CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
A
Abbà, Aborto, Abramo, Adorazione, Adulterio, Aldilà, Alleanza, Ambiente, Amore, Anàmnesi, Angeli, Angoscia, Anima, Anno liturgico, Annuncio, Antico Testamento, Anziani, Apostolato, Apostoli, Apparizioni, Armi, Arte, Ascensione, Ascesi, Assemblea, Associazioni ecclesiali, Assoluzione, Ateismo, Attrizione, Autoerotismo, Autorità, Avvento, Azione Cattolica,
B
C
Canone biblico, Carattere sacramentale, Carisma, Carità, Castità, Catechesi, Catechismo, Catecumenato, Cattolico, Celibato, Cena, Chiesa, Cibo, Civiltà cristiana, Collegialità episcopale, Collettivismo, Comandamenti, Comunicazione, Comunione, Comunità, Concilio, Concupiscenza, Confermazione, Confessione, Conoscenza di Dio, Consacrazione, Consigli evangelici, Contraccezione, Contrizione, Conversione, Coppia, Corpo, Coscienza, Creazione, Credo, Cresima, Criminalità, Cristo, Critica, Croce, Culto, Cultura, Cuore,
Canone biblico
Carattere sacramentale
Carisma
Carità
Castità
Catechesi
Catechismo
Catecumenato
Cattolico
Celibato
Cena
Chiesa
Carattere sacramentale
Carisma
Carità
Castità
Catechesi
Catechismo
Catecumenato
Cattolico
Celibato
Cena
Chiesa
Cibo
Civiltà cristiana
Collegialità episcopale
Collettivismo
Comandamenti
Comunicazione
Comunione
Comunità
Concilio
Concupiscenza
Confermazione
Confessione
Civiltà cristiana
Collegialità episcopale
Collettivismo
Comandamenti
Comunicazione
Comunione
Comunità
Concilio
Concupiscenza
Confermazione
Confessione
Conoscenza di Dio
Consacrazione
Consigli evangelici
Contraccezione
Contrizione
Conversione
Coppia
Corpo
Coscienza
Creazione
Credo
Cresima
Consacrazione
Consigli evangelici
Contraccezione
Contrizione
Conversione
Coppia
Corpo
Coscienza
Creazione
Credo
Cresima
D
E
F
G
I
Idolatria, Illuminismo, Imitazione, Immagini sacre, Immortalità, Impegno, Impresa, Impurità, Incarnazione, Incesto, Indissolubilità, Individuo, Induismo, Indulgenze, Infallibilità, Inferi, Infermi, Inferno, Iniziazione cristiana, Inquinamento ambientale, Intenzione fondamentale, Intercessione, Interpretazione, Invocazione, Islam, Ispirazione, Israele, Istituti secolari,
L
M
Maestro, Magistero, Malattia, Male, Marana tha, Maria, Martirio, Masturbazione, Materia, Materialismo, Matrimonio, Mediazione, Meditazione, Memoriale, Mente, Meriti, Messa, Messia, Ministeri, Ministro, Miracoli, Misericordia, Missione, Mistero, Mistica, Monachesimo, Mondo, Monoteismo, Morale, Morte, Movimenti,
N
O
P
Pace, Padre, Paolo, Papa, Parabole, Paradiso, Parola, Parrocchia, Parusia, Pasqua, Passione, Pastori, Pazienza, Peccato, Pelagianesimo, Pena, Penitenza, Pentecoste, Perdono, Persecuzione, Persona, Piacere, Pietro, Pluralismo, Poligamia, Politeismo, Politica, Popolo, Possessione, Povertà, Predestinazione, Predicazione, Preghiera, Presbitero, Presenza, Primato, Processo, Procreazione responsabile, Profeta, Progresso, Proprietà, Prostituzione, Provvidenza, Prudenza, Pudore, Purgatorio, Purificazione, Puro,
Pazienza
Peccato
Pelagianesimo
Pena
Penitenza
Pentecoste
Perdono
Persecuzione
Persona
Piacere
Pietro
Pluralismo
Peccato
Pelagianesimo
Pena
Penitenza
Pentecoste
Perdono
Persecuzione
Persona
Piacere
Pietro
Pluralismo
Poligamia
Politeismo
Politica
Popolo
Possessione
Povertà
Predestinazione
Predicazione
Preghiera
Presbitero
Presenza
Primato
Politeismo
Politica
Popolo
Possessione
Povertà
Predestinazione
Predicazione
Preghiera
Presbitero
Presenza
Primato
Processo
Procreazione responsabile
Profeta
Progresso
Proprietà
Prostituzione
Provvidenza
Prudenza
Pudore
Purgatorio
Purificazione
Puro
Procreazione responsabile
Profeta
Progresso
Proprietà
Prostituzione
Provvidenza
Prudenza
Pudore
Purgatorio
Purificazione
Puro
R
S
Sacerdozio, Sacramentali, Sacramenti, Sacrificio, Salario, Salmi, Salute, Salvezza, Santi, Santità, Sapienza, Satana, Scienza, Scrittura Sacra, Scuola, Segno, Sentimenti, Servizio, Sessualità, Signore, Simbolo, Sindacato, Società, Soddisfazione, Sofferenza, Solidarietà, Sopravvivenza, Speranza, Spirito Santo, Spiritualità, Sport, Sposi, Stati di vita, Stato, Storia, Successione apostolica, Suffragi, Suicidio, Superstizione,
T
V
Z
Catechismo degli Adulti
Chiesa
409-795
, 205
, 416-419
, 429-431
, 80
, 251
, 641
, 421-425
, 426-428
, 558-606
, 559-564
, 565-572
, 573-580
, 429-430
, 454
, 436-437
, 454-455
, 482-483
, 496-557
, 497-498
, 499-501
, 747
, 502-509
, 511-525
, 526-530
, 526-534
, 535-541
, 542-557
, 739-755
, 429-431
, 432-435
, 436-437
, 748-750
, 742-743
, 752-755
, 607-662
, 455
, 456-457
, 458
, 439-449
, 460-469
, 581-606
, 450-453
, 484-485
, 486-488
, 489-491
, 492-494
, 1086-1111
, 756-795
, 754
, 771
, 785
, 785-788
, 789
, 58
, 81
, 60
, 70
, 615
, 616-618
, 622-623
, 1071-1072
, 1073
, 1175-1176
VEDI ANCHE
[410] Il libro degli Atti degli apostoli racconta l’ascensione visibile di Gesù al cielo, come una svolta nella storia della salvezza.
Il Signore risorto scompare agli occhi dei discepoli: «Una nube lo sottrasse al loro sguardo» (
At 1,9
). A Gerusalemme, in questo momento, cessa la sua presenza visibile, la sua vicenda storica personale. E da Gerusalemme parte il cammino della Chiesa, secondo il programma tracciato da lui stesso: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra» (
At 1,8
).
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[411] Ricevuto il dono promesso, i discepoli gli danno testimonianza, non come a un personaggio defunto, relegato nel passato, ma come a un vivo, risorto dalla morte e presente ancora nella storia degli uomini, sia pure in modo diverso. Anzi sono convinti che attraverso i suoi inviati è lui stesso, il Messia-Servo, ucciso dagli uomini e glorificato da Dio, a comunicare la salvezza a tutte le nazioni, secondo l’antica profezia: «Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (
Is 49,6; cf. At 13,4726,23). Lo Spirito Santo non viene a supplire la sua assenza, ma ad attuare la sua nuova presenza. Con il dono dello Spirito e la missione della Chiesa, egli rimane nella storia, per attirare gli uomini a sé e ricondurli al Padre. Il tempo della Chiesa, che è anche tempo dello Spirito, trova così la sua collocazione tra la risurrezione di Cristo e la risurrezione universale.
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[412] Ma il mistero della Chiesa è in qualche modo presente in tutta la storia. Essa infatti è progettata nell’eterno disegno del Padre; è prefigurata fin dall’origine del mondo, in quanto tutto è orientato a lei; è preparata nell’Antico Testamento; è fondata da Gesù Cristo nella pienezza dei tempi; è manifestata pubblicamente mediante il dono pentecostale dello Spirito Santo; si compirà nella gloria eterna.
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[413] Ora presenteremo la Chiesa come popolo di Dio degli ultimi tempi, radunato da Gesù Cristo e animato dallo Spirito Santo (capitolo 11). Tratteremo la varietà dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni e, in particolare, la distinzione dei fedeli in tre stati di vita: ministri ordinati, laici, persone di vita consacrata (capitolo 12). Esporremo la missione della Chiesa a servizio del regno di Dio, da accogliere, annunciare, celebrare e testimoniare (capitolo 13). | |
[414] Il Signore Gesù raduna i suoi discepoli nella Chiesa, comunità storica vivificata dallo Spirito, segno pubblico ed efficace del regno di Dio e della salvezza, popolo della nuova alleanza aperto a tutte le genti, santa e bisognosa di purificazione, una su tutta la terra e presente nella molteplicità delle Chiese particolari, fedele all’eredità apostolica e inesauribilmente creativa in culture ed epoche diverse.
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[415] Nel nostro paese molti si dichiarano cattolici per tradizione culturale, perché la Chiesa è “l’agenzia del sacro” più autorevole. Molti vedono la comunità cristiana come un fatto sociale positivo, perché svolge un’importante azione educativa e assistenziale. Nello stesso tempo, però, non la ritengono necessaria per il loro rapporto con Dio. L’individualismo religioso è molto diffuso. Ma è giusto considerare la Chiesa come una realtà semplicemente umana? Occorre ricercare la sua origine e il segreto della sua vitalità.
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Nasce il popolo messianico
[416]
Durante la vita pubblica, Gesù di Nàzaret ha avviato con i discepoli un’esperienza di comunione e di missione
Sono pochi: gli apostoli, i parenti, alcune donne, altri seguaci; in tutto, dice l’evangelista Luca, circa centoventi persone. Eppure sono persuasi che da loro sta ripartendo il raduno dell’Israele degli ultimi tempi
| CdA, 200-205 CONFRONTAVAI |
[417]
Viene il giorno di Pentecoste: festa della mietitura, in cui si offrono al tempio le primizie del raccolto, ma soprattutto festa dell’alleanza, in cui si celebra la legge data da Dio attraverso Mosè. Quanto accade in questo giorno ai seguaci di Gesù, viene narrato come una teofania, simile a quella del monte Sinai
Severiano di Gabala, Commento agli Atti degli apostoli, 2, 1.
La nuova legge dello Spirito è vita in Cristo, energia di amore, luce di sapienza, varietà di doni, prima ancora di essere comandamento. Consacra i discepoli di Gesù come assemblea della nuova alleanza, germoglio del popolo di Dio radunato negli ultimi tempi, secondo le promesse e le attese.
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[418]
Il popolo messianico nasce aperto a tutte le genti. Il gruppo originario narra «le grandi opere di Dio» (At 2,11), cominciando a «parlare in altre lingue» (At 2,4). Pietro fa risonare il primo annuncio del vangelo davanti a una folla di persone «di ogni nazione che è sotto il cielo» (At 2,5). Molti di loro accettano il messaggio e si fanno battezzare. È davvero la festa del raccolto! «Lo Spirito riconduceva all’unità le tribù separate e offriva al Padre le primizie di tutte le genti»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 17, 2. | |
Una perenne Pentecoste
[419]
A Pentecoste si completa la fondazione della Chiesa e si avvia la sua espansione. L’evento di quel giorno è un mistero perenne. La comunità cristiana vive e si rigenera incessantemente in una comunicazione di fede e di carità, attivata dallo Spirito Santo
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 24, 1. | |
Consacrati come Gesù
[421]
Nella teofania al fiume Giordano, Dio con l’effusione dello Spirito Santo ha consacrato e presentato pubblicamente Gesù di Nàzaret come Messia, per manifestare attraverso di lui la potenza misericordiosa del suo regno. Nella Pentecoste, Gesù, risorto dalla morte e costituito Messia e Signore nella pienezza del suo potere, consacra e presenta pubblicamente con il dono dello Spirito la comunità dei credenti come popolo messianico, per manifestare attraverso di essa l’efficacia della sua redenzione. Lo Spirito Santo ha condiviso la vicenda terrena di Gesù come «un compagno inseparabile,... una presenza continua»
San Basilio di Cesarea, Sullo Spirito Santo, 16. | CCC, 668-672 |
Regno di Dio e signoria di Gesù
[422] Gesù, mentre predicava il vangelo del Regno, perdonava i peccatori e guariva i malati: indicava così che il regno di Dio era già presente come germe di una salvezza completa, spirituale e corporea.
I discepoli, da parte loro, proclamano che Dio ha risuscitato Gesù, il Crocifisso, e lo «ha costituito Signore e Cristo» (At 2,36). Il cuore del loro messaggio e della fede cristiana è questo: Gesù è morto, è risorto, «è il Signore» (Rm 10,9). Ormai il regno del Padre si identifica con la signoria del Risorto: perciò Filippo in Samarìa reca «la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo» (At 8,12) e Paolo a Roma incontra la gente «annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo» (At 28,31).
Come quella del Maestro anche la predicazione dei discepoli si mostra efficace, operando conversioni e guarigioni in gran numero. I miracoli, uniti all’annuncio del vangelo, manifestano lo Spirito Santo, dato alla Chiesa come primizia della salvezza totale; nello stesso tempo indicano che Gesù è veramente risorto e continua ancora a operare attraverso i suoi inviati.
| CdA, 208 CONFRONTAVAI CdA 211 CONFRONTAVAI CdA 262 CONFRONTAVAI |
[423]
Il primo miracolo che viene narrato dagli Atti degli apostoli è la guarigione dello storpio che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del tempio di Gerusalemme: «Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina. Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio» (At 3,3-8).
Il miracolo attira la folla. Pietro allora prende la parola e spiega: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?... Il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete» (At 3,1216). Successivamente Pietro e Giovanni vengono arrestati e portati davanti al sinedrio, il tribunale supremo. E lì Pietro ribadisce con forza: «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,1012).
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[424] Le conversioni e i miracoli, che accompagnano la predicazione degli apostoli e dei loro collaboratori, attestano tangibilmente che il regno di Dio coincide con la presenza del Signore risorto e che questa coincide con il dono dello Spirito Santo. Come Dio, Re e Padre, si rendeva visibile attraverso Gesù, così il Signore Gesù si rende visibile attraverso la comunità dei credenti, animata dal suo Spirito.
| CdA, 191 CONFRONTAVAI |
Il tempo della Chiesa
L’evangelista Luca distingue il tempo della preparazione, in cui sono in vigore «la Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16,16), il tempo dell’attuazione «in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi» (At 1,21), il tempo della Chiesa, dall’ascensione di Gesù alla sua ultima venuta gloriosa, in cui la salvezza viene diffusa e testimoniata «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Paolo conosce un tempo tra la risurrezione di Cristo e il compimento totale, durante il quale le potenze ostili vengono sottomesse
Secondo Matteo, Gesù stesso prevede un futuro, in cui «molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe» (Mt 8,11); sarà anche stagione in cui la zizzania crescerà insieme al grano in attesa della mietitura
Analogamente, secondo Giovanni, il Maestro preannuncia che lo Spirito e i discepoli gli renderanno testimonianza
| CdA, 202 CONFRONTAVAI |
La Chiesa segno e strumento
[426]
Nel Nuovo Testamento il regno di Dio, presente nella storia durante il tempo intermedio tra la Pasqua e la parusia, viene chiamato anche regno di Cristo
| CCC, 774-776 |
[427] Sebbene il Regno faccia germogliare grandi valori ovunque, solo nella Chiesa si rende apertamente visibile. Non è la fede della Chiesa che deve essere subordinata a criteri mondani, ma al contrario è il mondo che deve essere valutato in base all’insegnamento e all’esperienza di fede della Chiesa. Solo nella comunità dei credenti è possibile seguire Cristo in modo adeguato. Custodendo la testimonianza degli apostoli, essa offre la possibilità di conoscerlo fedelmente; celebrando i sacramenti, procura la possibilità di incontrarlo personalmente. A differenza di ogni altra aggregazione umana, non solo conserva la memoria del suo fondatore, ma nello Spirito mantiene un contatto vivente con lui e da lui continua a ricevere luce.
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L’esperienza originaria
[429]
Lo Spirito Santo riunisce i credenti nella Chiesa. L’amore del Padre, rivelato dal Figlio morto e risorto, viene comunicato ai discepoli, perché diventino la famiglia di Dio, inviata al mondo come segno tangibile della sua vicinanza.
Nel giorno stesso di Pentecoste si forma la prima comunità, quella di Gerusalemme, madre e modello di tutte le altre che seguiranno. Secondo il racconto di Luca, la sua crescita è prodigiosa. Ancor più mirabile appare il quadro della vita comunitaria, sebbene non manchi il comportamento indegno di qualche membro.
I credenti sono «assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Ascoltano e meditano la parola di Dio. Lodano e ringraziano continuamente il Signore; invocano il suo aiuto nelle difficoltà. Celebrano il mistero della morte e risurrezione di Cristo con l’eucaristia, ripetendo il gesto da lui compiuto nell’ultima cena. Stanno volentieri insieme; si fanno carico dei servizi necessari; condividono i beni materiali, con libertà e generosità, continuando l’esperienza già fatta da alcuni di loro insieme a Gesù. Portano ovunque la loro coraggiosa testimonianza, suscitando la simpatia del popolo e l’ostilità della classe dirigente, specialmente di quella di orientamento sadduceo. Gli apostoli, e particolarmente Pietro, svolgono, con autorità e semplicità, un compito prezioso di guida e di animazione
| CCC, 1342CCC 2623-2624CCC 770-771 |
Identità visibile della Chiesa
[430] Si tratta di un’esperienza storica irripetibile, in cui però è delineata la figura essenziale di ogni vera comunità cristiana: comunità concreta di credenti in Cristo, uomini in carne ed ossa, santi e peccatori, riuniti sotto la guida dei pastori, nella condivisione di beni spirituali e materiali, dove il mistero pasquale del Signore è proclamato con la predicazione, attualizzato nell’eucaristia e negli altri sacramenti, vissuto nella carità.
Per essere riconoscibile come segno davanti al mondo, la Chiesa deve possedere una precisa identità visibile; deve configurarsi come comunità di fede, di culto e soprattutto di rapporti fraterni: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Perciò l’ordinamento e la prassi comunitaria seguiranno criteri diversi rispetto agli altri gruppi umani: adesione libera
Nella misura in cui assumerà questi lineamenti, la comunità cristiana contribuirà efficacemente a costruire la pace sulla terra e sarà immagine credibile della comunione trinitaria delle persone divine: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).
| CCC, 812 |
[431] Figura esemplare della Chiesa è la prima comunità di Gerusalemme, in cui i cristiani «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42).
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Rilettura della storia
[432]
Negli Atti degli Apostoli i discorsi, attribuiti a Pietro, a Paolo e ad altri personaggi, occupano un terzo del libro: si può intuire quanto sia importante la loro funzione. In essi risuona la voce profetica della Chiesa nascente, che animata dallo Spirito Santo interpreta la storia nella prospettiva della Pasqua di Cristo. Le vicende di Israele, gli avvenimenti della vita di Gesù, i primi passi della comunità cristiana vengono collegati in una visione coerente, di grande respiro, e proiettati verso il futuro; si delinea così il ruolo della Chiesa nella storia della salvezza, la sua posizione rispetto a Israele.
| CCC, 59-64CCC 839-840 |
Israele
[433]
Dio ha voluto avere un popolo santo in mezzo ai popoli della terra
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La Chiesa definitivo popolo di Dio
[434]
I primi seguaci di Gesù sono convinti di essere il definitivo Israele, che lo Spirito di Dio ha riunito e santificato, dando compimento alle antiche profezie e a una lunga preparazione
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[435]
Sebbene nuova sia l’alleanza, di cui Cristo è mediatore
Israele è “la radice santa”, dalla quale si sviluppa il cristianesimo; è “l’olivo buono”, sul quale vengono innestati i pagani, perché portino frutto. Gesù rimane il Messia di Israele
Se già nell’antica alleanza Israele ha ricevuto il nome di assemblea di Dio, a maggior ragione merita questo nome il definitivo popolo di Dio. “Chiesa” significa precisamente “assemblea”: assemblea radunata dal Padre intorno a Cristo con il dono dello Spirito, Chiesa «di Dio in Gesù Cristo» (1Ts 2,14).
La Chiesa è dunque la forma definitiva del popolo di Dio nella storia, capace di attirare tutte le genti. «La legge e la parola sono usciti da Gerusalemme... e noi ci siamo rifugiati presso il Dio di Israele. Sebbene fossimo esperti nella guerra, nell’assassinio, in ogni specie di mali, abbiamo trasformato le spade in aratri, le lance in falci; e ora costruiamo il timor di Dio, la giustizia, la solidarietà, la fede e la speranza»
San Giustino, Dialogo con Trifone, 18, 2-3. | |
Santità e peccato nella Chiesa
[436]
La Chiesa è il popolo santo, consacrato da Dio. Il suo capo, Cristo, la unisce a sé e la vivifica con il dono dello Spirito; la rigenera incessantemente con la sua parola e i sacramenti; le comunica la forza della carità, partecipazione alla vita stessa di Dio, che abilita a praticare la nuova giustizia, prospettata nel discorso della montagna.
Tutti i cristiani sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità. Non si tratta semplicemente di un’esortazione o di un dovere, ma di «un’insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 16. | |
[437]
Tuttavia la Chiesa include anche i peccatori; «è santa e insieme bisognosa di purificazione»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8. Cf. San Giustino, Dialogo con Trifone, 110, 1-2. La risposta è che la Chiesa, pur essendo la forma autentica e definitiva del popolo di Dio, è ancora in cammino nella storia. Sebbene per l’assistenza dello Spirito Santo sia preservata da una defezione totale, è ancora soggetta nei suoi membri alla tentazione di voltare le spalle a Dio, come lo fu Israele in cammino nel deserto. La Chiesa non è il Regno compiuto; è solo il segno, lo strumento e il germe di esso.
| |
[438] La Chiesa è la forma definitiva del popolo di Dio nella storia. Sebbene segnata dai peccati dei suoi membri, è «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1Pt 2,9).
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Una lunga separazione
[439]
Secondo gli Atti degli apostoli, Gesù risorto, attraverso i suoi discepoli, fa un ultimo tentativo di radunare intorno a sé l’intero Israele, per attirare poi anche i pagani.Alla gente di Gerusalemme, sbalordita per la guarigione dello storpio, Pietro dice: «Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l’ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione e perché ciascuno si converta dalle sue iniquità» (At 3,26).
Il tentativo all’inizio sembra riuscire con la crescita prodigiosa della comunità cristiana di Gerusalemme. Ma il successo non dura a lungo. Si diffonde un clima di ostilità. Le conversioni degli ebrei diminuiscono; si moltiplicano invece quelle dei pagani. Ad Antiòchia di Pisidia, Paolo e Barnaba così si rivolgono ai propri connazionali: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani» (At 13,46).
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[440]
Davanti alla predicazione di Gesù e degli apostoli, Israele si divide: quelli che credono, entrano nella nuova alleanza e costituiscono il nucleo iniziale della Chiesa; gli altri formano l’«Israele secondo la carne» (1Cor 10,18). Progressivamente la frattura si allarga. Dapprima i seguaci di Gesù, chiamati «nazorei» (At 24,5), vengono considerati una nuova setta dentro il giudaismo. Poi appaiono all’opinione pubblica come una setta mista di ebrei e greci, e ad Antiòchia, per la prima volta, sono chiamati «cristiani» (At 11,26). Ben presto, già al tempo di Nerone, vengono senz’altro identificati come una nuova religione, diversa dall’ebraismo e presa subito di mira con una sanguinosa persecuzione. Verso la fine del I secolo e l’inizio del II si accentua nei loro confronti l’aggressività degli ambienti giudaici, con accuse presso le autorità romane e violenze
Cf. San Giustino, Prima apologia, 31, 5; 36, 3. D’altra parte nei secoli successivi, soprattutto durante il medioevo, si sviluppa nel mondo cristiano una mentalità ostile agli ebrei, considerati ingiustamente deicidi e maledetti da Dio, disprezzati e temuti per la loro diversità sociale, fatti oggetto di molti pregiudizi. Infine, alimentato da apporti culturali estranei al cristianesimo, spunta il moderno antisemitismo razzista.
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[441]
Il concilio Vaticano II ha riprovato severamente pregiudizi, ingiustizie e violenze del passato, cercando di avviare un nuovo rapporto tra cristiani ed ebrei: «Questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo. E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, come se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura... La Chiesa, che condanna tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei e spinta non da motivi politici ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque»
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 4. Tutti i peccatori, di tutti i tempi e di tutti i popoli, sono causa della morte di Gesù. La responsabilità storica della sua morte coinvolge solo una parte delle autorità ebraiche e degli abitanti di Gerusalemme di quel tempo; soprattutto vi hanno un ruolo decisivo anche le autorità romane. Immotivata è l’accusa di deicidio, proprio perché la condanna di Gesù partiva dal mancato riconoscimento della sua divinità.
Nessun testo della Scrittura giustifica poi l’affermazione che Dio abbia maledetto il popolo ebraico; al contrario, i doni e l’elezione di Israele sono irrevocabili: «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio» (Rm 11,2).
La Chiesa condanna tutte le forme di persecuzione degli ebrei nella storia, fino allo sterminio programmato di cui sono stati vittime nel XX secolo. Il rifiuto di ogni discriminazione e il riconoscimento delle responsabilità, anche dei cristiani, sono il presupposto per impedire il diffondersi dell’antisemitismo e per aprirsi ad una reciproca comprensione.
| CCC, 595-598 |
Parentela spirituale
[442]
La necessità di un dialogo, amichevole e costruttivo, trova fondamento non solo nel rispetto dovuto a ogni persona umana, ma anche nel particolare legame che unisce le due religioni, legame di vera parentela spirituale. Il cristianesimo ha le sue radici nell’ebraismo: la fede cristiana ha ereditato l’Antico Testamento e continua a nutrirsi di esso; il Figlio di Dio si è fatto uomo ebreo, ha predicato agli ebrei e rimane per sempre ebreo; la prima Chiesa è nata ebrea e ha trasmesso alle generazioni successive numerosi elementi liturgici, istituzionali e spirituali di origine ebraica. Giustamente Giovanni Paolo II ha chiamato gli ebrei nostri «fratelli maggiori»
Giovanni Paolo II, Discorso alla comunità ebraica nella sinagoga di Roma, 13 marzo 1986. | |
[443]
Gli ebrei in gran parte non hanno accettato il vangelo; ma il ruolo di Israele permane nella storia della salvezza. Secondo l’immagine usata da Paolo, sono rami tagliati dall’olivo; ma rimangono della sua stessa natura, partecipano ancora della sua santità: «Sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,28-29).
L’antica alleanza «non è mai stata revocata»
Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica a Magonza, 17 novembre 1980. Giovanni Paolo II, Discorso ai rappresentanti della comunità ebraica dell’Alsazia a Strasburgo, 9 ottobre 1988. | |
Segno della fedeltà di Dio
[444]
Gli ebrei rimangono depositari e testimoni delle promesse di Dio
| CCC, 674 |
[445] C’è chi nelle persecuzioni subite dagli ebrei vuole vedere un castigo divino e una conseguenza dell’infedeltà all’alleanza. Una tale interpretazione potrebbe valere per la storia di ogni popolo. Non va dimenticato piuttosto che più volte gli ebrei vengono perseguitati per la loro fedeltà religiosa alla Legge e danno prova di coraggio fino al martirio. Bisogna piuttosto vedere in questa storia di sofferenza il segno della precarietà umana, che trova sostegno presso Dio. Già in epoca biblica questo piccolo popolo rischia ripetutamente di essere distrutto dai potenti vicini e ripetutamente, contro ogni ragionevole previsione, riesce a salvarsi: così con gli egiziani, con i filistei, con gli assiri, con i babilonesi, con Antioco Epìfane. Le aggressioni proseguono nei secoli della nostra èra. Non è possibile dimenticare le ribellioni duramente represse dai romani, i sanguinosi tumulti popolari antigiudaici nel medioevo, la cacciata dalla Spagna nel secolo XV, l’insurrezione cosacca nel secolo XVII, infine lo sterminio nazista di milioni di ebrei. Una tragica catena di violenze, una tradizione di martirio. È davvero sorprendente che sopravviva e conservi la propria identità una minoranza, privata della sua terra, dispersa in mezzo a molte nazioni, emarginata e perseguitata. La Bibbia, per quanto riguarda le crisi più antiche, attribuisce esplicitamente l’imprevedibile salvezza alla fedeltà di Dio: è da pensare la stessa cosa per quelle successive. Con la sua storia di passione, il popolo eletto partecipa al mistero del Cristo redentore e incarna emblematicamente la figura profetica del Servo che espia i peccati del mondo.
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Dialogo fraterno
[446] Il dialogo tra cristiani ed ebrei deve mirare innanzitutto a una migliore conoscenza reciproca, premessa indispensabile per la fiducia e la collaborazione. Noi cristiani dobbiamo considerare non solo l’antico Israele, ma anche gli sviluppi dell’ebraismo post-biblico: il giudaismo rabbinico e la sua feconda tradizione etica e giuridica; la Qabbalah, mistica dell’unità, in cui confluiscono speculazione cosmologica, allegoria biblica e attesa messianica; il chassidismo, religiosità semplice, intensa e gioiosa; infine le correnti moderne, come l’ebraismo ortodosso e quello riformato.
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[447]
La diversità va presa sul serio e rispettata. Ma ci dobbiamo anche rendere conto che il comune patrimonio spirituale è grande: un solo Dio, creatore, signore della storia, trascendente e presente
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[448] Motivo fondamentale di divisione rimane la diversa posizione riguardo al Messia. Per noi cristiani egli è già venuto in Gesù di N‡zaret; per gli ebrei non si è ancora manifestato. Tuttavia, gli uni e gli altri attendiamo una sua venuta futura al termine della storia. L’interpretazione cristiana dell’economia salvifica distingue la promessa, il compimento parziale e il compimento ultimo: sul primo e sul terzo di questi momenti è possibile trovare convergenze tra cristiani ed ebrei. Ampia soprattutto può essere la collaborazione nella prassi, per la promozione della giustizia e della pace. Per gli uni e per gli altri, pur con diversa consapevolezza, si tratta in definitiva di preparare l’umanità ad accogliere il Messia e il regno di Dio.
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Aperta ai popoli e alle culture
[450]
Alla sua prima uscita, nel giorno di Pentecoste, la Chiesa proclama «le grandi opere di Dio» (At 2,11) in molte lingue e riunisce nell’unica fede persone di varia provenienza
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[451]
Lo Spirito scardina le chiusure del particolarismo e apre orizzonti sempre più vasti. Approfitta della persecuzione, scatenata a Gerusalemme contro i cristiani di cultura greca, per seminare il vangelo tra i samaritani, emarginati e disprezzati dagli ebrei come eretici. Guidando i passi di Pietro alla casa del centurione romano Cornelio a Cesarea, rimuove le preclusioni che vietano la convivenza tra ebrei e pagani; persuade l’apostolo a battezzare quella famiglia, senza prima farla passare attraverso la circoncisione e l’osservanza della legge mosaica
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[452]
Una grave controversia si apre però nella Chiesa: per essere salvi, basta credere nel Signore e ricevere il battesimo nel suo nome oppure è necessario accettare anche la circoncisione e le osservanze giudaiche? È una questione decisiva per il futuro del cristianesimo. Per discuterla, si riunisce a Gerusalemme l’assemblea degli apostoli e degli anziani e, con l’illuminazione dello Spirito Santo, arriva alla giusta soluzione: non occorre né circoncisione né legge mosaica; tutti, ebrei e greci, senza alcuna differenza, vengono salvati soltanto per grazia, purché si convertano. Tuttavia, per favorire la convivenza tra le due componenti della Chiesa, l’assemblea chiede che si osservino, per il momento, alcune norme di “purità legale”
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[453]
Crollano le barriere; la via è aperta per la missione in Grecia e «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). L’unica fede potrà radicarsi in culture diverse, «poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6). La Chiesa loderà il Signore con le lingue di tutti i popoli e potrà accogliere i doni di una multiforme creatività, spirituale, culturale e sociale: «Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te... Verranno a te i beni dei popoli» (Is 60,4-5). Il genio e la natura di ciascun popolo potranno esprimersi nelle formulazioni diverse dell’unica fede, nei riti liturgici, nelle scelte pastorali, negli ordinamenti disciplinari, nelle forme di spiritualità, nelle creazioni artistiche, dando luogo a uno scambio incessante, per un arricchimento reciproco
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 22. | |
Una e cattolica
[454]
La Chiesa è una e universale. Tutti i cristiani, per quanto diversi tra loro, diventano «uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28) in virtù dello Spirito Santo. Questa moltitudine unificata è immagine visibile della Santa Trinità
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 1; 13.
L’universalità, o cattolicità, della Chiesa assume figura storica nella comunione visibile delle comunità cristiane esistenti e nella tensione missionaria a crearne di nuove, accogliendo in Cristo «tutta l’umanità e i suoi beni»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 13.
Le comunità sono nate come Chiese sorelle, con una fitta rete di rapporti reciproci. Hanno riconosciuto la presidenza della Chiesa di Roma, custode della comunione e garante della verità
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, Prologo. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 85. | CCC, 830-831CdA, 406 CONFRONTAVAI |
Universale e particolare
[455]
La Chiesa ha anche una dimensione particolare, ugualmente necessaria. Nel Nuovo Testamento la parola Chiesa serve per indicare sia la comunità dei credenti diffusa su tutta la terra, sia la comunità locale che risiede in una città, sia l’assemblea riunita materialmente in un luogo
È ovvio che Chiesa universale e Chiesa particolare sono rispettivamente il tutto e la parte sul piano sociologico esteriore. Non lo sono però interiormente, a livello profondo e misterioso. Qui c’è un’unica assemblea universale, perennemente riunita in quel tempio «non fatto da mani d’uomo» (Mc 14,58) che è il corpo glorioso di Cristo risorto. Tutti i cristiani, ovunque si trovino, sono uniti a Cristo e tra loro, in virtù dello Spirito Santo, «uno e identico»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 7.
In ogni Chiesa particolare «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica»
Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 11; cf.. Id., Lumen gentium, 26. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 25. | CCC, 832-835 |
La diocesi
[456]
Chiesa particolare in senso pieno è la diocesi, descritta dal concilio Vaticano II come «una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali di un vescovo coadiuvato dal presbiterio, in modo che... costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una santa cattolica e apostolica»
Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 11.
Il mistero della Chiesa si manifesta e si fa presente in varie figure concrete: la parrocchia, l’assemblea liturgica, la comunità religiosa, la famiglia cristiana, «dove sono due o tre riuniti» (Mt 18,20) nel nome di Gesù. Ma propriamente solo la diocesi viene chiamata Chiesa particolare, perché solo essa è presenza e immagine adeguata della Chiesa universale, in quanto ne possiede tutti gli elementi costitutivi visibili: la parola della divina rivelazione, l’eucaristia, gli altri sacramenti e il vescovo, che è segno e presenza in senso pieno di Cristo pastore, successore degli apostoli e membro del collegio episcopale. Inoltre con la varietà dei carismi essa esprime pienamente la vita e la missione del popolo di Dio, inviato ad accogliere, purificare e santificare la popolazione di un territorio con tutte le dimensioni della sua umanità.
| CCC, 833 |
[457]
La diocesi non si riduce a una cornice giuridica e amministrativa, ma è vera comunità di credenti e deve esprimere la comunione anche a livello pastorale operativo. È necessario che «si favoriscano le varie forme di apostolato, e... se ne assicuri il coordinamento e l’intima unità sotto la guida del vescovo: di modo che tutte le iniziative e attività - di carattere catechistico, missionario, caritativo, sociale, familiare, scolastico e ogni altro lavoro mirante a fini pastorali - siano ricondotte a un’azione concorde, dalla quale sia resa ancor più palese l’unità della diocesi»
Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 17. La diocesi è dunque il fondamentale soggetto pastorale e missionario. Ad essa devono fare riferimento tutti i fedeli e le loro molteplici aggregazioni, quali le parrocchie, le comunità religiose, le associazioni, i movimenti, le piccole comunità, i gruppi. Concretamente il vescovo, con la cooperazione del presbiterio e con l’opportuna consultazione di altre componenti ecclesiali, stabilisce alcuni obiettivi, linee e impegni comuni, evitando però l’uniformità che tutto appiattisce, lasciando spazio alla creatività e originalità dei vari soggetti. Da parte loro, le aggregazioni di fedeli devono guardarsi dalla tentazione dell’autosufficienza e, pur attuando esperienze proprie di formazione e di apostolato, devono rimanere aperte al dialogo rispettoso e cordiale, lasciando spazio per momenti di incontro e di collaborazione con altre realtà ecclesiali. La carità esige sia che si valorizzino i carismi particolari sia che si costruisca una unità pastorale concreta a livello diocesano.
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La parrocchia
[458]
All’interno della diocesi ha grande importanza la parrocchia, comunità stabile di credenti idonea a celebrare l’eucaristia, guidata da ministri ordinati in qualità di collaboratori del vescovo. È l’espressione «più immediata e visibile»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 42. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 27. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 27. Paolo VI, Discorso al clero romano, 24 giugno 1963. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26.
La parrocchia, in vista di una maggiore efficacia operativa, «può essere collegata con altre del medesimo territorio anche in forma istituzionale»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 26. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 51. La Chiesa è popolo e famiglia: vuole raccogliere in armonia tutte le voci, senza sminuire la loro originalità.
| CCC, 2179 |
[459] La Chiesa è una e universale, in quanto è chiamata ad essere immagine della Trinità divina e segno efficace di riconciliazione di tutte le cose in Cristo. Il mistero, uno e universale, della Chiesa è presente e si manifesta in ogni Chiesa particolare e nella comunione visibile di tutte le Chiese intorno a quella di Roma. Chiesa particolare in senso pieno è la diocesi, immagine completa della Chiesa universale con tutti gli elementi visibili costitutivi.
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L’unità ferita
[460]
L’unica Chiesa vive in molte Chiese, caratterizzate da varie esperienze spirituali, culturali e disciplinari. Ma ci sono anche diversità che non sono compatibili con l’unità. La piena unità della Chiesa non ammette divergenze riguardo alle verità della fede e ribellioni contrarie alla comunione gerarchica.
È doloroso rilevare come, a motivo dei peccati, dei dissensi teologici e dei condizionamenti psicologici, culturali e sociali, numerose divisioni segnino il cammino storico del cristianesimo. Ci limitiamo ad elencare quelle di maggior rilievo: i giudaizzanti estremisti degli inizi, lo gnosticismo, l’arianesimo, i manichei, i pelagiani, i nestoriani, i monofisiti, l’iconoclastia, la separazione della Chiesa d’oriente, gli albigesi, lo scisma d’occidente, la riforma protestante, gli anglicani, il giansenismo, i veterocattolici, i seguaci di Lefebvre. Molte di queste divisioni hanno esaurito da tempo il loro influsso; altre perdurano nelle comunità che ne sono derivate, tra le quali sono particolarmente importanti le Chiese ortodosse, quella anglicana e quelle protestanti. In Italia vivono piccole comunità ortodosse e protestanti. La più consistente numericamente è la Chiesa valdese, le cui origini risalgono al XII secolo.
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[461] Le responsabilità delle scissioni non sono facilmente individuabili. Di solito non appartengono a una parte soltanto. Spettano in maniera diversa alla prima generazione che dà l’avvio e alle successive che ne raccolgono l’eredità. Le cause appaiono complesse e non sono di ordine esclusivamente religioso. A volte esplodono aspre polemiche e perfino guerre. In ogni caso si tratta di esperienze tristissime, che feriscono ogni coscienza autenticamente cristiana.
Le divisioni tra i seguaci di Cristo contraddicono la loro partecipazione alla comunione trinitaria; pregiudicano la credibilità del vangelo, facendolo apparire un’utopia irrealizzabile; ostacolano l’azione missionaria tra i non cristiani, seminando confusione e scandalo; provocano l’indifferenza religiosa e l’emarginazione della fede dalla vita culturale e sociale. Oggi la loro gravità risalta ancor più, in un mondo in cui cresce l’interdipendenza e si fa urgente il bisogno di riconciliazione e di solidarietà.
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Verso la riconciliazione
[462] Provvidenzialmente alla stagione delle controversie è subentrata quella dell’ecumenismo, un grande dono dello Spirito Santo per il nostro tempo, un movimento in sicura crescita, specie dopo la fondazione del Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1948 e la celebrazione del concilio Vaticano II dal 1962 al 1965. Si tratta di una mentalità e di una prassi che comportano il rammarico per le divisioni in atto, l’attenzione a ciò che ancora unisce, l’impegno a restaurare la piena unità visibile, a pregare con perseveranza per ottenerla dal Signore, a collaborare nei comuni valori della fede e della promozione dell’uomo. Vi sono coinvolti pastori, teologi e fedeli, con i gesti ufficiali e solenni, con gli studi teologici, con i comportamenti quotidiani in famiglia, al lavoro, a scuola, in ogni ambiente.
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[463]
I cristiani divisi non sono del tutto separati; piuttosto hanno tra loro una comunione imperfetta
Cf. Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3.
Tuttavia non bisogna sottovalutare la divisione. Dio vuole la piena unità, visibile nella concretezza della storia, come segno efficace e profezia della riunificazione di tutto il genere umano. Cristo ha pregato per questa unità
Dobbiamo aprirci ad accogliere tutta la ricchezza della rivelazione trasmessa dagli apostoli. Non basta limitarsi a un minimo comune denominatore. Non ha senso il compromesso diplomatico: l’unità autentica si raggiunge solo nella verità. Occorre invece evidenziare le prospettive valide che si trovano in ciascuna tradizione. Ognuno ha qualche contributo da portare alla crescita comune verso la pienezza di Cristo: i cattolici il senso della storia e della comunità; gli ortodossi l’accentuazione della risurrezione, dell’escatologia e del ruolo dello Spirito Santo; i protestanti il primato della parola di Dio. Ognuno ha limiti, da cui liberarsi. Anche la Chiesa cattolica. Essa, certo, nella fede non ha mai errato e non può errare; possiede la piena unità visibile e tutti i mezzi di salvezza
Cf. Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 3-4. | |
Impegno ecumenico
[464]
La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra ogni anno dal 18 al 25 gennaio, ci ricorda che il primo contributo da dare all’ecumenismo è, insieme all’impegno per la propria santificazione, la preghiera assidua perché il Signore realizzi l’unità che egli vuole, nei tempi e con i mezzi che vuole: «Conversione del cuore e santità della vita insieme alle preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani si devono ritenere come l’anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale»
Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio, 8. | |
[465] Chi apre un dialogo autentico si lascia guidare dalla carità per le persone e dal desiderio di totale fedeltà al vangelo. Non mette in dubbio pregiudizialmente la sincera adesione a Cristo da parte dei fratelli di altre confessioni. Cerca di conoscerne in maniera non superficiale la storia, la dottrina, la psicologia religiosa, la vita spirituale e liturgica. Prende sul serio le divergenze, ben sapendo che soffrire per la disunione è più fruttuoso di una unità ambigua. Ha cura di far emergere le istanze valide, che di solito si nascondono anche nelle posizioni discordanti, ed è pronto ad accoglierle e valorizzarle.
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[466]
La conoscenza reciproca genera la fiducia e rende possibile la collaborazione. Malgrado le divergenze, a volte notevoli, in vari ambiti della morale personale e sociale, si può e si deve giungere ad un’intesa per quanto riguarda le numerose opere di giustizia e di carità. Occorre invece un più attento discernimento in campo pastorale e liturgico.
È bene procedere a un reciproco riconoscimento del battesimo, redigendo una dichiarazione comune. Quanto alla cresima, è da considerare valida quella conferita nelle Chiese ortodosse. L’eucaristia è il vertice della comunione ecclesiale e non può rappresentare una tappa intermedia del cammino ecumenico, ma solo un punto di arrivo. Perciò ai sacerdoti non è lecito concelebrare insieme a ministri di altre confessioni. Anche i fedeli, in circostanze ordinarie, devono rivolgersi ognuno alla propria comunità. Un sacerdote cattolico può dare ai fedeli non cattolici i sacramenti dell’eucaristia, della penitenza e dell’unzione degli infermi, a condizione che lo chiedano liberamente, professino la stessa fede riguardo al sacramento richiesto, abbiano le disposizioni convenienti, si trovino nell’impossibilità di avvicinare un loro ministro. Alle stesse condizioni un fedele cattolico può ricevere questi sacramenti da un sacerdote ortodosso.
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[467] Esigono una particolare attenzione dal punto di vista ecumenico i matrimoni “misti”, tra cristiani di diverse confessioni. Queste unioni sono oggi più diffuse che nel passato e vanno incontro a difficoltà e pericoli in quanto i coniugi non possono condividere pienamente la fede, la vita liturgica, l’educazione dei figli. Se però si riesce ad evitare l’indifferenza religiosa, offrono l’opportunità di crescere nel rispetto e nella comprensione delle diverse tradizioni e di approfondire l’esperienza di Dio. I cattolici devono impegnarsi a frequentare la propria Chiesa, a seguirne gli insegnamenti, a fare il possibile per battezzare ed educare in essa i figli. La celebrazione del matrimonio deve avvenire nella forma del rito cattolico, a meno che per serie ragioni non venga concessa la dispensa per celebrarlo con rito diverso.
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[468] A parte la disciplina dei sacramenti, l’accordo può riguardare formulari liturgici, libri di preghiere, ambienti e oggetti di culto. In particolare le traduzioni interconfessionali della Bibbia e la sua diffusione favoriscono l’ecumenismo e sono testimonianza di unità.
Valorizzare con gesti concreti gli elementi di unità esistenti, soffrire per le divergenze che ancora rimangono, confidare nella grazia del Signore: per queste vie matura l’unità, che è esperienza vissuta e dono di Dio.
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Fenomeno da non sottovalutare
[470] Il relativismo culturale del nostro tempo favorisce lo sviluppo di credenze vaghe e sincretiste; oppure, al contrario alimenta il bisogno di certezze dottrinali, di prospettive sicure e a breve termine sul futuro, di sottomissione a capi carismatici e appartenenza a qualche compatta aggregazione. L’isolamento e l’anonimato della società di massa spingono a cercare identità e protezione in gruppi ristretti, caratterizzati da calore umano, partecipazione attiva, valorizzazione delle doti di ognuno. La mentalità consumista e l’ansia esistenziale inclinano verso una sacralità emotiva e magica, che dia la possibilità di esperienze gratificanti, di benessere psichico e fisico.
In questo clima proliferano “nuovi movimenti religiosi”, quanto mai diversi tra loro, che per praticità vengono chiamati anche “sètte”, senza necessariamente voler loro attribuire la connotazione negativa che il termine suggerisce. Alcuni sono di matrice cristiana; spesso però con la pretesa di aver ricevuto nuovi messaggi rivelati. Altri derivano dalle religioni orientali, magari con apporto consistente di elementi presi dal cristianesimo e dalla cultura moderna. Altri attingono a tradizioni esoteriche.
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[471] In Italia queste formazioni religiose sono circa duecento e trovano il terreno preparato da un radicato anticlericalismo e dall’ignoranza religiosa, specialmente in campo biblico. Tra i più diffusi ci sono i testimoni di Geova, i mormoni, la chiesa dell’unificazione, la chiesa di scientologia, gli Hare Krishna, il “New Age” ossia “Nuova era”.
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[472] La Chiesa cattolica considera la crescita dei “nuovi movimenti religiosi” una seria sfida pastorale. Sente il dovere di mettere in guardia dalle conseguenze nocive che può produrre nelle coscienze il loro proselitismo, a volte aggressivo. Per dare risposta adeguata al bisogno di significato e di intensa esperienza spirituale, avverte l’urgenza di annunciare Gesù Cristo, unico salvatore dell’umanità, di offrire testimonianze coraggiose di carità, di proporre spazi di contemplazione e gioia spirituale. Per venire incontro al bisogno di appartenenza e di rapporti fraterni, intravede l’opportunità di promuovere piccole comunità, dove i singoli si sentano considerati, assumano dei compiti, trovino autorevoli guide spirituali.
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[473] Rispetto alla Chiesa cattolica e alle altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane i “nuovi movimenti religiosi” presentano una gamma di posizioni che va dal sincretismo, conciliante al punto da ammettere la doppia appartenenza, fino all’esclusivismo polemico.
Consideriamo brevemente un esempio di sincretismo, il New Age, e un esempio di esclusivismo, i testimoni di Geova.
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New Age
[474] New Age è un’ideologia, che attinge ad esperienze diverse: cristianesimo, pensiero orientale, esoterismo, astrologia, psicologia, ecologia. Mette insieme un miscuglio di elementi, privati della loro identità originale, ridotti a motivi psicologici.
Considera di capitale importanza il fatto che l’èra dei Pesci, simbolo astrologico del Cristo, stia per concludere la sua durata di 2157 anni. Terminerebbe così un’èra di drammatici contrasti, di idealismo e di materialismo, di fanatismo e di scetticismo, di amore compassionevole e di crudeli sofferenze. La sua fine comporterebbe il superamento del cristianesimo e l’inizio di una nuova èra, quella dell’Acquario. Il genere umano si starebbe evolvendo verso un livello più alto di coscienza, con l’affermazione di una sola religione planetaria, che erediterebbe gli elementi positivi di quelle precedenti. Attraverso appropriate tecniche conoscitive l’uomo potrebbe giungere all’esperienza del divino, all’identificazione con l’Assoluto. Da questa saggezza nascerebbero pace interiore, amore verso tutti gli esseri viventi, solidarietà sociale, armonia con la natura. Lo spirito del tempo farebbe convergere molte energie verso l’unità, in modo da assicurare un’èra di pace e di felicità.
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[475] Anche da un profilo così sommario, emerge il carattere gnostico, panteistico e millenaristico di questa ideologia. Le pur positive istanze di riconciliazione universale e di armonia con il cosmo ricevono risposte confuse e inadeguate. Non si vede proprio perché ci si debba attendere la salvezza dagli astri anziché da Cristo, dalle pratiche psicologiche anziché dalla grazia di Dio, dalle dottrine esoteriche anziché dalla rivelazione pubblica.
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I testimoni di Geova
[476] I testimoni di Geova hanno avuto origine verso la fine del secolo scorso negli Stati Uniti d’America. Costituiscono un’associazione organizzata e compatta, rigidamente guidata dal gruppo dirigente che risiede a Brooklyn. Svolgono un’enorme propaganda, con impiego di grandi risorse economiche. I risultati, in sé notevoli, appaiono modesti in proporzione allo sforzo. Le numerose conversioni vengono in gran parte neutralizzate dalle quasi altrettanto numerose defezioni.
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[477] I testimoni di Geova accettano la Bibbia come regola di fede. La ricevono da quelle stesse Chiese tradizionali, che pure considerano strumenti di Satana. Mettono l’Antico Testamento sullo stesso piano del Nuovo, perché non hanno idea del carattere progressivo della rivelazione. La loro interpretazione consiste nel prendere frasi staccate dal contesto letterario e storico, e manipolarle con disinvoltura a sostegno di dottrine prefabbricate. Viceversa, quando hanno a che fare con testi in contrasto evidente con la loro ideologia, non esitano a farne un uso allegorico, persino bizzarro. Non distinguono tra il messaggio rivelato e la cultura dell’ambiente: assumono come verità divine molte espressioni relative all’ambito scientifico, legate alle concezioni dell’epoca e ormai superate.
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[478] Secondo la loro dottrina, il Dio unico, eterno, creatore di tutte le cose, ha un corpo spirituale, abita in una qualche parte del cielo e si chiama Geova. A questo nome attribuiscono un’importanza decisiva, quasi magica. Dimenticano che si tratta di una deformazione del nome JHWH, che nell’Antico Testamento esistono vari nomi di Dio, che nel Nuovo Testamento il nome più vero è quello di Padre.
Affermano che lo Spirito Santo non è una persona, ma soltanto un’energia divina. Gesù Cristo non sarebbe vero Dio e vero uomo, ma solo un essere angelico. Si identificherebbe con Michele. Sarebbe stato creato per primo da Geova e poi con il suo aiuto sarebbero stati creati tutti gli altri esseri del cielo e della terra. Avrebbe avuto dapprima un corpo spirituale; poi si sarebbe trasformato in un uomo; sarebbe morto appeso non alla croce, ma a un palo; infine con la risurrezione sarebbe ritornato al suo originario corpo spirituale.
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[479] Il mondo avrebbe avuto inizio non miliardi di anni fa, ma appena da 48.000 anni e starebbe per entrare nei suoi ultimi mille anni. L’uomo, con buona pace della paleontologia e dell’archeologia, esisterebbe da appena seimila anni. Satana e gli angeli ribelli si sarebbero impadroniti del mondo e avrebbero instaurato un sistema malvagio universale: tutte le Chiese e le religioni, eccetto ovviamente quella dei testimoni di Geova, tutti i poteri politici ed economici sarebbero strumenti di Satana. Finalmente nel 1914 sarebbe iniziato nei cieli il regno messianico di Dio e di Cristo, che presto si estenderà anche alla terra, distruggerà l’attuale sistema malvagio nella grande battaglia di Armaghedòn, instaurerà un nuovo ordine mondiale, un idilliaco paradiso terrestre, per la durata di mille anni, finché Satana avrà un ultimo sussulto e sarà distrutto per sempre insieme agli angeli ribelli e agli uomini peccatori. La svolta decisiva sarebbe imminente, prima che muoiano milioni di persone che erano vive nel 1914. Però le varie date, finora indicate, si sono rivelate false.
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[480] I testimoni di Geova coltivano il senso della vicina catastrofe; descrivono con un certo compiacimento le guerre, le calamità naturali, gli orrori di questo mondo, quasi scorgendo in essi un anticipo della fine. Riconoscono il valore della vita familiare, ma prendono le distanze dalla società; la rifiutano come dominata da Satana. Per questo motivo, non per amore dell’umanità e della civiltà, rifiutano di prestare il servizio militare. Si considerano un’isola buona in mezzo a un mare di corruzione. L’osservanza di obblighi e proibizioni è funzionale al rafforzamento di questo carattere elitario.
In conclusione possiamo ritenere che i testimoni di Geova, sebbene usino continuamente la Bibbia, sono sostanzialmente estranei al cristianesimo.
| CdA, 878 CONFRONTAVAI |
[481] I “nuovi movimenti religiosi” si allontanano con le loro dottrine dai contenuti centrali della fede cristiana. Denotano una ricerca religiosa intensa, ma confusa e ambigua. Rispondono a un bisogno molto sentito di appartenenza e di partecipazione e, con il loro proselitismo, possono ottenere notevoli successi, soprattutto negli ambienti dove non ci sono comunità cristiane vive.
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Apostolicità della Chiesa
[482]
Per i primi cristiani il regno di Dio coincide con la presenza del Signore Gesù che comunica il suo Spirito; non è un’intuizione o un progetto da elaborare, ma una persona da accogliere.
La Chiesa vive di Cristo mediante lo Spirito. È chiamata a conformarsi a lui e, per conformarsi a lui, ha bisogno di ricordare tutto quello che egli ha detto e ha fatto
La Chiesa è apostolica in quanto, attraverso la Scrittura e la Tradizione vivente, riceve dagli apostoli la dottrina e l’esperienza della fede, i sacramenti della grazia e il ministero dei pastori, in modo da essere fedele a Cristo e partecipare alla sua vita.
| CdA, 608 CONFRONTAVAI |
[483]
Gesù non è un’idea o un simbolo; è una persona, con una storia concreta
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 18. | |
Chiesa in cammino nel tempo
[484]
L’inesauribile fecondità del vangelo consente alla Chiesa di incarnarsi in molte culture senza identificarsi completamente con nessuna, di contribuire efficacemente alla costruzione della civiltà terrena, rimanendo protesa verso la vita eterna. Ebrea con gli ebrei, greca con i greci
Lettera a Diogneto, 5, 1-2.5.10. | CCC, 671-677CCC 737CdA, 452-453 CONFRONTAVAI CdA 1181-1182 CONFRONTAVAI |
[485]
Come Israele, liberato dall’Egitto e costituito popolo di Dio mediante l’antica alleanza, peregrinò a lungo nel deserto tra pericoli e tentazioni prima di arrivare alla terra promessa, così la Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo e diventata, in virtù della nuova alleanza, il definitivo popolo di Dio, è pellegrina nel mondo verso la perfezione del regno di Dio, in mezzo a tentazioni, difficoltà e tribolazioni, «tanto interne che esterne»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 8. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 9.
Come nave nella tempesta, la Chiesa subisce la violenza delle onde, ma non affonda. La minacciano in ogni epoca persecuzioni, eresie, scismi, corruzione morale, compromessi mondani; possono ferirla e deturparla, ma non snaturarla o distruggerla, perché, come le è stato promesso, «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).
Per il sostegno e la grazia del Signore, anche le contraddizioni e le sofferenze, seminate sul suo cammino, possono diventare benefiche. Nel libro dell’Apocalisse lo Spirito Santo fa pervenire al responsabile della Chiesa di Smirne questa parola di conforto: «Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - tuttavia sei ricco» (Ap 2,9).
Viceversa, i successi possono essere pericolosi e in ogni caso sono sempre provvisori. La sicurezza può risultare illusoria; la ricchezza può diventare una prigione. Ancora nell’Apocalisse, lo Spirito rivolge questo rimprovero al responsabile della Chiesa di Laodicèa: «Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,17).
Lo Spirito Santo conduce avanti attraverso i secoli il cammino della Chiesa e le impedisce di indugiare sulle mete raggiunte. Mentre la induce a guardare indietro nel passato, verso Gesù di Nàzaret, in cui la rivelazione e la salvezza si sono compiute una volta per sempre, la fa guardare anche avanti verso il Signore risorto, che è il futuro del mondo e la novità ultima. La bimillenaria storia della Chiesa può essere considerata un grande esodo, misteriosamente guidato dallo Spirito di Dio, verso traguardi sempre nuovi, nella sostanziale continuità con le origini, malgrado le innumerevoli infedeltà personali dei credenti e le deformazioni della comunità.
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L’Ora delle persecuzioni
[486] In base alla posizione della Chiesa rispetto alla società civile, possiamo distinguere tre epoche fondamentali nella sua storia.
La prima epoca è quella delle persecuzioni. La Chiesa penetra nella civiltà greco-romana, sfidando una dura opposizione. Ha su di sé l’antipatia delle masse popolari, superstiziose e moralmente corrotte, la diffidenza e il disprezzo degli intellettuali, l’ostilità dello stato totalitario. Si preoccupa soprattutto di consolidare la sua vita interna. Le comunità, riunite ciascuna attorno al proprio vescovo, sono piccole, fervorose e collegate fra loro da una rete di intense relazioni. I credenti prendono sul serio la comune vocazione alla santità, pronti a qualsiasi sacrificio, dato che «il martirio colpiva fin dalla nascita»
Origene, Omelia sulla Genesi, 4, 3. | |
[487]
La fede si propaga in modo capillare da persona a persona per la testimonianza spontanea di ogni credente presso parenti e amici, ospiti e clienti, compagni di lavoro e di viaggio. Un grande apologeta può dire con fierezza: «Siamo di ieri, ma abbiamo già riempito il mondo e tutti i vostri territori, le città, le isole, le fortezze, i municipi, le borgate, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, la reggia, il senato, il foro»
Tertulliano, Apologetico, 37, 4. | |
[488] Numerosi sono i màrtiri, eroici e umanissimi, come possiamo rilevare da lettere, atti e passioni. Ma forse più numerosi sono coloro che non resistono al momento della prova.
Si tratta dunque di una stagione senz’altro splendida per creatività ed eroismo, ma non certo perfetta e da idealizzare.
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La civiltà cristiana
[489] La successiva epoca è quella della cosiddetta “civiltà cristiana”. Abbraccia un ampio arco di secoli e vede esperienze storiche per molti aspetti assai diverse tra loro: la Chiesa imperiale romano-bizantina, la cristianità medievale, la Chiesa della riforma, della controriforma, dell’assolutismo statale fino al secolo XVIII.
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[490]
Il cristianesimo da movimento minoritario diventa religione di popolo, senza per questo appiattirsi nella generale mediocrità, rimanendo anzi capace di esprimere una imponente fioritura di santi, di comunità monastiche, di ordini e congregazioni religiose, di confraternite laicali, di coraggiosi missionari che portano a termine l’evangelizzazione dell’Europa e poi, dopo le grandi scoperte geografiche del secolo XV, quella dell’America, senza trascurare neppure gli altri continenti.
Con Costantino e gli imperatori cristiani il cristianesimo passa dalla condizione di religione proibita a quella di religione ufficiale e questo gli consente di influire più efficacemente nella società come fattore decisivo di progresso. Basta menzionare la mitigazione e poi l’abolizione della schiavitù, la tutela dell’infanzia, la limitazione dei conflitti e la moderazione della violenza, la partecipazione e la solidarietà attraverso le corporazioni, i comuni e l’universalismo medievale, la promozione della cultura per mezzo di scuole, università e sostegno delle arti, la multiforme attività assistenziale mediante ospedali, ospizi, monti di pietà, elemosine e soccorsi vari.
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[491] Se le luci sono molte e meravigliose, le ombre non mancano e non sono di poco conto. La presenza della Chiesa nella società degenera in confusione tra la sfera religiosa e quella civile, compromettendo la purezza della religione e l’autonomia delle realtà secolari.
Per quanto riguarda i fedeli, si dà eccessiva importanza ai fatti esteriori e collettivi; si presta invece poca attenzione all’autenticità della conversione e alla partecipazione personale all’eucaristia, vertice dell’esperienza cristiana.
Per quanto riguarda il clero, la libertà si gonfia in privilegio con l’istituzione di un tribunale speciale per gli ecclesiastici, l’esenzione dalle tasse e soprattutto l’acquisto della ricchezza e del potere mondano, da cui scaturiscono corruzione e simonia. Si ha l’interferenza diretta degli ecclesiastici nella politica, nell’amministrazione, nel campo della scienza, dell’arte e del lavoro. Viceversa si fa sentire pesantemente l’ingerenza dello stato e dei potenti nella vita interna della Chiesa.
Non viene adeguatamente riconosciuto il diritto alla libertà di coscienza: di qui l’intolleranza verso gli ebrei, l’inquisizione contro gli eretici, la conversione forzata di interi popoli, le guerre di religione.
Non c’è dunque da sorprendersi se questa stagione, pur ricca di frutti e di splendidi risultati, è attraversata da un senso di disagio e dall’aspirazione costante verso una Chiesa più povera e spirituale.
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L’epoca moderna
[492] Il mondo moderno emerge gradualmente come reazione alla precedente confusione tra religione e società civile, con un lungo processo che prende avvio nel basso medioevo, si irrobustisce con l’umanesimo rinascimentale e la riforma protestante, diventa dominante con l’illuminismo e la rivoluzione francese. La civiltà tende a diventare non solo legittimamente autonoma, ma anche estranea e indifferente rispetto alla religione, anzi a volte addirittura ostile.
Viene duramente contestata la presenza della Chiesa nella società. Non solo si sopprimono i privilegi e il potere temporale, ma si arriva alla discriminazione e, in certi casi, anche alla persecuzione violenta. Si cerca di relegare la fede nel privato; si apre un fossato tra la pratica religiosa e la vita quotidiana.
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[493]
Tutto questo avviene in nome di valori autentici, quali la ragione, la scienza, la libertà, la solidarietà, la democrazia, la tolleranza, ma interpretati in modo unilaterale e distorto. Si comprende allora perché l’atteggiamento della Chiesa verso la modernità oscilli tra la difesa e il dialogo, con prevalenza prima dell’una e poi dell’altro. Comunque, essa esce dalla prova purificata. Non rivendica più privilegi, ma solo libertà; la stessa che chiede per tutti, in nome dei diritti fondamentali della persona. Lascia spazio ai fedeli laici non solo nell’ambito delle attività secolari, ma anche in quello delle attività ecclesiali, promuovendo la loro partecipazione. Libera da compromessi col potere secolare, vede il suo ruolo di guida spirituale e morale acquistare un profilo più alto. Recuperata la distinzione tra fede e cultura, può integrare più decisamente nell’esperienza cristiana i valori di altre culture dell’America latina, dell’Africa e dell’oriente asiatico. Lo Spirito abbatte le cittadelle che gli uomini costruiscono, per aprire sempre nuove strade.
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[494] La civiltà cristiana del medioevo appare tutt’altro che priva di difetti da un punto di vista cristiano: non sapeva coniugare in modo soddisfacente l’unità della società con la libertà di coscienza, il pluralismo culturale, i diritti umani fondamentali. D’altra parte la civiltà moderna tende anch’essa all’uniformità; ma l’omologazione avviene sulla base di valori generici e di basso profilo, a spese delle proposte più esigenti e creative. Solo una città dell’uomo, rispettosa dei diritti di ogni persona e capace di conciliare unità e pluralismo, è anche città di Dio.
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[496] Uno solo è il popolo di Dio, ma al suo interno si distinguono ministri ordinati, laici, persone di vita consacrata. Comuni sono la dignità, la vocazione alla santità e la missione evangelizzatrice; ma si attuano secondo modalità diverse e complementari. La varietà di carismi, ministeri, stati di vita e vocazioni consente uno scambio incessante di doni e una feconda comunicazione di carità.
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Pari dignità
[497]
Nell’Antico Testamento lo Spirito Santo veniva effuso su alcuni personaggi straordinari; nel giorno di Pentecoste è dato invece in abbondanza a tutta la comunità cristiana. Lo sottolinea il discorso di Pietro, secondo cui si compie la promessa del Signore contenuta nel libro di Gioele
Tutti i fedeli ricevono lo Spirito; tutti sono incorporati a Cristo mediante il battesimo; tutti sono figli di Dio, fratelli tra di loro, eredi della vita eterna. Tutti sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità; tutti cooperano a edificare la Chiesa
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 90. | CCC, 871-873 |
[498]
Le discriminazioni, presenti nella società, non hanno alcun senso nella vita ecclesiale: «Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28). Lo schiavo diventa «un fratello carissimo» (1Fm 16); la donna una sorella e una cooperatrice all’evangelizzazione. Tutti i cristiani hanno pari dignità; anzi sono uniti a Cristo e tra di loro, come una sola persona.
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Diversità e complementarità
[499]
Sparisce allora ogni differenza? L’uguaglianza fondamentale e la comunione comportano forse l’uniformità? Certamente no: dallo stesso Spirito derivano unità e varietà. Gli Atti degli apostoli mostrano che, se tutti i credenti hanno una funzione profetica, alcuni però hanno un dono particolare di profezia
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 4. | CCC, 814CdA, 747 CONFRONTAVAI |
[500]
L’unica Chiesa, non solo esiste in molte Chiese e si esprime in molte culture, ma si edifica e compie la sua missione con il contributo di vari carismi, ministeri, stati di vita, vocazioni.
La comunità ecclesiale è come un organismo vivo e operante: «In un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione... Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12,46). «Dio ha composto il corpo» in modo che «le varie membra avessero cura le une delle altre» (1Cor 12,24-25). Tutti sono abbastanza poveri per dover ricevere; tutti abbastanza ricchi per poter dare. «Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie» (1Cor 12,21-22). I credenti sono responsabili gli uni degli altri; tra loro vige la legge della reciprocità: devono stimarsi a vicenda, accogliersi, edificarsi, servirsi, sostenersi, correggersi, confortarsi. Nel mutevole intrecciarsi di tante storie personali si attua una incessante comunicazione di carità.
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[501]
«Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10). Nella dinamica di questo scambio, con doni diversi e complementari, lo Spirito sostiene la vita e la missione della Chiesa. Come un uomo «vede con gli occhi, ode con gli orecchi, sente odori con le narici, parla con la lingua, opera con le mani, cammina con i piedi, a tutte le membra dà la vita, a ognuno il suo compito», così lo Spirito Santo «in alcuni santi compie miracoli, in altri annuncia la verità, in altri custodisce la verginità, in altri ancora custodisce la pudicizia coniugale; in alcuni santi questo, in altri quello; a ciascuno concede di realizzare l’opera propria, a tutti parimenti di vivere»
Sant’Agostino, Discorsi, 276, 4. | |
Carismi
[502]
I carismi sono grazie speciali dello Spirito Santo, con le quali ogni fedele viene reso adatto e pronto ad assumere qualche compito e a svolgere qualche attività, in modo da giovare, direttamente o indirettamente, alla santità della Chiesa, alla sua vitalità apostolica, al bene delle persone e della società
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12; Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 24. | CCC, 951CCC 2003 |
[503]
I carismi, sebbene l’uso che spesso si fa di questa parola possa far pensare a qualcosa di eccezionale, vengono concessi a tutti i fedeli. «Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri»; possono prolungarsi nel tempo e passare da una generazione all’altra «come una preziosa e viva eredità», dando luogo a «una particolare affinità spirituale»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 24.
Essi sono innumerevoli come le esigenze alle quali rispondono. Alcuni sono del tutto ordinari, come il matrimonio, la verginità, l’assistenza ai malati e ai poveri, altri straordinari come i miracoli; alcuni occasionali e spontanei, come il parlare lingue sconosciute, altri stabili come il compito di maestro, altri perfino istituzionali come gli uffici di presbitero e di evangelizzatore, conferiti con l’imposizione delle mani. Il Nuovo Testamento ignora ogni dualismo tra carisma e istituzione: lo Spirito è libero di agire come vuole, fuori e dentro l’istituzione.
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[504]
Tutti i carismi sono preziosi; «devono essere accolti con gratitudine e consolazione»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12..
carismi non vanno confusi con le aspirazioni e le imprese puramente umane. Sono autentici, se si trovano in armonia con la dottrina della fede, professata dalla Chiesa, con l’effettiva utilità della comunità e con le direttive date dai pastori per il necessario coordinamento.
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Ministeri
[505] Alla varietà dei carismi corrisponde una varietà di servizi, momentanei o duraturi, privati o pubblici. I servizi ecclesiali stabili e pubblicamente riconosciuti vengono chiamati ministeri. Ci sono innanzitutto i ministeri ordinati dei vescovi, dei presbìteri e dei diaconi. Ci sono poi i ministeri dei laici, fondati sul battesimo e sulla cresima e conferiti attraverso il riconoscimento, ufficiale o di fatto, della comunità e del vescovo.
| CCC, 874-879CCC 901-903CCC 906CCC 1143 |
[506]
Tra i ministeri laicali ricordiamo per primi quelli istituiti con rito liturgico: i lettori e gli accoliti. Non meno importanti però sono quello dei ministri straordinari della comunione eucaristica e quelli dei responsabili di attività ecclesiali, a cominciare dai catechisti: testimoni, insegnanti ed educatori per la crescita dei fratelli nella fede
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 73. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 74.
L’attuazione dei ministeri laicali, fondati sui sacramenti del battesimo e della confermazione, non deve recar pregiudizio al sacerdozio ministeriale, fondato sul sacramento dell’ordine; non deve dar luogo ad alcun livellamento o struttura parallela
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 23. | |
Stati di vita e vocazioni
[507]
Insieme alla varietà dei servizi, la comunione ecclesiale comporta varietà delle forme di vita, cioè dei modi stabili di configurarsi a Cristo, di rapportarsi agli altri e alle cose. Vi sono innanzitutto tre modalità generali: lo stato laicale, caratterizzato dall’impegno secolare; lo stato ministeriale ordinato, caratterizzato dalla rappresentanza di Cristo pastore; lo stato di speciale consacrazione, caratterizzato dalla testimonianza alla vita del mondo che verrà
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 55. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 55. | CCC, 871-873 |
[508]
All’interno di questi tre stati di vita, si precisano diversi cammini spirituali e apostolici concreti: sono le molteplici vocazioni particolari
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 56. Dono di Dio e scelta dell’uomo, la vocazione passa attraverso una preghiera perseverante, un prudente discernimento e una graduale maturazione, con la cooperazione di sagge guide spirituali. Alcune vocazioni comportano una chiamata della Chiesa. Per il discernimento occorre considerare la storia personale, le circostanze esterne, le attitudini, le corrette motivazioni, l’attrattiva interiore. La maturazione consiste nel purificare e consolidare le motivazioni, nell’assumere uno stile di vita adeguato, nell’incanalare l’affettività verso gli obiettivi vocazionali, nel rimanere fedeli alla decisione presa.
| CdA, 800 CONFRONTAVAI |
[509]
Le vocazioni, infine, si personalizzano in modo originale in ogni singolo fedele. Ognuno è chiamato per nome; ognuno ha la sua storia e porta un proprio contributo al regno di Dio
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 56. San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi prebattesimali, 16, 12. | |
Istituzione divina
[511] Del ministero apostolico partecipano quei credenti che vengono scelti perché siano rappresentanti di Cristo pastore e in suo nome sostengano la vita di fede e di carità di tutti i fedeli attraverso la predicazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti, la guida della comunità, nella continuità della tradizione apostolica. La funzione ecclesiale, che viene loro affidata, è tale da polarizzare tutta la loro esistenza e determinare il loro modo di essere cristiani, il loro genere di vita.
| CCC, 551CCC 858-860CCC 877 |
[512]
Già durante il ministero pubblico di Gesù, i Dodici sono stati associati alla sua missione e inviati ad annunciare il regno di Dio e a porre in atto i segni della sua venuta, condividendo lo stesso stile di vita del Maestro
| CdA, 201-204 CONFRONTAVAI |
[513]
Nella Chiesa delle origini gli apostoli occupano il primo posto tra tutti i carismi. Sono i testimoni ufficiali del Risorto; i suoi ambasciatori, inviati con la forza dello Spirito Santo e accreditati con i miracoli; i dispensatori dei doni di Dio; i ministri della riconciliazione.
Formano un collegio, presieduto da Pietro, e guidano insieme il cammino iniziale della prima comunità di Gerusalemme. Cresce però in fretta il numero dei credenti ed essi sentono il bisogno di associarsi dei collaboratori. Creano prima sette responsabili per una parte della comunità, quella di lingua e cultura greca, che presto verrà perseguitata e cacciata dalla città
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[514]
Le comunità che man mano si aggiungono a quella di Gerusalemme hanno anch’esse dei responsabili: ad Antiòchia cinque «profeti e dottori» (At 13,1); nelle città dell’Asia Minore un collegio di presbìteri stabiliti dallo Spirito Santo attraverso gli apostoli; a Filippi «i vescovi e i diaconi» (Fil 1,1); a Tessalonica i «preposti nel Signore» (1Ts 5,12); altrove «pastori e maestri» (Ef 4,11). I titoli non sono ancora precisi e ufficiali e variano da un ambiente all’altro. Nell’insieme però appare abbastanza chiaro che le comunità sono guidate da un collegio di responsabili, sotto l’autorità dell’apostolo fondatore.
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[515]
Con l’andar del tempo gli apostoli avvertono la necessità di una successione: «Istituirono i vescovi e i diaconi e diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel loro ministero»
San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 44, 2.
Poco più tardi Ignazio di Antiòchia attesta che ogni comunità, «fino ai confini della terra», è governata da un solo vescovo; anzi afferma che senza il vescovo, il collegio dei presbìteri e i diaconi, non ci può essere una vera Chiesa
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Tralle, 3, 1; Id., Lettera agli Efesini, 3, 2. Da allora la struttura gerarchica della Chiesa è rimasta immutata e i vescovi presiedono le comunità come successori degli apostoli, con l’aiuto dei presbìteri e dei diaconi.
Questa linea di sviluppo offre sicuro fondamento alla dottrina cattolica, che è così sintetizzata dal concilio Vaticano II: «Per istituzione divina i vescovi sono succeduti agli apostoli quali pastori della Chiesa»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 20. | |
Successori degli apostoli
[516]
Il senso di questa successione va precisato. Gli apostoli, con la loro testimonianza diretta e originaria su Cristo, pongono il fondamento della Chiesa una volta per sempre. I pastori, che collaborano con loro e poi prendono il loro posto, curano che la costruzione dell’edificio prosegua sul medesimo fondamento
I pastori succedono dunque agli apostoli, in quanto custodiscono e trasmettono fedelmente la loro testimonianza, «il buon deposito» (2Tm 1,14), con la grazia dello Spirito Santo, per consentire a tutti i credenti di rivivere l’esperienza originaria e di essere veramente Chiesa di Cristo.
| CCC, 861-862 |
Il carisma dell’autorità
[517]
In concreto alimentano la fede e la carità di tutti i credenti con il servizio della Parola e la celebrazione dei sacramenti; verificano e coordinano i vari carismi, in una disciplina ordinata, che sia segno visibile della comunione in Cristo. Fanno questo con l’autorità ricevuta «per edificare» (2Cor 13,10), cioè per radunare il popolo di Dio. Anzi, hanno avuto un carisma particolare dallo Spirito Santo, attraverso il rito sacramentale dell’ordinazione, come dice la seconda Lettera a Timòteo: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2Tm 1,6)
| CCC, 894-895 |
Segno e presenza di Cristo pastore
[518] La missione da svolgere contribuisce a individuare l’identità dei ministri ordinati. Questa però è connotata essenzialmente dal loro rapporto con Cristo.
In virtù del sacramento essi diventano rappresentanti di Cristo, pastore e servo, nella triplice funzione profetica, regale e sacerdotale. Come il Padre ha mandato il Figlio e si è manifestato attraverso di lui, così Gesù manda i suoi discepoli e si rende presente attraverso di loro. Colui che invia, viene lui stesso insieme con coloro che sono inviati. Essi non sono semplici delegati, ma segno visibile ed efficace della sua presenza. Non sono intermediari, ma consentono di incontrare in modo umano l’unico mediatore. Non solo lo rappresentano, ma lo ripresentano. Quello che Gesù diceva riferendosi al Padre, essi lo possono ripetere in riferimento a Gesù: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo» (Gv 8,29).
| CCC, 886CCC 888-896CCC 1548-1549CdA, 719-720 CONFRONTAVAI |
In unione a Cristo rappresentanti della Chiesa
[519] Mentre rappresentano Cristo di fronte alla Chiesa, rappresentano in unione a Cristo la Chiesa davanti al Padre e intercedono per lei. La rappresentano anche davanti agli uomini, in quanto costituiscono il fondamento visibile della sua unità e fedeltà evangelica. Si tratta di una rappresentanza sacramentale in virtù dello Spirito e non di una rappresentanza in senso democratico. I ministri ordinati ricevono il potere da Cristo, non dalla comunità. Non sono delegati di essa, neppure quando vengono designati con la sua partecipazione.
Ciò non vuol dire che debbano agire in maniera autoritaria, senza consultare nessuno. Al contrario devono farsi interpreti e servitori della vita della Chiesa, in piena fedeltà al vangelo. Le decisioni devono maturare in un clima di preghiera, di fraternità, di ascolto reciproco e di conversione al Signore da parte di tutti, pastori compresi. Se è vero che i pastori non sono dalla Chiesa, sono però per la Chiesa e nella Chiesa. Rimangono cristiani come gli altri, ascoltano la parola che predicano e ricevono l’eucaristia che distribuiscono. Inoltre devono esercitare il loro ministero in una prassi di comunione, valorizzando gli altri carismi e ministeri: «I vescovi non devono solo insegnare, ma anche imparare»
San Cipriano di Cartagine, Lettere, 74, 10, 1. | CCC, 1552-1553 |
Spiritualità caratteristica
[520]
L’ordinazione sacramentale, mentre costituisce i pastori rappresentanti di Cristo e della Chiesa, li abilita e li impegna ad assumere uno stile di vita conforme a quello del primo Pastore. Per essere segno vivo e trasparente di lui, devono condividere la sua carità, fino a dare la vita per le pecore. Per farsi «modelli del gregge» (1Pt 5,3) e per guidarlo alla santità, è necessario che siano uomini spirituali e comunichino ai fratelli anche un’esperienza personale di Dio. Ai suoi principali collaboratori, inviati a proclamare e instaurare il regno di Dio, Gesù ha chiesto di seguirlo da vicino, liberi dai legami affettivi e dagli interessi, contenti solo del necessario, generosi nel servizio.
I ministri ordinati sono chiamati a vivere la radicalità evangelica con motivazioni diverse rispetto alle persone di vita consacrata, non propriamente per essere segno dell’uomo nuovo escatologico, ma per rappresentare al vivo Cristo pastore che dà se stesso per il suo gregge
Cf. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 25. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41. | CCC, 896CCC 1550CdA, 721 CONFRONTAVAI |
Tre gradi del ministero
[521]
Fin dai primi tempi si distinguono nella Chiesa diverse figure di pastori. Il ministero pastorale è di istituzione divina e «viene esercitato in ordini diversi da coloro che già in antico vengono chiamati vescovi, presbìteri, diaconi»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28; cf. Concilio di Trento, Sess. XXIII, Dottr. Sul sacramento dell’ordine, Can. 6 - DS 1776. | CCC, 1554-1571 |
Il vescovo
[522]
Il vescovo possiede la «pienezza del sacerdozio»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 27. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23. Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 20; 38. | |
Il presbitero
[523]
«I presbìteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio, ma dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia congiunti a loro nella dignità sacerdotale. In virtù del sacramento dell’ordine e ad immagine di Cristo sommo ed eterno sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti della nuova alleanza»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28. Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 6. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 5. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41. | CdA, 723 CONFRONTAVAI |
Il diacono
[524]
I diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio», cioè per offrire a nome di Cristo il sacrificio eucaristico, «ma per servire»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 29. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Magnesia, 6, 1. | |
[525] Eredi degli apostoli, segno e presenza di Cristo pastore, in suo nome e con la sua autorità, i vescovi, coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi, predicano la parola di Dio, celebrano i sacramenti, guidano la comunità cristiana.
Sono chiamati a svolgere questa missione animati dalla carità pastorale, in un clima di preghiera e secondo uno stile di radicalità evangelica.
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Un ministero collegiale
[526] Il ministero apostolico ha un carattere personale, in quanto ognuno dei ministri è chiamato da Cristo e, costituito suo rappresentante, agisce con responsabilità propria. Ma ha anche un carattere collegiale, in quanto i vescovi formano il collegio episcopale intorno al papa e, in modo analogo, i presbìteri formano il presbiterio diocesano sotto l’autorità del vescovo.
| |
[527]
Ogni vescovo in quanto tale è membro del collegio episcopale. «L’episcopato è uno e indiviso»
San Cipriano di Cartagine, L’unità della Chiesa cattolica, 5. San Cipriano di Cartagine, Lettere, 66, 8, 3. Sant’Agostino, Discorsi, 46, 29-30.
Il collegio è formato dai vescovi insieme al papa e ha «piena e suprema potestà su tutta la Chiesa... In quanto composto da molti, sta ad esprimere la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto raccolto sotto un solo capo, sta ad esprimere l’unità del gregge di Cristo»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 22. | |
Le manifestazioni della collegialità
[528]
La natura collegiale dell’episcopato si manifesta concretamente nei vincoli visibili di fede, di carità, di disciplina e di corresponsabilità pastorale, in alcune istituzioni come i patriarcati o le conferenze episcopali, in alcuni avvenimenti come la concelebrazione dell’ordinazione, i sinodi e soprattutto i concili ecumenici
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 22; 23.
Nei concili ecumenici il collegio dei vescovi «esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale»
Codice di Diritto Canonico, 387, 1. | |
La responsabilità locale e universale del vescovo
[529]
Il singolo vescovo «viene costituito membro del corpo episcopale in forza della consacrazione sacramentale e mediante la comunione gerarchica con il capo e i membri del collegio»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 22. | CCC, 1560 |
Il carisma di Pietro
[531]
Il collegio dei vescovi succede a quello degli apostoli; il vescovo di Roma succede a Pietro. Da lui eredita il compito di confermare i fratelli nella fede, il carisma della “roccia”, che dà coesione e stabilità a tutta la Chiesa: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).
Durante la vita pubblica, Gesù ha dato a Simone il nuovo nome di Pietro
| CCC, 551-553CdA, 204 CONFRONTAVAI |
Il vescovo di Roma successore di Pietro
[532]
Pietro, nella prima comunità di Gerusalemme, è sempre in prima fila come protagonista, nel prendere la parola a nome di tutti gli apostoli, nel compiere le guarigioni miracolose, nel punire gli indegni, nel confermare le conversioni, nell’ammettere i pagani, nell’affermare la libertà cristiana di fronte alla legge mosaica.
Pietro e Paolo, «le più grandi e le più giuste colonne», portano a compimento la loro testimonianza a Roma, dove versano il sangue per Cristo «insieme a una grande moltitudine di eletti»
San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 5, 1-2; 6, 1. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, Prologo. Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 3, 2. San Massimo il Confessore, Opuscoli teologici e polemici, Lettera scritta da Roma. | CCC, 194CCC 834 |
Visibile principio di unità
[533]
Il vescovo di Roma, erede della testimonianza di Pietro, «è il perpetuo e visibile principio e il fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23. | |
[534] Il papa eredita il compito che Gesù ha assegnato a Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18-19).
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Indole secolare
[535]
La Chiesa è il segno efficace del regno di Dio che viene nella storia e comincia a salvare il mondo. Fa parte della sua missione ordinare secondo il vangelo le realtà temporali: famiglia, lavoro, cultura, società
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 5; Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 16.
Questo compito viene attuato soprattutto mediante l’impegno dei fedeli laici. Se una certa dimensione secolare è comune a tutti i cristiani, «è proprio e specifico dei laici il carattere secolare»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 31; cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 15. | |
[536]
Gesù a Nàzaret ha condotto per lunghi anni un’esistenza di tipo secolare: famiglia, relazioni sociali, lavoro. Successivamente, durante la sua vita pubblica, possiamo vedere rappresentati i fedeli laici da quei discepoli che credono in lui, ma rimangono a casa propria, immersi nelle consuete occupazioni, senza seguirlo fisicamente nel suo ministero itinerante. A uno di essi viene rivolto questo invito: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato» (Mc 5,19). Secondo l’insegnamento del Maestro, verginità e matrimonio, rinuncia alle ricchezze e uso corretto di esse sono due forme esigenti della nuova santità, resa possibile dal regno di Dio. Sia chi esce dalle ordinarie condizioni di vita sia chi vi rimane dentro può e deve vivere le beatitudini.
| CdA, 200 CONFRONTAVAI |
Santità laicale
[537]
Chi è immerso nelle realtà della famiglia, della professione e della vita sociale, deve santificarsi valorizzando queste realtà. La presenza nel mondo può diventare dedizione a Dio e missione: «È proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 31. Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 15. La santità dei laici si sviluppa attraverso la preghiera, l’ascolto della parola di Dio e la partecipazione ai sacramenti, come quella dei pastori e dei religiosi; ma si nutre anche di quotidiane occupazioni e preoccupazioni: famiglia, scuola, ufficio, fabbrica, negozio, palestra, traffico, quartiere, sindacato, politica... Pur essendo sostanziata di fede, speranza e carità come ogni altra santità, possiede una fisionomia propria con virtù umane specifiche, come la competenza nella professione, la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la lealtà e la giustizia nelle relazioni sociali, l’obbedienza verso i pastori della Chiesa e la corresponsabilità nella vita ecclesiale.
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Impegno ecclesiale
[538]
In virtù del battesimo e della cresima, i fedeli «sono tenuti a professare davanti agli uomini la fede ricevuta,... a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l’azione, come veri testimoni di Cristo»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 11. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 35.
Purtroppo anche tra i cattolici praticanti è piuttosto diffuso il pregiudizio che la fede sia un affare privato, anzi individuale, qualcosa che ognuno si tiene per sé. Bisogna maturare una coscienza missionaria, rendersi conto che l’apostolato, anche quello dei laici, «non consiste soltanto nella testimonianza della vita; il vero apostolo cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola sia ai non credenti per condurli alla fede, sia ai fedeli per istruirli, confermarli e indurli a una vita più fervente»
Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 6.
Il primo apostolato è quello spontaneo delle singole persone: è capillare, costante, particolarmente incisivo; è possibile in famiglia, tra i vicini e gli amici, tra i colleghi di lavoro, tra i compagni di svago o di viaggio; è il migliore presupposto anche per l’apostolato associato
Cf. Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 28. Insieme all’apostolato personale, ha particolare valore ed efficacia quello della famiglia cristiana. Fondata sul sacramento del matrimonio, la famiglia è chiamata ad essere immagine viva della Chiesa e soggetto privilegiato di evangelizzazione. In modo proprio e originale può manifestare la presenza e la carità di Cristo, sia con la vita ordinaria di ogni giorno, sia mediante opportune iniziative in ambito ecclesiale e sociale.
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[539]
Per molti laici la partecipazione alla missione della Chiesa si esprime anche in forme aggregative: associazioni, movimenti, comunità, gruppi. La libertà associativa è un diritto che deriva dal battesimo e si deve attuare nel rispetto dei “criteri di ecclesialità”
Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 18; Codice di diritto canonico, 215; Giovanni Paolo II, Christifideles laici 29; 30. Paolo VI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 25 aprile 1977.
Ma tutti i laici, in qualche modo, devono attivamente partecipare alla vita delle loro comunità ecclesiali. Alcuni sono anche chiamati ad assumere ministeri e a far parte di organismi pastorali
Cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 73. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 37. | |
Impegno nella società
[540]
È senz’altro auspicabile una presenza numerosa e qualificata dei laici nelle attività ecclesiali. Tuttavia «il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo»
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 70. | |
Dono divino
[542]
La vita consacrata è «dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 43. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 44.
Tra quanti credono in lui, alcuni sono chiamati a lasciare per la causa del regno di Dio abitazione, professione e famiglia, abbracciando l’ideale della perfetta castità, che non tutti possono capire, «ma solo coloro ai quali è stato concesso» (Mt 19,11). Rinunciando ai beni materiali e al matrimonio, seguono più da vicino il Maestro e si dedicano più liberamente al servizio apostolico. Assumendo uno stile di vita diverso dall’ordinario, professano più apertamente la fede in lui e diventano un segno più evidente della nuova vicinanza di Dio e dell’inizio di un mondo nuovo che si compirà nella risurrezione futura, quando «non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo» (Mt 22,30).
| CdA, 200 CONFRONTAVAI |
Le prime esperienze
[543]
La comunità itinerante dei primi discepoli ha un seguito nella prima Chiesa di Gerusalemme, riunita intorno al Signore risorto in virtù del suo Spirito. Il Maestro ormai è invisibile; ma è più presente che mai e nella fede si vive in intima comunione con lui
A Gerusalemme guarderanno, come a un modello perfetto, tutte le comunità cristiane successive; ma saranno specialmente le comunità di vita consacrata che si sentiranno chiamate a rivivere quel modello con la stessa radicalità.
| CdA, 429 CONFRONTAVAI |
[544]
Fin dal tempo degli apostoli l’intimità con il Cristo risorto trova un’espressione privilegiata nella verginità e nel celibato
Certo, anche il matrimonio è una via alla santità cristiana. Ma la verginità e il celibato manifestano con più chiarezza la dedizione al Signore e la fede nella realtà nuova che sta iniziando. Costituiscono per tutti un appello deciso a non lasciarsi imprigionare dai beni terreni, che passano
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Mirabile varietà
[545]
Nei primi secoli, mescolati tra i comuni cristiani, vivono numerosi asceti e vergini: «Molti uomini e donne, che ora hanno sessanta o settanta anni di età, istruiti fin dalla loro infanzia nell’insegnamento di Cristo, hanno osservato la verginità»
San Giustino, Prima apologia, 15, 6. Clemente d’Alessandria, Stromati, 2, 1, 4.3.
Dal III secolo ad oggi, la storia della Chiesa vede sorgere in ogni epoca figure carismatiche di santi fondatori e riformatori, quasi profeti del Nuovo Testamento, e da loro vede germogliare, in virtù dello Spirito, movimenti spirituali e famiglie religiose di uomini e di donne, con le più diverse finalità: energie potenti, che, propagandosi quasi a ondate successive, danno slancio a tutto il popolo di Dio. Un elenco, sia pure scarno ed incompleto, può servire a darne una idea.
Sant’Antonio e gli eremiti nel deserto. Le comunità monastiche di San Pacomio e di San Basilio. I monaci occidentali della Gallia, di Lerino e d’Irlanda. Le comunità di Sant’Agostino, incentrate nella carità fraterna. Le abbazie ordinate secondo la regola di San Benedetto, sintesi armoniosa di preghiera e lavoro, di solitudine e di vita comune. Gli analoghi monasteri femminili.
Il rinnovamento monastico medievale con l’ordine di Cluny e con i Cistercensi di San Bernardo. Le correnti che uniscono vita comune e vita eremitica, come i Camaldolesi di San Romualdo e i Certosini di San Bruno. La fioritura dei canonici regolari, tra i quali i Premostratensi di San Norberto. Gli ordini cavallereschi e ospedalieri.
I Frati Minori di San Francesco, con il carisma della povertà evangelica, condiviso anche dalle monache di Santa Chiara. I Frati Predicatori di San Domenico, che uniscono contemplazione e vita apostolica, sostenuti dalla preghiera delle monache Domenicane. Altri ordini mendicanti come i Carmelitani, gli Agostiniani, i Mercedari, i Servi di Maria, i Fatebenefratelli.
I chierici regolari, consacrati a Dio nell’apostolato, tra i quali ricordiamo i Gesuiti di Sant’Ignazio di Loyola, caratterizzati dal carisma dell’obbedienza in vista della missione, i Teatini, i Barnabiti, i Somaschi, i Camilliani. La Compagnia di Sant’Orsola, fondata da Sant’Angela Merici, che anticipa i futuri istituti secolari. Le riforme degli ordini tradizionali, tra cui quella dei Carmelitani e delle Carmelitane ad opera di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni della Croce. Le prime società di vita apostolica, come la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, le Figlie della Carità e la Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli.
Le congregazioni religiose di laici e di chierici, quali i Fratelli delle Scuole Cristiane, i Passionisti, i Redentoristi, i Monfortani, gli Oblati di Maria Immacolata, i Salesiani di San Giovanni Bosco, con le Figlie di Maria Ausiliatrice, la Società San Paolo. Le società e le congregazioni a scopo specificamente missionario verso i non cristiani, come la Società per le Missioni Estere di Parigi, il Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, i Padri Bianchi, i Comboniani, i Verbiti, i Saveriani. Le numerosissime congregazioni femminili moderne, a scopo prevalentemente caritativo ed educativo.
Infine le esperienze recenti, tra cui gli istituti secolari, formati da consacrati inseriti nella vita ordinaria, e i nuclei di persone consacrate che animano i nuovi movimenti ecclesiali, sorti intorno al concilio Vaticano II.
Al di là dei limiti e delle miserie sempre presenti in ogni realtà umana, la meravigliosa varietà di tanti carismi e istituzioni rivela la multiforme sapienza di Dio; veste di bellezza la Chiesa, come una sposa adorna per il suo Sposo; la abilita ad ogni opera buona secondo le esigenze dei tempi
Cf. Concilio Vaticano II, Perfectae caritatis, 1. | CdA, 1075-1078 CONFRONTAVAI |
Una sequela più espressiva
[546] La vita consacrata è un carisma dello Spirito, finalizzato sia alla santificazione personale che all’edificazione della Chiesa. Comporta un nuovo modo di essere e di agire.
Se tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù, i consacrati sono chiamati a seguirlo più da vicino, configurati a lui anche nel genere esteriore di vita
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 46; Id., Perfectae caritatis, 25. In concreto la vita consacrata è caratterizzata dalla professione dei tre consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza in una forma di vita stabile e riconosciuta dalla Chiesa. La castità è totale dono di sé al Signore, un dono vissuto nella perfetta continenza sessuale e nell’amicizia disinteressata verso tutti. La povertà è libertà di fronte alle cose, rinuncia al possesso, sobrietà nell’uso, disponibilità a condividere. L’obbedienza è accoglienza della volontà di Dio, mediante la sottomissione alla regola, ai superiori e alla comunità, rinunciando a programmare in modo individuale la propria esistenza. Insieme i tre consigli riportano le grandi tendenze del cuore umano nella logica della carità; rendono umili e vuoti di sé, aperti a Dio e ai fratelli, pronti a camminare verso la perfezione. L’impegno a viverli viene assunto con i voti o con altri vincoli sacri. Associato ad altri elementi, come la centralità della preghiera, della parola di Dio e dell’eucaristia, gli esercizi ascetici ed eventualmente la comunità religiosa e le attività di apostolato, questo impegno viene a costituire una forma stabile di vita, che l’autorità della Chiesa riconosce canonicamente.
| CCC, 1973-1974 |
[547]
Si tratta di una forma di vita non più santa o più facile, ma che manifesta più incisivamente i valori comuni della vita cristiana: l’unione a Cristo, il primato di Dio, la chiamata alla perfezione della carità. Soprattutto testimonia il mondo futuro e l’umanità nuova; anticipa profeticamente la perfetta comunione e la festa eterna di coloro che «seguono l’Agnello dovunque va» (Ap 14,4).
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[548]
La professione dei consigli evangelici costituisce «una certa consacrazione speciale, che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale e che la esprime con maggior pienezza»
Concilio Vaticano II, Perfectae caritatis, 5. Come la Vergine Maria, i consacrati accolgono e manifestano al mondo in modo peculiare la presenza salvifica di Gesù. L’intimità con lui, sposo e amico, riempie il loro cuore e plasma il loro stile di vita.
L’uomo si consacra, ma prima ancora è Dio che consacra. Ricevendo e benedicendo la professione religiosa, la Chiesa manifesta l’iniziativa del Padre, che unisce e conforma a Gesù mediante lo Spirito.
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Il carisma dell’istituto
[549]
Gli elementi costitutivi della vita consacrata vengono organizzati da ogni istituto in modo proprio, secondo uno specifico carisma. Ogni fondatore infatti ha una sua esperienza dello Spirito e la trasmette ai fratelli che Dio gli dà.
Tale esperienza comporta di solito la profonda comprensione esistenziale di qualche parola evangelica, che diventa chiave di lettura di tutto il messaggio cristiano, prospettiva privilegiata per una nuova sintesi del mistero di salvezza. Assumono così una fisionomia caratteristica in primo luogo le componenti della vita consacrata: la pratica dei consigli, l’ascesi, la preghiera, la comunione fraterna, l’apostolato, la presenza nel mondo.
L’esperienza del fondatore attrae seguaci e si propaga come una corrente di grazia da una generazione all’altra. Per integrarsi nella Chiesa e per essere trasmessa più fedelmente, prende corpo in un ordinamento stabile e pubblico. Nasce così l’istituto, con una regola approvata dalla Chiesa e con un’eredità viva da custodire e da attualizzare nel mutare delle situazioni storiche.
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Monaci
[551]
La vita monastica professa i consigli evangelici con voti pubblici; pratica la fraternità nella comunità del monastero, con una certa separazione dal mondo. Organizza i rapporti e le attività in funzione di un’appassionata ricerca di Dio attraverso l’ascesi, l’ascolto della Parola, la contemplazione, la lode.
Imita Cristo che prega sul monte
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 46. | |
Religiosi di vita apostolica
[552]
La vita apostolica cerca, contempla e serve Dio nel servizio degli uomini. Organizza tutto in funzione dell’apostolato. È segno di Gesù che insegna, guarisce e passa facendo del bene. È attuazione esemplare della Chiesa, mandata a proclamare il vangelo e a testimoniare l’amore di Dio per tutti. I consacrati sono agli avamposti della missione, con coraggio e genialità, nelle condizioni più disagiate e pericolose
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 40. | |
Istituti secolari
[553]
Radicata da una parte nella dimensione laicale della vita cristiana e dall’altra nella prospettiva propria della speciale consacrazione è la vita consacrata secolare. Chi vive questo carisma, professa i consigli evangelici con qualche vincolo sacro, voto privato, promessa o giuramento, rimanendo però dentro il mondo, cioè nelle ordinarie condizioni di vita. Manca la comunità vera e propria; i rapporti con l’istituto si riducono a incontri più o meno frequenti con gli altri membri e con i responsabili. I consacrati cercano Dio attraverso la fedeltà alle realtà secolari, lavorando con competenza e spirito di servizio, promuovendo la giustizia, la solidarietà e il senso civico, condividendo gioia e dolore con i compagni di strada. Sono segno di Gesù che a Nàzaret condivise per tanti anni la vita ordinaria di tutti gli uomini. Sono attuazione esemplare della Chiesa, mandata ad animare evangelicamente la società terrena. Con il loro esempio provocano alla santità soprattutto i fedeli laici, con i quali hanno affinità di vocazione.
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Ordine delle vergini e società di vita apostolica
[554] L’ordine delle vergini comprende donne consacrate nel mondo con il “santo proposito” della verginità, un impegno pubblicamente accolto dalla Chiesa.
Infine, le società di vita apostolica sono assimilate agli istituti di vita consacrata. Praticano i consigli evangelici senza vincoli sacri obbligatori. Coltivano la vita comune e si dedicano all’apostolato.
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Dono per la Chiesa
[555] Malgrado nella sua storia non manchino ombre e deviazioni, anche gravi, la vita consacrata è un dono prezioso, di cui la Chiesa ha bisogno per essere pienamente se stessa, per rivelare in modo trasparente la presenza salvifica di Dio. È sempre esistita e, sebbene i singoli istituti possano esaurirsi, non finirà mai.
Esperienza esemplare delle beatitudini
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 31. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 44. La Chiesa, consapevole della centralità di questo dono di Dio nella propria vita, promuove la pastorale vocazionale per favorire l’accoglienza della chiamata divina alla vita consacrata nelle sue varie forme.
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A servizio dell’umanità
[556]
Secondo un celebre detto, monaco «è colui che, separato da tutti, è unito a tutti»
Evagrio Pontico, La preghiera, 124.
La vocazione dei fedeli consacrati è complementare a quella dei pastori e dei fedeli laici. Insieme questi tre stati di vita, arricchiti ciascuno di una grande varietà di vocazioni particolari, di carismi e di ministeri, contribuiscono alla vita e alla missione della Chiesa
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 4. | |
[557] I fedeli di vita consacrata, mossi dallo Spirito, tendono alla perfezione della carità mediante la professione dei consigli evangelici. Così esprimono con maggiore pienezza la consacrazione battesimale; seguono Cristo più da vicino; si donano totalmente a Dio; edificano la Chiesa e cooperano alla salvezza del mondo in modo esemplare; diventano segno luminoso dell’umanità futura.
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[558] La Chiesa intera è per sua natura missionaria. È mandata a evangelizzare, cioè ad annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo vuole salvare tutti gli uomini. Quando la missione si rivolge a coloro che ancora ignorano il vangelo, si chiama attività missionaria in senso specifico e si attua nel rispetto della libertà di coscienza in un clima di dialogo.
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Paolo missionario [559]
Ottenuta dall’assemblea di Gerusalemme la dichiarazione della libertà cristiana riguardo alle osservanze giudaiche, l’apostolo Paolo si rimette in viaggio, con alcuni compagni, per il servizio del vangelo. Più volte percorre Palestina e Siria, Asia Minore, Macedonia e Grecia, lungo le strade militari e le rotte commerciali. Entra nelle vivaci sinagoghe della diaspora e si mescola alle folle cosmopolite delle città; si confronta con l’alta cultura e con la religiosità popolare; ottiene scarse conversioni tra gli ebrei e molte più tra i pagani, fondando comunità cristiane assai promettenti.
Arrestato a Gerusalemme con l’accusa di profanare il tempio, sovvertire la religione e perturbare l’ordine pubblico, è sottoposto a un processo interminabile. Chiamato a dare spiegazioni davanti al procuratore Festo e al re Agrippa II, afferma con sicurezza che il vero protagonista della missione cristiana è Cristo stesso: egli è il primo uomo risorto dalla morte e ora sta annunciando la salvezza a Israele e ai pagani per mezzo dei suoi servitori | |
Il mandato missionario [560]
Cristo risorto è la forza che anima la missione universale: gli apostoli, entrati con lui in intima comunione, condividono il suo amore per tutti gli uomini e diventano suoi collaboratori nell’opera della salvezza. Il Signore affida loro il grande compito di fare discepole tutte le genti e di introdurle nella vita di Dio: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,18-20). Promette che li accompagnerà sempre con la sua presenza: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Confermando la loro predicazione con opere prodigiose | |
Chiesa missionaria [561] Quella di Paolo e degli altri apostoli è indubbiamente una vocazione speciale. Ma il compito di evangelizzare non è riservato ad alcuni: in vario modo, coinvolge tutti i cristiani.
Gli apostoli stessi insegnano che la missione è affidata al popolo di Dio nella sua globalità: «Voi siete... il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9). Di fatto, al tempo delle origini, è vivissima in tutti i credenti la coscienza missionaria. In chiusura della Lettera ai Romani, viene ricordata una fitta schiera di generosi collaboratori di Paolo nel servizio del vangelo: sono uomini, donne, giovani, coniugi, intere famiglie Origene, Contro Celso, 3, 55, 5. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 90. | |
Cammino della missione [562] Con il passare del tempo, si perde la piena consapevolezza della vocazione missionaria di tutto il popolo cristiano; ma la missione prosegue comunque, per impulso dello Spirito Santo, e mantiene costantemente un’apertura universale. Alla fine del IV secolo, i paesi intorno al Mediterraneo sono in gran parte cristiani. Durante il medioevo l’evangelizzazione si estende ai popoli germanici e slavi, soprattutto ad opera dei monaci, finché intorno al 1200 tutta l’Europa è ormai battezzata. Nei secoli XIII e XIV la missione, per merito dei nuovi ordini mendicanti, si dirige verso l’Africa del nord e verso l’oriente, fino alla lontana Cina. Ma i successi tangibili sono modesti e poco duraturi. Nuovi sconfinati orizzonti si aprono con le grandi scoperte geografiche del secolo XV. Lungo le coste dell’Africa e dell’Asia meridionale fino all’estremo oriente, attraverso le vaste regioni del nuovo continente americano ad occidente, si avventurano per tre secoli i missionari francescani, domenicani e gesuiti, spesso a prezzo di eroici sacrifici. Ma i risultati di così generosa impresa non sono sempre favorevoli: si va dalla cristianizzazione di un intero continente, l’America, e di un intero paese, le Filippine, alla formazione di nuclei circoscritti di cristiani in Africa e in India, al sostanziale fallimento in Cina e in Giappone. Nello stesso arco di tempo, nei paesi di antica tradizione cristiana si sviluppa un’attività missionaria, intesa come predicazione straordinaria e periodica al popolo, a sostegno e integrazione della pastorale ordinaria. Le missioni estere, pur essendo la forma esemplare della missione, non la esauriscono. Passata la rivoluzione francese, grazie anche al sorgere di nuove congregazioni specificamente missionarie, l’evangelizzazione dei popoli riprende e prosegue con slancio per tutto il secolo XIX, particolarmente in Africa, Indocina e Oceania. Finalmente, nel nostro secolo, la valorizzazione delle culture e del clero del luogo consente ovunque la formazione di Chiese locali complete. | |
Coscienza missionaria [563] Riemerge oggi nella Chiesa la coscienza della comune vocazione missionaria e il magistero del papa e dei vescovi la esprime con forza.
Il popolo di Dio «è inviato a tutti gli uomini, come luce del mondo e sale della terra» Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 9. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2.
«Il Signore chiama sempre a uscire da se stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede» Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 49. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2. | |
[564] La fede in Cristo è «dono di Dio, da vivere in comunità e da irradiare all’esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola... prima sul proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione universale» Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 49. Ogni credente è chiamato ad essere missionario. Tutta la Chiesa è per sua natura missionaria. | |
Comunione missionaria
[565] La dimensione missionaria appartiene all’identità stessa della Chiesa e del cristiano. Ma qual è il senso della missione?
Israele aveva il compito di rivelare nella storia la santità e la presenza salvifica di Dio. La comunità dei discepoli di Gesù ha il compito di annunciare e rendere in qualche modo visibile il regno di Dio, vivendo la nuova giustizia della carità, delineata nel discorso della montagna. È chiamata ad essere unita nell’amore fraterno, «perché il mondo creda» (Gv 17,21): la comunione concretamente sperimentata sarà segno trasparente di Dio e con il suo fascino attirerà gli uomini a lui
La Chiesa «riceve la missione di annunciare il regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo regno essa costituisce sulla terra il germe e l’inizio»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 5. | |
[566]
Il regno di Dio è carità. La carità è l’energia e il contenuto centrale dell’evangelizzazione. Tutto si concentra nel vangelo della carità: la Pasqua di Cristo, vertice della rivelazione, è evento di carità; Dio è mistero trinitario di carità; la Chiesa è comunione di carità, raccolta intorno all’eucaristia; la vita cristiana è vocazione alla perfezione della carità; la mèta definitiva è beatitudine dell’intimità immediata con Dio nella carità. Perciò anche la missione, in definitiva, non è altro che il dilatarsi della carità: da Dio a noi, da noi agli altri, attraverso parole e opere. Vivere in comunione con Dio-Amore significa amare con lui tutti gli uomini e impegnarsi perché tutti entrino consapevolmente e pienamente nella sua amicizia. «La comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione»
Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 32.
La Chiesa dunque «è inviata da Cristo a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutte le genti»
Concilio Vaticano II, Ad gentes, 10. | |
La via mistica della missione
[567]
La carità è anche la via privilegiata dell’evangelizzazione. A volte è una via che rimane nascosta. In forza della carità, la liturgia, la preghiera, la contemplazione, l’umiltà e la sofferenza hanno un potere di intercessione presso Dio e quindi una misteriosa efficacia missionaria. Per questo santa Teresa di Gesù Bambino, nella clausura del suo monastero, ha meritato di diventare la patrona delle missioni. Soprattutto è fecondo il sacrificio della vita: «Diventiamo più numerosi tutte le volte che siamo mietuti; è un seme il sangue dei cristiani»
Tertulliano, Apologetico, 50, 13. | |
La via della testimonianza
[568]
La via della carità ha anche un’efficacia verificabile, quella della testimonianza: «Si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa»
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 23. | |
[569]
Interpella le coscienze con particolare efficacia l’amore preferenziale per i poveri, che, mentre contraddice l’egoismo radicato nell’uomo e le discriminazioni presenti nella società, si fa espressione di una benevolenza diversa, quella di Dio, gratuita e rivolta a tutti. Per questo l’azione caritativa ha sempre avuto grande rilievo nella vita e nella missione della Chiesa. Già la comunità di Gerusalemme aveva un’assistenza organizzata per i bisognosi
Cf. San Cornelio papa, Lettera a Fabio di Antiochia (in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 6, 43, 11. | |
[570]
A partire dall’attenzione preferenziale ai poveri, la carità evangelica è criterio ed energia per la «trasformazione del mondo»
Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 38. Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 42. Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 43. | |
La via dell’annuncio
[571]
La presenza operosa non basta. La testimonianza cristiana include la professione pubblica della fede
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium,11. Cf. Concilio Vaticano II, Apostolicam actuositatem, 6. L’annuncio deve essere coraggioso e franco, ma anche umile: la verità, che abbiamo ricevuto in dono, non è un vanto per noi; è una responsabilità. L’amore per gli interlocutori esige che si rispetti la loro libertà e si tenga conto della loro situazione esistenziale, sociale e culturale, del loro linguaggio, delle loro aspirazioni, dei loro valori etici e religiosi.
Intercessione, testimonianza e annuncio sono le vie della missione, per le quali devono incamminarsi i singoli cristiani, le famiglie e le comunità. Un radicale cambiamento di mentalità e una profonda revisione pastorale occorrono oggi per dare slancio alla missione universale.
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[572] La missione della Chiesa è evangelizzare, cioè annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che si rivela e si dona in Cristo per la salvezza di tutti gli uomini. Le vie della missione sono la preghiera, avvalorata dal sacrificio, la testimonianza dell’amore reciproco e del servizio ai poveri e alla società, l’annuncio esplicito del vangelo.
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Attuazione esemplare della missione
[573]
L’evangelizzazione è fondamentalmente sempre la stessa, ma assume accentuazioni diverse secondo le situazioni. Si chiama attività pastorale quando si svolge nell’ambito di comunità cristiane vive e solide; nuova evangelizzazione quando riguarda ambienti di tradizione cristiana scristianizzati; attività missionaria in senso specifico quando è destinata a popolazioni che ancora ignorano Cristo
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 33. | |
Il motivo fondamentale
[574] La sua urgenza deriva dalla sua finalità: rendere visibilmente presente in un ambiente umano il mistero della Chiesa, germe e strumento di salvezza, portando il vangelo e fondando Chiese particolari.
«Dire che tutta la Chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione per i non cristiani»; analogamente «dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano missionari per i non cristiani e a vita per vocazione specifica»
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 32. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 65. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 77. Ma perché si deve fare attività missionaria verso i non cristiani? Non possono salvarsi anche seguendo un’altra religione? Non bisogna rispettare la loro coscienza e la loro identità storica? Sono domande che molti oggi pongono.
| CCC, 851 |
La salvezza dei non cristiani
[575]
Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati» per mezzo di un solo «mediatore..., l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,4-6). A lui con il dono dello Spirito Santo associa la Chiesa «come strumento di redenzione per tutti»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 9. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 18. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 10.
Tutti gli uomini dunque con modalità diverse entrano in rapporto con la Chiesa: i cattolici sono «pienamente incorporati», mentre i catecumeni sono congiunti dal «desiderio esplicito»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 14. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 15. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 16. San Cipriano di Cartagine, Lettere, 73, 21, 2. Cf. Origene, Omelie su Giosuè, 3, 5. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 14; Id., Ad gentes, 7. | CdA, 24 CONFRONTAVAI CdA 42 CONFRONTAVAI CdA 401 CONFRONTAVAI CdA 582 CONFRONTAVAI CdA 585 CONFRONTAVAI |
Il cristianesimo compimento delle religioni
[576]
Verso Cristo e la sua Chiesa convergono le religioni del mondo, frutto di una ricerca millenaria, che procede «a tentoni» (At 17,27), ma è sostenuta da Dio stesso. Non sono vie di salvezza indipendenti, perché l’unica via è Cristo mediante la Chiesa; ma predispongono ad accogliere la pienezza di Cristo. Insieme a errori e deviazioni, contengono preziose verità, come germi del Verbo divino pronti a ulteriori sviluppi. Le stesse forme di umanesimo non credente presentano valori, che sono «come un dono concesso da colui che illumina ogni uomo, perché abbia finalmente la vita»
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 16. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 17; cf. Id., Ad gentes, 9. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2. Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 24. | CCC, 842-845 |
Proposta, non imposizione
[577]
La Chiesa, da parte sua, abbraccia come Cristo tutti gli uomini, compresi i suoi persecutori, perché «giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio» (1Pt 2,12). Intercede per tutti, offrendo preghiere e sofferenze. Si rivolge ai non cristiani con l’attività missionaria, affermando con coraggio e con chiarezza che Cristo è la rivelazione definitiva di Dio e l’unico Salvatore dell’uomo. Sa di aver ricevuto in dono questa verità, senza alcun merito proprio; ma si sente responsabile di essa e ne custodisce scrupolosamente l’integrità per il bene di tutti
Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 56. | |
[578] È triste ricordare come più volte, in altre epoche, il vangelo sia stato imposto con la forza delle leggi e delle armi. È doloroso che importanti tesori di civiltà siano andati distrutti, presso numerosi popoli, a motivo della colonizzazione culturale, malgrado l’impegno lungimirante di personalità eccezionali, come san Gregorio Magno, Alessandro Valignano, Matteo Ricci e Roberto de’ Nobili. Ciò è avvenuto contro il vangelo stesso e va attribuito sia ai peccati personali sia, ancor più, ai condizionamenti culturali. Sarebbe comunque ingiustificato dedurre dagli abusi del passato l’opportunità di sospendere l’attività missionaria: si è abusato e si abusa continuamente della scienza e della tecnica, eppure nessuno pensa che si debba per questo rinunciare alla ricerca e al progresso.
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Annuncio e dialogo
[579]
L’annuncio di Cristo deve essere fatto in un clima di dialogo e di collaborazione: «La Chiesa non vede un contrasto tra l’annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso»
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55. | CCC, 856 |
[580] L’attività missionaria, in senso specifico, è rivolta a coloro che ancora ignorano Cristo; mira a diffondere il vangelo e a fondare la comunità cristiana, segno efficace di salvezza. È l’attuazione esemplare e più urgente della missione della Chiesa. Essa ha bisogno di speciali vocazioni di totale consacrazione e deve essere sostenuta dalla cooperazione di tutti i fedeli e di tutte le comunità ecclesiali.
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Urgenza
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Finalità
[582]
I cristiani devono dialogare con i seguaci di altre religioni per conoscerli correttamente ed essere correttamente conosciuti da loro, per superare pregiudizi e malintesi, per stabilire relazioni reciproche di stima, rispetto, accoglienza e amicizia, in modo che ognuna delle parti possa approfondire la propria esperienza di fede e avvicinarsi di più a Dio. Dialogare non deve significare cedere al relativismo o al sincretismo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto ed attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 55. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2. Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 11. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 9. | |
Modalità
[583] Il dialogo assume forme molteplici. Vi è il dialogo della vita quotidiana, in ambiente familiare, professionale e sociale; il dialogo della collaborazione a obiettivi e opere di promozione umana; il dialogo dei patrimoni religiosi e delle tradizioni teologiche ad opera di esperti; il dialogo delle esperienze spirituali vive, come la preghiera, la contemplazione, la ricerca appassionata di Dio.
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Disponibilità
[584] Il dialogo non si sviluppa spontaneamente. È minacciato dalla istintiva diffidenza per il diverso, dai complessi di inferiorità o di superiorità, dal peso dei contrasti secolari. Va costruito pazientemente, con convinzione. Bisogna rispettare e accogliere l’altro come persona; condividerne gioia e sofferenza; conoscere e presentare la religione dell’altro con obiettività, in modo che egli vi si riconosca; non aver paura di lasciarsi mettere in discussione; essere incondizionatamente aperti al mistero di Dio, sempre più grande dei nostri pensieri. Vivendo il dialogo con questi atteggiamenti, i non cristiani potranno incontrare Cristo e trovare in lui il compimento della loro esperienza e della loro storia. I cristiani potranno anch’essi ricevere grandi benefici, perché il vangelo rivela più profondamente il suo significato nel confronto con le altre religioni.
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[585] La Chiesa cattolica crede in questo genere di relazioni, perché crede nella dignità di ogni uomo e nella presenza salvifica di Dio in tutta la storia. È significativo al riguardo che sia stato istituito il pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e che siano stati invitati ad Assisi i rappresentanti di molte tradizioni religiose per il grande incontro di preghiera del 27 ottobre 1986.
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Principali interlocutori
[586]
Meritano particolare attenzione le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, per i loro valori spirituali e per la sempre più consistente presenza nel mondo cristiano, anche in Italia, a causa di migrazioni, viaggi e qualche conversione. È importante individuarne almeno i caratteri generali, sulla scia del concilio Vaticano II
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2-3. | |
Induismo
[587] L’induismo è la tradizione religiosa dell’India, antica di quattromila anni e in continua evoluzione. Più precisamente si tratta di un complesso di religioni e di filosofie, di mitologie e di regole, diverse e a volte perfino contraddittorie. Vi si trovano comunque alcuni elementi, condivisi generalmente o quasi.
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[588] C’è una rivelazione divina originaria, contenuta nei libri sacri. Esistono molte divinità preposte ad ogni aspetto della vita e del mondo. Al di sopra di esse vi è una Realtà ultima, concepita come mistero trascendente e impersonale, inconoscibile e ineffabile, oppure come Dio unico, personale, benevolo. La divinità suprema si manifesta con le sue discese, o teofanie, in figure concrete, che possono essere dèi, uomini straordinari, immagini sacre.
Il mondo fenomenico si sviluppa in un divenire ciclico ed eterno. La sua realtà è inconsistente, anzi è apparenza, illusione, sofferenza. L’uomo è costituito da un’anima, che esiste da sempre e trasmigra da un corpo all’altro. Il ciclo delle rinascite segue la legge della fruttificazione degli atti. Consapevoli o inconsapevoli che siano, essi producono i loro frutti, buoni o cattivi. Di conseguenza si è destinati a rinascere come esseri superiori o inferiori, come ricchi o poveri, come sani o malati, come membri di una casta o di un’altra, o come fuori casta. Comunque, in qualsiasi condizione, tutto è effimero, tutto è dolore. La sofferenza è una necessità cosmica.
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[589]
C’è però una possibilità di salvezza. L’anima può liberarsi dal ciclo delle rinascite, uscire dal mondo dell’apparenza, raggiungere l’unità con la Realtà ultima divina, trovando così la beatitudine definitiva. Questa aspirazione sostiene i seguaci dell’induismo nel loro cammino: «Cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza»
Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 2. Le vie principali per giungere alla liberazione sono tre. La prima è la via dell’azione disinteressata: comporta che si osservino fedelmente, con distacco da motivi egoistici, facendone un’offerta a Dio, i riti religiosi e i doveri morali generali, come la non violenza, la veracità, la castità, il rispetto della proprietà altrui, la generosità, la pazienza, nonché i doveri particolari del proprio stato, conformando così tutta la propria esistenza all’ordine divino e universale. La seconda è la via della conoscenza: passando attraverso l’impegno morale e ascetico, la concentrazione interiore e l’esperienza mistica superiore, conduce il saggio a trovare il vero Sé e in esso anche la Realtà ultima, ad acquisire la consapevolezza dell’unità del soggetto profondo con la divinità. La terza è la via della devozione: è adatta per ogni genere di persone e consiste nella confidenza e nell’amore, rivolti a Dio, benevolo e misericordioso, che salva per grazia chiunque si abbandona totalmente a lui e lo ama appassionatamente.
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[590] Da un punto di vista cristiano, riconosciamo in questa tradizione religiosa importanti valori, ma anche limiti e pericoli. La concezione di Dio come Mistero trascendente e ineffabile o come Essere personale è senz’altro elevata; ma non esclude che si finisca per cadere da una parte nel monismo panteista e dall’altra, soprattutto a livello popolare, nel politeismo idolatrico. Ammirevole è il primato conferito alla vita spirituale, specialmente se lo confrontiamo con il materialismo e il secolarismo occidentale; purtroppo però comporta un deprezzamento del mondo, della storia e della società, ridotti ad apparenza illusoria e considerati insignificanti, anzi di ostacolo, in rapporto alla salvezza. Di conseguenza favorisce una diffusa rassegnazione alle disuguaglianze sociali, assegnate dal destino. Nobile è l’etica e appassionata la ricerca della salvezza definitiva; tuttavia vi si riscontra un carattere marcatamente individualista, che esclude ogni solidarietà e mediazione salvifica, ogni idea di redenzione e di comunione dei santi; non a caso anche il culto è un fatto essenzialmente privato. Generoso è lo spirito di tolleranza verso le altre religioni; ma si confonde con il relativismo e il sincretismo: le religioni, secondo la mentalità induista, sono tutte vere e tutte imperfette; Cristo stesso può essere accettato come una discesa della divinità, rifiutando però la pretesa che egli sia unico e assoluto.
Malgrado le ombre non siano di poco conto, il discernimento cristiano si rallegra di intravedere raggi intensi di quella luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Soprattutto sulla via della devozione arrivano a maturazione esperienze gioiose di amore personale verso Dio, simili a quelle dei santi cristiani, come testimonia questa splendida preghiera del poeta Tukaram (secolo XVII): «Tu tieni la mia mano e mi guidi con fermezza, sempre e dovunque presente al mio fianco. Mentre io vado e mi appoggio a Te, tu porti il mio carico pesante... Io riconosco in ogni uomo un amico, in ogni incontro un congiunto. Come un bimbo felice, vado giocando nel tuo caro mondo, o Dio».
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Buddhismo
[591] Il buddhismo è nato nell’ambito dell’induismo; ma si è posto fuori di esso, per averne rifiutato i libri sacri e la dottrina del Soggetto permanente, del Sé che si identifica con la Realtà ultima. Ha un fondatore storico, il principe indiano Siddharta Gautama (563-483 a.C. circa), che, dopo varie vicende, ha raggiunto attraverso la meditazione il “risveglio” alla verità essenziale dell’esistenza, trovando la soluzione al problema del dolore e diventando un Buddha, cioè un “risvegliato”.
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[592] La dottrina più antica e più vicina al pensiero del fondatore afferma anzitutto che l’esistenza umana e ogni altra realtà, tutto è dolore, precarietà, insoddisfazione, vuoto. L’origine del dolore è la “sete” di vivere e di godere, il desiderio avido e appassionato, che condanna l’uomo al ciclo delle rinascite. Per liberarsi dal dolore e uscire dal vano divenire, occorre sopprimere il desiderio e annullare il proprio io illusorio. Si esce così dal mondo dei fenomeni e, come una goccia si perde nel mare, si entra nell’aldilà ineffabile, nel Vuoto che è pienezza, nell’Assenza che è pace definitiva, nel nirvana.
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[593]
La via che conduce all’estinzione del desiderio e quindi alla cessazione del dolore è costituita da otto sentieri, che riguardano la saggezza, la condotta etica, l’esercizio psicofisico della meditazione. La saggezza, cioè “la comprensione giusta, il pensiero giusto”, consiste in una presa di coscienza esperienziale intorno alla verità del dolore, del desiderio e della loro soppressione. La condotta etica, cioè “la parola giusta, l’azione giusta, i mezzi di esistenza giusti”, esige la rinuncia a tutto ciò che non favorisce la liberazione e che può recare pregiudizio agli altri, come la menzogna, la maldicenza, l’ingiuria, l’omicidio, l’amore illecito, il furto, la cupidigia; viceversa comporta la pratica delle virtù, come la sopportazione delle sofferenze, la non violenza, la benevolenza amichevole, la compassione, il sereno equilibrio e il controllo di sé. La meditazione, cioè “lo sforzo giusto, l’attenzione giusta, la concentrazione giusta”, è una disciplina che impegna il corpo e la mente; fissa l’attenzione intensa e prolungata su ogni fenomeno che emerge nella coscienza, qui e ora, dimenticando però il proprio io, finché non raggiunga la visione intuitiva della precarietà e del vuoto di ogni cosa e non spenga ogni desiderio. Si legge nel Canone buddhista: «Felice la solitudine di colui che si rallegra avendo appreso la Buona legge ed avendo acquistato la visione! Felice la libertà dalla sofferenza nel mondo e il ritegno dal danneggiare le creature! Felice la libertà dalle passioni di questo mondo ed il superamento dei desideri! Che ci si sciolga dalla vanità dell’”ego”, questa è la suprema felicità»
Udâna, 2, 1. | |
[594] L’ideale buddhista è incarnato dai monaci. Essi fuggono il mondo, per mettersi in una condizione più idonea al cammino di liberazione; assumono la povertà e la castità, per spegnere il desiderio rispettivamente di possedere e di esistere; praticano assiduamente la meditazione, per dissolvere il proprio io illusorio e giungere all’illuminazione suprema.
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[595] Non sembra propriamente corretto classificare il buddhismo antico come una filosofia, in quanto si presenta come una via di liberazione definitiva. Però si tratta di una liberazione che è conquista dell’uomo e non grazia di Dio. «Fate voi stessi la vostra salvezza», avrebbe raccomandato il Buddha morente ai suoi discepoli. In concreto la possibilità di raggiungere il nirvana sembra riservata solo ai monaci; la moltitudine dei laici sembra destinata a una ulteriore reincarnazione, più o meno elevata secondo il grado di purificazione raggiunto.
Non sorprende che successivamente il buddhismo, per quanto riguarda la maggioranza dei suoi aderenti, si sia evoluto in senso più chiaramente religioso. La liberazione, secondo questa versione, può essere ottenuta da tutti, anche dai laici, con la fiducia nella benevolenza del Buddha supremo, che è Dio stesso, e dei bodhisattva, saggi illuminati che, mossi da compassione, aiutano gli uomini a raggiungere la salvezza.
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[596] Posto di fronte al buddhismo, il cristiano, pur provando ammirazione per una spiritualità così nobile e raffinata, è preso anche da gravi perplessità. È certo doveroso annullare ogni desiderio egoistico; ma è possibile annullare il desiderio di vivere come tale? Non è più bello attuarlo nella comunione? La mèta definitiva non va pensata come pienezza della persona anziché come dissoluzione di essa? È vero che l’uomo e il mondo sono sottomessi alla caducità e alla sofferenza; ma è ragionevole ridurli a un flusso di impressioni e di fenomeni senza valore? Non sono piuttosto da considerare creazione di Dio, incamminati verso un compimento ultimo? Se un certo distacco dal mondo è necessario per sviluppare valori importanti, come la preghiera, la contemplazione, l’armonia con la natura, non occorre forse anche un serio impegno nel mondo per realizzare il progresso civile? Infine, un’etica nobile ed esigente come quella buddhista dispone senz’altro alla salvezza; ma basta a conquistarla? Non è più confortante pensare che questa sia donata per grazia e sia offerta a tutti, anche a chi non cammina per la retta via? Secondo la fede cristiana, non è l’uomo che raggiunge con le sue sole forze la perfezione ultima, fuggendo magari dal mondo e da se stesso; ma è Dio che viene a noi, assume l’uomo e il mondo e li porta a compimento.
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Islam
[597] L’islam è la più recente delle religioni universali. Ne è fondatore Maometto (570-632 d.C.), nella cui attività si distinguono due periodi: il primo, a La Mecca, è incentrato sulla predicazione del monoteismo e dell’imminente giudizio di Dio contro i politeisti e i ricchi che opprimono i poveri; il secondo, a Medina, è dedicato all’organizzazione giuridica della nuova comunità islamica e alla guerra santa. Maometto si presenta come “il Sigillo dei profeti”, che porta a compimento la rivelazione, già affidata ad Abramo, a Mosè, a Davide, a Gesù. Il libro sacro, il Corano, è la parola di Dio, da lui dettata letteralmente. Autorità profetica hanno anche i detti e gli atti di Maometto, che costituiscono la tradizione.
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[598] L’islam è una religione semplice nella dottrina, nei riti e nei valori etici; minuziosa nelle regole giuridiche.
Esiste un solo Dio, personale, incomprensibile, onnipotente, clemente e misericordioso, che ha creato gli angeli, gli uomini e tutte le cose. Da lui vengono il bene e la sventura. Egli risusciterà i morti e nel giudizio finale premierà i buoni con il paradiso e condannerà i malvagi all’inferno. Così lo invoca più volte al giorno ogni fedele, con la prima “sura” del libro sacro: «Nel Nome di Dio, Misericordioso e Compassionevole. Lode a Dio, Signore dei mondi, il Misericordioso e il Compassionevole, Padrone del giorno del giudizio. Te noi serviamo, te invochiamo in aiuto. Guidaci sulla retta via, la via di coloro sui quali hai effuso la tua grazia, non di quelli coi quali sei adirato, né di quelli che vagano nell’errore»
Corano, 1. | |
[599] Il giusto atteggiamento dell’uomo davanti a Dio è la sottomissione, che implica obbedienza e abbandono fiducioso. La parola araba “islam” significa appunto “sottomissione”. Questa si esprime concretamente nella professione di fede e nelle pratiche religiose. La fede viene sintetizzata nella formula: “Non c’è Dio se non Allah e Maometto è il suo Profeta”. Le pratiche religiose sono la preghiera, l’elemosina, il digiuno, il pellegrinaggio. La preghiera rituale è regolata da norme precise: si deve compiere cinque volte al giorno al momento fissato, in stato di purità legale, eseguendo con esattezza i gesti prescritti; in forma comunitaria si deve celebrare il venerdì alla moschea, con la partecipazione almeno degli uomini. L’elemosina è una tassa obbligatoria a vantaggio dei poveri, alla quale è possibile aggiungere anche prestazioni volontarie. Il digiuno consiste nel rinunciare al cibo, al tabacco, ai profumi, ai rapporti sessuali dalla luce dell’alba al buio della sera tutti i giorni durante il mese di ramadan. Il pellegrinaggio a La Mecca va compiuto, almeno una volta nella vita, da ogni musulmano adulto e sano. Dovere dei credenti è infine la “guerra santa”, o meglio lo sforzo per affermare i diritti di Dio in tutti gli ambiti della vita: comporta innanzitutto il combattimento spirituale per conformare se stessi alla volontà divina, quindi lo sforzo missionario per estendere l’islam, arrivando, se necessario, anche alla conquista armata.
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[601]
A parte l’ebraismo, nessun’altra religione ha tanti elementi comuni con il cristianesimo come l’islam
Cf. Concilio Vaticano II, Nostra aetate, 3. | |
[603] Comune alle due religioni è la giusta preoccupazione che la fede non sia separata dalla vita e che ogni attività sia sottomessa alla volontà di Dio. Ma ciò non giustifica una legislazione minuziosa, che pretenda regolare le cose una volta per sempre: ne rimarrebbero facilmente soffocate le esigenze concrete dell’amore e del servizio all’uomo; ci si esporrebbe all’incompatibilità con nuove situazioni impreviste. Tantomeno comporta la confusione tra lo spirituale e il temporale, con la conseguente giustificazione dello stato teocratico islamico, così diverso dal moderno stato democratico.
Riconosciamo che i musulmani tradizionalmente hanno praticato una certa tolleranza nei confronti di cristiani ed ebrei, conferendo loro uno speciale statuto di ospiti protetti. Ma oggi la dignità della persona umana e il riconoscimento dei suoi diritti esigono la piena cittadinanza per le minoranze, la libertà di coscienza per tutti, la parità sociale dell’uomo e della donna, offuscata tra l’altro dalla poligamia.
Condividiamo la valutazione positiva della vita terrena, della prosperità economica, della giustizia sociale, del progresso culturale. Ma non possiamo vedere nel successo temporale il segno sicuro della benedizione di Dio. Rimarrebbe senza significato l’esperienza umana fondamentale della sofferenza.
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[604] Sono innegabili nella tradizione islamica gli alti valori morali e religiosi che alimentano la vita spirituale di milioni e milioni di uomini. Non manca però in campo etico qualche concessione di troppo alla debolezza umana. Soprattutto il rapporto con Dio è inteso come sottomissione e non come amore. Fanno eccezione i mistici; ma essi si trovano ai margini dell’ortodossia ufficiale.
Malgrado le profonde divergenze, cristianesimo e islam si incontrano nella fede in un solo Dio, onnipotente e misericordioso. Il grido: «Dio è grande!», che ha così profonda risonanza nei musulmani, affascina anche i cristiani. Animati da questa fede, gli uni e gli altri possono camminare insieme verso un’attuazione più piena della libertà, della fraternità, della convivenza pacifica.
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[605] In tutte e tre le religioni universali extrabibliche, induismo, buddhismo e islam, si sviluppano esperienze che superano le dottrine ufficiali e vanno in direzione dell’unione amorosa con Dio, sia presso i mistici che presso la gente devota. Ci rallegriamo di riconoscere in ciò un’importante affinità con il cristianesimo, un segno della presenza di Cristo stesso e della sua grazia.
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[606] Il dialogo interreligioso tende a sviluppare una corretta conoscenza reciproca e a stabilire relazioni amichevoli, in modo da favorire il progresso spirituale di ciascuno. Alimenta nei non cristiani un atteggiamento di apertura alla verità di Cristo; conduce i cristiani ad una più profonda comprensione del vangelo. È urgente soprattutto il dialogo dei cristiani con i seguaci delle altre religioni universali: induismo, buddhismo e islam.
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[607] Mistero è il disegno salvifico di Dio che si rivela e si attua nella storia. Mistero pasquale è l’evento della passione, morte, risurrezione e glorificazione di Gesù Cristo, centro del disegno salvifico di Dio e della storia. Questo evento venne preparato e prefigurato nell’Antico Testamento; ora, compiuto una volta per sempre, rimane in eterno e viene ripresentato attraverso segni visibili nel tempo della Chiesa. La Chiesa lo annuncia con la parola e lo celebra con la liturgia, perché i credenti siano conformati a Cristo ed egli si incarni ancora nella loro esistenza. Così la memoria narrata e quella rituale diventano memoria vissuta.
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[608] Nella Chiesa, attraverso mediazioni umane, il Signore crocifisso e risorto viene a incontrare gli uomini, in maniera conforme alla loro condizione storica. Parla e chiama alla fede con la predicazione. Esercita il suo sacerdozio nel sacrificio eucaristico, nei sacramenti e in tutte le celebrazioni liturgiche, comunicando il suo Spirito.
Per quanto sta in lui, egli offre efficacemente la verità salvifica e la grazia santificante, per essere accolto e seguito in modo autentico dai fedeli. Per questo la predicazione della Chiesa, a livello di massima autorità e di impegno definitivo, è infallibile, e la liturgia nei sette sacramenti è di per se stessa comunicazione di grazia.
In questa sezione tratteremo della presenza del Signore Gesù nella proclamazione della Parola (capitolo 14); quindi nella liturgia globalmente considerata (capitolo 15) e nei singoli sacramenti, prima in quelli dell’iniziazione cristiana, battesimo, cresima ed eucaristia (capitolo 16), poi in quelli della guarigione spirituale, penitenza e unzione dei malati (capitolo 17), infine in quelli finalizzati allo sviluppo della vita comunitaria, ordine e matrimonio (capitolo 18).
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609] Non si vive di solo pane. I credenti vivono della parola di Dio, consegnata una volta per sempre nella Sacra Scrittura e attualizzata incessantemente dallo Spirito di verità mediante la Tradizione viva della Chiesa. Dall’ascolto assiduo, attento e devoto di essa prendono forza e orientamento l’annuncio, la preghiera e l’impegno cristiano.
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Parola viva ed efficace
[610] Oggi la parola è inflazionata nel chiasso della pubblicità e della propaganda, nel vuoto di tanti discorsi e scritti; perciò la sua reputazione è in ribasso. Si sente dire: «Contano i fatti e non le parole». Ma è veramente così? La parola non è solo informazione: è comunicazione e azione. Provoca gioia e dolore, amicizia e ostilità, reazioni e iniziative. La sua forza costruisce e distrugge, unisce e divide; fa andare avanti la storia non meno dei fatti economici e tecnici.
A maggior ragione è attiva e feconda la parola di Dio che crea, libera, santifica, giudica e sconvolge. «La mia parola non è forse come il fuoco e come un martello che spacca la roccia?» (Ger 23,29). «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,... così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11). «La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4,12).
| CCC, 65 |
[611]
La parola di Dio è Dio stesso che si rivela e si dona nella storia degli uomini, fino a comunicarsi personalmente in Gesù di Nàzaret. Gesù è la Parola eterna e creatrice di Dio fatta carne
Secondo gli Atti degli apostoli, la Parola, colma di Spirito Santo, porta avanti il cammino della Chiesa: cresce, si rafforza e si diffonde. I protagonisti umani sono i suoi servitori
Questa Parola non è solo una notizia riguardante la salvezza, ma è parte integrante dell’avvenimento stesso della salvezza; non solo ha per contenuto Cristo morto e risorto, ma prima ancora è Cristo stesso, che parla attraverso i suoi inviati: «Mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo» (2Cor 2,17). I discepoli continuano a predicare e a insegnare in suo nome e con la sua presenza
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Rivelazione attualizzata
[612]
Il cristianesimo non è la religione di un libro, per quanto sacro possa essere, ma la religione «della Parola incarnata e vivente»
San Bernardo di Chiaravalle, Lodi alla Beata Vergine Maria che riceve l’annunzio, 4, 11.
Nella Chiesa «Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il vangelo»
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 33. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 7. Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 7. Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 4. | CCC, 79CCC 108CCC 1084CdA, 58 CONFRONTAVAI |
[613]
Attraverso la Parola e i sacramenti, debitamente accolti, il Signore conforma a sé i credenti e viene a vivere in loro, prolungando in qualche modo la sua incarnazione. Con la Parola fa risplendere davanti al loro sguardo la propria immagine e li attrae a sé. Con i sacramenti ristruttura la loro esistenza secondo la medesima immagine e li unisce a sé. La sua verità e la sua grazia sono ugualmente necessarie per edificare la vita cristiana.
| CdA, 607-608 CONFRONTAVAI |
La Sacra Scrittura norma della fede
[615]
Molti, anche praticanti, si considerano cattolici, ma a modo proprio. Non si curano seriamente della parola di Dio. Ignorano la Sacra Scrittura, oppure ne danno un’interpretazione individuale o di gruppo, senza tener conto dell’interpretazione autentica del magistero ecclesiale. Invece, chiamato a vivere la fede, il cristiano ha bisogno di leggere il libro sacro e di leggerlo in accordo con la Chiesa.
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Infallibilità della Chiesa
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La fede della Chiesa riconosce nella Scrittura la propria norma e ad essa si sente vincolata; tuttavia, come a suo tempo ne ha fissato il canone, l’elenco dei libri sacri, così in ogni epoca si sente autorizzata a interpretarla, perché sa di essere animata dal medesimo Spirito Santo, che ne è l’autore
Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 12. | |
[617] La verità è un dono che la Chiesa riceve dal Signore; non è motivo di vanto, ma di umile gratitudine e grave responsabilità. Gesù Cristo non si è limitato a parlare una volta per sempre nel lontano passato, ma riprende la stessa parola e l’attualizza incessantemente con la luce del suo Spirito, attraverso mediazioni umane. Non abbandona il suo messaggio alle fragili risorse della ricerca umana, ma garantisce e offre lui stesso, infallibilmente, la verità salvifica, come attraverso i sacramenti offre la grazia santificante, indipendentemente dalla dignità morale del ministro. Senza questa garanzia i credenti rischierebbero di smarrire l’oggettività e l’integrità della rivelazione; finirebbero per ridurre Dio alla misura della loro esperienza e per credere più a se stessi che a lui. È possibile essere cristiani solo ricevendo in dono la verità e la grazia che sono tra loro complementari.
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Il comune senso della fede
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«Dove è la Chiesa, lì è anche lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio è la Chiesa ed ogni grazia. E lo Spirito è la verità»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 24, 1. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 12. | |
Il compito dei teologi
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Il Magistero
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Il collegio dei vescovi, presieduto dal papa, ha l’ufficio di garantire la tradizione autentica della fede e di guidare il popolo dei credenti; per questo ha ricevuto in modo speciale «il carisma sicuro della verità»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 26, 2. Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 25. Il papa per volontà di Cristo deve confermare i fratelli ed essere “roccia” di sostegno per la Chiesa; perciò è infallibile anche da solo, quando come maestro universale della fede definisce la dottrina da credere.
| CCC, 888-892CdA, 60 CONFRONTAVAI |
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Accanto all’insegnamento definitivo e infallibile, vi è un insegnamento ordinario non definitivo del papa e dei vescovi in materia di fede e di agire morale, che ha lo scopo di guidare il popolo di Dio verso una profonda comprensione e una coerente prassi cristiana. Anche questo insegnamento ordinario non definitivo gode di una particolare assistenza divina. Esige un assenso interiore, non però un’adesione totale di fede come il precedente.
Sacra Scrittura, Tradizione, magistero dei vescovi e del papa sono congiunti insieme «sotto l’azione del medesimo Spirito Santo»
Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10. Cf. Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10. | |
Le formule dogmatiche
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Nel procedere della storia, davanti a situazioni e a problemi sempre nuovi, la Chiesa deve ripensare e riformulare continuamente la sua dottrina, proprio per rimanere fedele al messaggio originario, sperimentarne la fecondità, comprenderne altri aspetti. A quest’opera incessante di ricerca e di interpretazione contribuiscono il magistero dei pastori, lo studio dei teologi e la fede di tutti. In alcuni momenti si avverte la necessità, o almeno l’opportunità di nuove formule di fede, per riassumere il nucleo centrale del messaggio di salvezza o per precisarne qualche aspetto. Si fissano così i dogmi della Chiesa, non come aggiunte indebite alla parola di Dio, ma come interpretazioni ufficiali e infallibili di essa, punti sicuri di riferimento per poter proseguire il cammino verso una comprensione sempre più ricca del mistero vivo e inesauribile, senza deviazioni, tentennamenti e ricadute all’indietro. I dogmi sono offerta efficace di verità, come i sacramenti sono offerta efficace di grazia. È vero che l’atto di fede «non si ferma all’enunciato, ma raggiunge la realtà»
San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 1, a. 2 ad 2. | CdA, 306 CONFRONTAVAI |
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Le formule, vere e garantite dall’infallibilità, sono indispensabili, perché vi sia «una sola fede» (Ef 4,5) e un’autentica comunità di credenti e di testimoni. L’unità del pensiero e il comune linguaggio sono a servizio della comunicazione e condivisione della fede.
Per il carisma della verità, che le viene dal Signore risorto e dal suo Spirito, «ricevuto il messaggio della fede, la Chiesa, benché sparsa in tutto il mondo, lo conserva fedelmente come se abitasse una sola casa; vi crede concordemente come se avesse una sola anima e un solo cuore; e con armonia perfetta lo predica, lo insegna e lo trasmette come se avesse una sola bocca»
Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, 1, 10, 1-2. | |
[624] In quanto segno efficace della salvezza, la Chiesa riceve dal Signore Gesù la luce dello Spirito Santo, che la conduce «alla verità tutta intera» (Gv 16,13), perché tutti i fedeli, guidati dal magistero dei pastori, possano giungere «all’unità della fede e della conoscenza», senza essere «portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini», e possano aderire sempre più a Cristo, «vivendo secondo la verità nella carità» (Ef 4,13-15).
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Discepoli e testimoni della Parola
[625] La fede è una vittoria difficile, sempre rimessa in questione. La speranza spesso è contraddetta dall’esperienza. La carità può perdere facilmente il suo fervore. Dove attingere energia per la vita cristiana? Su quale fondamento edificare la comunità?
Il cristiano e la Chiesa nascono e crescono in virtù della parola di Dio e dei sacramenti. La Chiesa proclama e ascolta la Parola: vive di essa. La proclamazione assume forme diverse. Un primo annuncio del vangelo, incentrato sulla persona di Gesù Cristo e sul mistero pasquale, viene portato, in vista della conversione, a coloro che ancora non l’hanno conosciuto o sono rimasti indifferenti o increduli. Una catechesi più completa e sistematica viene proposta a quanti si mettono in cammino verso una fede più matura. Una liturgia della Parola costituisce la prima parte della santa Messa, centro di tutta l’esperienza cristiana. Anzi ogni celebrazione di sacramenti, di benedizioni, di liturgia delle ore riceve la sua impronta dalla parola di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura: «Da essa vengono tratte le letture da spiegare nell’omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici e da essa prendono significato le azioni e i segni»
Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 24. | CCC, 1349 |
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Attraverso testi redatti in tempi lontani, Dio ci rivolge adesso la sua parola. Ci ricorda le meraviglie compiute nell’Antico e nel Nuovo Testamento, perché vuole ancora agire nella stessa direzione. Ci ripropone la memoria di Cristo, per ricreare in noi i suoi atteggiamenti e prolungare, in certo modo, la sua incarnazione in virtù dello Spirito
La Parola scuote il nostro torpore, risponde alle nostre domande, allarga i nostri orizzonti, ci offre i criteri per interpretare e valutare i fatti e le situazioni. D’altra parte viene compresa sempre in modo nuovo. È come uno specchio, in cui ciascuno può scorgere la propria immagine e la propria storia
San Gregorio Magno, Omelie su Ezechiele, 1, 7, 8. Cf. Origene, I principî, 4, 2, 4; Smaragdo, Diadema dei monaci, 3. |