve configurarsi come comunità di fede, di culto e soprattutto di rapporti fraterni: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Perciò l’ordinamento e la prassi comunitaria seguiranno criteri diversi rispetto agli altri gruppi umani: adesione libera
nota
Cf. Gal 5,13.
, corresponsabilità di tutti
nota
Cf. 1Ts 5,11.
, autorità come servizio
nota
Cf. 2Cor 4,5.
, correzione e aiuto fraterno
nota
Cf. Rm 15,14.
, rinuncia a reagire con la violenza al male subìto, attenzione preferenziale agli ultimi e superamento delle discriminazioni sociali
nota
Cf. Gal 3,28.
.
Nella misura in cui assumerà questi lineamenti, la comunità cristiana contribuirà efficacemente a costruire la pace sulla terra e sarà immagine credibile della comunione trinitaria delle persone divine: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).
CCC, 812
[431] Figura esemplare della Chiesa è la prima comunità di Gerusalemme, in cui i cristiani «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42).
Rilettura della storia
[432]  Negli Atti degli Apostoli i discorsi, attribuiti a Pietro, a Paolo e ad altri personaggi, occupano un terzo del libro: si può intuire quanto sia importante la loro funzione. In essi risuona la voce profetica della Chiesa nascente, che animata dallo Spirito Santo interpreta la storia nella prospettiva della Pasqua di Cristo. Le vicende di Israele, gli avvenimenti della vita di Gesù, i primi passi della comunità cristiana vengono collegati in una visione coerente, di grande respiro, e proiettati verso il futuro; si delinea così il ruolo della Chiesa nella storia della salvezza, la sua posizione rispetto a Israele.
CCC, 59-64CCC 839-840
Israele
[433]  Dio ha voluto avere un popolo santo in mezzo ai popoli della terra
nota
Cf. Dt 7,6.
. Ha scelto Israele, perché fosse sua proprietà e seguisse una particolare forma di vita, confidando solo nel Signore per avere la salvezza. L’Antico Testamento mostra però quanto ricorrente sia per lui la tentazione di costruirsi da solo il proprio destino e di inseguire miraggi mondani. Come ogni altro popolo, Israele ricerca una terra, un re, una dinastia, un esercito, una capitale, un tempio, una cultura. Ripetutamente deve sperimentare la precarietà di queste mete umane. Dio lo porta a camminare faticosamente in avanti, verso una terra che è sempre più in là. Abramo viene chiamato a lasciare la casa di suo padre e parte «senza sapere dove andava» (Eb 11,8). I suoi discendenti diventano in Egitto un popolo numeroso, ma finiscono schiavi
nota
Cf. Es 1,714.
. Liberati, entrano in possesso della terra promessa, hanno una legge, un re e un tempio; ma la prosperità li trascina all’infedeltà e alla sventura. Tornati dall’esilio, ricostruiscono il tempio e la vita nazionale, ma cadono sotto l’oppressione dei re ellenisti e degli imperatori romani
nota
Cf. Dn 3,26-45.
. Al tempo delle origini cristiane, molti alimentano ancora propositi di riscossa nazionale. Ma i “poveri di JHWH”, una minoranza, si aprono a un’attesa più pura e spirituale, che si trova in sintonia con l’esperienza di Gesù e dei suoi discepoli.
La Chiesa definitivo popolo di Dio
[434]  I primi seguaci di Gesù sono convinti di essere il definitivo Israele, che lo Spirito di Dio ha riunito e santificato, dando compimento alle antiche profezie e a una lunga preparazione. Con la nascita della comunità cristiana di Gerusalemme, Dio ha ricostruito «la tenda di Davide che era caduta» (At 15,16), ha riparato le sue rovine e l’ha rimessa in piedi, perché anche i popoli pagani cerchino il Signore
nota
Cf. Am 9,11-12(LXX); At 9,15; 13,32.41.
.
[435]  Sebbene nuova sia l’alleanza, di cui Cristo è mediatore
nota
Cf. Eb 9,15.
, l’idea di un “nuovo” popolo di Dio non ha alcun rilievo negli scritti del Nuovo Testamento. Non c’è la sostituzione di Israele, ma il suo perfezionamento: Dio non ricomincia daccapo, va avanti.
Israele è “la radice santa”, dalla quale si sviluppa il cristianesimo; è “l’olivo buono”, sul quale vengono innestati i pagani, perché portino frutto
nota
Cf. Rm 11,1624.
. Gesù rimane il Messia di Israele
nota
Cf. At 3,20.
. La prima comunità, composta di giudeo-cristiani, rappresenta “il resto” di Israele
nota
Cf. Rm 11,5.
. Nel libro dell’Apocalisse, la continuità viene messa in evidenza mediante la figura della donna, che indica il popolo eletto prima e dopo la venuta del Messia
nota
Cf. Ap 12,1-17.
, e mediante l’immagine della città santa, aperta ad accogliere i pagani che vengono in pellegrinaggio.
Se già nell’antica alleanza Israele ha ricevuto il nome di assemblea di Dio, a maggior ragione merita questo nome il definitivo popolo di Dio. “Chiesa” significa precisamente “assemblea”: assemblea radunata dal Padre intorno a Cristo con il dono dello Spirito, Chiesa «di Dio in Gesù Cristo» (1Ts 2,14).
La Chiesa è dunque la forma definitiva del popolo di Dio nella storia, capace di attirare tutte le genti. «La legge e la parola sono usciti da Gerusalemme... e noi ci siamo rifugiati presso il Dio di Israele. Sebbene fossimo esperti nella guerra, nell’assassinio, in ogni specie di mali, abbiamo trasformato le spade in aratri, le lance in falci; e ora costruiamo il timor di Dio, la giustizia, la solidarietà, la fede e la speranza»
nota
San Giustino, Dialogo con Trifone, 18, 2-3.
.
Quanti con il battesimo vengono inseriti in Cristo, formano il popolo dei “santi”, «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1Pt 2,9).
Santità e peccato nella Chiesa
[436]  La Chiesa è il popolo santo, consacrato da Dio. Il suo capo, Cristo, la unisce a sé e la vivifica con il dono dello Spirito; la rigenera incessantemente con la sua parola e i sacramenti; le comunica la forza della carità, partecipazione alla vita stessa di Dio, che abilita a praticare la nuova giustizia, prospettata nel discorso della montagna.
Tutti i cristiani sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità. Non si tratta semplicemente di un’esortazione o di un dovere, ma di «un’insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 16.
e di una possibilità reale offerta ai fedeli di qualsiasi condizione. Di fatto molti cristiani, in ogni epoca, vivono secondo la logica della carità. Non pochi giungono fino all’eroismo e tra essi alcuni vengono riconosciuti ufficialmente come “santi”. Fioriscono molte comunità fervorose e molte opere esemplari di promozione umana. Si sviluppa un’azione assidua per la difesa della persona e dei suoi diritti fondamentali, per la riconciliazione e la pace.
[437]  Tuttavia la Chiesa include anche i peccatori; «è santa e insieme 11-219.pngbisognosa di purificazione»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8.
. La zizzania cresce insieme al grano. Già nelle prime comunità, fondate direttamente dagli apostoli, compare il peccato: a Gerusalemme la menzogna di Ananìa e Saffìra e le tensioni per gli ostacoli posti da alcuni all’ingresso dei pagani convertiti; a Corinto le divisioni, il disordine e perfino un caso di incesto. I secoli successivi, fino ai nostri giorni, hanno visto corruzione, violenza, sete di potere e di ricchezza, discriminazioni, intolleranza, scismi, eresie. Dov’è dunque la santità del popolo di Dio? Dov’è la pace messianica intravista dai profeti
nota
Cf. Is 2,3-4.
? Come è possibile credere che il Messia sia venuto, se nel mondo nulla è cambiato? È questo l’interrogativo che gli ebrei pongono ai cristiani fin dai primi tempi
nota
Cf. San Giustino, Dialogo con Trifone, 110, 1-2.
.
La risposta è che la Chiesa, pur essendo la forma autentica e definitiva del popolo di Dio, è ancora in cammino nella storia. Sebbene per l’assistenza dello Spirito Santo sia preservata da una defezione totale, è ancora soggetta nei suoi membri alla tentazione di voltare le spalle a Dio, come lo fu Israele in cammino nel deserto. La Chiesa non è il Regno compiuto; è solo il segno, lo strumento e il germe di esso.
[438] La Chiesa è la forma definitiva del popolo di Dio nella storia. Sebbene segnata dai peccati dei suoi membri, è «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1Pt 2,9).
Una lunga separazione
[439]  Secondo gli Atti degli apostoli, Gesù risorto, attraverso i suoi discepoli, fa un ultimo tentativo di radunare intorno a sé l’intero Israele, per attirare poi anche i pagani.11-220.pngAlla gente di Gerusalemme, sbalordita per la guarigione dello storpio, Pietro dice: «Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l’ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità» (At 3,26).
Il tentativo all’inizio sembra riuscire con la crescita prodigiosa della comunità cristiana di Gerusalemme. Ma il successo non dura a lungo. Si diffonde un clima di ostilità. Le conversioni degli ebrei diminuiscono; si moltiplicano invece quelle dei pagani. Ad Antiòchia di Pisidia, Paolo e Barnaba così si rivolgono ai propri connazionali: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani» (At 13,46).
[440]  Davanti alla predicazione di Gesù e degli apostoli, Israele si divide: quelli che credono, entrano nella nuova alleanza e costituiscono il nucleo iniziale della Chiesa; gli altri formano l’«Israele secondo la carne» (1Cor 10,18). Progressivamente la frattura si allarga. Dapprima i seguaci di Gesù, chiamati «nazorei» (At 24,5), vengono considerati una nuova setta dentro il giudaismo. Poi appaiono all’opinione pubblica come una setta mista di ebrei e greci, e ad Antiòchia, per la prima volta, sono chiamati «cristiani» (At 11,26). Ben presto, già al tempo di Nerone, vengono senz’altro identificati come una nuova religione, diversa dall’ebraismo e presa subito di mira con una sanguinosa persecuzione. Verso la fine del I secolo e l’inizio del II si accentua nei loro confronti l’aggressività degli ambienti giudaici, con accuse presso le autorità romane e violenze
nota
Cf. San Giustino, Prima apologia, 31, 5; 36, 3.
.
D’altra parte nei secoli successivi, soprattutto durante il medioevo, si sviluppa nel mondo cristiano una mentalità ostile agli ebrei, considerati ingiustamente deicidi e maledetti da Dio, disprezzati e temuti per la loro diversità sociale, fatti oggetto di molti pregiudizi. Infine, alimentato da apporti culturali estranei al cristianesimo, spunta il moderno antisemitismo razzista.
[441]  Il concilio Vaticano II ha riprovato severamente pregiudizi, ingiustizie e violenze del passato, cercando di avviare un nuovo rapporto tra cristiani ed ebrei: «Questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura... La Chiesa, che condanna tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei e spinta non da motivi politici ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4.
.
Tutti i peccatori, di tutti i tempi e di tutti i popoli, sono causa della morte di Gesù. La responsabilità storica della sua morte coinvolge solo una parte delle autorità ebraiche e degli abitanti di Gerusalemme di quel tempo; soprattutto vi hanno un ruolo decisivo anche le autorità romane. Immotivata è l’accusa di deicidio, proprio perché la condanna di Gesù partiva dal mancato riconoscimento della sua divinità.
Nessun testo della Scrittura giustifica poi l’affermazione che Dio abbia maledetto il popolo ebraico; al contrario, i doni e l’elezione di Israele sono irrevocabili: «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio» (Rm 11,2).
La Chiesa condanna tutte le forme di persecuzione degli ebrei nella storia, fino allo sterminio programmato di cui sono stati vittime nel XX secolo. Il rifiuto di ogni discriminazione e il riconoscimento delle responsabilità, anche dei cristiani, sono il presupposto per impedire il diffondersi dell’antisemitismo e per aprirsi ad una reciproca comprensione.
CCC, 595-598
Parentela spirituale
[442]  La necessità di un dialogo, amichevole e costruttivo, trova 11-222.pngfondamento non solo nel rispetto dovuto a ogni persona umana, ma anche nel particolare legame che unisce le due religioni, legame di vera parentela spirituale. Il cristianesimo ha le sue radici nell’ebraismo: la fede cristiana ha ereditato l’Antico Testamento e continua a nutrirsi di esso; il Figlio di Dio si è fatto uomo ebreo, ha predicato agli ebrei e rimane per sempre ebreo; la prima Chiesa è nata ebrea e ha trasmesso alle generazioni successive numerosi elementi liturgici, istituzionali e spirituali di origine ebraica. Giustamente Giovanni Paolo II ha chiamato gli ebrei nostri «fratelli maggiori»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso alla comunità ebraica nella sinagoga di Roma, 13 marzo 1986.
.
[443]  Gli ebrei in gran parte non hanno accettato il vangelo; ma il ruolo di Israele permane nella storia della salvezza. Secondo l’immagine usata da Paolo, sono rami tagliati dall’olivo; ma rimangono della sua stessa natura, partecipano ancora della sua santità
nota
Cf. Rm 11,1624.
: «Sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,28-29).
L’antica alleanza «non è mai stata revocata»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica a Magonza, 17 novembre 1980.
, ma perfezionata dalla nuova. Gli ebrei, intimamente solidali con la comunità cristiana, rimangono popolo di Dio. Congiunti pertanto al mistero della Chiesa, che ha la pienezza dei mezzi di salvezza, cooperano anch’essi all’edificazione del regno di Dio; svolgono «un servizio all’umanità intera»
nota
Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica dell’Alsazia a Strasburgo, 9 ottobre 1988.
. Non si può parlare di due vie parallele di salvezza, ma neppure di sostituzione di una con l’altra.
Segno della fedeltà di Dio
[444]  Gli ebrei rimangono depositari e testimoni delle promesse di Dio
nota
Cf. Rm 9,4.
. La loro mancata adesione a Cristo è un monito anche per i cristiani a mantenersi umili, a non presumere troppo di se stessi. Destinati ad essere reintegrati in Cristo e ad essere salvati dopo che «saranno entrate tutte le genti» (Rm 11,25), costituiscono un segno permanente della fedeltà di Dio, segno ancor più persuasivo se si tiene conto delle gravi minacce portate in ogni tempo alla loro stessa esistenza.
CCC, 674
[445] C’è chi nelle persecuzioni subite dagli ebrei vuole vedere un castigo divino e una conseguenza dell’infedeltà all’alleanza. Una tale interpretazione potrebbe valere per la storia di ogni popolo. Non va dimenticato piuttosto che più volte gli ebrei vengono perseguitati per la loro fedeltà religiosa alla Legge e danno prova di coraggio fino al martirio. Bisogna piuttosto vedere in questa storia di sofferenza il segno della precarietà umana, che trova sostegno presso Dio. Già in epoca biblica questo piccolo popolo rischia ripetutamente di essere distrutto dai potenti vicini e ripetutamente, contro ogni ragionevole previsione, riesce a salvarsi: così con gli egiziani, con i filistei, con gli assiri, con i babilonesi, con Antioco Epìfane. Le aggressioni proseguono nei secoli della nostra èra. Non è possibile dimenticare le ribellioni duramente represse dai romani, i sanguinosi tumulti popolari antigiudaici nel medioevo, la cacciata dalla Spagna nel secolo XV, l’insurrezione cosacca nel secolo XVII, infine lo sterminio nazista di milioni di ebrei. Una tragica catena di violenze, una tradizione di martirio. È davvero sorprendente che sopravviva e conservi la propria identità una minoranza, privata della sua terra, dispersa in mezzo a molte nazioni, emarginata e perseguitata. La Bibbia, per quanto riguarda le crisi più antiche, attribuisce esplicitamente l’imprevedibile salvezza alla fedeltà di Dio: è da pensare la stessa cosa per quelle successive. Con la sua storia di passione, il popolo eletto partecipa al mistero del Cristo redentore e incarna emblematicamente la figura profetica del Servo che espia i peccati del mondo.
Dialogo fraterno
[446] Il dialogo tra cristiani ed ebrei deve mirare innanzitutto a una migliore conoscenza reciproca, premessa indispensabile per la fiducia e la collaborazione. Noi cristiani dobbiamo considerare non solo l’antico Israele, ma anche gli sviluppi dell’ebraismo post-biblico: il giudaismo rabbinico e la sua feconda tradizione etica e giuridica; la Qabbalah, mistica dell’unità, in cui confluiscono speculazione cosmologica, allegoria biblica e attesa messianica; il chassidismo, religiosità semplice, intensa e gioiosa; infine le correnti moderne, come l’ebraismo ortodosso e quello riformato.
[447]  La diversità va presa sul serio e rispettata. Ma ci dobbiamo anche rendere conto che il comune patrimonio spirituale è grande: un solo Dio, creatore, signore della storia, trascendente e presente; bontà del mondo creato, sviluppo proteso a un compimento ultimo, risurrezione dei morti e vita eterna; tradizione orale accanto alla Scrittura
nota
Cf. Dt 17,8-13.
, istituzioni ecclesiali derivate dalla sinagoga; etica dell’amore verso Dio e il prossimo, senso della famiglia, della giustizia e della solidarietà; liturgia come memoriale, lettura dell’Antico Testamento e preghiera dei Salmi, feste ebraiche come la Pasqua e la Pentecoste attualizzate con nuovo significato, elementi rituali di derivazione ebraica come il battesimo, la preghiera eucaristica di benedizione, la stessa struttura complessiva della Messa. Conoscere la religione ebraica giova a conoscere meglio anche la religione cristiana. Alla reciproca conoscenza è dedicata ogni anno la giornata per il dialogo ebraico-cristiano del 17 gennaio.
[448] Motivo fondamentale di divisione rimane la diversa posizione riguardo al Messia. Per noi cristiani egli è già venuto in Gesù di N‡zaret; per gli ebrei non si è ancora manifestato. Tuttavia, gli uni e gli altri attendiamo una sua venuta futura al termine della storia. L’interpretazione cristiana dell’economia salvifica distingue la promessa, il compimento parziale e il compimento ultimo: sul primo e sul terzo di questi momenti è possibile trovare convergenze tra cristiani ed ebrei. Ampia soprattutto può essere la collaborazione nella prassi, per la promozione della giustizia e della pace. Per gli uni e per gli altri, pur con diversa consapevolezza, si tratta in definitiva di preparare l’umanità ad accogliere il Messia e il regno di Dio.
[449] I cristiani sono legati agli ebrei da una speciale parentela spirituale: hanno in comune con loro un patrimonio religioso da mettere a frutto nel dialogo e nella collaborazione.
Aperta ai popoli e alle culture
[450]  Alla sua prima uscita, nel giorno di Pentecoste, la Chiesa proclama «le grandi opere di Dio» (At 2,11) in molte lingue e riunisce nell’unica fede persone di varia provenienza
nota
Cf. At 2,5-11.
. Mentre gli orgogliosi abitanti di Babele fallirono nel loro progetto totalitario di costruire una sola civiltà con una sola lingua
nota
Cf. Gen 11,1-9.
, ora i seguaci di Gesù, che umilmente accolgono lo Spirito di Dio, riescono ad edificare la comunione fraterna nel rispetto della libertà e nella varietà delle culture.
[451]  Lo Spirito scardina le chiusure del particolarismo e apre orizzonti sempre più vasti. Approfitta della persecuzione, scatenata a 11-224.pngGerusalemme contro i cristiani di cultura greca, per seminare il vangelo tra i samaritani
nota
Cf. At 8,1-825.
, emarginati e disprezzati dagli ebrei come eretici. Guidando i passi di Pietro alla casa del centurione romano Cornelio a Cesarea, rimuove le preclusioni che vietano la convivenza tra ebrei e pagani; persuade l’apostolo a battezzare quella famiglia, senza prima farla passare attraverso la circoncisione e l’osservanza della legge mosaica
nota
Cf. At 10,1-48.
. Dà rapido incremento alla comunità di Antiòchia, composta da ebrei e pagani convertiti, base di partenza per la penetrazione nel mondo greco-romano. In mezzo ad essa, in un clima di preghiera, sceglie Saulo e Barnaba come primi protagonisti della grande avventura missionaria, sospingendoli sulle vie dell’Asia Minore, per aprire ai pagani «la porta della fede» (At 14,27) e far sorgere al loro passaggio varie comunità locali.
[452]  Una grave controversia si apre però nella Chiesa: per essere salvi, basta credere nel Signore e ricevere il battesimo nel suo nome oppure è necessario accettare anche la circoncisione e le osservanze giudaiche? È una questione decisiva per il futuro del cristianesimo. Per discuterla, si riunisce a Gerusalemme l’assemblea degli apostoli e degli anziani e, con l’illuminazione dello Spirito Santo, arriva alla giusta soluzione: non occorre né circoncisione né legge mosaica; tutti, ebrei e greci, senza alcuna differenza, vengono salvati soltanto per grazia, purché si convertano. Tuttavia, per favorire la convivenza tra le due componenti della Chiesa, l’assemblea chiede che si osservino, per il momento, alcune norme di “purità legale”, che proibiscono di contrarre unioni irregolari e di mangiare carne offerta agli idoli, sangue e animali uccisi mediante soffocamento
nota
Cf. At 15,1-35.
.
[453]  Crollano le barriere; la via è aperta per la missione in Grecia e «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). L’unica fede potrà radicarsi in culture diverse, «poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6). La Chiesa loderà il Signore con le lingue di tutti i popoli
nota
Cf. Ap 5,97,9.
e potrà accogliere i doni di una multiforme creatività, spirituale, culturale e sociale: «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te... Verranno a te i beni dei popoli» (Is 60,4-5). Il genio e la natura di ciascun popolo potranno esprimersi nelle formulazioni diverse dell’unica fede, nei riti liturgici, nelle scelte pastorali, negli ordinamenti disciplinari, nelle forme di spiritualità, nelle creazioni artistiche, dando luogo a uno scambio incessante, per un arricchimento reciproco
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 22.
.
Una e cattolica
[454]  La Chiesa è una e universale. Tutti i cristiani, per quanto diversi tra loro, diventano «uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28) in virtù dello Spirito Santo. Questa moltitudine unificata è immagine visibile della Santa Trinità
nota
Cf. Gv 17,21.
e costituisce una potente forza di pace tra le nazioni della terra e un segno efficace del disegno divino di riconciliare tutte le cose in Cristo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1; 13.
.
L’universalità, o cattolicità, della Chiesa assume figura storica nella comunione visibile delle comunità cristiane esistenti e nella tensione missionaria a crearne di nuove, accogliendo in Cristo «tutta l’umanità e i suoi beni»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 13.
.
Le comunità sono nate come Chiese sorelle, con una fitta rete di rapporti reciproci. Hanno riconosciuto la presidenza della Chiesa di Roma, custode della comunione e garante della verità
nota
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, Prologo.
. Attraverso i secoli continuano a mantenere tra loro legami concreti: comune dottrina della fede, condivisione dell’eucaristia e dei sacramenti, carità scambievole, ordinata disciplina. Il primato del papa e il collegio dei vescovi uniti con lui sono segno e strumento privilegiato dell’unità di tutta la Chiesa
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8.
. Ma ogni singola comunità, anzi ogni singolo fedele, ha una responsabilità universale e deve «aprirsi all’universalità della Chiesa, evitando ogni forma di particolarismo, esclusivismo o sentimento di autosufficienza»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 85.
.
CCC, 830-831CdA, 406
CONFRONTAVAI
Universale e particolare
[455]  La Chiesa ha anche una dimensione particolare, ugualmente necessaria. Nel Nuovo Testamento la parola Chiesa serve per indicare sia la comunità dei credenti diffusa su tutta la terra, sia la comunità locale che risiede in una città, sia l’assemblea riunita materialmente in un luogo. Uso davvero singolare, perché al tutto e alle sue parti si danno normalmente nomi diversi.
È ovvio che Chiesa universale e Chiesa particolare sono rispettivamente il tutto e la parte sul piano sociologico esteriore. Non lo sono però interiormente, a livello profondo e misterioso. Qui c’è un’unica assemblea universale, perennemente riunita in quel tempio «non fatto da mani d’uomo» (Mc 14,58) che è il corpo glorioso di Cristo risorto. Tutti i cristiani, ovunque si trovino, sono uniti a Cristo e tra loro, in virtù dello Spirito Santo, «uno e identico»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 7.
in tutti; malgrado le distanze di spazio e di tempo, si trovano sempre insieme e comunicano misteriosamente tra loro. Allora la «Chiesa di Dio che è in Corinto» (1Cor 1,2) è in realtà tutta la Chiesa, che si fa presente nella comunità di Corinto e si rende visibile attraverso di essa, come in un’immagine. E si comprende come sia giustificato l’uso molteplice della parola “Chiesa”, trattandosi di diverse manifestazioni di un’unica realtà. Con un volto sempre nuovo è l’unica “assemblea” di Cristo che entra nella storia, prima a Gerusalemme poi ad Antiòchia, a Corinto, a Roma e ovunque.
In ogni Chiesa particolare «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica»
nota
Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 11; cf.. Id., Lumen gentium, 26.
. Le Chiese particolari «sono formate a immagine della Chiesa universale: in esse e a partire da esse esiste l’una e unica Chiesa cattolica»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23.
. Né la Chiesa particolare è un “frammento” di quella universale; né la Chiesa universale è una “somma” di Chiese particolari; ma «la Chiesa universale esiste e si manifesta nelle Chiese particolari»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 25.
.
CCC, 832-835
La diocesi
[456]  Chiesa particolare in senso pieno è la diocesi, descritta dal concilio Vaticano II come «una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un vescovo coadiuvato dal presbiterio, in modo che... costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica»
nota
Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 11.
.
Il mistero della Chiesa si manifesta e si fa presente in varie figure concrete: la parrocchia, l’assemblea liturgica, la comunità religiosa, la famiglia cristiana, «dove sono due o tre riuniti» (Mt 18,20) nel nome di Gesù. Ma propriamente solo la diocesi viene chiamata Chiesa particolare, perché solo essa è presenza e immagine adeguata della Chiesa universale, in quanto ne possiede tutti gli elementi costitutivi visibili: la parola della divina rivelazione, l’eucaristia, gli altri sacramenti e il vescovo, che è segno e presenza in senso pieno di Cristo pastore, successore degli apostoli e membro del collegio episcopale. Inoltre con la varietà dei carismi essa esprime pienamente la vita e la missione del popolo di Dio, inviato ad accogliere, purificare e santificare la popolazione di un territorio con tutte le dimensioni della sua umanità.
CCC, 833
[457]  La diocesi non si riduce a una cornice giuridica e amministrativa, ma è vera comunità di credenti e deve esprimere la comunione anche a livello pastorale operativo. È necessario che «si favoriscano le varie forme di apostolato, e... se ne assicuri il coordinamento e l’intima unità sotto la guida del vescovo: di modo che tutte le iniziative e attività - di carattere catechistico, missionario, caritativo, sociale, familiare, scolastico e ogni altro lavoro mirante a fini pastorali - siano ricondotte a un’azione concorde, dalla quale sia resa ancor più palese l’unità della diocesi»
nota
Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 17.
.
La diocesi è dunque il fondamentale soggetto pastorale e missionario. Ad essa devono fare riferimento tutti i fedeli e le loro molteplici aggregazioni, quali le parrocchie, le comunità religiose, le associazioni, i movimenti, le piccole comunità, i gruppi. Concretamente il vescovo, con la cooperazione del presbiterio e con l’opportuna consultazione di altre componenti ecclesiali, stabilisce alcuni obiettivi, linee e impegni comuni, evitando però l’uniformità che tutto appiattisce, lasciando spazio alla creatività e originalità dei vari soggetti. Da parte loro, le aggregazioni di fedeli devono guardarsi dalla tentazione dell’autosufficienza e, pur attuando esperienze proprie di formazione e di apostolato, devono rimanere aperte al dialogo rispettoso e cordiale, lasciando spazio per momenti di incontro e di collaborazione con altre realtà ecclesiali. La carità esige sia che si valorizzino i carismi particolari sia che si costruisca una unità pastorale concreta a livello diocesano.
La parrocchia
[458]  All’interno della diocesi ha grande importanza la parrocchia, comunità stabile di credenti idonea a celebrare l’eucaristia, guidata da ministri ordinati in qualità di collaboratori del vescovo. È l’espressione «più immediata e visibile»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26.
della comunione ecclesiale. Anch’essa rappresenta «in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra»
nota
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 42.
. «È la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini... Vive ed opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 27.
. È chiamata a promuovere rapporti umani e fraterni, ad essere «la casa aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il papa Giovanni XXIII, la fontana del villaggio, alla quale tutti ricorrono per la loro sete»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 27.
. Spetta «ad essa iniziare a raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica; ad essa conservare e ravvivare la fede della gente di oggi; ad essa fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa praticare nel sentimento e nell’opera l’umile carità delle opere buone e fraterne»
nota
Paolo VI, Discorso al clero romano, 24 giugno 1963.
. Perché non si riduca a una struttura di servizi religiosi, occorre sviluppare un clima fraterno di comunicazione e corresponsabilità intorno al parroco, rappresentante del vescovo e «vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26.
. Occorre valorizzare i carismi personali e le esperienze associative, promuovendo i ministeri, sollecitando l’interessamento e la partecipazione da parte di tutti.
La parrocchia, in vista di una maggiore efficacia operativa, «può essere collegata con altre del medesimo territorio anche in forma istituzionale»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26.
. Al suo interno può essere articolata in piccole comunità ecclesiali di base, che «s’incontrano per la preghiera, la lettura della Scrittura, la catechesi, la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista di un impegno comune»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 51.
. Esse risultano particolarmente preziose per la formazione delle persone e la valorizzazione dei loro doni, per l’esperienza concreta di fraternità e di appartenenza alla Chiesa, per l’evangelizzazione e la promozione umana.
La Chiesa è popolo e famiglia: vuole raccogliere in armonia tutte le voci, senza sminuire la loro originalità.
CCC, 2179
[459] La Chiesa è una e universale, in quanto è chiamata ad essere immagine della Trinità divina e segno efficace di riconciliazione di tutte le cose in Cristo. Il mistero, uno e universale, della Chiesa è presente e si manifesta in ogni Chiesa particolare e nella comunione visibile di tutte le Chiese intorno a quella di Roma. Chiesa particolare in senso pieno è la diocesi, immagine completa della Chiesa universale con tutti gli elementi visibili costitutivi.
L’unità ferita
[460]  L’unica Chiesa vive in molte Chiese, caratterizzate da varie esperienze spirituali, culturali e disciplinari. Ma ci sono anche diversità che non sono compatibili con l’unità. La piena unità della Chiesa non ammette divergenze riguardo alle verità della fede e ribellioni contrarie alla comunione gerarchica.
È doloroso rilevare come, a motivo dei peccati, dei dissensi teologici e dei condizionamenti psicologici, culturali e sociali, numerose divisioni segnino il cammino storico del cristianesimo. Ci limitiamo ad elencare quelle di maggior rilievo: i giudaizzanti estremisti degli inizi, lo gnosticismo, l’arianesimo, i manichei, i pelagiani, i nestoriani, i monofisiti, l’iconoclastia, la separazione della Chiesa d’oriente, gli albigesi, lo scisma d’occidente, la riforma protestante, gli anglicani, il giansenismo, i veterocattolici, i seguaci di Lefebvre. Molte di queste divisioni hanno esaurito da tempo il loro influsso; altre perdurano nelle comunità che ne sono derivate, tra le quali sono particolarmente importanti le Chiese ortodosse, quella anglicana e quelle protestanti. In Italia vivono piccole comunità ortodosse e protestanti. La più consistente numericamente è la Chiesa valdese, le cui origini risalgono al XII secolo.
[461] Le responsabilità delle scissioni non sono facilmente individuabili. Di solito non appartengono a una parte soltanto. Spettano in maniera diversa alla prima generazione che dà l’avvio e alle successive che ne raccolgono l’eredità. Le cause appaiono complesse e non sono di ordine esclusivamente religioso. A volte esplodono aspre polemiche e perfino guerre. In ogni caso si tratta di esperienze tristissime, che feriscono ogni coscienza autenticamente cristiana.
Le divisioni tra i seguaci di Cristo contraddicono la loro partecipazione alla comunione trinitaria; pregiudicano la credibilità del vangelo, facendolo apparire un’utopia irrealizzabile; ostacolano l’azione missionaria tra i non cristiani, seminando confusione e scandalo; provocano l’indifferenza religiosa e l’emarginazione della fede dalla vita culturale e sociale. Oggi la loro gravità risalta ancor più, in un mondo in cui cresce l’interdipendenza e si fa urgente il bisogno di riconciliazione e di solidarietà.
Verso la riconciliazione
[462] Provvidenzialmente alla stagione delle controversie è subentrata quella dell’ecumenismo, un grande dono dello Spirito Santo per il nostro tempo, un movimento in sicura crescita, specie dopo la fondazione del Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1948 e la celebrazione del concilio Vaticano II dal 1962 al 1965. Si tratta di una mentalità e di una prassi che comportano il rammarico per le divisioni in atto, l’attenzione a ciò che ancora unisce, l’impegno a restaurare la piena unità visibile, a pregare con perseveranza per ottenerla dal Signore, a collaborare nei comuni valori della fede e della promozione dell’uomo. Vi sono coinvolti pastori, teologi e fedeli, con i gesti ufficiali e solenni, con gli studi teologici, con i comportamenti quotidiani in famiglia, al lavoro, a scuola, in ogni ambiente.
[463]  I cristiani divisi non sono del tutto separati; piuttosto hanno tra loro una comunione imperfetta
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3.
. Assai più importante di ciò che li divide è ciò che li unisce: lo Spirito Santo, il battesimo, la convergenza sulle principali verità della fede. Particolarmente vicine alla Chiesa cattolica sono le Chiese ortodosse, che custodiscono l’eredità di una gloriosa tradizione teologica, spirituale e liturgica, conservano il sacerdozio, l’eucaristia e tutti gli altri sacramenti, nutrono una fervida devozione alla Vergine Maria.
Tuttavia non bisogna sottovalutare la divisione. Dio vuole la piena unità, visibile nella concretezza della storia, come segno efficace e profezia della riunificazione di tutto il genere umano. Cristo ha pregato per questa unità. Dobbiamo dunque ricostruirla, con un cammino di conversione al Signore, con la ricerca sofferta della sua volontà, con il ritorno alle origini. Emblematico al riguardo è l’incontro a Gerusalemme del papa Paolo VI e del patriarca Atenagora nel 1964.
Dobbiamo aprirci ad accogliere tutta la ricchezza della rivelazione trasmessa dagli apostoli. Non basta limitarsi a un minimo comune denominatore. Non ha senso il compromesso diplomatico: l’unità autentica si raggiunge solo nella verità. Occorre invece evidenziare le prospettive valide che si trovano in ciascuna tradizione. Ognuno ha qualche contributo da portare alla crescita comune verso la pienezza di Cristo: i cattolici il senso della storia e della comunità; gli ortodossi l’accentuazione della risurrezione, dell’escatologia e del ruolo dello Spirito Santo; i protestanti il primato della parola di Dio. Ognuno ha limiti, da cui liberarsi. Anche la Chiesa cattolica. Essa, certo, nella fede non ha mai errato e non può errare; possiede la piena unità visibile e tutti i mezzi di salvezza
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3-4.
. Tuttavia le è necessaria la riforma incessante nei costumi, nella disciplina, nel modo stesso di esporre la dottrina.
Impegno ecumenico
[464]  La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra ogni anno dal 18 al 25 gennaio, ci ricorda che il primo contributo da dare all’ecumenismo è, insieme all’impegno per la propria santificazione, la preghiera assidua perché il Signore realizzi l’unità che egli vuole, nei tempi e con i mezzi che vuole: «Conversione del cuore e santità della vita insieme alle preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale»
nota
Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 8.
.
[465] Chi apre un dialogo autentico si lascia guidare dalla carità per le persone e dal desiderio di totale fedeltà al vangelo. Non mette in dubbio pregiudizialmente la sincera adesione a Cristo da parte dei fratelli di altre confessioni. Cerca di conoscerne in maniera non superficiale la storia, la dottrina, la psicologia religiosa, la vita spirituale e liturgica. Prende sul serio le divergenze, ben sapendo che soffrire per la disunione è più fruttuoso di una unità ambigua. Ha cura di far emergere le istanze valide, che di solito si nascondono anche nelle posizioni discordanti, ed è pronto ad accoglierle e valorizzarle.
[466]  La conoscenza reciproca genera la fiducia e rende possibile la 11-230.pngcollaborazione. Malgrado le divergenze, a volte notevoli, in vari ambiti della morale personale e sociale, si può e si deve giungere ad un’intesa per quanto riguarda le numerose opere di giustizia e di carità. Occorre invece un più attento discernimento in campo pastorale e liturgico.
È bene procedere a un reciproco riconoscimento del battesimo, redigendo una dichiarazione comune. Quanto alla cresima, è da considerare valida quella conferita nelle Chiese ortodosse. L’eucaristia è il vertice della comunione ecclesiale e non può rappresentare una tappa intermedia del cammino ecumenico, ma solo un punto di arrivo. Perciò ai sacerdoti non è lecito concelebrare insieme a ministri di altre confessioni. Anche i fedeli, in circostanze ordinarie, devono rivolgersi ognuno alla propria comunità. Un sacerdote cattolico può dare ai fedeli non cattolici i sacramenti dell’eucaristia, della penitenza e dell’unzione degli infermi, a condizione che lo chiedano liberamente, professino la stessa fede riguardo al sacramento richiesto, abbiano le disposizioni convenienti, si trovino nell’impossibilità di avvicinare un loro ministro. Alle stesse condizioni un fedele cattolico può ricevere questi sacramenti da un sacerdote ortodosso.
[467] Esigono una particolare attenzione dal punto di vista ecumenico i matrimoni “misti”, tra cristiani di diverse confessioni. Queste unioni sono oggi più diffuse che nel passato e vanno incontro a difficoltà e pericoli in quanto i coniugi non possono condividere pienamente la fede, la vita liturgica, l’educazione dei figli. Se però si riesce ad evitare l’indifferenza religiosa, offrono l’opportunità di crescere nel rispetto e nella comprensione delle diverse tradizioni e di approfondire l’esperienza di Dio. I cattolici devono impegnarsi a frequentare la propria Chiesa, a seguirne gli insegnamenti, a fare il possibile per battezzare ed educare in essa i figli. La celebrazione del matrimonio deve avvenire nella forma del rito cattolico, a meno che per serie ragioni non venga concessa la dispensa per celebrarlo con rito diverso.
[468] A parte la disciplina dei sacramenti, l’accordo può riguardare formulari liturgici, libri di preghiere, ambienti e oggetti di culto. In particolare le traduzioni interconfessionali della Bibbia e la sua diffusione favoriscono l’ecumenismo e sono testimonianza di unità.
Valorizzare con gesti concreti gli elementi di unità esistenti, soffrire per le divergenze che ancora rimangono, confidare nella grazia del Signore: per queste vie matura l’unità, che è esperienza vissuta e dono di Dio.
[469] L’ecumenismo è un cammino di riconciliazione che mira a ricomporre la piena unità visibile tra i cristiani, appartenenti a diverse Chiese e comunità ecclesiali.
Fenomeno da non sottovalutare
[470] Il relativismo culturale del nostro tempo favorisce lo sviluppo di credenze vaghe e sincretiste; oppure, al contrario alimenta il bisogno di certezze dottrinali, di prospettive sicure e a breve termine sul futuro, di sottomissione a capi carismatici e appartenenza a qualche compatta aggregazione. L’isolamento e l’anonimato della società di massa spingono a cercare identità e protezione in gruppi ristretti, caratterizzati da calore umano, partecipazione attiva, valorizzazione delle doti di ognuno. La mentalità consumista e l’ansia esistenziale inclinano verso una sacralità emotiva e magica, che dia la possibilità di esperienze gratificanti, di benessere psichico e fisico.
In questo clima proliferano “nuovi movimenti religiosi”, quanto mai diversi tra loro, che per praticità vengono chiamati anche “sètte”, senza necessariamente voler loro attribuire la connotazione negativa che il termine suggerisce. Alcuni sono di matrice cristiana; spesso però con la pretesa di aver ricevuto nuovi messaggi rivelati. Altri derivano dalle religioni orientali, magari con apporto consistente di elementi presi dal cristianesimo e dalla cultura moderna. Altri attingono a tradizioni esoteriche.
[471] In Italia queste formazioni religiose sono circa duecento e trovano il terreno preparato da un radicato anticlericalismo e dall’ignoranza religiosa, specialmente in campo biblico. Tra i più diffusi ci sono i testimoni di Geova, i mormoni, la chiesa dell’unificazione, la chiesa di scientologia, gli Hare Krishna, il “New Age” ossia “Nuova era”.
[472] La Chiesa cattolica considera la crescita dei “nuovi movimenti religiosi” una seria sfida pastorale. Sente il dovere di mettere in guardia dalle conseguenze nocive che può produrre nelle coscienze il loro proselitismo, a volte aggressivo. Per dare risposta adeguata al bisogno di significato e di intensa esperienza spirituale, avverte l’urgenza di annunciare Gesù Cristo, unico salvatore dell’umanità, di offrire testimonianze coraggiose di carità, di proporre spazi di contemplazione e gioia spirituale. Per venire incontro al bisogno di appartenenza e di rapporti fraterni, intravede l’opportunità di promuovere piccole comunità, dove i singoli si sentano considerati, assumano dei compiti, trovino autorevoli guide spirituali.
[473] Rispetto alla Chiesa cattolica e alle altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane i “nuovi movimenti religiosi” presentano una gamma di posizioni che va dal sincretismo, conciliante al punto da ammettere la doppia appartenenza, fino all’esclusivismo polemico.
Consideriamo brevemente un esempio di sincretismo, il New Age, e un esempio di esclusivismo, i testimoni di Geova.
New Age
[474] New Age è un’ideologia, che attinge ad esperienze diverse: cristianesimo, pensiero orientale, esoterismo, astrologia, psicologia, ecologia. Mette insieme un miscuglio di elementi, privati della loro identità originale, ridotti a motivi psicologici.
Considera di capitale importanza il fatto che l’èra dei Pesci, simbolo astrologico del Cristo, stia per concludere la sua durata di 2157 anni. Terminerebbe così un’èra di drammatici contrasti, di idealismo e di materialismo, di fanatismo e di scetticismo, di amore compassionevole e di crudeli sofferenze. La sua fine comporterebbe il superamento del cristianesimo e l’inizio di una nuova èra, quella dell’Acquario. Il genere umano si starebbe evolvendo verso un livello più alto di coscienza, con l’affermazione di una sola religione planetaria, che erediterebbe gli elementi positivi di quelle precedenti. Attraverso appropriate tecniche conoscitive l’uomo potrebbe giungere all’esperienza del divino, all’identificazione con l’Assoluto. Da questa saggezza nascerebbero pace interiore, amore verso tutti gli esseri viventi, solidarietà sociale, armonia con la natura. Lo spirito del tempo farebbe convergere molte energie verso l’unità, in modo da assicurare un’èra di pace e di felicità.
[475] Anche da un profilo così sommario, emerge il carattere gnostico, panteistico e millenaristico di questa ideologia. Le pur positive istanze di riconciliazione universale e di armonia con il cosmo ricevono risposte confuse e inadeguate. Non si vede proprio perché ci si debba attendere la salvezza dagli astri anziché da Cristo, dalle pratiche psicologiche anziché dalla grazia di Dio, dalle dottrine esoteriche anziché dalla rivelazione pubblica.
I testimoni di Geova
[476] I testimoni di Geova hanno avuto origine verso la fine del secolo scorso negli Stati Uniti d’America. Costituiscono un’associazione organizzata e compatta, rigidamente guidata dal gruppo dirigente che risiede a Brooklyn. Svolgono un’enorme propaganda, con impiego di grandi risorse economiche. I risultati, in sé notevoli, appaiono modesti in proporzione allo sforzo. Le numerose conversioni vengono in gran parte neutralizzate dalle quasi altrettanto numerose defezioni.
[477] I testimoni di Geova accettano la Bibbia come regola di fede. La ricevono da quelle stesse Chiese tradizionali, che pure considerano strumenti di Satana. Mettono l’Antico Testamento sullo stesso piano del Nuovo, perché non hanno idea del carattere progressivo della rivelazione. La loro interpretazione consiste nel prendere frasi staccate dal contesto letterario e storico, e manipolarle con disinvoltura a sostegno di dottrine prefabbricate. Viceversa, quando hanno a che fare con testi in contrasto evidente con la loro ideologia, non esitano a farne un uso allegorico, persino bizzarro. Non distinguono tra il messaggio rivelato e la cultura dell’ambiente: assumono come verità divine molte espressioni relative all’ambito scientifico, legate alle concezioni dell’epoca e ormai superate.
[478] Secondo la loro dottrina, il Dio unico, eterno, creatore di tutte le cose, ha un corpo spirituale, abita in una qualche parte del cielo e si chiama Geova. A questo nome attribuiscono un’importanza decisiva, quasi magica. Dimenticano che si tratta di una deformazione del nome JHWH, che nell’Antico Testamento esistono vari nomi di Dio, che nel Nuovo Testamento il nome più vero è quello di Padre.
Affermano che lo Spirito Santo non è una persona, ma soltanto un’energia divina. Gesù Cristo non sarebbe vero Dio e vero uomo, ma solo un essere angelico. Si identificherebbe con Michele. Sarebbe stato creato per primo da Geova e poi con il suo aiuto sarebbero stati creati tutti gli altri esseri del cielo e della terra. Avrebbe avuto dapprima un corpo spirituale; poi si sarebbe trasformato in un uomo; sarebbe morto appeso non alla croce, ma a un palo; infine con la risurrezione sarebbe ritornato al suo originario corpo spirituale.
[479] Il mondo avrebbe avuto inizio non miliardi di anni fa, ma appena da 48.000 anni e starebbe per entrare nei suoi ultimi mille anni. L’uomo, con buona pace della paleontologia e dell’archeologia, esisterebbe da appena seimila anni. Satana e gli angeli ribelli si sarebbero impadroniti del mondo e avrebbero instaurato un sistema malvagio universale: tutte le Chiese e le religioni, eccetto ovviamente quella dei testimoni di Geova, tutti i poteri politici ed economici sarebbero strumenti di Satana. Finalmente nel 1914 sarebbe iniziato nei cieli il regno messianico di Dio e di Cristo, che presto si estenderà anche alla terra, distruggerà l’attuale sistema malvagio nella grande battaglia di Armaghedòn, instaurerà un nuovo ordine mondiale, un idilliaco paradiso terrestre, per la durata di mille anni, finché Satana avrà un ultimo sussulto e sarà distrutto per sempre insieme agli angeli ribelli e agli uomini peccatori. La svolta decisiva sarebbe imminente, prima che muoiano milioni di persone che erano vive nel 1914. Però le varie date, finora indicate, si sono rivelate false.
[480] I testimoni di Geova coltivano il senso della vicina catastrofe; descrivono con un certo compiacimento le guerre, le calamità naturali, gli orrori di questo mondo, quasi scorgendo in essi un anticipo della fine. Riconoscono il valore della vita familiare, ma prendono le distanze dalla società; la rifiutano come dominata da Satana. Per questo motivo, non per amore dell’umanità e della civiltà, rifiutano di prestare il servizio militare. Si considerano un’isola buona in mezzo a un mare di corruzione. L’osservanza di obblighi e proibizioni è funzionale al rafforzamento di questo carattere elitario.
In conclusione possiamo ritenere che i testimoni di Geova, sebbene usino continuamente la Bibbia, sono sostanzialmente estranei al cristianesimo.
CdA, 878
CONFRONTAVAI
[481] I “nuovi movimenti religiosi” si allontanano con le loro dottrine dai contenuti centrali della fede cristiana. Denotano una ricerca religiosa intensa, ma confusa e ambigua. Rispondono a un bisogno molto sentito di appartenenza e di partecipazione e, con il loro proselitismo, possono ottenere notevoli successi, soprattutto negli ambienti dove non ci sono comunità cristiane vive.
Apostolicità della Chiesa
[482]  Per i primi cristiani il regno di Dio coincide con la presenza del Signore Gesù che comunica il suo Spirito; non è un’intuizione o un progetto da elaborare, ma una persona da accogliere.
La Chiesa vive di Cristo mediante lo Spirito. È chiamata a conformarsi a lui e, per conformarsi a lui, ha bisogno di ricordare tutto quello che egli ha detto e ha fatto
nota
Cf. Gv 14,26.
. Sa che il fondamento è stato posto una volta per sempre e solo su quello si deve edificare: solo condividendo l’esperienza originaria degli apostoli, si può entrare nella comunione del Padre e del Figlio
nota
Cf. 1Gv 1,1-3.
; solo attraverso la loro mediazione, che rimane operante sino alla fine del mondo, le nazioni diventano discepole di Gesù.
La Chiesa è apostolica in quanto, attraverso la Scrittura e la Tradizione vivente, riceve dagli apostoli la dottrina e l’esperienza della fede, i sacramenti della grazia e il ministero dei pastori, in modo da essere fedele a Cristo e partecipare alla sua vita.
CdA, 608
CONFRONTAVAI
[483]  Gesù non è un’idea o un simbolo; è una persona, con una storia concreta
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 18.
. In virtù dello Spirito Santo la sua storia si prolunga in quella della Chiesa, continua a plasmare la vita dei credenti e delle comunità. Non si tratta però di ripetere meccanicamente le stesse cose, ma di rivivere in situazioni diverse l’esperienza originaria, con inesauribile creatività. Lo Spirito è unità e fedeltà, ma anche libertà e novità. La buona notizia è anche profezia; la memoria è carica di speranza. La Chiesa è chiamata ad essere fedele rinnovandosi incessantemente, come un corpo vivo rimane identico a se stesso mentre si sviluppa e cambia. Si trasforma la figura esteriore, si evolve la coscienza di sé, ma con coerenza e continuità.
Chiesa in cammino nel tempo
[484]  L’inesauribile fecondità del vangelo consente alla Chiesa di 11-235.pngincarnarsi in molte culture senza identificarsi completamente con nessuna, di contribuire efficacemente alla costruzione della civiltà terrena, rimanendo protesa verso la vita eterna. Ebrea con gli ebrei, greca con i greci, mai estranea al mondo, mai del tutto integrata. «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per costumi. Non abitano città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita... Ogni nazione è la loro patria e ogni patria è una nazione straniera... Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi»
nota
Lettera a Diogneto, 5, 1-2.5.10.
.
CCC, 671-677CCC 737CdA, 452-453
CONFRONTAVAI
CdA 1181-1182
CONFRONTAVAI
[485]  Come Israele, liberato dall’Egitto e costituito popolo di Dio 11-236.pngmediante l’antica alleanza, peregrinò a lungo nel deserto tra pericoli e tentazioni prima di arrivare alla terra promessa, così la Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo e diventata, in virtù della nuova alleanza, il definitivo popolo di Dio, è pellegrina nel mondo verso la perfezione del regno di Dio, in mezzo a tentazioni, difficoltà e tribolazioni, «tanto interne che esterne»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8.
. «Entra nella storia degli uomini, ma al tempo stesso trascende i tempi e i confini dei popoli»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 9.
.
Come nave nella tempesta, la Chiesa subisce la violenza delle onde, ma non affonda. La minacciano in ogni epoca persecuzioni, eresie, scismi, corruzione morale, compromessi mondani; possono ferirla e deturparla, ma non snaturarla o distruggerla, perché, come le è stato promesso, «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).
Per il sostegno e la grazia del Signore, anche le contraddizioni e le sofferenze, seminate sul suo cammino, possono diventare benefiche. Nel libro dell’Apocalisse lo Spirito Santo fa pervenire al responsabile della Chiesa di Smirne questa parola di conforto: «Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - tuttavia sei ricco» (Ap 2,9).
Viceversa, i successi possono essere pericolosi e in ogni caso sono sempre provvisori. La sicurezza può risultare illusoria; la ricchezza può diventare una prigione. Ancora nell’Apocalisse, lo Spirito rivolge questo rimprovero al responsabile della Chiesa di Laodicèa: «Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,17).
Lo Spirito Santo conduce avanti attraverso i secoli il cammino della Chiesa e le impedisce di indugiare sulle mete raggiunte. Mentre la induce a guardare indietro nel passato, verso Gesù di Nàzaret, in cui la rivelazione e la salvezza si sono compiute una volta per sempre, la fa guardare anche avanti verso il Signore risorto, che è il futuro del mondo e la novità ultima. La bimillenaria storia della Chiesa può essere considerata un grande esodo, misteriosamente guidato dallo Spirito di Dio, verso traguardi sempre nuovi, nella sostanziale continuità con le origini, malgrado le innumerevoli infedeltà personali dei credenti e le deformazioni della comunità.
L’Ora delle persecuzioni
[486] In base alla posizione della Chiesa rispetto alla società civile, possiamo distinguere tre epoche fondamentali nella sua storia.
La prima epoca è quella delle persecuzioni. La Chiesa penetra nella civiltà greco-romana, sfidando una dura opposizione. Ha su di sé l’antipatia delle masse popolari, superstiziose e moralmente corrotte, la diffidenza e il disprezzo degli intellettuali, l’ostilità dello stato totalitario. Si preoccupa soprattutto di consolidare la sua vita interna. Le comunità, riunite ciascuna attorno al proprio vescovo, sono piccole, fervorose e collegate fra loro da una rete di intense relazioni. I credenti prendono sul serio la comune vocazione alla santità, pronti a qualsiasi sacrificio, dato che «il martirio colpiva fin dalla nascita»
nota
Origene, Omelia sulla Genesi, 4, 3.
. All’interno della propria comunità e nei rapporti tra le diverse comunità, fanno una concreta esperienza di comunione, fondata sul battesimo, incentrata sull’eucaristia, regolata da precise norme disciplinari, vissuta nella carità fraterna, nella condivisione dei beni spirituali e materiali. Tuttavia non mancano scandali, eresie, discordie, conflitti disciplinari.
[487]  La fede si propaga in modo capillare da persona a persona per la testimonianza spontanea di ogni credente presso parenti e amici, ospiti e clienti, compagni di lavoro e di viaggio. Un grande apologeta può dire con fierezza: «Siamo di ieri, ma abbiamo già riempito il mondo e tutti i vostri territori, le città, le isole, le fortezze, i municipi, le borgate, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, la reggia, il senato, il foro»
nota
Tertulliano, Apologetico, 37, 4.
. Senza far chiasso, il cristianesimo si diffonde e intanto si libera lentamente della sua matrice ebraica e assume un’espressione greca. Questo processo di trasposizione culturale giunge a maturazione nel III secolo, con i prestigiosi maestri della scuola teologica di Alessandria in Egitto. Tuttavia, dati i rapporti conflittuali con la società, l’incidenza sulla civiltà greco-romana nel suo complesso rimane marginale fino alla svolta costantiniana.
[488] Numerosi sono i màrtiri, eroici e umanissimi, come possiamo rilevare da lettere, atti e passioni. Ma forse più numerosi sono coloro che non resistono al momento della prova.
Si tratta dunque di una stagione senz’altro splendida per creatività ed eroismo, ma non certo perfetta e da idealizzare.
La civiltà cristiana
[489] La successiva epoca è quella della cosiddetta “civiltà cristiana”. Abbraccia un ampio arco di secoli e vede esperienze storiche per molti aspetti assai diverse tra loro: la Chiesa imperiale romano-bizantina, la cristianità medievale, la Chiesa della riforma, della controriforma, dell’assolutismo statale fino al secolo XVIII.
[490]  Il cristianesimo da movimento minoritario diventa religione di 11-237.pngpopolo, senza per questo appiattirsi nella generale mediocrità, rimanendo anzi capace di esprimere una imponente fioritura di santi, di comunità monastiche, di ordini e congregazioni religiose, di confraternite laicali, di coraggiosi missionari che portano a termine l’evangelizzazione dell’Europa e poi, dopo le grandi scoperte geografiche del secolo XV, quella dell’America, senza trascurare neppure gli altri continenti.
Con Costantino e gli imperatori cristiani il cristianesimo passa dalla condizione di religione proibita a quella di religione ufficiale e questo gli consente di influire più efficacemente nella società come fattore decisivo di progresso. Basta menzionare la mitigazione e poi l’abolizione della schiavitù, la tutela dell’infanzia, la limitazione dei conflitti e la moderazione della violenza, la partecipazione e la solidarietà attraverso le corporazioni, i comuni e l’universalismo medievale, la promozione della cultura per mezzo di scuole, università e sostegno delle arti, la multiforme attività assistenziale mediante ospedali, ospizi, monti di pietà, elemosine e soccorsi vari.
[491] Se le luci sono molte e meravigliose, le ombre non mancano e non sono di poco conto. La presenza della Chiesa nella società degenera in confusione tra la sfera religiosa e quella civile, compromettendo la purezza della religione e l’autonomia delle realtà secolari.
Per quanto riguarda i fedeli, si dà eccessiva importanza ai fatti esteriori e collettivi; si presta invece poca attenzione all’autenticità della conversione e alla partecipazione personale all’eucaristia, vertice dell’esperienza cristiana.
Per quanto riguarda il clero, la libertà si gonfia in privilegio con l’istituzione di un tribunale speciale per gli ecclesiastici, l’esenzione dalle tasse e soprattutto l’acquisto della ricchezza e del potere mondano, da cui scaturiscono corruzione e simonia. Si ha l’interferenza diretta degli ecclesiastici nella politica, nell’amministrazione, nel campo della scienza, dell’arte e del lavoro. Viceversa si fa sentire pesantemente l’ingerenza dello stato e dei potenti nella vita interna della Chiesa.
Non viene adeguatamente riconosciuto il diritto alla libertà di coscienza: di qui l’intolleranza verso gli ebrei, l’inquisizione contro gli eretici, la conversione forzata di interi popoli, le guerre di religione.
Non c’è dunque da sorprendersi se questa stagione, pur ricca di frutti e di splendidi risultati, è attraversata da un senso di disagio e dall’aspirazione costante verso una Chiesa più povera e spirituale.
L’epoca moderna
[492] Il mondo moderno emerge gradualmente come reazione alla precedente confusione tra religione e società civile, con un lungo processo che prende avvio nel basso medioevo, si irrobustisce con l’umanesimo rinascimentale e la riforma protestante, diventa dominante con l’illuminismo e la rivoluzione francese. La civiltà tende a diventare non solo legittimamente autonoma, ma anche estranea e indifferente rispetto alla religione, anzi a volte addirittura ostile.
Viene duramente contestata la presenza della Chiesa nella società. Non solo si sopprimono i privilegi e il potere temporale, ma si arriva alla discriminazione e, in certi casi, anche alla persecuzione violenta. Si cerca di relegare la fede nel privato; si apre un fossato tra la pratica religiosa e la vita quotidiana.
[493]  Tutto questo avviene in nome di valori autentici, quali la ragione, la scienza, la libertà, la solidarietà, la democrazia, la tolleranza, 11-239.pngma interpretati in modo unilaterale e distorto. Si comprende allora perché l’atteggiamento della Chiesa verso la modernità oscilli tra la difesa e il dialogo, con prevalenza prima dell’una e poi dell’altro. Comunque, essa esce dalla prova purificata. Non rivendica più privilegi, ma solo libertà; la stessa che chiede per tutti, in nome dei diritti fondamentali della persona. Lascia spazio ai fedeli laici non solo nell’ambito delle attività secolari, ma anche in quello delle attività ecclesiali, promuovendo la loro partecipazione. Libera da compromessi col potere secolare, vede il suo ruolo di guida spirituale e morale acquistare un profilo più alto. Recuperata la distinzione tra fede e cultura, può integrare più decisamente nell’esperienza cristiana i valori di altre culture dell’America latina, dell’Africa e dell’oriente asiatico. Lo Spirito abbatte le cittadelle che gli uomini costruiscono, per aprire sempre nuove strade.
[494] La civiltà cristiana del medioevo appare tutt’altro che priva di difetti da un punto di vista cristiano: non sapeva coniugare in modo soddisfacente l’unità della società con la libertà di coscienza, il pluralismo culturale, i diritti umani fondamentali. D’altra parte la civiltà moderna tende anch’essa all’uniformità; ma l’omologazione avviene sulla base di valori generici e di basso profilo, a spese delle proposte più esigenti e creative. Solo una città dell’uomo, rispettosa dei diritti di ogni persona e capace di conciliare unità e pluralismo, è anche città di Dio.
[495] La Chiesa è edificata sul fondamento degli apostoli, ricevendo da loro la dottrina, i sacramenti e il ministero pastorale, attualizzando incessantemente nella storia la loro esperienza di Cristo. La Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica.
[496] Uno solo è il popolo di Dio, ma al suo interno si distinguono ministri ordinati, laici, persone di vita consacrata. Comuni sono la dignità, la vocazione alla santità e la missione evangelizzatrice; ma si attuano secondo modalità diverse e complementari. La varietà di carismi, ministeri, stati di vita e vocazioni consente uno scambio incessante di doni e una feconda comunicazione di carità.
Pari dignità
[497]  Nell’Antico Testamento lo Spirito Santo veniva effuso su alcuni 12-244.pngpersonaggi straordinari; nel giorno di Pentecoste è dato invece in abbondanza a tutta la comunità cristiana. Lo sottolinea il discorso di Pietro, secondo cui si compie la promessa del Signore contenuta nel libro di Gioele
nota
Cf. Gl 3,1-5.
: «Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno» (At 2,17). Tutto il popolo messianico partecipa all’ufficio profetico, regale e sacerdotale di Cristo.
Tutti i fedeli ricevono lo Spirito; tutti sono incorporati a Cristo mediante il battesimo; tutti sono figli di Dio, fratelli tra di loro, eredi della vita eterna. Tutti sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità; tutti cooperano a edificare la Chiesa
nota
Cf. Ef 4,12-13.
e partecipano alla sua missione universale di salvezza: «Ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 90.
.
CCC, 871-873
[498]  Le discriminazioni, presenti nella società, non hanno alcun senso nella vita ecclesiale: «Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28). Lo schiavo diventa «un fratello carissimo» (1Fm 16); la donna una sorella e una cooperatrice all’evangelizzazione
nota
Cf. Rm 16,1312.
. Tutti i cristiani hanno pari dignità; anzi sono uniti a Cristo e tra di loro, come una sola persona.
Diversità e complementarità
[499]  Sparisce allora ogni differenza? L’uguaglianza fondamentale e la comunione comportano forse l’uniformità? Certamente no: dallo stesso Spirito derivano unità e varietà. Gli Atti degli apostoli mostrano che, se tutti i credenti hanno una funzione profetica, alcuni però hanno un dono particolare di profezia
nota
Cf. At 21,9-10.
; se tutti partecipano alla vita comunitaria, alcuni, come gli apostoli, i loro primi sette collaboratori e gli anziani, hanno compiti specifici
nota
Cf. At 6,615,6.
. Liberamente l’unico e identico Spirito concede doni diversi «per l’utilità comune» (1Cor 12,7). Mentre alimenta in tutti i fedeli il senso della fede, la santità e la fraternità, infonde nei singoli capacità particolari per rispondere a molteplici esigenze
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 4.
.
CCC, 814CdA, 747
CONFRONTAVAI
[500]  L’unica Chiesa, non solo esiste in molte Chiese e si esprime in 12-245.pngmolte culture, ma si edifica e compie la sua missione con il contributo di vari carismi, ministeri, stati di vita, vocazioni.
La comunità ecclesiale è come un organismo vivo e operante: «In un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione... Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12,46). «Dio ha composto il corpo» in modo che «le varie membra avessero cura le une delle altre» (1Cor 12,24-25). Tutti sono abbastanza poveri per dover ricevere; tutti abbastanza ricchi per poter dare. «Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie» (1Cor 12,21-22). I credenti sono responsabili gli uni degli altri; tra loro vige la legge della reciprocità: devono stimarsi a vicenda, accogliersi, edificarsi, servirsi, sostenersi, correggersi, confortarsi. Nel mutevole intrecciarsi di tante storie personali si attua una incessante comunicazione di carità.
[501]  «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio 12-246.pngdegli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10). Nella dinamica di questo scambio, con doni diversi e complementari, lo Spirito sostiene la vita e la missione della Chiesa. Come un uomo «vede con gli occhi, ode con gli orecchi, sente odori con le narici, parla con la lingua, opera con le mani, cammina con i piedi, a tutte le membra dà la vita, a ognuno il suo compito», così lo Spirito Santo «in alcuni santi compie miracoli, in altri annuncia la verità, in altri custodisce la verginità, in altri ancora custodisce la pudicizia coniugale; in alcuni santi questo, in altri quello; a ciascuno concede di realizzare l’opera propria, a tutti parimenti di vivere»
nota
Sant’Agostino, Discorsi, 276, 4.
.
Carismi
[502]  I carismi sono grazie speciali dello Spirito Santo, con le quali ogni fedele viene reso adatto e pronto ad assumere qualche compito e a svolgere qualche attività, in modo da giovare, direttamente o indirettamente, alla santità della Chiesa, alla sua vitalità apostolica, al bene delle persone e della società
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12; Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 24.
. Intesi in senso proprio, si distinguono dalle grazie concesse per la santificazione personale: sono dati a vantaggio degli altri. Tuttavia la capacità di contribuire al bene degli altri di solito è strettamente collegata alla qualità della propria vita spirituale. Non per niente nella Bibbia, quando Dio affida a qualcuno una missione, provoca anche un cambiamento radicale nel suo modo di vivere. Il primo dono da fare ai fratelli è la propria esistenza, la propria personalità.
CCC, 951CCC 2003
[503]  I carismi, sebbene l’uso che spesso si fa di questa parola possa far pensare a qualcosa di eccezionale, vengono concessi a tutti i fedeli. «Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri»; possono prolungarsi nel tempo e passare da una generazione all’altra «come una preziosa e viva eredità», dando luogo a «una particolare affinità spirituale»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 24.
.
Essi sono innumerevoli come le esigenze alle quali rispondono. Alcuni sono del tutto ordinari, come il matrimonio, la verginità, l’assistenza ai malati e ai poveri, altri straordinari come i miracoli; alcuni occasionali e spontanei, come il parlare lingue sconosciute, altri stabili come il compito di maestro, altri perfino istituzionali come gli uffici di presbitero e di evangelizzatore, conferiti con l’imposizione delle mani. Il Nuovo Testamento ignora ogni dualismo tra carisma e istituzione: lo Spirito è libero di agire come vuole, fuori e dentro l’istituzione.
[504]  Tutti i carismi sono preziosi; «devono essere accolti con gratitudine e consolazione»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12.
; vanno integrati e valorizzati in una pastorale di comunione. Non hanno però tutti la stessa importanza. I carismi dei grandi fondatori di ordini religiosi e movimenti spirituali hanno un peso ben maggiore delle semplici attività quotidiane. Tutti comunque vengono da Dio. I fedeli li chiedono con la preghiera e li accolgono con la libera cooperazione. I pastori hanno il compito di discernere la loro autenticità e di regolarne l’esercizio
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12..
, in umile atteggiamento di obbedienza allo Spirito e apertura ai fratelli. Nessuno può conferirli o disporne a piacimento. La Chiesa non è una iniziativa dei credenti; si costruisce a partire da Cristo e dal suo Spirito: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).
carismi non vanno confusi con le aspirazioni e le imprese puramente umane. Sono autentici, se si trovano in armonia con la dottrina della fede, professata dalla Chiesa, con l’effettiva utilità della comunità e con le direttive date dai pastori per il necessario coordinamento.
Ministeri
[505] Alla varietà dei carismi corrisponde una varietà di servizi, momentanei o duraturi, privati o pubblici. I servizi ecclesiali stabili e pubblicamente riconosciuti vengono chiamati ministeri. Ci sono innanzitutto i ministeri ordinati dei vescovi, dei presbìteri e dei diaconi. Ci sono poi i ministeri dei laici, fondati sul battesimo e sulla cresima e conferiti attraverso il riconoscimento, ufficiale o di fatto, della comunità e del vescovo.
CCC, 874-879CCC 901-903CCC 906CCC 1143
[506]  Tra i ministeri laicali ricordiamo per primi quelli istituiti con rito liturgico: i lettori e gli accoliti. Non meno importanti però sono quello dei ministri straordinari della comunione eucaristica e quelli dei responsabili di attività ecclesiali, a cominciare dai catechisti: testimoni, insegnanti ed educatori per la crescita dei fratelli nella fede
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 73.
. Accanto ai catechisti bisogna ricordare «animatori della preghiera, del canto e della liturgia; capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle opere caritative; amministratori dei beni della Chiesa; dirigenti dei vari sodalizi apostolici; insegnanti di religione nelle scuole»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 74.
.
L’attuazione dei ministeri laicali, fondati sui sacramenti del battesimo e della confermazione, non deve recar pregiudizio al sacerdozio ministeriale, fondato sul sacramento dell’ordine; non deve dar luogo ad alcun livellamento o struttura parallela
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 23.
.
Stati di vita e vocazioni
[507]  Insieme alla varietà dei servizi, la comunione ecclesiale comporta varietà delle forme di vita, cioè dei modi stabili di configurarsi a Cristo, di rapportarsi agli altri e alle cose. Vi sono innanzitutto tre modalità generali: lo stato laicale, caratterizzato dall’impegno secolare; lo stato ministeriale ordinato, caratterizzato dalla rappresentanza di Cristo pastore; lo stato di speciale consacrazione, caratterizzato dalla testimonianza alla vita del mondo che verrà
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 55.
. Sono tre modi, diversi e complementari, di esprimere l’inesauribile mistero di Cristo, di «vivere l’eguale dignità cristiana e l’universale vocazione alla santità nella perfezione dell’amore»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 55.
.
CCC, 871-873
[508]  All’interno di questi tre stati di vita, si precisano diversi cammini spirituali e apostolici concreti: sono le molteplici vocazioni particolari
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 56.
.
Dono di Dio e scelta dell’uomo, la vocazione passa attraverso una preghiera perseverante, un prudente discernimento e una graduale maturazione, con la cooperazione di sagge guide spirituali. Alcune vocazioni comportano una chiamata della Chiesa. Per il discernimento occorre considerare la storia personale, le circostanze esterne, le attitudini, le corrette motivazioni, l’attrattiva interiore. La maturazione consiste nel purificare e consolidare le motivazioni, nell’assumere uno stile di vita adeguato, nell’incanalare l’affettività verso gli obiettivi vocazionali, nel rimanere fedeli alla decisione presa.
CdA, 800
CONFRONTAVAI
[509]  Le vocazioni, infine, si personalizzano in modo originale in ogni singolo fedele. Ognuno è chiamato per nome; ognuno ha la sua storia e porta un proprio contributo al regno di Dio
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 56.
. «L’acqua delle piogge scende dal cielo sotto un’unica forma e produce effetti molteplici... Così anche lo Spirito Santo, pur essendo unico, semplice e indivisibile, a ciascuno distribuisce la grazia come vuole... Egli suscita molte virtù per volontà di Dio nel nome di Cristo»
nota
San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali, 16, 12.
.
[510] Lo Spirito del Signore anima la Chiesa come una comunione organica di fedeli, partecipi della stessa dignità e missione, ma diversi per carismi, ministeri, stati di vita e vocazioni.
Istituzione divina
[511] Del ministero apostolico partecipano quei credenti che vengono scelti perché siano rappresentanti di Cristo pastore e in suo nome sostengano la vita di fede e di carità di tutti i fedeli attraverso la predicazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti, la guida della comunità, nella continuità della tradizione apostolica. La funzione ecclesiale, che viene loro affidata, è tale da polarizzare tutta la loro esistenza e determinare il loro modo di essere cristiani, il loro genere di vita.
CCC, 551CCC 858-860CCC 877
[512]  Già durante il ministero pubblico di Gesù, i Dodici sono stati associati alla sua missione e inviati ad annunciare il regno di Dio e a porre in atto i segni della sua venuta, condividendo lo stesso stile di vita del Maestro
nota
Cf. Mt 10,5-10.
. Si trattava di un preludio della missione definitiva e universale, che avrebbero ricevuto in seguito con il potere di “legare e sciogliere”
nota
Cf. Mt 18,18.
. Di fatto ricevono dal Signore risorto il grande mandato missionario: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). Ma come potranno svolgere la loro opera dovunque e sempre, se non attraverso dei collaboratori e dei successori?
CdA, 201-204
CONFRONTAVAI
[513]  Nella Chiesa delle origini gli apostoli occupano il primo posto tra 12-249.pngtutti i carismi. Sono i testimoni ufficiali del Risorto; i suoi ambasciatori, inviati con la forza dello Spirito Santo e accreditati con i miracoli; i dispensatori dei doni di Dio; i ministri della riconciliazione.
Formano un collegio, presieduto da Pietro, e guidano insieme il cammino iniziale della prima comunità di Gerusalemme. Cresce però in fretta il numero dei credenti ed essi sentono il bisogno di associarsi dei collaboratori. Creano prima sette responsabili per una parte della comunità, quella di lingua e cultura greca, che presto verrà perseguitata e cacciata dalla città
nota
Cf. At 6,1-6.
. Affidano poi l’altra parte, quella di cultura ebraica, a Giacomo, cugino del Signore, coadiuvato da un collegio di presbìteri, secondo il modello delle sinagoghe. Giacomo, la prima figura conosciuta di pastore unico a capo di una comunità locale, morirà martire e avrà come successore Simeone, un altro cugino di Gesù.
[514]  Le comunità che man mano si aggiungono a quella di Gerusalemme hanno anch’esse dei responsabili: ad Antiòchia cinque «profeti e dottori» (At 13,1); nelle città dell’Asia Minore un collegio di presbìteri stabiliti dallo Spirito Santo attraverso gli apostoli; a Filippi «i vescovi e i diaconi» (Fil 1,1); a Tessalonica i «preposti nel Signore» (1Ts 5,12); altrove «pastori e maestri» (Ef 4,11). I titoli non sono ancora precisi e ufficiali e variano da un ambiente all’altro. Nell’insieme però appare abbastanza chiaro che le comunità sono guidate da un collegio di responsabili, sotto l’autorità dell’apostolo fondatore.
[515]  Con l’andar del tempo gli apostoli avvertono la necessità di una successione: «Istituirono i vescovi e i diaconi e diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel loro ministero»
nota
San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 44, 2.
. Essi stessi passano le consegne ai loro discepoli più fidati. Questo passaggio è documentato nelle lettere pastorali, attribuite a Paolo, in cui le comunità risultano affidate a un collegio di presbìteri, coadiuvati dai diaconi, sotto la guida di un evangelizzatore, discepolo dell’apostolo, anello sicuro di una catena destinata a prolungarsi: «Le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri» (2Tm 2,2).
Poco più tardi Ignazio di Antiòchia attesta che ogni comunità, «fino ai confini della terra», è governata da un solo vescovo; anzi afferma che senza il vescovo, il collegio dei presbìteri e i diaconi, non ci può essere una vera Chiesa
nota
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Tralle, 3, 1; Id., Lettera agli Efesini, 3, 2.
. Poi, durante il secondo secolo, vengono compilati, per le singole Chiese, gli elenchi dei vescovi risalenti fino agli apostoli.
Da allora la struttura gerarchica della Chiesa è rimasta immutata e i vescovi presiedono le comunità come successori degli apostoli, con l’aiuto dei presbìteri e dei diaconi.
Questa linea di sviluppo offre sicuro fondamento alla dottrina cattolica, che è così sintetizzata dal concilio Vaticano II: «Per istituzione divina i vescovi sono succeduti agli apostoli quali pastori della Chiesa»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 20.
.
Successori degli apostoli
[516]  Il senso di questa successione va precisato. Gli apostoli, con la loro testimonianza diretta e originaria su Cristo, pongono il fondamento della Chiesa una volta per sempre. I pastori, che collaborano con loro e poi prendono il loro posto, curano che la costruzione dell’edificio prosegua sul medesimo fondamento: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio... Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni ad insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé» (At 20,28-30). Il Signore ha stabilito «pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo», perché non siano più «come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» e possano vivere «secondo la verità nella carità» (Ef 4,11-1214-15).
I pastori succedono dunque agli apostoli, in quanto custodiscono e trasmettono fedelmente la loro testimonianza, «il buon deposito» (2Tm 1,14), con la grazia dello Spirito Santo, per consentire a tutti i credenti di rivivere l’esperienza originaria e di essere veramente Chiesa di Cristo.
CCC, 861-862
Il carisma dell’autorità
[517]  In concreto alimentano la fede e la carità di tutti i credenti con il servizio della Parola e la celebrazione dei sacramenti; verificano e coordinano i vari carismi, in una disciplina ordinata, che sia segno visibile della comunione in Cristo. Fanno questo con l’autorità ricevuta «per edificare» (2Cor 13,10), cioè per radunare il popolo di Dio. Anzi, hanno avuto un carisma particolare dallo Spirito Santo, attraverso il rito sacramentale dell’ordinazione, come dice la seconda Lettera a Timòteo: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2Tm 1,6)
nota
Cf. 1Tm 4,14.
.
CCC, 894-895
Segno e presenza di Cristo pastore
[518] La missione da svolgere contribuisce a individuare l’identità dei ministri ordinati. Questa però è connotata essenzialmente dal loro rapporto con Cristo.
In virtù del sacramento essi diventano rappresentanti di Cristo, pastore e servo, nella triplice funzione profetica, regale e sacerdotale. Come il Padre ha mandato il Figlio e si è manifestato attraverso di lui, così Gesù manda i suoi discepoli e si rende presente attraverso di loro. Colui che invia, viene lui stesso insieme con coloro che sono inviati. Essi non sono semplici delegati, ma segno visibile ed efficace della sua presenza. Non sono intermediari, ma consentono di incontrare in modo umano l’unico mediatore. Non solo lo rappresentano, ma lo ripresentano. Quello che Gesù diceva riferendosi al Padre, essi lo possono ripetere in riferimento a Gesù: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo» (Gv 8,29).
CCC, 886CCC 888-896CCC 1548-1549CdA, 719-720
CONFRONTAVAI
In unione a Cristo rappresentanti della Chiesa
[519] Mentre rappresentano Cristo di fronte alla Chiesa, rappresentano in unione a Cristo la Chiesa davanti al Padre e intercedono per lei. La rappresentano anche davanti agli uomini, in quanto costituiscono il fondamento visibile della sua unità e fedeltà evangelica. Si tratta di una rappresentanza sacramentale in virtù dello Spirito e non di una rappresentanza in senso democratico. I ministri ordinati ricevono il potere da Cristo, non dalla comunità. Non sono delegati di essa, neppure quando vengono designati con la sua partecipazione.
Ciò non vuol dire che debbano agire in maniera autoritaria, senza consultare nessuno. Al contrario devono farsi interpreti e servitori della vita della Chiesa, in piena fedeltà al vangelo. Le decisioni devono maturare in un clima di preghiera, di fraternità, di ascolto reciproco e di conversione al Signore da parte di tutti, pastori compresi. Se è vero che i pastori non sono dalla Chiesa, sono però per la Chiesa e nella Chiesa. Rimangono cristiani come gli altri, ascoltano la parola che predicano e ricevono l’eucaristia che distribuiscono. Inoltre devono esercitare il loro ministero in una prassi di comunione, valorizzando gli altri carismi e ministeri: «I vescovi non devono solo insegnare, ma anche imparare»
nota
San Cipriano di Cartagine, Lettere, 74, 10, 1.
.
CCC, 1552-1553
Spiritualità caratteristica
[520]  L’ordinazione sacramentale, mentre costituisce i pastori 12-252.pngrappresentanti di Cristo e della Chiesa, li abilita e li impegna ad assumere uno stile di vita conforme a quello del primo Pastore. Per essere segno vivo e trasparente di lui, devono condividere la sua carità, fino a dare la vita per le pecore. Per farsi «modelli del gregge» (1Pt 5,3) e per guidarlo alla santità, è necessario che siano uomini spirituali e comunichino ai fratelli anche un’esperienza personale di Dio. Ai suoi principali collaboratori, inviati a proclamare e instaurare il regno di Dio, Gesù ha chiesto di seguirlo da vicino, liberi dai legami affettivi e dagli interessi, contenti solo del necessario, generosi nel servizio.
I ministri ordinati sono chiamati a vivere la radicalità evangelica con motivazioni diverse rispetto alle persone di vita consacrata, non propriamente per essere segno dell’uomo nuovo escatologico, ma per rappresentare al vivo Cristo pastore che dà se stesso per il suo gregge
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 25.
. Intercessori con Cristo presso il Padre a favore della comunità, guide spirituali e pastorali dei fedeli in nome di Cristo, devono immergersi nella contemplazione del mistero ed esercitare il loro servizio con zelo appassionato e paziente, con stile di comunione e missionario
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41.
.
CCC, 896CCC 1550CdA, 721
CONFRONTAVAI
Tre gradi del ministero
[521]  Fin dai primi tempi si distinguono nella Chiesa diverse figure di pastori. Il ministero pastorale è di istituzione divina e «viene esercitato in ordini diversi da coloro che già in antico vengono chiamati vescovi, presbìteri, diaconi»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28; cf. Concilio di Trento, Sess. XXIII, Dottr. Sul sacramento dell’ordine, Can. 6 - DS 1776.
.
CCC, 1554-1571
Il vescovo
[522]  Il vescovo possiede la «pienezza del sacerdozio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41.
. In nome di Cristo, non come delegato del papa o dei fedeli, governa la sua Chiesa diocesana e la rappresenta,
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 27.
in quanto ne è «il principio visibile e il fondamento dell’unità»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23.
. Deve però esercitare la sua autorità come un servizio, valorizzando la corresponsabilità dei presbìteri, dei diaconi e di tutto il popolo, secondo i doni e i compiti di ciascuno. Essendo anche responsabile dell’evangelizzazione in tutto il mondo, deve tenere desta la coscienza missionaria della sua Chiesa sia verso il proprio territorio sia verso i popoli lontani
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 20; 38.
.
Il presbitero
[523]  «I presbìteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio, ma dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia congiunti a loro nella dignità sacerdotale. In virtù del sacramento dell’ordine e ad immagine di Cristo sommo ed eterno sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti della nuova alleanza»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28.
. È loro compito sia educare i singoli cristiani alla maturità della fede sia formare un’autentica comunità cristiana, come fraternità viva e unita, con una ordinata varietà di vocazioni e di servizi
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 6.
. Consacrati per essere «premurosi collaboratori dell’ordine episcopale..., costituiscono insieme col loro vescovo un unico presbiterio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28.
, sia pure con molteplici uffici. Strettamente uniti al vescovo, «lo rendono in un certo senso presente nelle singole comunità dei fedeli»
nota
Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 5.
e in unità con lui presiedono la santa liturgia e soprattutto l’eucaristia che è il centro del loro ministero. Attraverso la quotidiana fedeltà alla loro missione, crescono nella carità e danno testimonianza alla vicinanza di Dio, «imitando ciò che amministrano»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41.
.
CdA, 723
CONFRONTAVAI
Il diacono
[524]  I diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio», cioè per offrire a nome di Cristo il sacrificio eucaristico, «ma per servire»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 29.
, sia nella liturgia che nella predicazione e nella pastorale della carità. Sono gli «incaricati della diaconìa di Gesù Cristo»
nota
Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Magnesia, 6, 1.
. In concreto possono svolgere molte funzioni: leggere la Sacra Scrittura, istruire il popolo, dare il battesimo, distribuire l’eucaristia, benedire il matrimonio, celebrare il rito funebre, guidare assemblee di preghiera, promuovere iniziative di carità, animare settori di pastorale o piccole comunità ecclesiali, gestire l’amministrazione economica. Al di là delle attività concrete, la loro stessa presenza è un dono, in quanto costituisce un segno sacramentale di Cristo servo e promuove la vocazione a servire, comune a tutto il popolo di Dio. In nome di Cristo e con la grazia del suo Spirito, servono e provocano a servire. Ricordano anche agli altri due gradi dell’ordine sacro che la loro missione è un servizio. È significativo che, per diventare presbìteri e vescovi, secondo la disciplina della Chiesa, si debba ricevere prima il diaconato. Il concilio Vaticano II ha dato nuovo rilievo a questo ministero, ripristinando il diaconato permanente, al quale possono accedere uomini celibi e sposati.
[525] Eredi degli apostoli, segno e presenza di Cristo pastore, in suo nome e con la sua autorità, i vescovi, coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi, predicano la parola di Dio, celebrano i sacramenti, guidano la comunità cristiana.
Sono chiamati a svolgere questa missione animati dalla carità pastorale, in un clima di preghiera e secondo uno stile di radicalità evangelica.
Un ministero collegiale
[526] Il ministero apostolico ha un carattere personale, in quanto ognuno dei ministri è chiamato da Cristo e, costituito suo rappresentante, agisce con responsabilità propria. Ma ha anche un carattere collegiale, in quanto i vescovi formano il collegio episcopale intorno al papa e, in modo analogo, i presbìteri formano il presbiterio diocesano sotto l’autorità del vescovo.
[527]  Ogni vescovo in quanto tale è membro del collegio episcopale. «L’episcopato è uno e indiviso»
nota
San Cipriano di Cartagine, L’unità della Chiesa cattolica, 5.
; «come non vi è che un’unica Chiesa... così non vi è che un unico episcopato rappresentato da una molteplicità di vescovi uniti tra loro»
nota
San Cipriano di Cartagine, Lettere, 66, 8, 3.
. Poiché i vescovi, per il dono dello Spirito, governano come rappresentanti di Cristo, in definitiva c’è un solo Pastore in molti pastori: «Cristo è lui solo che pasce il gregge, ma lo fa impersonandosi nei singoli pastori» e «tutti i pastori si identificano con la persona di uno solo, sono una cosa sola»
nota
Sant’Agostino, Discorsi, 46, 29-30.
. All’interno della comunione in Cristo di tutti i fedeli, vi è una speciale comunione dei pastori.
Il collegio è formato dai vescovi insieme al papa e ha «piena e suprema potestà su tutta la Chiesa... In quanto composto da molti, sta ad esprimere la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, sta ad esprimere l’unità del gregge di Cristo»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 22.
. Così viene promossa la comunione pluriforme, dinamica e tesa alla mondialità; viene garantita una maggiore ricchezza nell’insegnamento.
Le manifestazioni della collegialità
[528]  La natura collegiale dell’episcopato si manifesta concretamente nei vincoli visibili di fede, di carità, di disciplina e di corresponsabilità pastorale, in alcune istituzioni come i patriarcati o le conferenze episcopali, in alcuni avvenimenti come la concelebrazione dell’ordinazione, i sinodi e soprattutto i concili ecumenici
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 22; 23.
.
Nei concili ecumenici il collegio dei vescovi «esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale»
nota
Codice di Diritto Canonico, 387, 1.
.
La responsabilità locale e universale del vescovo
[529]  Il singolo vescovo «viene costituito membro del corpo episcopale in forza della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica con il capo e i membri del collegio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 22.
. Anche quando non compie atti formalmente collegiali, si trova nel collegio e ne fa risuonare la voce nella sua Chiesa particolare, se è in armonia con il papa e gli altri vescovi. Pur essendo maestro della fede e capo della sua comunità, ha il dovere di accordarsi con i suoi fratelli nell’episcopato, tenendosi lontano dall’individualismo. Pur esercitando il governo pastorale soltanto nella propria diocesi, è tenuto ad avere sollecitudine per tutte le Chiese. La sua responsabilità è insieme locale e universale, come la Chiesa stessa.
CCC, 1560
[530] I vescovi formano un collegio che ha come capo visibile il papa e sono corresponsabili di tutta la Chiesa.
Il carisma di Pietro
[531]  Il collegio dei vescovi succede a quello degli apostoli; il vescovo di Roma succede a Pietro. Da lui eredita il compito di confermare i fratelli nella fede, il carisma della “roccia”, che dà coesione e stabilità a tutta la Chiesa: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).
Durante la vita pubblica, Gesù ha dato a Simone il nuovo nome di Pietro
nota
Cf. Gv 1,42.
e gli ha promesso uno speciale ruolo di guida con la triplice metafora della pietra, delle chiavi e del legare e sciogliere. Dopo la risurrezione, lo costituisce suo primo testimone: «apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,5)
nota
Cf. Lc 24,34.
. Lo fa pastore di tutto il gregge: «Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,15-16).
CCC, 551-553CdA, 204
CONFRONTAVAI
Il vescovo di Roma successore di Pietro
[532]  Pietro, nella prima comunità di Gerusalemme, è sempre in prima fila come protagonista, nel prendere la parola a nome di tutti gli apostoli, nel compiere le guarigioni miracolose, nel punire gli indegni, nel confermare le conversioni, nell’ammettere i pagani, nell’affermare la libertà cristiana di fronte alla legge mosaica.
Pietro e Paolo, «le più grandi e le più giuste colonne», portano a compimento la loro testimonianza a Roma, dove versano il sangue per Cristo «insieme a una grande moltitudine di eletti»
nota
San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 5, 1-2; 6, 1.
. Per questo la Chiesa di Roma «presiede alla carità»
nota
Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, Prologo.
, e con essa, «per la sua più alta autorità apostolica, deve accordarsi ogni Chiesa, cioè i fedeli di qualsiasi parte», perché attraverso la successione dei suoi vescovi «la tradizione, che è nella Chiesa a partire dagli apostoli, e la predicazione della verità è giunta fino a noi»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 3, 2.
. «Dalla discesa del Verbo incarnato verso di noi, tutte le Chiese cristiane sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui[a Roma]come unica base e fondamento, perché, secondo la promessa del Salvatore, le porte degli inferi non hanno mai prevalso su di essa»
nota
San Massimo il Confessore, Opuscoli teologici e polemici, Lettera scritta da Roma.
.
CCC, 194CCC 834
Visibile principio di unità
[533]  Il vescovo di Roma, erede della testimonianza di Pietro, «è il perpetuo e visibile principio e il fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23.
. Impersona l’unità del collegio episcopale; manifesta e promuove quella della Chiesa.
[534] Il papa eredita il compito che Gesù ha assegnato a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18-19).
Indole secolare
[535]  La Chiesa è il segno efficace del regno di Dio che viene nella storia e comincia a salvare il mondo. Fa parte della sua missione ordinare secondo il vangelo le realtà temporali: famiglia, lavoro, cultura, società
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 5; Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 16.
.
Questo compito viene attuato soprattutto mediante l’impegno dei fedeli laici. Se una certa dimensione secolare è comune a tutti i cristiani, «è proprio e specifico dei laici il carattere secolare»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 31; cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 15.
. Spetta a loro edificare una degna città dell’uomo, sebbene anche i pastori e i religiosi debbano interessarsene, specialmente con la preghiera e la formazione delle coscienze.
[536]  Gesù a Nàzaret ha condotto per lunghi anni un’esistenza di tipo secolare: famiglia, relazioni sociali, lavoro. Successivamente, durante la sua vita pubblica, possiamo vedere rappresentati i fedeli laici da quei discepoli che credono in lui, ma rimangono a casa propria, immersi nelle consuete occupazioni, senza seguirlo fisicamente nel suo ministero itinerante. A uno di essi viene rivolto questo invito: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato» (Mc 5,19). Secondo l’insegnamento del Maestro, verginità e matrimonio, rinuncia alle ricchezze e uso corretto di esse sono due forme esigenti della nuova santità, resa possibile dal regno di Dio. Sia chi esce dalle ordinarie condizioni di vita sia chi vi rimane dentro può e deve vivere le beatitudini.
CdA, 200
CONFRONTAVAI
Santità laicale
[537]  Chi è immerso nelle realtà della famiglia, della professione e della vita sociale, deve santificarsi valorizzando queste realtà. La presenza nel mondo può diventare dedizione a Dio e missione: «È proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 31.
. Per loro la condizione secolare non è una cornice esteriore e indifferente, ma una dimensione da portare alla pienezza del suo significato in Cristo, da integrare nella Chiesa e nella sua missione, per accogliere e testimoniare ovunque l’Amore creatore e salvatore
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 15.
.
La santità dei laici si sviluppa attraverso la preghiera, l’ascolto della parola di Dio e la partecipazione ai sacramenti, come quella dei pastori e dei religiosi; ma si nutre anche di quotidiane occupazioni e preoccupazioni: famiglia, scuola, ufficio, fabbrica, negozio, palestra, traffico, quartiere, sindacato, politica... Pur essendo sostanziata di fede, speranza e carità come ogni altra santità, possiede una fisionomia propria con virtù umane specifiche, come la competenza nella professione, la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la lealtà e la giustizia nelle relazioni sociali, l’obbedienza verso i pastori della Chiesa e la corresponsabilità nella vita ecclesiale.
Impegno ecclesiale
[538]  In virtù del battesimo e della cresima, i fedeli «sono tenuti a professare davanti agli uomini la fede ricevuta,... a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l’azione, come veri testimoni di Cristo»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11.
. Quando ad attuare questa evangelizzazione sono i laici, essa «acquista un carattere specifico e un’efficacia particolare per il fatto di avvenire nelle condizioni comuni del secolo»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 35.
.
Purtroppo anche tra i cattolici praticanti è piuttosto diffuso il pregiudizio che la fede sia un affare privato, anzi individuale, qualcosa che ognuno si tiene per sé. Bisogna maturare una coscienza missionaria, rendersi conto che l’apostolato, anche quello dei laici, «non consiste soltanto nella testimonianza della vita; il vero apostolo cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola sia ai non credenti per condurli alla fede, sia ai fedeli per istruirli, confermarli e indurli a una vita più fervente»
nota
Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 6.
.
Il primo apostolato è quello spontaneo delle singole persone: è capillare, costante, particolarmente incisivo; è possibile in famiglia, tra i vicini e gli amici, tra i colleghi di lavoro, tra i compagni di svago o di viaggio; è il migliore presupposto anche per l’apostolato associato
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 28.
.
Insieme all’apostolato personale, ha particolare valore ed efficacia quello della famiglia cristiana. Fondata sul sacramento del matrimonio, la famiglia è chiamata ad essere immagine viva della Chiesa e soggetto privilegiato di evangelizzazione. In modo proprio e originale può manifestare la presenza e la carità di Cristo, sia con la vita ordinaria di ogni giorno, sia mediante opportune iniziative in ambito ecclesiale e sociale.
[539]  Per molti laici la partecipazione alla missione della Chiesa si esprime anche in forme aggregative: associazioni, movimenti, comunità, gruppi. La libertà associativa è un diritto che deriva dal battesimo e si deve attuare nel rispetto dei “criteri di ecclesialità”
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 18; Codice di diritto canonico, 215; Giovanni Paolo II, Christifideles laici 29; 30.
. Tra le associazioni ha un rilievo particolare l’Azione Cattolica, «singolare forma di ministerialità laicale»
nota
Paolo VI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 25 aprile 1977.
, in diretta cooperazione con i pastori.
Ma tutti i laici, in qualche modo, devono attivamente partecipare alla vita delle loro comunità ecclesiali. Alcuni sono anche chiamati ad assumere ministeri e a far parte di organismi pastorali
nota
Cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 73.
. Rimane sempre attuale l’esortazione del concilio Vaticano II ai pastori: «Riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, affidino con fiducia incarichi per il servizio della Chiesa e lascino loro libertà e campo d’azione, anzi li incoraggino a intraprendere opere di propria iniziativa»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 37.
.
Impegno nella società
[540]  È senz’altro auspicabile una presenza numerosa e qualificata dei laici nelle attività ecclesiali. Tuttavia «il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo»
nota
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 70.
.
[541] La santità e la missione dei laici hanno una specifica indole secolare, in quanto essi accolgono e testimoniano la presenza e l’amore salvifico di Dio dentro le realtà temporali, ordinandole secondo il vangelo.
Dono divino
[542]  La vita consacrata è «dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 43.
. Essa «imita più da vicino e rappresenta permanentemente nella Chiesa quella forma di vita che il Figlio di Dio scelse per se stesso quando venne nel mondo a fare la volontà del Padre, e che poi propose ai discepoli che lo seguivano»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 44.
. Ha il suo prototipo nell’esperienza di quei primi seguaci di Gesù.
Tra quanti credono in lui, alcuni sono chiamati a lasciare per la causa del regno di Dio abitazione, professione e famiglia, abbracciando l’ideale della perfetta castità, che non tutti possono capire, «ma solo coloro ai quali è stato concesso» (Mt 19,11). Rinunciando ai beni materiali e al matrimonio, seguono più da vicino il Maestro e si dedicano più liberamente al servizio apostolico. Assumendo uno stile di vita diverso dall’ordinario, professano più apertamente la fede in lui e diventano un segno più evidente della nuova vicinanza di Dio e dell’inizio di un mondo nuovo che si compirà nella risurrezione futura, quando «non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo» (Mt 22,30).
CdA, 200
CONFRONTAVAI
Le prime esperienze
[543]  La comunità itinerante dei primi discepoli ha un seguito nella 12-259.pngprima Chiesa di Gerusalemme, riunita intorno al Signore risorto in virtù del suo Spirito. Il Maestro ormai è invisibile; ma è più presente che mai e nella fede si vive in intima comunione con lui. L’unità con lui genera unità tra i suoi: «La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» (At 4,32).
A Gerusalemme guarderanno, come a un modello perfetto, tutte le comunità cristiane successive; ma saranno specialmente le comunità di vita consacrata che si sentiranno chiamate a rivivere quel modello con la stessa radicalità.
CdA, 429
CONFRONTAVAI
[544]  Fin dal tempo degli apostoli l’intimità con il Cristo risorto trova un’espressione privilegiata nella verginità e nel celibato.
Certo, anche il matrimonio è una via alla santità cristiana. Ma la verginità e il celibato manifestano con più chiarezza la dedizione al Signore e la fede nella realtà nuova che sta iniziando. Costituiscono per tutti un appello deciso a non lasciarsi imprigionare dai beni terreni, che passano.
Mirabile varietà
[545]  Nei primi secoli, mescolati tra i comuni cristiani, vivono numerosi asceti e vergini: «Molti uomini e donne, che ora hanno sessanta o settanta anni di età, istruiti fin dalla loro infanzia nell’insegnamento di Cristo, hanno osservato la verginità»
nota
San Giustino, Prima apologia, 15, 6.
. La loro scelta non comporta una svalutazione del matrimonio: «Noi stimiamo beata la castità e beati coloro ai quali il Signore ne ha fatto dono; ma ammiriamo anche la bellezza dell’unico matrimonio»
nota
Clemente d’Alessandria, Stromati, 2, 1, 4.3.
.
Dal III secolo ad oggi, la storia della Chiesa vede sorgere in ogni 12-260.pngepoca figure carismatiche di santi fondatori e riformatori, quasi profeti del Nuovo Testamento, e da loro vede germogliare, in virtù dello Spirito, movimenti spirituali e famiglie religiose di uomini e di donne, con le più diverse finalità: energie potenti, che, propagandosi quasi a ondate successive, danno slancio a tutto il popolo di Dio. Un elenco, sia pure scarno ed incompleto, può servire a darne una idea.
Sant’Antonio e gli eremiti nel deserto. Le comunità monastiche di San Pacomio e di San Basilio. I monaci occidentali della Gallia, di Lerino e d’Irlanda. Le comunità di Sant’Agostino, incentrate nella carità fraterna. Le abbazie ordinate secondo la regola di San Benedetto, sintesi armoniosa di preghiera e lavoro, di solitudine e di vita comune. Gli analoghi monasteri femminili.
Il rinnovamento monastico medievale con l’ordine di Cluny e con i Cistercensi di San Bernardo. Le correnti che uniscono vita comune e vita eremitica, come i Camaldolesi di San Romualdo e i Certosini di San Bruno. La fioritura dei canonici regolari, tra i quali i Premostratensi di San Norberto. Gli ordini cavallereschi e ospedalieri.
I Frati Minori di San Francesco, con il carisma della povertà evangelica, condiviso anche dalle monache di Santa Chiara. I Frati Predicatori di San Domenico, che uniscono contemplazione e vita apostolica, sostenuti dalla preghiera delle monache Domenicane. Altri ordini mendicanti come i Carmelitani, gli Agostiniani, i Mercedari, i Servi di Maria, i Fatebenefratelli.
I chierici regolari, consacrati a Dio nell’apostolato, tra i quali ricordiamo i Gesuiti di Sant’Ignazio di Loyola, caratterizzati dal carisma dell’obbedienza in vista della missione, i Teatini, i Barnabiti, i Somaschi, i Camilliani. La Compagnia di Sant’Orsola, fondata da Sant’Angela Merici, che anticipa i futuri istituti secolari. Le riforme degli ordini tradizionali, tra cui quella dei Carmelitani e delle Carmelitane ad opera di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni della Croce. Le prime società di vita apostolica, come la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, le Figlie della Carità e la Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli.
Le congregazioni religiose di laici e di chierici, quali i Fratelli delle 12-261.pngScuole Cristiane, i Passionisti, i Redentoristi, i Monfortani, gli Oblati di Maria Immacolata, i Salesiani di San Giovanni Bosco, con le Figlie di Maria Ausiliatrice, la Società San Paolo. Le società e le congregazioni a scopo specificamente missionario verso i non cristiani, come la Società per le Missioni Estere di Parigi, il Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, i Padri Bianchi, i Comboniani, i Verbiti, i Saveriani. Le numerosissime congregazioni femminili moderne, a scopo prevalentemente caritativo ed educativo.
Infine le esperienze recenti, tra cui gli istituti secolari, formati da consacrati inseriti nella vita ordinaria, e i nuclei di persone consacrate che animano i nuovi movimenti ecclesiali, sorti intorno al concilio Vaticano II.
Al di là dei limiti e delle miserie sempre presenti in ogni realtà umana, la meravigliosa varietà di tanti carismi e istituzioni rivela la multiforme sapienza di Dio; veste di bellezza la Chiesa, come una sposa adorna per il suo Sposo; la abilita ad ogni opera buona secondo le esigenze dei tempi
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Perfectae caritatis, 1.
.
CdA, 1075-1078
CONFRONTAVAI
Una sequela più espressiva
[546] La vita consacrata è un carisma dello Spirito, finalizzato sia alla santificazione personale che all’edificazione della Chiesa. Comporta un nuovo modo di essere e di agire.
Se tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù, i consacrati sono chiamati a seguirlo più da vicino, configurati a lui anche nel genere esteriore di vita
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 46; Id., Perfectae caritatis, 25.
. Si impegnano a organizzare in funzione di un’intima comunione con lui tutti i loro rapporti con le cose, con gli altri e con se stessi; ad essere memoria viva della forma originaria ed esemplare della sequela dei primi discepoli.
In concreto la vita consacrata è caratterizzata dalla professione dei tre consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza in una forma di vita stabile e riconosciuta dalla Chiesa. La castità è totale dono di sé al Signore, un dono vissuto nella perfetta continenza sessuale e nell’amicizia disinteressata verso tutti. La povertà è libertà di fronte alle cose, rinuncia al possesso, sobrietà nell’uso, disponibilità a condividere. L’obbedienza è accoglienza della volontà di Dio, mediante la sottomissione alla regola, ai superiori e alla comunità, rinunciando a programmare in modo individuale la propria esistenza. Insieme i tre consigli riportano le grandi tendenze del cuore umano nella logica della carità; rendono umili e vuoti di sé, aperti a Dio e ai fratelli, pronti a camminare verso la perfezione. L’impegno a viverli viene assunto con i voti o con altri vincoli sacri. Associato ad altri elementi, come la centralità della preghiera, della parola di Dio e dell’eucaristia, gli esercizi ascetici ed eventualmente la comunità religiosa e le attività di apostolato, questo impegno viene a costituire una forma stabile di vita, che l’autorità della Chiesa riconosce canonicamente.
CCC, 1973-1974
[547]  Si tratta di una forma di vita non più santa o più facile, ma che manifesta più incisivamente i valori comuni della vita cristiana: l’unione a Cristo, il primato di Dio, la chiamata alla perfezione della carità. Soprattutto testimonia il mondo futuro e l’umanità nuova; anticipa profeticamente la perfetta comunione e la festa eterna di coloro che «seguono l’Agnello dovunque va» (Ap 14,4).
[548]  La professione dei consigli evangelici costituisce «una certa consacrazione speciale, che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale e che la esprime con maggior pienezza»
nota
Concilio Vaticano II, Perfectae caritatis, 5.
. Si tratta di un’alleanza sponsale con Cristo, un dono di sé totale e reciproco, dichiarato pubblicamente, analogo al matrimonio.
Come la Vergine Maria, i consacrati accolgono e manifestano al mondo in modo peculiare la presenza salvifica di Gesù. L’intimità con lui, sposo e amico, riempie il loro cuore e plasma il loro stile di vita.
L’uomo si consacra, ma prima ancora è Dio che consacra. Ricevendo e benedicendo la professione religiosa, la Chiesa manifesta l’iniziativa del Padre, che unisce e conforma a Gesù mediante lo Spirito.
Il carisma dell’istituto
[549]  Gli elementi costitutivi della vita consacrata vengono organizzati da ogni istituto in modo proprio, secondo uno specifico carisma. Ogni 12-262.pngfondatore infatti ha una sua esperienza dello Spirito e la trasmette ai fratelli che Dio gli dà.
Tale esperienza comporta di solito la profonda comprensione esistenziale di qualche parola evangelica, che diventa chiave di lettura di tutto il messaggio cristiano, prospettiva privilegiata per una nuova sintesi del mistero di salvezza. Assumono così una fisionomia caratteristica in primo luogo le componenti della vita consacrata: la pratica dei consigli, l’ascesi, la preghiera, la comunione fraterna, l’apostolato, la presenza nel mondo.
L’esperienza del fondatore attrae seguaci e si propaga come una corrente di grazia da una generazione all’altra. Per integrarsi nella Chiesa e per essere trasmessa più fedelmente, prende corpo in un ordinamento stabile e pubblico. Nasce così l’istituto, con una regola approvata dalla Chiesa e con un’eredità viva da custodire e da attualizzare nel mutare delle situazioni storiche.
[550]  La grande varietà delle forme di vita consacrata si riconduce ad alcuni tipi generali, che accentuano l’una o l’altra dimensione fondamentale del mistero di Cristo e della Chiesa
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 46; Id., Ad gentes, 40.
.
Monaci
[551]  La vita monastica professa i consigli evangelici con voti pubblici; 12-263.pngpratica la fraternità nella comunità del monastero, con una certa separazione dal mondo. Organizza i rapporti e le attività in funzione di un’appassionata ricerca di Dio attraverso l’ascesi, l’ascolto della Parola, la contemplazione, la lode.
Imita Cristo che prega sul monte
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 46.
; proclama esistenzialmente che Dio è l’unico necessario; intercede per i bisogni di tutti gli uomini. Esprime splendidamente l’anelito della Chiesa peregrinante, protesa alla patria celeste, come Maria, sorella di Mosè, che accompagnava cantando e danzando l’esodo di Israele verso la terra promessa e come i dodici esploratori che andarono avanti a scoprire il paese di Canaan.
Religiosi di vita apostolica
[552]  La vita apostolica cerca, contempla e serve Dio nel servizio degli uomini. Organizza tutto in funzione dell’apostolato. È segno di Gesù che insegna, guarisce e passa facendo del bene. È attuazione esemplare della Chiesa, mandata a proclamare il vangelo e a testimoniare l’amore di Dio per tutti. I consacrati sono agli avamposti della missione, con coraggio e genialità, nelle condizioni più disagiate e pericolose
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 40.
.
Istituti secolari
[553]  Radicata da una parte nella dimensione laicale della vita cristiana e dall’altra nella prospettiva propria della speciale consacrazione è la 12-264.pngvita consacrata secolare. Chi vive questo carisma, professa i consigli evangelici con qualche vincolo sacro, voto privato, promessa o giuramento, rimanendo però dentro il mondo, cioè nelle ordinarie condizioni di vita. Manca la comunità vera e propria; i rapporti con l’istituto si riducono a incontri più o meno frequenti con gli altri membri e con i responsabili. I consacrati cercano Dio attraverso la fedeltà alle realtà secolari, lavorando con competenza e spirito di servizio, promuovendo la giustizia, la solidarietà e il senso civico, condividendo gioia e dolore con i compagni di strada. Sono segno di Gesù che a Nàzaret condivise per tanti anni la vita ordinaria di tutti gli uomini. Sono attuazione esemplare della Chiesa, mandata ad animare evangelicamente la società terrena. Con il loro esempio provocano alla santità soprattutto i fedeli laici, con i quali hanno affinità di vocazione.
Ordine delle vergini e società di vita apostolica
[554] L’ordine delle vergini comprende donne consacrate nel mondo con il “santo proposito” della verginità, un impegno pubblicamente accolto dalla Chiesa.
Infine, le società di vita apostolica sono assimilate agli istituti di vita consacrata. Praticano i consigli evangelici senza vincoli sacri obbligatori. Coltivano la vita comune e si dedicano all’apostolato.
Dono per la Chiesa
[555] Malgrado nella sua storia non manchino ombre e deviazioni, anche gravi, la vita consacrata è un dono prezioso, di cui la Chiesa ha bisogno per essere pienamente se stessa, per rivelare in modo trasparente la presenza salvifica di Dio. È sempre esistita e, sebbene i singoli istituti possano esaurirsi, non finirà mai.
Esperienza esemplare delle beatitudini
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 31.
, la vita consacrata costituisce per tutti i fedeli un segno luminoso della comune vocazione alla santità
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 44.
, un modello da cui prendere ispirazione e coraggio. Inoltre la comunità religiosa, basata su motivazioni di fede, sull’amore reciproco e sulla condivisione di uno stesso carisma, si pone come realizzazione esemplare della comunione e figura della Gerusalemme celeste, come appello alla riforma continua di ogni comunità ecclesiale.
La Chiesa, consapevole della centralità di questo dono di Dio nella propria vita, promuove la pastorale vocazionale per favorire l’accoglienza della chiamata divina alla vita consacrata nelle sue varie forme.
A servizio dell’umanità
[556]  Secondo un celebre detto, monaco «è colui che, separato da tutti, è unito a tutti»
nota
Evagrio Pontico, La preghiera, 124.
. I consacrati amano con il cuore di Cristo 12-265.pngtutti gli uomini; danno se stessi per la loro salvezza. La loro “fuga dal mondo”, quando c’è, si traduce in una nuova presenza. Quelli di vita contemplativa testimoniano pubblicamente il primato di Dio e intercedono per tutte le necessità spirituali e materiali. Quelli di vita attiva predicano il vangelo e compiono le opere di misericordia secondo le esigenze dei tempi: curano i malati, assistono gli emarginati, educano i giovani. Certo, il loro stile di vita è anche un prendere le distanze dalle realtà terrene. Non le contestano però in se stesse: si oppongono piuttosto alla tendenza ad assolutizzarle, che oggi si chiama consumismo, erotismo e successo individualistico.
La vocazione dei fedeli consacrati è complementare a quella dei pastori e dei fedeli laici. Insieme questi tre stati di vita, arricchiti ciascuno di una grande varietà di vocazioni particolari, di carismi e di ministeri, contribuiscono alla vita e alla missione della Chiesa
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 4.
.
[557] I fedeli di vita consacrata, mossi dallo Spirito, tendono alla perfezione della carità mediante la professione dei consigli evangelici. Così esprimono con maggiore pienezza la consacrazione battesimale; seguono Cristo più da vicino; si donano totalmente a Dio; edificano la Chiesa e cooperano alla salvezza del mondo in modo esemplare; diventano segno luminoso dell’umanità futura.
[558] La Chiesa intera è per sua natura missionaria. È mandata a evangelizzare, cioè ad annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo vuole salvare tutti gli uomini. Quando la missione si rivolge a coloro che ancora ignorano il vangelo, si chiama attività missionaria in senso specifico e si attua nel rispetto della libertà di coscienza in un clima di dialogo.
Paolo missionario
[559]  Ottenuta dall’assemblea di Gerusalemme la dichiarazione della libertà cristiana riguardo alle osservanze giudaiche, l’apostolo Paolo si rimette in viaggio, con alcuni compagni, per il servizio del 13-270.pngvangelo. Più volte percorre Palestina e Siria, Asia Minore, Macedonia e Grecia, lungo le strade militari e le rotte commerciali. Entra nelle vivaci sinagoghe della diaspora e si mescola alle folle cosmopolite delle città; si confronta con l’alta cultura e con la religiosità popolare; ottiene scarse conversioni tra gli ebrei e molte più tra i pagani, fondando comunità cristiane assai promettenti.
Arrestato a Gerusalemme con l’accusa di profanare il tempio, sovvertire la religione e perturbare l’ordine pubblico, è sottoposto a un processo interminabile. Chiamato a dare spiegazioni davanti al procuratore Festo e al re Agrippa II, afferma con sicurezza che il vero protagonista della missione cristiana è Cristo stesso: egli è il primo uomo risorto dalla morte e ora sta annunciando la salvezza a Israele e ai pagani per mezzo dei suoi servitori
nota
Cf. At 26,23.
. Anche Paolo è stato scelto personalmente da lui per essere suo «testimone davanti a tutti gli uomini» (At 22,15) e soprattutto per essere inviato «lontano, tra i pagani» (At 22,21). Preso dal suo fascino, si è votato interamente alla sua causa, in una corsa incessante: «Sono stato conquistato da Gesù Cristo... dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta» (Fil 3,12-14). Mille difficoltà e persecuzioni non valgono a fermarlo: «Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti,... pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità» (2Cor 11,26-27). Non gli è più possibile vivere per se stesso. Per lui essere cristiano, testimone e missionario è la stessa cosa.
Il mandato missionario
[560]  Cristo risorto è la forza che anima la missione universale: gli apostoli, entrati con lui in intima comunione, condividono il suo amore per tutti gli uomini e diventano suoi collaboratori nell’opera della salvezza. Il Signore affida loro il grande compito di fare discepole tutte le genti e di introdurle nella vita di Dio: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,18-20). Promette che li accompagnerà sempre con la sua presenza: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Confermando la loro predicazione con opere prodigiose
nota
Cf. Mc 16,20.
, mostra di mantenere la promessa. Li sostiene con il dono dello Spirito Santo, che li spinge ad annunciare il vangelo e suscita la fede negli ascoltatori. In virtù dello Spirito, il mandato missionario diventa un’esigenza interiore, scritta nel cuore: l’esigenza di condividere con altri l’esperienza di fede e la comunione con Dio. «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,3).
Chiesa missionaria
[561] Quella di Paolo e degli altri apostoli è indubbiamente una vocazione speciale. Ma il compito di evangelizzare non è riservato ad alcuni: in vario modo, coinvolge tutti i cristiani.
Gli apostoli stessi insegnano che la missione è affidata al popolo di 13-272.pngDio nella sua globalità: «Voi siete... il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9). Di fatto, al tempo delle origini, è vivissima in tutti i credenti la coscienza missionaria. In chiusura della Lettera ai Romani, viene ricordata una fitta schiera di generosi collaboratori di Paolo nel servizio del vangelo: sono uomini, donne, giovani, coniugi, intere famiglie
nota
Cf. Rm 16,1-16.
. Il cristianesimo si diffonde velocemente sulle vie dell’impero romano soprattutto per l’impegno spontaneo dei credenti, da persona a persona. Urgente e imperiosa è l’esigenza di condividere con altri la propria fede. Nessuno si tira indietro. Ancora nel II secolo un filosofo pagano, Celso, pensando di screditare la nuova religione, osserva che tra i suoi divulgatori abbondano «cardatori di lana, calzolai, lavandai, gente senza istruzione e di maniere grossolane»
nota
Origene, Contro Celso, 3, 55, 5.
. Sebbene i mezzi di trasporto e di comunicazione siano ben poca cosa, l’annuncio evangelico raggiunge in breve tempo i confini del mondo allora conosciuto: «E si trattava della religione di un uomo morto in croce, “scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili” (1Cor 1,23)! Alla base di un tale dinamismo missionario c’era la santità dei primi cristiani e delle prime comunità»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 90.
.
Cammino della missione
[562] Con il passare del tempo, si perde la piena consapevolezza della vocazione missionaria di tutto il popolo cristiano; ma la missione prosegue comunque, per impulso dello Spirito Santo, e mantiene costantemente un’apertura universale.
Alla fine del IV secolo, i paesi intorno al Mediterraneo sono in gran parte cristiani. Durante il medioevo l’evangelizzazione si estende ai popoli germanici e slavi, soprattutto ad opera dei monaci, finché intorno al 1200 tutta l’Europa è ormai battezzata. Nei secoli XIII e XIV la missione, per merito dei nuovi ordini mendicanti, si dirige verso l’Africa del nord e verso l’oriente, fino alla lontana Cina. Ma i successi tangibili sono modesti e poco duraturi.
Nuovi sconfinati orizzonti si aprono con le grandi scoperte geografiche del secolo XV. Lungo le coste dell’Africa e dell’Asia meridionale fino all’estremo oriente, attraverso le vaste regioni del nuovo continente americano ad occidente, si avventurano per tre secoli i missionari francescani, domenicani e gesuiti, spesso a prezzo di eroici sacrifici. Ma i risultati di così generosa impresa non sono sempre favorevoli: si va dalla cristianizzazione di un intero continente, l’America, e di un intero paese, le Filippine, alla formazione di nuclei circoscritti di cristiani in Africa e in India, al sostanziale fallimento in Cina e in Giappone.
Nello stesso arco di tempo, nei paesi di antica tradizione cristiana si sviluppa un’attività missionaria, intesa come predicazione straordinaria e periodica al popolo, a sostegno e integrazione della pastorale ordinaria. Le missioni estere, pur essendo la forma esemplare della missione, non la esauriscono.
Passata la rivoluzione francese, grazie anche al sorgere di nuove congregazioni specificamente missionarie, l’evangelizzazione dei popoli riprende e prosegue con slancio per tutto il secolo XIX, particolarmente in Africa, Indocina e Oceania. Finalmente, nel nostro secolo, la valorizzazione delle culture e del clero del luogo consente ovunque la formazione di Chiese locali complete.
Coscienza missionaria
[563] Riemerge oggi nella Chiesa la coscienza della comune vocazione missionaria e il magistero del papa e dei vescovi la esprime con forza.
Il popolo di Dio «è inviato a tutti gli uomini, come luce del mondo e sale della terra»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 9.
. «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare»
nota
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14.
. «La missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2.
. L’impegno missionario, rivolto al proprio ambiente e al mondo intero, con la preghiera, la testimonianza e, se è possibile, con la parola, è indice della nostra fede in Cristo e criterio sicuro per verificare quanto siano validi organismi pastorali, movimenti, parrocchie e opere di apostolato.
«Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 49.
. Del resto, «la fede si rafforza donandola!»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2.
.
[564] La fede in Cristo è «dono di Dio, da vivere in comunità e da irradiare all’esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola... prima sul proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione universale»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 49.
.
Ogni credente è chiamato ad essere missionario. Tutta la Chiesa è per sua natura missionaria.
Comunione missionaria
[565] La dimensione missionaria appartiene all’identità stessa della Chiesa e del cristiano. Ma qual è il senso della missione?
Israele aveva il compito di rivelare nella storia la santità e la 13-274.pngpresenza salvifica di Dio. La comunità dei discepoli di Gesù ha il compito di annunciare e rendere in qualche modo visibile il regno di Dio, vivendo la nuova giustizia della carità, delineata nel discorso della montagna. È chiamata ad essere unita nell’amore fraterno, «perché il mondo creda» (Gv 17,21): la comunione concretamente sperimentata sarà segno trasparente di Dio e con il suo fascino attirerà gli uomini a lui.
La Chiesa «riceve la missione di annunciare il regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo regno essa costituisce sulla terra il germe e l’inizio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 5.
. Lo annuncia con la predicazione; lo celebra con la liturgia; lo testimonia con il servizio e la condivisione dei beni spirituali e materiali. Annuncio, celebrazione e testimonianza costituiscono insieme il segno globale dell’Amore misericordioso che viene a salvare. Gli uomini possono quasi toccarlo con mano e aprirsi alla speranza di un mondo nuovo, che già adesso germoglia.
[566]  Il regno di Dio è carità. La carità è l’energia e il contenuto centrale dell’evangelizzazione. Tutto si concentra nel vangelo della carità: 13-273.png la Pasqua di Cristo, vertice della rivelazione, è evento di carità; Dio è mistero trinitario di carità; la Chiesa è comunione di carità, raccolta intorno all’eucaristia; la vita cristiana è vocazione alla perfezione della carità; la mèta definitiva è beatitudine dell’intimità immediata con Dio nella carità. Perciò anche la missione, in definitiva, non è altro che il dilatarsi della carità: da Dio a noi, da noi agli altri, attraverso parole e opere. Vivere in comunione con Dio-Amore significa amare con lui tutti gli uomini e impegnarsi perché tutti entrino consapevolmente e pienamente nella sua amicizia. «La comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione»
nota
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 32.
.
La Chiesa dunque «è inviata da Cristo a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutte le genti»
nota
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 10.
. È segno vivo di Dio-Amore nella storia. Purtroppo, essendo composta di santi e peccatori, non solo rivela, ma anche nasconde. Perciò deve purificarsi incessantemente con la conversione delle persone, la riforma delle comunità e il superamento delle divisioni.
La via mistica della missione
[567]  La carità è anche la via privilegiata dell’evangelizzazione. A volte è una via che rimane nascosta. In forza della carità, la liturgia, la preghiera, la contemplazione, l’umiltà e la sofferenza hanno un potere di intercessione presso Dio e quindi una misteriosa efficacia missionaria. Per questo santa Teresa di Gesù Bambino, nella clausura del suo monastero, ha meritato di diventare la patrona delle missioni. Soprattutto è fecondo il sacrificio della vita: «Diventiamo più numerosi tutte le volte che siamo mietuti; è un seme il sangue dei cristiani»
nota
Tertulliano, Apologetico, 50, 13.
.
La via della testimonianza
[568]  La via della carità ha anche un’efficacia verificabile, quella della testimonianza: «Si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 23.
. L’evangelizzazione avviene per irradiazione, prima che per iniziative specifiche. Attraverso la testimonianza dei singoli credenti, delle famiglie e delle comunità, l’amore di Dio va a raggiungere le persone nella loro situazione concreta e le dispone a credere. Specialmente nel clima odierno, permeato di materialismo pratico, estraneità reciproca e indifferenza religiosa, molte porte si aprono solo per il fascino dell’amicizia e della solidarietà. Anche i distratti e i superficiali rimangono colpiti e si accostano al messaggio cristiano.
[569]  Interpella le coscienze con particolare efficacia l’amore preferenziale per i poveri, che, mentre contraddice l’egoismo radicato nell’uomo e le discriminazioni presenti nella società, si fa espressione di una benevolenza diversa, quella di Dio, gratuita e rivolta a tutti. Per questo l’azione caritativa ha sempre avuto grande rilievo nella vita e nella missione della Chiesa. Già la comunità di Gerusalemme aveva un’assistenza organizzata per i bisognosi
nota
Cf. At 6,2-6.
; quella di Roma nel III secolo manteneva a sue spese più di millecinquecento vedove e poveri
nota
Cf. San Cornelio papa, Lettera a Fabio di Antiochia (in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 6, 43, 11.
; moltissime comunità ai nostri giorni sono impegnate nei problemi dell’emarginazione e del sottosviluppo. Emerge oggi la consapevolezza che la solidarietà con gli oppressi esige anche una sincera revisione della propria vita da parte dei cristiani.
[570]  A partire dall’attenzione preferenziale ai poveri, la carità evangelica è criterio ed energia per la «trasformazione del mondo»
nota
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 38.
. Promuove nella società i valori del regno di Dio, quali il rispetto della libertà e dei diritti dell’uomo, la giustizia, l’uso ragionevole della natura, la pace
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 42.
. Contesta i poteri politici ed economici oppressivi
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 43.
. Si adopera per la crescita di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, ben sapendo che le salvezze storiche prefigurano quella eterna e che la promozione umana è parte integrante dell’evangelizzazione.
La via dell’annuncio
[571]  La presenza operosa non basta. La testimonianza cristiana include la professione pubblica della fede
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium,11.
. L’evangelizzazione ha al suo centro l’annunzio esplicito che Dio ci dona la salvezza in 13-276.pngGesù Cristo, crocifisso e risorto. «La fede dipende dalla predicazione» (Rm 10,17); la Chiesa è generata dalla Parola. Anche i fedeli laici, devono saper annunciare Cristo agli altri credenti e ai non credenti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 6.
.
L’annuncio deve essere coraggioso e franco, ma anche umile: la verità, che abbiamo ricevuto in dono, non è un vanto per noi; è una responsabilità. L’amore per gli interlocutori esige che si rispetti la loro libertà e si tenga conto della loro situazione esistenziale, sociale e culturale, del loro linguaggio, delle loro aspirazioni, dei loro valori etici e religiosi.
Intercessione, testimonianza e annuncio sono le vie della missione, per le quali devono incamminarsi i singoli cristiani, le famiglie e le comunità. Un radicale cambiamento di mentalità e una profonda revisione pastorale occorrono oggi per dare slancio alla missione universale.
[572] La missione della Chiesa è evangelizzare, cioè annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che si rivela e si dona in Cristo per la salvezza di tutti gli uomini. Le vie della missione sono la preghiera, avvalorata dal sacrificio, la testimonianza dell’amore reciproco e del servizio ai poveri e alla società, l’annuncio esplicito del vangelo.
Attuazione esemplare della missione
[573]  L’evangelizzazione è fondamentalmente sempre la stessa, ma assume accentuazioni diverse secondo le situazioni. Si chiama attività pastorale quando si svolge nell’ambito di comunità cristiane vive e solide; nuova evangelizzazione quando riguarda ambienti di tradizione cristiana scristianizzati; attività missionaria in senso specifico quando è destinata a popolazioni che ancora ignorano Cristo
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 33.
. Quest’ultima rappresenta l’attuazione esemplare della missione affidata da Gesù alla Chiesa e non deve essere appiattita sulle altre, con il rischio di rimanere trascurata.
Il motivo fondamentale
[574] La sua urgenza deriva dalla sua finalità: rendere visibilmente presente in un ambiente umano il mistero della Chiesa, germe e strumento di salvezza, portando il vangelo e fondando Chiese particolari.
«Dire che tutta la Chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione per i non cristiani»; analogamente «dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano missionari per i non cristiani e a vita per vocazione specifica»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 32.
. «Si tratta di una vocazione speciale, modellata su quella degli apostoli», che impegna per sempre tutta la persona «per il servizio dell’evangelizzazione»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 65.
. Sebbene siano preziose anche altre figure missionarie, questi uomini e donne, totalmente consacrati e disposti ad andare dovunque per la causa del regno di Dio, costituiscono il perno dell’attività missionaria. La sollecitudine per queste vocazioni deve coinvolgere tutto il popolo cristiano, così come devono coinvolgerlo altre forme di cooperazione missionaria. La carità non ha confini. Ogni cristiano autentico si sente corresponsabile dell’attività missionaria nel mondo e vi partecipa secondo le sue possibilità: «Prega per le missioni e per le vocazioni missionarie, aiuta i missionari, ne segue l’attività con interesse e, quando ritornano, li accoglie con quella gioia con cui le prime comunità cristiane ascoltavano dagli apostoli le meraviglie che Dio aveva operato mediante la loro predicazione»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 77.
.
Ma perché si deve fare attività missionaria verso i non cristiani? Non possono salvarsi anche seguendo un’altra religione? Non bisogna rispettare la loro coscienza e la loro identità storica? Sono domande che molti oggi pongono.
CCC, 851
La salvezza dei non cristiani
[575]  Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati» per mezzo di un solo «mediatore..., l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,4-6). A lui con il dono dello Spirito Santo associa la Chiesa «come strumento di redenzione per tutti»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 9.
, conferendole «un ruolo specifico e necessario»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 18.
in ordine alla salvezza. La sua misericordia raggiunge anche quelli che non vivono una fede esplicita e un’appartenenza ecclesiale visibile, offrendo loro in Cristo una reale possibilità di salvezza, «in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 10.
.
Tutti gli uomini dunque con modalità diverse entrano in rapporto con la Chiesa: i cattolici sono «pienamente incorporati», mentre i catecumeni sono congiunti dal «desiderio esplicito»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 14.
; i cristiani non cattolici sono uniti da vari legami
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 15.
; i credenti di altre religioni e i non credenti di buona volontà sono ordinati e orientati ad essa
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 16.
, attraverso l’osservanza della legge di Dio scritta nella loro coscienza
nota
Cf. Rm 2,13-15.
. Solo chi per propria colpa, esplicitamente o implicitamente, rifiuta di essere collegato, si esclude dalla salvezza. In questo senso rimane sempre valido il celebre detto: «Fuori della Chiesa non c’è salvezza»
nota
San Cipriano di Cartagine, Lettere, 73, 21, 2. Cf. Origene, Omelie su Giosuè, 3, 5.
, che ha un fondamento nella parola stessa del vangelo: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16)
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 14; Id., Ad gentes, 7.
. Ma solo Dio conosce chi apre il cuore alla grazia e chi lo chiude.
CdA, 24
CONFRONTAVAI
CdA 42
CONFRONTAVAI
CdA 401
CONFRONTAVAI
CdA 582
CONFRONTAVAI
CdA 585
CONFRONTAVAI
Il cristianesimo compimento delle religioni
[576]  Verso Cristo e la sua Chiesa convergono le religioni del 13-278.png mondo, frutto di una ricerca millenaria, che procede «a tentoni» (At 17,27), ma è sostenuta da Dio stesso. Non sono vie di salvezza indipendenti, perché l’unica via è Cristo mediante la Chiesa; ma predispongono ad accogliere la pienezza di Cristo. Insieme a errori e deviazioni, contengono preziose verità, come germi del Verbo divino pronti a ulteriori sviluppi. Le stesse forme di umanesimo non credente presentano valori, che sono «come un dono concesso da colui che illumina ogni uomo, perché abbia finalmente la vita»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 16.
. L’incontro esplicito con il Signore Gesù nella comunità cristiana libera questi elementi positivi dalle incrostazioni dell’errore e del peccato e li porta a piena maturazione: «Ogni germe di bene che si trova nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e nelle culture proprie dei popoli» viene «purificato, elevato e portato a compimento»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 17; cf. Id., Ad gentes, 9.
dal cristianesimo. In colui che non è «venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17), tutti possono trovare «la pienezza della vita religiosa»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
e morale. Valori, costumi e tradizioni, compatibili col vangelo, vengono accolti in una nuova sintesi culturale e vitale, acquistano un più alto significato
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 24.
.
CCC, 842-845
Proposta, non imposizione
[577]  La Chiesa, da parte sua, abbraccia come Cristo tutti gli uomini, compresi i suoi persecutori, perché «giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio» (1Pt 2,12). Intercede per tutti, offrendo preghiere e sofferenze. Si rivolge ai non cristiani con l’attività missionaria, affermando con coraggio e con chiarezza che Cristo è la rivelazione definitiva di Dio e l’unico Salvatore dell’uomo. Sa di aver ricevuto in dono questa verità, senza alcun merito proprio; ma si sente responsabile di essa e ne custodisce scrupolosamente l’integrità per il bene di tutti
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 56.
. Fa il suo annuncio nel rispetto della libertà: Dio si propone, non si impone; la verità cristiana è la verità dell’amore ed esige che si rispettino i diritti e i beni degli altri, a cominciare dalla libertà di coscienza e di religione.
[578] È triste ricordare come più volte, in altre epoche, il vangelo sia stato imposto con la forza delle leggi e delle armi. È doloroso che importanti tesori di civiltà siano andati distrutti, presso numerosi popoli, a motivo della colonizzazione culturale, malgrado l’impegno lungimirante di personalità eccezionali, come san Gregorio Magno, Alessandro Valignano, Matteo Ricci e Roberto de’ Nobili. Ciò è avvenuto contro il vangelo stesso e va attribuito sia ai peccati personali sia, ancor più, ai condizionamenti culturali. Sarebbe comunque ingiustificato dedurre dagli abusi del passato l’opportunità di sospendere l’attività missionaria: si è abusato e si abusa continuamente della scienza e della tecnica, eppure nessuno pensa che si debba per questo rinunciare alla ricerca e al progresso.
Annuncio e dialogo
[579]  L’annuncio di Cristo deve essere fatto in un clima di dialogo e di collaborazione: «La Chiesa non vede un contrasto tra l’annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55.
. Piuttosto in essi vede due aspetti, distinti e complementari, della sua missione evangelizzatrice. La proclamazione del vangelo deve essere permeata di spirito dialogico, sia per rispetto all’uomo sia per coerenza col messaggio stesso. Il dialogo, a sua volta, deve preparare il terreno al vangelo e non porsi come esperienza autosufficiente e conclusiva.
CCC, 856
[580] L’attività missionaria, in senso specifico, è rivolta a coloro che ancora ignorano Cristo; mira a diffondere il vangelo e a fondare la comunità cristiana, segno efficace di salvezza. È l’attuazione esemplare e più urgente della missione della Chiesa. Essa ha bisogno di speciali vocazioni di totale consacrazione e deve essere sostenuta dalla cooperazione di tutti i fedeli e di tutte le comunità ecclesiali.
Urgenza
[581] Aumenta sempre più a livello mondiale l’interdipendenza tecnologica, economica, politica e culturale. Cresce la mobilità delle popolazioni. Si va verso forme di società multietnica e multireligiosa. Il dialogo tra le religioni sta diventando sempre più urgente.
Finalità
[582]  I cristiani devono dialogare con i seguaci di altre religioni per conoscerli correttamente ed essere correttamente conosciuti da loro, per superare pregiudizi e malintesi, per stabilire relazioni reciproche di stima, rispetto, accoglienza e amicizia, in modo che ognuna delle parti possa approfondire la propria esperienza di fede e avvicinarsi di più a Dio. Dialogare non deve significare cedere al relativismo o al sincretismo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto ed attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55.
. Si tratta invece di percepire, ovunque si trovino, i raggi «di quella Verità che illumina tutti gli uomini»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
; di coltivare i semi del Verbo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 11.
, gli elementi «di verità e di grazia»
nota
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 9.
, sparsi nelle varie tradizioni.
Modalità
[583] Il dialogo assume forme molteplici. Vi è il dialogo della vita quotidiana, in ambiente familiare, professionale e sociale; il dialogo della collaborazione a obiettivi e opere di promozione umana; il dialogo dei patrimoni religiosi e delle tradizioni teologiche ad opera di esperti; il dialogo delle esperienze spirituali vive, come la preghiera, la contemplazione, la ricerca appassionata di Dio.
Disponibilità
[584] Il dialogo non si sviluppa spontaneamente. È minacciato dalla istintiva diffidenza per il diverso, dai complessi di inferiorità o di superiorità, dal peso dei contrasti secolari. Va costruito pazientemente, con convinzione. Bisogna rispettare e accogliere l’altro come persona; condividerne gioia e sofferenza; conoscere e presentare la religione dell’altro con obiettività, in modo che egli vi si riconosca; non aver paura di lasciarsi mettere in discussione; essere incondizionatamente aperti al mistero di Dio, sempre più grande dei nostri pensieri. Vivendo il dialogo con questi atteggiamenti, i non cristiani potranno incontrare Cristo e trovare in lui il compimento della loro esperienza e della loro storia. I cristiani potranno anch’essi ricevere grandi benefici, perché il vangelo rivela più profondamente il suo significato nel confronto con le altre religioni.
[585] La Chiesa cattolica crede in questo genere di relazioni, perché crede nella dignità di ogni uomo e nella presenza salvifica di Dio in tutta la storia. È significativo al riguardo che sia stato istituito il pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e che siano stati invitati ad Assisi i rappresentanti di molte tradizioni religiose per il grande incontro di preghiera del 27 ottobre 1986.
Principali interlocutori
[586]  Meritano particolare attenzione le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, per i loro valori spirituali e per la sempre più consistente presenza nel mondo cristiano, anche in Italia, a causa di migrazioni, viaggi e qualche conversione. È importante individuarne almeno i caratteri generali, sulla scia del concilio Vaticano II
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2-3.
, pur nella consapevolezza che si tratta di realtà complesse, per le quali occorrerebbero ulteriori approfondimenti.
Induismo
[587] L’induismo è la tradizione religiosa dell’India, antica di quattromila anni e in continua evoluzione. Più precisamente si tratta di un complesso di religioni e di filosofie, di mitologie e di regole, diverse e a volte perfino contraddittorie. Vi si trovano comunque alcuni elementi, condivisi generalmente o quasi.
[588] C’è una rivelazione divina originaria, contenuta nei libri sacri. Esistono molte divinità preposte ad ogni aspetto della vita e del mondo. Al di sopra di esse vi è una Realtà ultima, concepita come mistero trascendente e impersonale, inconoscibile e ineffabile, oppure come Dio unico, personale, benevolo. La divinità suprema si manifesta con le sue discese, o teofanie, in figure concrete, che possono essere dèi, uomini straordinari, immagini sacre.
Il mondo fenomenico si sviluppa in un divenire ciclico ed eterno. La sua realtà è inconsistente, anzi è apparenza, illusione, sofferenza. L’uomo è costituito da un’anima, che esiste da sempre e trasmigra da un corpo all’altro. Il ciclo delle rinascite segue la legge della fruttificazione degli atti. Consapevoli o inconsapevoli che siano, essi producono i loro frutti, buoni o cattivi. Di conseguenza si è destinati a rinascere come esseri superiori o inferiori, come ricchi o poveri, come sani o malati, come membri di una casta o di un’altra, o come fuori casta. Comunque, in qualsiasi condizione, tutto è effimero, tutto è dolore. La sofferenza è una necessità cosmica.
[589]  C’è però una possibilità di salvezza. L’anima può liberarsi dal ciclo delle rinascite, uscire dal mondo dell’apparenza, raggiungere l’unità con la Realtà ultima divina, trovando così la beatitudine definitiva. Questa aspirazione sostiene i seguaci dell’induismo nel loro cammino: «Cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza»
nota
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2.
.
Le vie principali per giungere alla liberazione sono tre. La prima è la via dell’azione disinteressata: comporta che si osservino fedelmente, con distacco da motivi egoistici, facendone un’offerta a Dio, i riti religiosi e i doveri morali generali, come la non violenza, la veracità, la castità, il rispetto della proprietà altrui, la generosità, la pazienza, nonché i doveri particolari del proprio stato, conformando così tutta la propria esistenza all’ordine divino e universale. La seconda è la via della conoscenza: passando attraverso l’impegno morale e ascetico, la concentrazione interiore e l’esperienza mistica superiore, conduce il saggio a trovare il vero Sé e in esso anche la Realtà ultima, ad acquisire la consapevolezza dell’unità del soggetto profondo con la divinità. La terza è la via della devozione: è adatta per ogni genere di persone e consiste nella confidenza e nell’amore, rivolti a Dio, benevolo e misericordioso, che salva per grazia chiunque si abbandona totalmente a lui e lo ama appassionatamente.
[590] Da un punto di vista cristiano, riconosciamo in questa tradizione religiosa importanti valori, ma anche limiti e pericoli. La concezione di Dio come Mistero trascendente e ineffabile o come Essere personale è senz’altro elevata; ma non esclude che si finisca per cadere da una parte nel monismo panteista e dall’altra, soprattutto a livello popolare, nel politeismo idolatrico. Ammirevole è il primato conferito alla vita spirituale, specialmente se lo confrontiamo con il materialismo e il secolarismo occidentale; purtroppo però comporta un deprezzamento del mondo, della storia e della società, ridotti ad apparenza illusoria e considerati insignificanti, anzi di ostacolo, in rapporto alla salvezza. Di conseguenza favorisce una diffusa rassegnazione alle disuguaglianze sociali, assegnate dal destino. Nobile è l’etica e appassionata la ricerca della salvezza definitiva; tuttavia vi si riscontra un carattere marcatamente individualista, che esclude ogni solidarietà e mediazione salvifica, ogni idea di redenzione e di comunione dei santi; non a caso anche il culto è un fatto essenzialmente privato. Generoso è lo spirito di tolleranza verso le altre religioni; ma si confonde con il relativismo e il sincretismo: le religioni, secondo la mentalità induista, sono tutte vere e tutte imperfette; Cristo stesso può essere accettato come una discesa della divinità, rifiutando però la pretesa che egli sia unico e assoluto.
Malgrado le ombre non siano di poco conto, il discernimento cristiano si rallegra di intravedere raggi intensi di quella luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Soprattutto sulla via della devozione arrivano a maturazione esperienze gioiose di amore personale verso Dio, simili a quelle dei santi cristiani, come testimonia questa splendida preghiera del poeta Tukaram (secolo XVII): «Tu tieni la mia mano e mi guidi con fermezza, sempre e dovunque presente al mio fianco. Mentre io vado e mi appoggio a Te, tu porti il mio carico pesante... Io riconosco in ogni uomo un amico, in ogni incontro un congiunto. Come un bimbo felice, vado giocando nel tuo caro mondo, o Dio».
Buddhismo
[591] Il buddhismo è nato nell’ambito dell’induismo; ma si è posto fuori di esso, per averne rifiutato i libri sacri e la dottrina del Soggetto permanente, del Sé che si identifica con la Realtà ultima. Ha un fondatore storico, il principe indiano Siddharta Gautama (563-483 a.C. circa), che, dopo varie vicende, ha raggiunto attraverso la meditazione il “risveglio” alla verità essenziale dell’esistenza, trovando la soluzione al problema del dolore e diventando un Buddha, cioè un “risvegliato”.
[592] La dottrina più antica e più vicina al pensiero del fondatore afferma anzitutto che l’esistenza umana e ogni altra realtà, tutto è dolore, precarietà, insoddisfazione, vuoto. L’origine del dolore è la “sete” di vivere e di godere, il desiderio avido e appassionato, che condanna l’uomo al ciclo delle rinascite. Per liberarsi dal dolore e uscire dal vano divenire, occorre sopprimere il desiderio e annullare il proprio io illusorio. Si esce così dal mondo dei fenomeni e, come una goccia si perde nel mare, si entra nell’aldilà ineffabile, nel Vuoto che è pienezza, nell’Assenza che è pace definitiva, nel nirvana.
[593]  La via che conduce all’estinzione del desiderio e quindi alla cessazione del dolore è costituita da otto sentieri, che riguardano la saggezza, la condotta etica, l’esercizio psicofisico della meditazione. La saggezza, cioè “la comprensione giusta, il pensiero giusto”, consiste in una presa di coscienza esperienziale intorno alla verità del dolore, del desiderio e della loro soppressione. La condotta etica, cioè “la parola giusta, l’azione giusta, i mezzi di esistenza giusti”, esige la rinuncia a tutto ciò che non favorisce la liberazione e che può recare pregiudizio agli altri, come la menzogna, la maldicenza, l’ingiuria, l’omicidio, l’amore illecito, il furto, la cupidigia; viceversa comporta la pratica delle virtù, come la sopportazione delle sofferenze, la non violenza, la benevolenza amichevole, la compassione, il sereno equilibrio e il controllo di sé. La meditazione, cioè “lo sforzo giusto, l’attenzione giusta, la concentrazione giusta”, è una disciplina che impegna il corpo e la mente; fissa l’attenzione intensa e prolungata su ogni fenomeno che emerge nella coscienza, qui e ora, dimenticando però il proprio io, finché non raggiunga la visione intuitiva della precarietà e del vuoto di ogni cosa e non spenga ogni desiderio. Si legge nel Canone buddhista: «Felice la solitudine di colui che si rallegra avendo appreso la Buona legge ed avendo acquistato la visione! Felice la libertà dalla sofferenza nel mondo e il ritegno dal danneggiare le creature! Felice la libertà dalle passioni di questo mondo ed il superamento dei desideri! Che ci si sciolga dalla vanità dell’”ego”, questa è la suprema felicità»
nota
Udâna, 2, 1.
.
[594] L’ideale buddhista è incarnato dai monaci. Essi fuggono il mondo, per mettersi in una condizione più idonea al cammino di liberazione; assumono la povertà e la castità, per spegnere il desiderio rispettivamente di possedere e di esistere; praticano assiduamente la meditazione, per dissolvere il proprio io illusorio e giungere all’illuminazione suprema.
[595] Non sembra propriamente corretto classificare il buddhismo antico come una filosofia, in quanto si presenta come una via di liberazione definitiva. Però si tratta di una liberazione che è conquista dell’uomo e non grazia di Dio. «Fate voi stessi la vostra salvezza», avrebbe raccomandato il Buddha morente ai suoi discepoli. In concreto la possibilità di raggiungere il nirvana sembra riservata solo ai monaci; la moltitudine dei laici sembra destinata a una ulteriore reincarnazione, più o meno elevata secondo il grado di purificazione raggiunto.
Non sorprende che successivamente il buddhismo, per quanto riguarda la maggioranza dei suoi aderenti, si sia evoluto in senso più chiaramente religioso. La liberazione, secondo questa versione, può essere ottenuta da tutti, anche dai laici, con la fiducia nella benevolenza del Buddha supremo, che è Dio stesso, e dei bodhisattva, saggi illuminati che, mossi da compassione, aiutano gli uomini a raggiungere la salvezza.
[596] Posto di fronte al buddhismo, il cristiano, pur provando ammirazione per una spiritualità così nobile e raffinata, è preso anche da gravi perplessità. È certo doveroso annullare ogni desiderio egoistico; ma è possibile annullare il desiderio di vivere come tale? Non è più bello attuarlo nella comunione? La mèta definitiva non va pensata come pienezza della persona anziché come dissoluzione di essa? È vero che l’uomo e il mondo sono sottomessi alla caducità e alla sofferenza; ma è ragionevole ridurli a un flusso di impressioni e di fenomeni senza valore? Non sono piuttosto da considerare creazione di Dio, incamminati verso un compimento ultimo? Se un certo distacco dal mondo è necessario per sviluppare valori importanti, come la preghiera, la contemplazione, l’armonia con la natura, non occorre forse anche un serio impegno nel mondo per realizzare il progresso civile? Infine, un’etica nobile ed esigente come quella buddhista dispone senz’altro alla salvezza; ma basta a conquistarla? Non è più confortante pensare che questa sia donata per grazia e sia offerta a tutti, anche a chi non cammina per la retta via? Secondo la fede cristiana, non è l’uomo che raggiunge con le sue sole forze la perfezione ultima, fuggendo magari dal mondo e da se stesso; ma è Dio che viene a noi, assume l’uomo e il mondo e li porta a compimento.
Islam
[597] L’islam è la più recente delle religioni universali. Ne è fondatore Maometto (570-632 d.C.), nella cui attività si distinguono due periodi: il primo, a La Mecca, è incentrato sulla predicazione del monoteismo e dell’imminente giudizio di Dio contro i politeisti e i ricchi che opprimono i poveri; il secondo, a Medina, è dedicato all’organizzazione giuridica della nuova comunità islamica e alla guerra santa. Maometto si presenta come “il Sigillo dei profeti”, che porta a compimento la rivelazione, già affidata ad Abramo, a Mosè, a Davide, a Gesù. Il libro sacro, il Corano, è la parola di Dio, da lui dettata letteralmente. Autorità profetica hanno anche i detti e gli atti di Maometto, che costituiscono la tradizione.
[598] L’islam è una religione semplice nella dottrina, nei riti e nei valori etici; minuziosa nelle regole giuridiche.
Esiste un solo Dio, personale, incomprensibile, onnipotente, clemente e misericordioso, che ha creato gli angeli, gli uomini e tutte le cose. Da lui vengono il bene e la sventura. Egli risusciterà i morti e nel giudizio finale premierà i buoni con il paradiso e condannerà i malvagi all’inferno. Così lo invoca più volte al giorno ogni fedele, con la prima “sura” del libro sacro: «Nel Nome di Dio, Misericordioso e Compassionevole. Lode a Dio, Signore dei mondi, il Misericordioso e il Compassionevole, Padrone del giorno del giudizio. Te noi serviamo, te invochiamo in aiuto. Guidaci sulla retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la tua grazia, non di quelli coi quali sei adirato, né di quelli che vagano nell’errore»
nota
Corano, 1.
.
[599] Il giusto atteggiamento dell’uomo davanti a Dio è la sottomissione, che implica obbedienza e abbandono fiducioso. La parola araba “islam” significa appunto “sottomissione”. Questa si esprime concretamente nella professione di fede e nelle pratiche religiose. La fede viene sintetizzata nella formula: “Non c’è Dio se non Allah e Maometto è il suo Profeta”. Le pratiche religiose sono la preghiera, l’elemosina, il digiuno, il pellegrinaggio. La preghiera rituale è regolata da norme precise: si deve compiere cinque volte al giorno al momento fissato, in stato di purità legale, eseguendo con esattezza i gesti prescritti; in forma comunitaria si deve celebrare il venerdì alla moschea, con la partecipazione almeno degli uomini. L’elemosina è una tassa obbligatoria a vantaggio dei poveri, alla quale è possibile aggiungere anche prestazioni volontarie. Il digiuno consiste nel rinunciare al cibo, al tabacco, ai profumi, ai rapporti sessuali dalla luce dell’alba al buio della sera tutti i giorni durante il mese di ramadan. Il pellegrinaggio a La Mecca va compiuto, almeno una volta nella vita, da ogni musulmano adulto e sano. Dovere dei credenti è infine la “guerra santa”, o meglio lo sforzo per affermare i diritti di Dio in tutti gli ambiti della vita: comporta innanzitutto il combattimento spirituale per conformare se stessi alla volontà divina, quindi lo sforzo missionario per estendere l’islam, arrivando, se necessario, anche alla conquista armata.
[600] I musulmani, al di là delle differenze nazionali, appartengono tutti a una sola comunità di fede e di solidarietà fraterna, regolata dalla legge religiosa, sia nella sfera spirituale che in quella temporale.
[601]  A parte l’ebraismo, nessun’altra religione ha tanti elementi comuni con il cristianesimo come l’islam
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 3.
. Tuttavia il dialogo non è facile. Pesa ancora la memoria del passato: dieci secoli di violenta contrapposizione hanno visto da parte degli arabi e dei turchi i ripetuti tentativi di invadere l’Europa e da parte dell’occidente le crociate medievali e la moderna colonizzazione forzata. Oggi la civiltà occidentale, secolarizzata, individualista e consumista, penetra nel mondo islamico e lo corrode dal di dentro, suscitando la reazione dell’integralismo musulmano, che coinvolge nella stessa avversione anche il cristianesimo. Del resto la difficoltà del dialogo non nasce solo da situazioni storiche contingenti.
[602] L’islam attinge vari motivi polemici nello stesso Corano. Accusa ebraismo e cristianesimo di aver corrotto le Sacre Scritture. Rifiuta le verità cristiane fondamentali: la Trinità, l’incarnazione e la redenzione. Esalta Gesù, ma solo come uomo santo e grande profeta.
[603] Comune alle due religioni è la giusta preoccupazione che la fede non sia separata dalla vita e che ogni attività sia sottomessa alla volontà di Dio. Ma ciò non giustifica una legislazione minuziosa, che pretenda regolare le cose una volta per sempre: ne rimarrebbero facilmente soffocate le esigenze concrete dell’amore e del servizio all’uomo; ci si esporrebbe all’incompatibilità con nuove situazioni impreviste. Tantomeno comporta la confusione tra lo spirituale e il temporale, con la conseguente giustificazione dello stato teocratico islamico, così diverso dal moderno stato democratico.
Riconosciamo che i musulmani tradizionalmente hanno praticato una certa tolleranza nei confronti di cristiani ed ebrei, conferendo loro uno speciale statuto di ospiti protetti. Ma oggi la dignità della persona umana e il riconoscimento dei suoi diritti esigono la piena cittadinanza per le minoranze, la libertà di coscienza per tutti, la parità sociale dell’uomo e della donna, offuscata tra l’altro dalla poligamia.
Condividiamo la valutazione positiva della vita terrena, della prosperità economica, della giustizia sociale, del progresso culturale. Ma non possiamo vedere nel successo temporale il segno sicuro della benedizione di Dio. Rimarrebbe senza significato l’esperienza umana fondamentale della sofferenza.
[604] Sono innegabili nella tradizione islamica gli alti valori morali e religiosi che alimentano la vita spirituale di milioni e milioni di uomini. Non manca però in campo etico qualche concessione di troppo alla debolezza umana. Soprattutto il rapporto con Dio è inteso come sottomissione e non come amore. Fanno eccezione i mistici; ma essi si trovano ai margini dell’ortodossia ufficiale.
Malgrado le profonde divergenze, cristianesimo e islam si incontrano nella fede in un solo Dio, onnipotente e misericordioso. Il grido: «Dio è grande!», che ha così profonda risonanza nei musulmani, affascina anche i cristiani. Animati da questa fede, gli uni e gli altri possono camminare insieme verso un’attuazione più piena della libertà, della fraternità, della convivenza pacifica.
[605] In tutte e tre le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, si sviluppano esperienze che superano le dottrine ufficiali e vanno in direzione dell’unione amorosa con Dio, sia presso i mistici che presso la gente devota. Ci rallegriamo di riconoscere in ciò un’importante affinità con il cristianesimo, un segno della presenza di Cristo stesso e della sua grazia.
[606] Il dialogo interreligioso tende a sviluppare una corretta conoscenza reciproca e a stabilire relazioni amichevoli, in modo da favorire il progresso spirituale di ciascuno. Alimenta nei non cristiani un atteggiamento di apertura alla verità di Cristo; conduce i cristiani ad una più profonda comprensione del vangelo. È urgente soprattutto il dialogo dei cristiani con i seguaci delle altre religioni universali: induismo, buddhismo e islam.
[607] Mistero è il disegno salvifico di Dio che si rivela e si attua nella storia. Mistero pasquale è l’evento della passione, morte, risurrezione e glorificazione di Gesù Cristo, centro del disegno salvifico di Dio e della storia. Questo evento venne preparato e prefigurato nell’Antico Testamento; ora, compiuto una volta per sempre, rimane in eterno e viene ripresentato attraverso segni visibili nel tempo della Chiesa. La Chiesa lo annuncia con la parola e lo celebra con la liturgia, perché i credenti siano conformati a Cristo ed egli si incarni ancora nella loro esistenza. Così la memoria narrata e quella rituale diventano memoria vissuta.
[608] Nella Chiesa, attraverso mediazioni umane, il Signore crocifisso e risorto viene a incontrare gli uomini, in maniera conforme alla loro condizione storica. Parla e chiama alla fede con la predicazione. Esercita il suo sacerdozio nel sacrificio eucaristico, nei sacramenti e in tutte le celebrazioni liturgiche, comunicando il suo Spirito.
Per quanto sta in lui, egli offre efficacemente la verità salvifica e la grazia santificante, per essere accolto e seguito in modo autentico dai fedeli. Per questo la predicazione della Chiesa, a livello di massima autorità e di impegno definitivo, è infallibile, e la liturgia nei sette sacramenti è di per se stessa comunicazione di grazia.
In questa sezione tratteremo della presenza del Signore Gesù nella proclamazione della Parola (capitolo 14); quindi nella liturgia globalmente considerata (capitolo 15) e nei singoli sacramenti, prima in quelli dell’iniziazione cristiana, battesimo, cresima ed eucaristia (capitolo 16), poi in quelli della guarigione spirituale, penitenza e unzione dei malati (capitolo 17), infine in quelli finalizzati allo sviluppo della vita comunitaria, ordine e matrimonio (capitolo 18).
609] Non si vive di solo pane. I credenti vivono della parola di Dio, consegnata una volta per sempre nella Sacra Scrittura e attualizzata incessantemente dallo Spirito di verità mediante la Tradizione viva della Chiesa. Dall’ascolto assiduo, attento e devoto di essa prendono forza e orientamento l’annuncio, la preghiera e l’impegno cristiano.
Parola viva ed efficace
[610] Oggi la parola è inflazionata nel chiasso della pubblicità e della propaganda, nel vuoto di tanti discorsi e scritti; perciò la sua reputazione è in ribasso. Si sente dire: «Contano i fatti e non le parole». Ma è veramente così? La parola non è solo informazione: è comunicazione e azione. Provoca gioia e dolore, amicizia e ostilità, reazioni e iniziative. La sua forza costruisce e distrugge, unisce e divide; fa andare avanti la storia non meno dei fatti economici e tecnici.
A maggior ragione è attiva e feconda la parola di Dio che crea, libera, santifica, giudica e sconvolge. «La mia parola non è forse come il fuoco e come un martello che spacca la roccia?» (Ger 23,29). «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,... così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11). «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12).
CCC, 65
[611]  La parola di Dio è Dio stesso che si rivela e si dona nella storia degli uomini, fino a comunicarsi personalmente in Gesù di Nàzaret. Gesù è la Parola eterna e creatrice di Dio fatta carne
nota
Cf. Gv 1,1-18.
e dice parole che «sono spirito e vita» (Gv 6,63): risana i malati, apre gli occhi ai ciechi, risuscita i morti, converte i peccatori, chiama i discepoli, promette e dona lo Spirito Santo.
Secondo gli Atti degli apostoli, la Parola, colma di Spirito Santo, porta avanti il cammino della Chiesa: cresce, si rafforza e si diffonde. I protagonisti umani sono i suoi servitori
nota
Cf. At 6,2-4.
e si affidano ad essa «che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32). I servitori possono essere fermati e messi in catene, ma la Parola «non è incatenata» (2Tm 2,9) e corre.
Questa Parola non è solo una notizia riguardante la salvezza, ma è parte integrante dell’avvenimento stesso della salvezza; non solo ha per contenuto Cristo morto e risorto, ma prima ancora è Cristo stesso, che parla attraverso i suoi inviati: «Mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo» (2Cor 2,17). I discepoli continuano a predicare e a insegnare in suo nome e con la sua presenza
nota
Cf. Mt 28,20.
.
Rivelazione attualizzata
[612]  Il cristianesimo non è la religione di un libro, per quanto sacro possa essere, ma la religione «della Parola incarnata e vivente»
nota
San Bernardo di Chiaravalle, Lodi alla Beata Vergine Maria che riceve l’annunzio, 4, 11.
.
Nella Chiesa «Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il vangelo»
nota
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 33.
. Lo fa attualizzando incessantemente la rivelazione compiuta «una volta per sempre» e consegnata alla Sacra Scrittura e alla Tradizione della fede
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 7.
. Quando nella Chiesa sotto la guida dei pastori si legge e si interpreta correttamente la Sacra Scrittura, il Cristo risorto rivolge ancora la sua parola agli uomini, una parola viva, come risuscitata dal libro, carica della forza dello Spirito Santo
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 7.
. Non insegna solo una dottrina, ma realizza un incontro e un evento di grazia: suscita la fede; rigenera chi ascolta
nota
Cf. 1Pt 1,23.
e lo fa passare «dalla morte alla vita» (Gv 5,24); raduna il popolo di Dio e lo conduce per le sue vie
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 4.
.
CCC, 79CCC 108CCC 1084CdA, 58
CONFRONTAVAI
[613]  Attraverso la Parola e i sacramenti, debitamente accolti, il Signore conforma a sé i credenti e viene a vivere in loro, prolungando in qualche modo la sua incarnazione. Con la Parola fa risplendere davanti al loro sguardo la propria immagine e li attrae a sé. Con i sacramenti ristruttura la loro esistenza secondo la medesima immagine e li unisce a sé. La sua verità e la sua grazia sono ugualmente necessarie per edificare la vita cristiana.
CdA, 607-608
CONFRONTAVAI
[614] La parola di Dio è viva ed efficace: convoca la Chiesa, genera i cristiani. La Parola proclamata nella Chiesa non solo ha come contenuto centrale il Signore crocifisso e risorto, ma è il Signore stesso che parla e fa risorgere a nuova vita.
La Sacra Scrittura norma della fede
[615]  Molti, anche praticanti, si considerano cattolici, ma a modo 14-294.pngproprio. Non si curano seriamente della parola di Dio. Ignorano la Sacra Scrittura, oppure ne danno un’interpretazione individuale o di gruppo, senza tener conto dell’interpretazione autentica del magistero ecclesiale. Invece, chiamato a vivere la fede, il cristiano ha bisogno di leggere il libro sacro e di leggerlo in accordo con la Chiesa.
Infallibilità della Chiesa
[616]  La fede della Chiesa riconosce nella Scrittura la propria norma e ad essa si sente vincolata; tuttavia, come a suo tempo ne ha fissato il canone, l’elenco dei libri sacri, così in ogni epoca si sente autorizzata a interpretarla, perché sa di essere animata dal medesimo Spirito Santo, che ne è l’autore
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 12.
. Gesù si è impegnato ad accompagnare «fino alla fine del mondo» (Mt 28,20) gli annunciatori del vangelo, da lui stesso inviati, tanto che «chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16); ha assicurato per sempre l’assistenza dello Spirito Paraclito, per condurre i discepoli «alla verità tutta intera» (Gv 16,13) e sostenere la loro testimonianza di fede. Perciò la Chiesa, fin dalle origini, è convinta di possedere questa presenza del Signore risorto e del suo Spirito, che fa di lei la «colonna» e il «sostegno della verità» (1Tm 3,15) e consente ai suoi pastori di guidare i fratelli «all’unità della fede e della conoscenza» (Ef 4,13) e di custodire inalterato il «deposito» (2Tm 1,14) della dottrina cristiana. Di fatto, pur avendo commesso errori in altri campi, mai si è contraddetta nella dottrina della fede, in mezzo a tanti sconvolgimenti storici.
[617] La verità è un dono che la Chiesa riceve dal Signore; non è motivo di vanto, ma di umile gratitudine e grave responsabilità. Gesù Cristo non si è limitato a parlare una volta per sempre nel lontano passato, ma riprende la stessa parola e l’attualizza incessantemente con la luce del suo Spirito, attraverso mediazioni umane. Non abbandona il suo messaggio alle fragili risorse della ricerca umana, ma garantisce e offre lui stesso, infallibilmente, la verità salvifica, come attraverso i sacramenti offre la grazia santificante, indipendentemente dalla dignità morale del ministro. Senza questa garanzia i credenti rischierebbero di smarrire l’oggettività e l’integrità della rivelazione; finirebbero per ridurre Dio alla misura della loro esperienza e per credere più a se stessi che a lui. È possibile essere cristiani solo ricevendo in dono la verità e la grazia che sono tra loro complementari.
Il comune senso della fede
[618]  «Dove è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio è la Chiesa ed ogni grazia. E lo Spirito è la verità»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 24, 1.
. Nella continuità della tradizione vivente, tutto il popolo di Dio - papa, vescovi, sacerdoti e laici - fa esperienza spirituale della Parola e, quando è concorde nel ritenere una verità come rivelata, «non può sbagliarsi nel credere»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12.
, a motivo del comune senso della fede che gli è dato per grazia.
Il compito dei teologi
[619] All’interno del popolo di Dio e al suo servizio i teologi hanno la funzione di ricercare un’intelligenza sempre più profonda della rivelazione, in accordo col magistero dei pastori e in armonia con le istanze della ragione e con le acquisizioni delle varie discipline scientifiche.
Il Magistero
[620]  Il collegio dei vescovi, presieduto dal papa, ha l’ufficio di garantire 14-295.pngla tradizione autentica della fede e di guidare il popolo dei credenti; per questo ha ricevuto in modo speciale «il carisma sicuro della verità»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 26, 2.
e non può sbagliare quando è unanime nell’insegnare la verità rivelata, sia che si trovi disperso su tutta la terra, sia che si trovi solennemente riunito in concilio ecumenico
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 25.
.
Il papa per volontà di Cristo deve confermare i fratelli ed essere “roccia” di sostegno per la Chiesa; perciò è infallibile anche da solo, quando come maestro universale della fede definisce la dottrina da credere.
CCC, 888-892CdA, 60
CONFRONTAVAI
[621]  Accanto all’insegnamento definitivo e infallibile, vi è un 14-296.pnginsegnamento ordinario non definitivo del papa e dei vescovi in materia di fede e di agire morale, che ha lo scopo di guidare il popolo di Dio verso una profonda comprensione e una coerente prassi cristiana. Anche questo insegnamento ordinario non definitivo gode di una particolare assistenza divina. Esige un assenso interiore, non però un’adesione totale di fede come il precedente.
Sacra Scrittura, Tradizione, magistero dei vescovi e del papa sono congiunti insieme «sotto l’azione del medesimo Spirito Santo»
nota
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10.
. Il Magistero è l’interprete autentico posto a servizio della Scrittura e della Tradizione: piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone la verità di Dio contenuta in esse
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10.
.
Le formule dogmatiche
[622]  Nel procedere della storia, davanti a situazioni e a problemi sempre nuovi, la Chiesa deve ripensare e riformulare continuamente la sua dottrina, proprio per rimanere fedele al messaggio originario, sperimentarne la fecondità, comprenderne altri aspetti. A quest’opera incessante di ricerca e di interpretazione contribuiscono il magistero dei pastori, lo studio dei teologi e la fede di tutti. In alcuni momenti si avverte la necessità, o almeno l’opportunità di nuove formule di fede, per riassumere il nucleo centrale del messaggio di salvezza o per precisarne qualche aspetto. Si fissano così i dogmi della Chiesa, non come aggiunte indebite alla parola di Dio, ma come interpretazioni ufficiali e infallibili di essa, punti sicuri di riferimento per poter proseguire il cammino verso una comprensione sempre più ricca del mistero vivo e inesauribile, senza deviazioni, tentennamenti e ricadute all’indietro. I dogmi sono offerta efficace di verità, come i sacramenti sono offerta efficace di grazia. È vero che l’atto di fede «non si ferma all’enunciato, ma raggiunge la realtà»
nota
San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 1, a. 2 ad 2.
. Tuttavia è il linguaggio che indica la realtà e orienta la fede nella giusta direzione.
CdA, 306
CONFRONTAVAI
[623]  Le formule, vere e garantite dall’infallibilità, sono indispensabili, perché vi sia «una sola fede» (Ef 4,5) e un’autentica comunità di credenti e di testimoni. L’unità del pensiero e il comune linguaggio sono a servizio della comunicazione e condivisione della fede.
Per il carisma della verità, che le viene dal Signore risorto e dal suo Spirito, «ricevuto il messaggio della fede, la Chiesa, benché sparsa in tutto il mondo, lo conserva fedelmente come se abitasse una sola casa; vi crede concordemente come se avesse una sola anima e un solo cuore; e con armonia perfetta lo predica, lo insegna e lo trasmette come se avesse una sola bocca»
nota
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 1, 10, 1-2.
.
[624] In quanto segno efficace della salvezza, la Chiesa riceve dal Signore Gesù la luce dello Spirito Santo, che la conduce «alla verità tutta intera» (Gv 16,13), perché tutti i fedeli, guidati dal magistero dei pastori, possano giungere «all’unità della fede e della conoscenza», senza essere «portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini», e possano aderire sempre più a Cristo, «vivendo secondo la verità nella carità» (Ef 4,13-15).
Discepoli e testimoni della Parola
[625] La fede è una vittoria difficile, sempre rimessa in questione. La speranza spesso è contraddetta dall’esperienza. La carità può perdere facilmente il suo fervore. Dove attingere energia per la vita cristiana? Su quale fondamento edificare la comunità?
Il cristiano e la Chiesa nascono e crescono in virtù della parola di Dio e dei sacramenti. La Chiesa proclama e ascolta la Parola: vive di essa. La proclamazione assume forme diverse. Un primo annuncio del vangelo, incentrato sulla persona di Gesù Cristo e sul mistero pasquale, viene portato, in vista della conversione, a coloro che ancora non l’hanno conosciuto o sono rimasti indifferenti o increduli. Una catechesi più completa e sistematica viene proposta a quanti si mettono in cammino verso una fede più matura. Una liturgia della Parola costituisce la prima parte della santa Messa, centro di tutta l’esperienza cristiana. Anzi ogni celebrazione di sacramenti, di benedizioni, di liturgia delle ore riceve la sua impronta dalla parola di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura: «Da essa vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici e da essa prendono significato le azioni e i segni»
nota
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 24.
.
CCC, 1349
[626]  Attraverso testi redatti in tempi lontani, Dio ci rivolge adesso la sua parola. Ci ricorda le meraviglie compiute nell’Antico e nel Nuovo Testamento, perché vuole ancora agire nella stessa direzione. Ci ripropone la memoria di Cristo, per ricreare in noi i suoi atteggiamenti e prolungare, in certo modo, la sua incarnazione in virtù dello Spirito
nota
Cf. Ef 3,17.
.
La Parola scuote il nostro torpore, risponde alle nostre domande, allarga i nostri orizzonti, ci offre i criteri per interpretare e valutare i fatti e le situazioni. D’altra parte viene compresa sempre in modo nuovo. È come uno specchio, in cui ciascuno può scorgere la propria immagine e la propria storia
nota
Cf. Gc 1,23-25.
. «La Scrittura cresce con chi la legge»
nota
San Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, 1, 7, 8. Cf. Origene, I principî, 4, 2, 4; Smaragdo, Diadema dei monaci, 3.
.