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CATECHISMO DEGLI ADULTI

CATECHISMO DEGLI ADULTI
INDICE TEMATICO
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Catechismo degli Adulti

Sacerdozio 518 , 637-638 , 648 , 653 , 435 , 497 , 648 , 664 , 672 , 511-525 , 719-728
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Segno e presenza di Cristo pastore
[518] La missione da svolgere contribuisce a individuare l’identità dei ministri ordinati. Questa però è connotata essenzialmente dal loro rapporto con Cristo.
In virtù del sacramento essi diventano rappresentanti di Cristo, pastore e servo, nella triplice funzione profetica, regale e sacerdotale. Come il Padre ha mandato il Figlio e si è manifestato attraverso di lui, così Gesù manda i suoi discepoli e si rende presente attraverso di loro. Colui che invia, viene lui stesso insieme con coloro che sono inviati. Essi non sono semplici delegati, ma segno visibile ed efficace della sua presenza. Non sono intermediari, ma consentono di incontrare in modo umano l’unico mediatore. Non solo lo rappresentano, ma lo ripresentano. Quello che Gesù diceva riferendosi al Padre, essi lo possono ripetere in riferimento a Gesù: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo» (Gv 8,29).
CCC, 886CCC 888-896CCC 1548-1549CdA, 719-720
CONFRONTAVAI
Celebrazione del mistero pasquale
[637]  Gesù Cristo porta a compimento gli eventi e i riti dell’antica alleanza. Nella sua persona Dio stesso si rivela, si comunica e ci salva. La sua predicazione, la sua azione, l’offerta della sua vita sono eventi concreti e irripetibili; una storia, non un rito liturgico. Tuttavia, nel modo più sublime, realizzano il fine di tutti i riti, che è quello di introdurre nella comunione con Dio. Gli antichi sacrifici, basati sull’offerta della vittima in sostituzione della vita dell’offerente, sono superati dal dono totale di lui stesso. Questo atto è così perfetto che basta da solo a salvare tutti gli uomini: «Siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10,10). Però l’offerta di Cristo sulla croce non esclude l’offerta dei credenti, anzi la esige e la rende possibile. Sostenuti da lui, potranno anch’essi offrire la propria vita al Padre nell’obbedienza quotidiana alla sua volontà
nota
Cf. Rm 12,1-2.
.
CCC, 1151-1152CCC 1364CdA, 688-690
CONFRONTAVAI
[638]  Il cristianesimo non comporta l’abolizione delle celebrazioni rituali, 15-306.pngma un profondo cambiamento di significato.
Secondo il Nuovo Testamento, Gesù stesso istituisce il rito eucaristico, come memoriale dell’unico e perfetto sacrificio della croce: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,191Cor 11,24). Non si tratta né di una semplice evocazione mentale, né di una ripetizione, né di un’aggiunta, ma di una ripresentazione efficace mediante un’azione simbolica, quella della cena.
L’atto di donazione, con cui Gesù è morto, rimane nel Signore risorto come perenne intercessione presso il Padre
nota
Cf. Eb 7,25.
, come «redenzione eterna» (Eb 9,12) in virtù dello «Spirito eterno» (Eb 9,14). L’evento pasquale è l’unico avvenimento che non passa. È il centro dell’economia salvifica. In esso trovano compimento e rimangono in qualche modo attuali anche gli altri avvenimenti della vita di Cristo e le figure dell’Antico Testamento. In esso virtualmente sono contenute la santificazione e la gloria futura dell’umanità redenta. Ebbene, questo evento viene ripresentato nell’eucaristia e dispiega in vari modi la sua efficacia anche negli altri sacramenti e in tutta la liturgia
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilium, 7; 61; Id., Lumen gentium, 7.
. I riti rimangono nel tempo della Chiesa come celebrazione del mistero pasquale, perché i credenti possano inserirsi in esso mediante la fede e attingere la vita nuova.
[648]  Mediante l’azione liturgica lo Spirito incorpora a Cristo e rende partecipi della sua vita filiale. Tre sacramenti, il battesimo, la cresima e l’ordine, imprimono il carattere, un sigillo spirituale permanente, a motivo del quale non possono essere ripetuti
nota
Cf. Concilio di Trento, Sess. VII, Decr. Sui sacramenti, Can. sui sacramenti in genere 9 - DS 1609.
. Si tratta di una consacrazione, che conforma a Cristo sul quale «il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27) e abilita a condividere con tutta la comunità la sua missione di profeta, re e sacerdote; una consacrazione irrevocabile, segno dell’amore fedele di Dio per i singoli cristiani e per la Chiesa, al cui servizio sono posti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 10.
.
Chi celebra
[653] La liturgia è innanzitutto azione di Cristo, eterno sacerdote; ma è anche celebrazione della Chiesa, intimamente associata a lui nel santificare gli uomini e nel lodare il Padre. In quanto azione di Cristo, la liturgia è una e perfetta; in quanto attività della Chiesa, immersa nella storia, varia secondo le tradizioni culturali, la formazione spirituale e la sensibilità pastorale delle concrete comunità cristiane e dei loro ministri.
[435]  Sebbene nuova sia l’alleanza, di cui Cristo è mediatore
nota
Cf. Eb 9,15.
, l’idea di un “nuovo” popolo di Dio non ha alcun rilievo negli scritti del Nuovo Testamento. Non c’è la sostituzione di Israele, ma il suo perfezionamento: Dio non ricomincia daccapo, va avanti.
Israele è “la radice santa”, dalla quale si sviluppa il cristianesimo; è “l’olivo buono”, sul quale vengono innestati i pagani, perché portino frutto
nota
Cf. Rm 11,1624.
. Gesù rimane il Messia di Israele
nota
Cf. At 3,20.
. La prima comunità, composta di giudeo-cristiani, rappresenta “il resto” di Israele
nota
Cf. Rm 11,5.
. Nel libro dell’Apocalisse, la continuità viene messa in evidenza mediante la figura della donna, che indica il popolo eletto prima e dopo la venuta del Messia
nota
Cf. Ap 12,1-17.
, e mediante l’immagine della città santa, aperta ad accogliere i pagani che vengono in pellegrinaggio.
Se già nell’antica alleanza Israele ha ricevuto il nome di assemblea di Dio, a maggior ragione merita questo nome il definitivo popolo di Dio. “Chiesa” significa precisamente “assemblea”: assemblea radunata dal Padre intorno a Cristo con il dono dello Spirito, Chiesa «di Dio in Gesù Cristo» (1Ts 2,14).
La Chiesa è dunque la forma definitiva del popolo di Dio nella storia, capace di attirare tutte le genti. «La legge e la parola sono usciti da Gerusalemme... e noi ci siamo rifugiati presso il Dio di Israele. Sebbene fossimo esperti nella guerra, nell’assassinio, in ogni specie di mali, abbiamo trasformato le spade in aratri, le lance in falci; e ora costruiamo il timor di Dio, la giustizia, la solidarietà, la fede e la speranza»
nota
San Giustino, Dialogo con Trifone, 18, 2-3.
.
Quanti con il battesimo vengono inseriti in Cristo, formano il popolo dei “santi”, «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1Pt 2,9).
Pari dignità
[497]  Nell’Antico Testamento lo Spirito Santo veniva effuso su alcuni 12-244.pngpersonaggi straordinari; nel giorno di Pentecoste è dato invece in abbondanza a tutta la comunità cristiana. Lo sottolinea il discorso di Pietro, secondo cui si compie la promessa del Signore contenuta nel libro di Gioele
nota
Cf. Gl 3,1-5.
: «Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno» (At 2,17). Tutto il popolo messianico partecipa all’ufficio profetico, regale e sacerdotale di Cristo.
Tutti i fedeli ricevono lo Spirito; tutti sono incorporati a Cristo mediante il battesimo; tutti sono figli di Dio, fratelli tra di loro, eredi della vita eterna. Tutti sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità; tutti cooperano a edificare la Chiesa
nota
Cf. Ef 4,12-13.
e partecipano alla sua missione universale di salvezza: «Ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione»
nota
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 90.
.
CCC, 871-873
[648]  Mediante l’azione liturgica lo Spirito incorpora a Cristo e rende partecipi della sua vita filiale. Tre sacramenti, il battesimo, la cresima e l’ordine, imprimono il carattere, un sigillo spirituale permanente, a motivo del quale non possono essere ripetuti
nota
Cf. Concilio di Trento, Sess. VII, Decr. Sui sacramenti, Can. sui sacramenti in genere 9 - DS 1609.
. Si tratta di una consacrazione, che conforma a Cristo sul quale «il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27) e abilita a condividere con tutta la comunità la sua missione di profeta, re e sacerdote; una consacrazione irrevocabile, segno dell’amore fedele di Dio per i singoli cristiani e per la Chiesa, al cui servizio sono posti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 10.
.
Il cammino di fede e i sacramenti
[664]  L’iniziazione cristiana è l’inserimento dei credenti in Cristo morto e risorto come membri del suo popolo profetico, regale e sacerdotale, per morire al peccato e vivere da figli di Dio, facendo «la verità nella carità» (Ef 4,15). Si attua nell’educazione alla fede e nei sacramenti del battesimo, della cresima e dell’eucaristia.
CCC, 1212
[672]  Uniti e configurati a Cristo, formiamo la Chiesa suo mistico corpo: un solo battesimo, un solo Dio Padre, un solo Signore Gesù Cristo, un solo corpo ecclesiale, animato da un solo Spirito Santo
nota
Cf. Ef 4,4-5.
. Consacrati con il carattere battesimale, siamo resi partecipi della missione profetica, regale e sacerdotale del Messia, così che ognuno di noi può dire con lui: «Lo Spirito del Signore è sopra di me... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio... per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18)
nota
Cf. Is 61,1-2.
. Siamo abilitati a professare la fede con le parole e le opere, a ordinare secondo giustizia e carità le relazioni con gli altri, a offrire in unione al sacrificio eucaristico il lavoro, la sofferenza, l’esistenza intera.
CdA, 497
CONFRONTAVAI
CdA 742-744
CONFRONTAVAI
Istituzione divina
[511] Del ministero apostolico partecipano quei credenti che vengono scelti perché siano rappresentanti di Cristo pastore e in suo nome sostengano la vita di fede e di carità di tutti i fedeli attraverso la predicazione della Parola, la celebrazione dei sacramenti, la guida della comunità, nella continuità della tradizione apostolica. La funzione ecclesiale, che viene loro affidata, è tale da polarizzare tutta la loro esistenza e determinare il loro modo di essere cristiani, il loro genere di vita.
CCC, 551CCC 858-860CCC 877
[512]  Già durante il ministero pubblico di Gesù, i Dodici sono stati associati alla sua missione e inviati ad annunciare il regno di Dio e a porre in atto i segni della sua venuta, condividendo lo stesso stile di vita del Maestro
nota
Cf. Mt 10,5-10.
. Si trattava di un preludio della missione definitiva e universale, che avrebbero ricevuto in seguito con il potere di “legare e sciogliere”
nota
Cf. Mt 18,18.
. Di fatto ricevono dal Signore risorto il grande mandato missionario: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). Ma come potranno svolgere la loro opera dovunque e sempre, se non attraverso dei collaboratori e dei successori?
CdA, 201-204
CONFRONTAVAI
[513]  Nella Chiesa delle origini gli apostoli occupano il primo posto tra 12-249.pngtutti i carismi. Sono i testimoni ufficiali del Risorto; i suoi ambasciatori, inviati con la forza dello Spirito Santo e accreditati con i miracoli; i dispensatori dei doni di Dio; i ministri della riconciliazione.
Formano un collegio, presieduto da Pietro, e guidano insieme il cammino iniziale della prima comunità di Gerusalemme. Cresce però in fretta il numero dei credenti ed essi sentono il bisogno di associarsi dei collaboratori. Creano prima sette responsabili per una parte della comunità, quella di lingua e cultura greca, che presto verrà perseguitata e cacciata dalla città
nota
Cf. At 6,1-6.
. Affidano poi l’altra parte, quella di cultura ebraica, a Giacomo, cugino del Signore, coadiuvato da un collegio di presbìteri, secondo il modello delle sinagoghe. Giacomo, la prima figura conosciuta di pastore unico a capo di una comunità locale, morirà martire e avrà come successore Simeone, un altro cugino di Gesù.
[514]  Le comunità che man mano si aggiungono a quella di Gerusalemme hanno anch’esse dei responsabili: ad Antiòchia cinque «profeti e dottori» (At 13,1); nelle città dell’Asia Minore un collegio di presbìteri stabiliti dallo Spirito Santo attraverso gli apostoli; a Filippi «i vescovi e i diaconi» (Fil 1,1); a Tessalonica i «preposti nel Signore» (1Ts 5,12); altrove «pastori e maestri» (Ef 4,11). I titoli non sono ancora precisi e ufficiali e variano da un ambiente all’altro. Nell’insieme però appare abbastanza chiaro che le comunità sono guidate da un collegio di responsabili, sotto l’autorità dell’apostolo fondatore.
[515]  Con l’andar del tempo gli apostoli avvertono la necessità di una successione: «Istituirono i vescovi e i diaconi e diedero ordine che, quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel loro ministero»
nota
San Clemente di Roma, Lettera ai Corinzi, 44, 2.
. Essi stessi passano le consegne ai loro discepoli più fidati. Questo passaggio è documentato nelle lettere pastorali, attribuite a Paolo, in cui le comunità risultano affidate a un collegio di presbìteri, coadiuvati dai diaconi, sotto la guida di un evangelizzatore, discepolo dell’apostolo, anello sicuro di una catena destinata a prolungarsi: «Le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri» (2Tm 2,2).
Poco più tardi Ignazio di Antiòchia attesta che ogni comunità, «fino ai confini della terra», è governata da un solo vescovo; anzi afferma che senza il vescovo, il collegio dei presbìteri e i diaconi, non ci può essere una vera Chiesa
nota
Cf. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Tralle, 3, 1; Id., Lettera agli Efesini, 3, 2.
. Poi, durante il secondo secolo, vengono compilati, per le singole Chiese, gli elenchi dei vescovi risalenti fino agli apostoli.
Da allora la struttura gerarchica della Chiesa è rimasta immutata e i vescovi presiedono le comunità come successori degli apostoli, con l’aiuto dei presbìteri e dei diaconi.
Questa linea di sviluppo offre sicuro fondamento alla dottrina cattolica, che è così sintetizzata dal concilio Vaticano II: «Per istituzione divina i vescovi sono succeduti agli apostoli quali pastori della Chiesa»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 20.
.
Successori degli apostoli
[516]  Il senso di questa successione va precisato. Gli apostoli, con la loro testimonianza diretta e originaria su Cristo, pongono il fondamento della Chiesa una volta per sempre. I pastori, che collaborano con loro e poi prendono il loro posto, curano che la costruzione dell’edificio prosegua sul medesimo fondamento: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio... Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni ad insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé» (At 20,28-30). Il Signore ha stabilito «pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo», perché non siano più «come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» e possano vivere «secondo la verità nella carità» (Ef 4,11-1214-15).
I pastori succedono dunque agli apostoli, in quanto custodiscono e trasmettono fedelmente la loro testimonianza, «il buon deposito» (2Tm 1,14), con la grazia dello Spirito Santo, per consentire a tutti i credenti di rivivere l’esperienza originaria e di essere veramente Chiesa di Cristo.
CCC, 861-862
Il carisma dell’autorità
[517]  In concreto alimentano la fede e la carità di tutti i credenti con il servizio della Parola e la celebrazione dei sacramenti; verificano e coordinano i vari carismi, in una disciplina ordinata, che sia segno visibile della comunione in Cristo. Fanno questo con l’autorità ricevuta «per edificare» (2Cor 13,10), cioè per radunare il popolo di Dio. Anzi, hanno avuto un carisma particolare dallo Spirito Santo, attraverso il rito sacramentale dell’ordinazione, come dice la seconda Lettera a Timòteo: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani» (2Tm 1,6)
nota
Cf. 1Tm 4,14.
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CCC, 894-895
Segno e presenza di Cristo pastore
[518] La missione da svolgere contribuisce a individuare l’identità dei ministri ordinati. Questa però è connotata essenzialmente dal loro rapporto con Cristo.
In virtù del sacramento essi diventano rappresentanti di Cristo, pastore e servo, nella triplice funzione profetica, regale e sacerdotale. Come il Padre ha mandato il Figlio e si è manifestato attraverso di lui, così Gesù manda i suoi discepoli e si rende presente attraverso di loro. Colui che invia, viene lui stesso insieme con coloro che sono inviati. Essi non sono semplici delegati, ma segno visibile ed efficace della sua presenza. Non sono intermediari, ma consentono di incontrare in modo umano l’unico mediatore. Non solo lo rappresentano, ma lo ripresentano. Quello che Gesù diceva riferendosi al Padre, essi lo possono ripetere in riferimento a Gesù: «Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo» (Gv 8,29).
CCC, 886CCC 888-896CCC 1548-1549CdA, 719-720
CONFRONTAVAI
In unione a Cristo rappresentanti della Chiesa
[519] Mentre rappresentano Cristo di fronte alla Chiesa, rappresentano in unione a Cristo la Chiesa davanti al Padre e intercedono per lei. La rappresentano anche davanti agli uomini, in quanto costituiscono il fondamento visibile della sua unità e fedeltà evangelica. Si tratta di una rappresentanza sacramentale in virtù dello Spirito e non di una rappresentanza in senso democratico. I ministri ordinati ricevono il potere da Cristo, non dalla comunità. Non sono delegati di essa, neppure quando vengono designati con la sua partecipazione.
Ciò non vuol dire che debbano agire in maniera autoritaria, senza consultare nessuno. Al contrario devono farsi interpreti e servitori della vita della Chiesa, in piena fedeltà al vangelo. Le decisioni devono maturare in un clima di preghiera, di fraternità, di ascolto reciproco e di conversione al Signore da parte di tutti, pastori compresi. Se è vero che i pastori non sono dalla Chiesa, sono però per la Chiesa e nella Chiesa. Rimangono cristiani come gli altri, ascoltano la parola che predicano e ricevono l’eucaristia che distribuiscono. Inoltre devono esercitare il loro ministero in una prassi di comunione, valorizzando gli altri carismi e ministeri: «I vescovi non devono solo insegnare, ma anche imparare»
nota
San Cipriano di Cartagine, Lettere, 74, 10, 1.
.
CCC, 1552-1553
Spiritualità caratteristica
[520]  L’ordinazione sacramentale, mentre costituisce i pastori 12-252.pngrappresentanti di Cristo e della Chiesa, li abilita e li impegna ad assumere uno stile di vita conforme a quello del primo Pastore. Per essere segno vivo e trasparente di lui, devono condividere la sua carità, fino a dare la vita per le pecore. Per farsi «modelli del gregge» (1Pt 5,3) e per guidarlo alla santità, è necessario che siano uomini spirituali e comunichino ai fratelli anche un’esperienza personale di Dio. Ai suoi principali collaboratori, inviati a proclamare e instaurare il regno di Dio, Gesù ha chiesto di seguirlo da vicino, liberi dai legami affettivi e dagli interessi, contenti solo del necessario, generosi nel servizio.
I ministri ordinati sono chiamati a vivere la radicalità evangelica con motivazioni diverse rispetto alle persone di vita consacrata, non propriamente per essere segno dell’uomo nuovo escatologico, ma per rappresentare al vivo Cristo pastore che dà se stesso per il suo gregge
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 25.
. Intercessori con Cristo presso il Padre a favore della comunità, guide spirituali e pastorali dei fedeli in nome di Cristo, devono immergersi nella contemplazione del mistero ed esercitare il loro servizio con zelo appassionato e paziente, con stile di comunione e missionario
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41.
.
CCC, 896CCC 1550CdA, 721
CONFRONTAVAI
Tre gradi del ministero
[521]  Fin dai primi tempi si distinguono nella Chiesa diverse figure di pastori. Il ministero pastorale è di istituzione divina e «viene esercitato in ordini diversi da coloro che già in antico vengono chiamati vescovi, presbìteri, diaconi»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28; cf. Concilio di Trento, Sess. XXIII, Dottr. Sul sacramento dell’ordine, Can. 6 - DS 1776.
.
CCC, 1554-1571
Il vescovo
[522]  Il vescovo possiede la «pienezza del sacerdozio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41.
. In nome di Cristo, non come delegato del papa o dei fedeli, governa la sua Chiesa diocesana e la rappresenta,
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 27.
in quanto ne è «il principio visibile e il fondamento dell’unità»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 23.
. Deve però esercitare la sua autorità come un servizio, valorizzando la corresponsabilità dei presbìteri, dei diaconi e di tutto il popolo, secondo i doni e i compiti di ciascuno. Essendo anche responsabile dell’evangelizzazione in tutto il mondo, deve tenere desta la coscienza missionaria della sua Chiesa sia verso il proprio territorio sia verso i popoli lontani
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes, 20; 38.
.
Il presbitero
[523]  «I presbìteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio, ma dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia congiunti a loro nella dignità sacerdotale. In virtù del sacramento dell’ordine e ad immagine di Cristo sommo ed eterno sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti della nuova alleanza»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28.
. È loro compito sia educare i singoli cristiani alla maturità della fede sia formare un’autentica comunità cristiana, come fraternità viva e unita, con una ordinata varietà di vocazioni e di servizi
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 6.
. Consacrati per essere «premurosi collaboratori dell’ordine episcopale..., costituiscono insieme col loro vescovo un unico presbiterio»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28.
, sia pure con molteplici uffici. Strettamente uniti al vescovo, «lo rendono in un certo senso presente nelle singole comunità dei fedeli»
nota
Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 5.
e in unità con lui presiedono la santa liturgia e soprattutto l’eucaristia che è il centro del loro ministero. Attraverso la quotidiana fedeltà alla loro missione, crescono nella carità e danno testimonianza alla vicinanza di Dio, «imitando ciò che amministrano»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 41.
.
CdA, 723
CONFRONTAVAI
Il diacono
[524]  I diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio», cioè per offrire a nome di Cristo il sacrificio eucaristico, «ma per servire»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 29.
, sia nella liturgia che nella predicazione e nella pastorale della carità. Sono gli «incaricati della diaconìa di Gesù Cristo»
nota
Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Magnesia, 6, 1.
. In concreto possono svolgere molte funzioni: leggere la Sacra Scrittura, istruire il popolo, dare il battesimo, distribuire l’eucaristia, benedire il matrimonio, celebrare il rito funebre, guidare assemblee di preghiera, promuovere iniziative di carità, animare settori di pastorale o piccole comunità ecclesiali, gestire l’amministrazione economica. Al di là delle attività concrete, la loro stessa presenza è un dono, in quanto costituisce un segno sacramentale di Cristo servo e promuove la vocazione a servire, comune a tutto il popolo di Dio. In nome di Cristo e con la grazia del suo Spirito, servono e provocano a servire. Ricordano anche agli altri due gradi dell’ordine sacro che la loro missione è un servizio. È significativo che, per diventare presbìteri e vescovi, secondo la disciplina della Chiesa, si debba ricevere prima il diaconato. Il concilio Vaticano II ha dato nuovo rilievo a questo ministero, ripristinando il diaconato permanente, al quale possono accedere uomini celibi e sposati.
[525] Eredi degli apostoli, segno e presenza di Cristo pastore, in suo nome e con la sua autorità, i vescovi, coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi, predicano la parola di Dio, celebrano i sacramenti, guidano la comunità cristiana.
Sono chiamati a svolgere questa missione animati dalla carità pastorale, in un clima di preghiera e secondo uno stile di radicalità evangelica.
Fondamento biblico
[719]  Il ministero apostolico dei pastori viene esercitato nei tre 18-350.png diversi gradi dei vescovi, dei presbìteri e dei diaconi. L’inserimento in questa gerarchia avviene non con una semplice investitura giuridica, ma con il sacramento dell’ordine
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28.
.
Il rito, semplice e solenne, è costituito dal gesto di imposizione delle mani e dalla preghiera di ordinazione. Ha le sue radici nella tradizione ebraica: Mosè impose le mani a Giosuè, per farlo capo del popolo al suo posto; e all’epoca delle origini cristiane si imponevano le mani ai “rabbì” e ai capi delle comunità giudaiche della Palestina e della diaspora, per affidare l’incarico di trasmettere la legge mosaica e di guidare il popolo. Introdotto nella Chiesa, questo gesto viene a significare la trasmissione dell’ufficio di pastore con un dono particolare dello Spirito Santo, un carisma stabile, come fuoco che rimane sempre acceso e bisogna ravvivare: «Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (2Tm 1,6-7).
Per questo dono, Cristo è presente nei suoi inviati e continua a incontrare gli uomini, a istruirli, santificarli e guidarli: «Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20), dice il Signore. La missione dei discepoli prolunga quella che Cristo ha ricevuto dal Padre e comporta anch’essa la presenza di colui che invia in chi è inviato
nota
Cf. Lc 10,16.
, non una semplice delega di autorità. Non un intermediario per sostituire un assente, ma un segno visibile del Signore presente, per facilitare l’incontro diretto con lui.
CdA, 511-518
CONFRONTAVAI
Il carattere sacramentale
[720]  La dottrina della Chiesa precisa che attraverso l’ordinazione, conferita dal vescovo, viene trasmesso lo Spirito Santo ed impresso il carattere; perciò chi è diventato sacerdote non può ritornare laico
nota
Cf. Concilio di Trento, Sess. XXIII, Dottr. Sul sacramento dell’ordine, Can. 4 - DS 1774.
. Il carattere proprio di questo sacramento configura a Cristo capo della Chiesa, in modo da poter agire in suo nome nell’insegnare, nel santificare, nel governare
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 2.
. Per questo il sacerdozio ministeriale differisce essenzialmente, non solo di grado, da quello comune dei fedeli; è al servizio di esso, lo genera e lo nutre con la Parola e con i sacramenti
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 10.
, specialmente con l’eucaristia. Viceversa differiscono di grado tra loro i tre ordini gerarchici. «Con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine», cioè «la totalità del sacro ministero»
nota
Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 21.
. I presbìteri sono consacrati come collaboratori qualificati del vescovo nella guida della comunità cristiana; il legame che li unisce a lui è sacramentale e non semplicemente giuridico
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Lumen gentium, 28.
. I diaconi sono ordinati come collaboratori del vescovo per animare il servizio della Parola, dell’eucaristia e della carità in armonia con i presbìteri; non presiedono la celebrazione del sacrificio eucaristico e perciò non sono mai chiamati sacerdoti.
Secondo le preghiere consacratorie del rito di ordinazione, il vescovo è prefigurato da Mosè e Aronne e in genere dai capi e sacerdoti del popolo di Israele, a cominciare da Abramo, e soprattutto dagli apostoli; i presbìteri dai settanta saggi intorno a Mosè, dai figli di Aronne e dai collaboratori degli apostoli; i diaconi dai leviti dell’Antico Testamento e dai sette incaricati dell’assistenza nella prima comunità cristiana
nota
Cf. Lv 8Nm 8,5-2611,16-1724-26Mt 10,1-4Lc 10,117At 6,1-6. Cf. Rito dell’ordinazione del vescovo, dei presbìteri e dei diaconi, 52; 146; 230.
.
CdA, 521-524
CONFRONTAVAI
La carità pastorale
[721]  A prescindere dalla loro santità personale, i ministri ordinati rimangono rappresentanti di Cristo e agiscono validamente in suo nome a favore dei credenti, in virtù del carattere, segno della fedeltà di Dio alla sua Chiesa. Tuttavia lo Spirito Santo, ricevuto nel sacramento, mira a coinvolgere tutta la loro personalità, perché Cristo pastore e sposo della Chiesa si manifesti in essi nel modo più vivo e completo. In vario grado vale per tutti i ministri ordinati quello che Giovanni Paolo II afferma del sacerdote: «È chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo sposo della Chiesa», «a rivivere l’amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa», e perciò ad «amare la gente con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele»
nota
Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 22.
.
Il Signore comunica ai suoi ministri la carità pastorale
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 14.
, perché si uniscano a lui, morto e risorto, nel donarsi a vantaggio del gregge loro affidato, come l’apostolo Paolo: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio... Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (Col 1,24-2529).
Il celibato
[722] Per essere immagine viva di Cristo sposo della Chiesa, è molto conveniente, seppure non indispensabile, che un pastore si consacri nel celibato. Di fatto la Chiesa lo esige per i vescovi, che hanno la pienezza dell’ordine e, in occidente, anche per i presbìteri. La rinuncia al matrimonio e alla famiglia consente di seguire Cristo più da vicino, apre a un amore disinteressato e universale, rende liberi per il servizio. Ovviamente la castità del celibato esige di essere vissuta in un contesto globale di radicalità evangelica, che comprende anche l’obbedienza e la povertà nel loro significato essenziale: rinuncia al successo individuale e al possesso egoistico per l’edificazione del regno di Dio.
CdA, 520
CONFRONTAVAI
CdA 1075-1078
CONFRONTAVAI
Fraternità sacerdotale
[723]  In virtù del sacramento i presbìteri entrano in uno speciale rapporto 18-352.png di comunione con il vescovo e tra loro: «sono intimamente uniti tra loro dalla fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio vescovo»
nota
Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, 8.
. «Il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assolto solo come un’opera collettiva»
nota
Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 17.
. Al presbiterio, sotto la guida del vescovo, è affidata la Chiesa particolare diocesana, figura e presenza del mistero universale della Chiesa
nota
Cf. Concilio Vaticano II, Christus Dominus, 11.
. Ne sono membri i sacerdoti diocesani e religiosi, uniti da vincoli sacramentali
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 17.
. Tutti i presbìteri formano una sola famiglia sacerdotale. Attraverso il sacramento Dio li costituisce fratelli e li affida gli uni agli altri.
CdA, 523
CONFRONTAVAI
Fraternità e collaborazione
[724] Primo dono che i presbìteri devono fare alla Chiesa e al mondo non è l’attivismo, ma la testimonianza di una fraternità concretamente vissuta.
Occorre innanzitutto far crescere un clima di carità nei rapporti 18-353.pnginterpersonali. Mentre gli amici si scelgono sulla base di affinità e simpatie, i fratelli si accettano così come sono. Gli atteggiamenti da coltivare sono l’attenzione continua, l’ascolto, il servizio, il perdono, la condivisione di esperienze spirituali e umane, la solidarietà economica. Con gradualità e flessibilità può essere proposta la vita comune, o almeno l’incontro frequente con varie finalità e forme.
La fraternità sacerdotale va vissuta anche come corresponsabilità e collaborazione pastorale, non solo occasionale, ma sistematica. Essendo corresponsabili con il vescovo di tutta la diocesi, i presbìteri devono evitare l’isolamento e il protagonismo individuale. L’odierna complessità della vita sociale ed ecclesiale esige una collaborazione organica a livello interparrocchiale e diocesano. Senza di essa sarebbe difficile curare la formazione dei fedeli laici, seguire le loro aggregazioni, promuoverne l’inserimento nella pastorale, impostare seriamente l’apostolato degli ambienti, come la cultura, la comunicazione sociale, la sanità, il lavoro, l’emarginazione, l’immigrazione.
Formazione permanente
[725]  La fraternità sacerdotale è anche aiuto validissimo alla formazione permanente del presbitero, esigenza e sviluppo del sacramento ricevuto. La vocazione al sacerdozio prosegue con una vocazione nel sacerdozio
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 70.
. Il Signore chiama a concretizzare la decisione fondamentale presa, mediante scelte particolari coerenti. Vuole che i suoi rappresentanti siano pazienti costruttori di comunione, missionari appassionati, contemplativi nel ministero. Annota un santo e sapiente pastore: «Niente è così necessario a tutti i ministri della Chiesa quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni»
nota
San Carlo Borromeo, Secondodiscorso all’XI Sinodo (1584.
. Per ravvivare il dono ricevuto, occorre un impegno assiduo di formazione spirituale, teologica, pastorale, culturale. L’iniziativa personale di ognuno deve integrarsi con il sostegno del presbiterio diocesano e del vescovo.
Pastorale vocazionale
[726]  La fraternità sacerdotale e la formazione permanente del clero hanno un benefico influsso sulla pastorale delle vocazioni al sacro ministero. La testimonianza significativa di chi è già presbitero ne è il presupposto. Essa peraltro deve svilupparsi in una varietà di esperienze. Prima di tutto è necessaria la preghiera assidua dei singoli e della comunità cristiana, perché le vocazioni sono dono di Dio. La preghiera diventa più efficace se accompagnata dall’offerta della sofferenza e della fatica quotidiana
nota
Cf. Giovanni Paolo II,Pastores dabo vobis, 38.
. Bisogna presentare e spiegare la vita sacerdotale come forma splendida di sequela di Cristo e di vita cristiana
nota
Cf. Giovanni Paolo II,Pastores dabo vobis, 39.
; educare i ragazzi e i giovani alla preghiera personale, al silenzio, alla meditazione e all’ascolto di Dio
nota
Cf. Giovanni Paolo II,Pastores dabo vobis, 38.
; formarli al servizio gratuito, mediante forme di volontariato, motivate evangelicamente
nota
Cf. Giovanni Paolo II,Pastores dabo vobis, 40.
; proporre esplicitamente la vocazione al sacerdozio a chi ha i doni di natura e di grazia corrispondenti; aiutare nel discernimento e nella maturazione con un adeguato accompagnamento, specialmente con la direzione spirituale; eventualmente avviare al seminario, comunità ecclesiale educativa per la formazione specifica al sacerdozio ministeriale.
Il problema dell’ordinazione delle donne
[727] Perché la Chiesa cattolica, come pure la Chiesa ortodossa, nega la possibilità dell’ordinazione delle donne al ministero pastorale?
La questione deve essere vista secondo criteri radicati nel mistero della salvezza e non in base a considerazioni di tipo sociologico o alla sensibilità culturale del nostro tempo. La Chiesa non può disporre dei sacramenti a suo piacimento. La comprensione del disegno di Dio, fondata sui documenti della rivelazione e della tradizione ecclesiale, non le consente di ammettere le donne all’episcopato e al presbiterato
nota
Cf. Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis, 4.
.
È vero che il Signore Gesù ha riconosciuto la pari dignità della donna nel matrimonio e, contro le consuetudini e la mentalità del suo ambiente, ha valorizzato le donne, accettandone la presenza nel gruppo itinerante dei discepoli e costituendole testimoni della sua risurrezione. Ma è anche vero che non le ha inserite tra gli apostoli, inviati come suoi rappresentanti ufficiali.
Gli apostoli, a loro volta, hanno incoraggiato e onorato la presenza delle donne nell’opera di evangelizzazione, ma non le hanno mai scelte come responsabili della guida pastorale, neppure in ambienti culturali più aperti di quello palestinese al ruolo sociale della donna.
La storia della Chiesa ha visto numerose figure di donne in posizioni di grande rilievo, dotate di carismi straordinari e capaci di orientare in modo decisivo il cammino del popolo di Dio, ma non le ha mai viste nel ruolo di vescovo e di presbitero.
La pari dignità di uomini e donne nella Chiesa è fuori discussione, essendo stata proclamata con forza dall’apostolo Paolo: «Non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). È possibile e auspicabile, soprattutto oggi, che le donne siano chiamate a svolgere nella Chiesa compiti importanti e delicati, nei quali possano far fruttificare le loro grandi energie spirituali e umane. A loro si possono senz’altro affidare molte attività svolte finora dai sacerdoti.
Ma il sacerdote non è semplicemente un funzionario, che fa dei servizi. È prima di tutto una figura chiamata a rappresentare con tutta la sua persona e la sua esistenza Cristo, sposo della Chiesa. È comprensibile allora che i sacerdoti siano scelti solo tra gli uomini.
[728] Come dal battesimo ha origine il sacerdozio comune di tutti i fedeli, così dal sacramento dell’ordine ha origine il sacerdozio ministeriale dei vescovi e dei presbìteri, che in nome di Cristo insegnano il vangelo, presiedono la liturgia, guidano la comunità. Dallo stesso sacramento i diaconi ricevono la consacrazione per il servizio, come collaboratori qualificati del vescovo e dei presbìteri.