Educat
CONFRONTA I TESTI DEI CATECHISMI

CATECHISMO CHIESA CATTOLICA

  237 La Trinità è un mistero della fede in senso stretto, uno dei « misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati ».
nota
(280) Concilio Vaticano I, Cost. dogm. Dei Filius, c. 4: DS 3015.
Indubbiamente Dio ha lasciato tracce del suo essere trinitario nell’opera della creazione e nella sua rivelazione lungo il corso dell’Antico Testamento. Ma l’intimità del suo Essere come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come pure alla fede d’Israele, prima dell’incarnazione del Figlio di Dio e dell’invio dello Spirito Santo.
CdA 165-171
CONFRONTAVAI
CdA 324-335
CONFRONTAVAI
CATECHISMO DEGLI ADULTI
165 - 171

Nuova rivelazione del Padre
[165]  L’esperienza di libertà e fraternità, che Gesù propone a quanti lo seguono, suppone un comune atteggiamento filiale verso Dio. Chi, per seguire Gesù, ha lasciato la propria famiglia, non ha più un padre terreno che provveda alle necessità quotidiane; ha trovato però un altro Padre, quello stesso di Gesù: «E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo» (Mt 23,9). Egli è pieno di premura per i suoi figli
nota
Cf. Mt 6,31-33.
. A lui possono abbandonarsi con totale fiducia e obbedienza, rese possibili dalla nuova rivelazione della sua paternità e vicinanza.
[166]  Gesù si rivolge a Dio nella sua lingua, l’aramaico, chiamandolo abitualmente «Abbà» (Mc 14,36), che significa “papà”. “Abbà” è parola infantile, una delle primissime parole che il bambino impara a pronunciare: «Non appena egli sente il sapore della culla (cioè quando è divezzato), dice “abbà”, “immà” (papà, mamma)», si legge nella tradizione ebraica.
nota
Talmud babilonese, Berakhot, 40a.
Anche divenuti adulti, i figli continuano a usare questa parola con atteggiamento di confidenza e di rispetto, in un clima affettuosamente familiare. Chiamare Dio familiarmente “papà”, come fa Gesù, appare cosa insolita e audace.
CdA, 293-294
CONFRONTAVAI
CdA 960
CONFRONTAVAI
[167]  Israele aveva sperimentato la premurosa bontà di Dio nei suoi 4-92.pngconfronti e l’aveva paragonata a quella di un padre per il proprio figlio: «Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano... Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,13-4).
Tuttavia, l’Antico Testamento accentuava l’infinita trascendenza di Dio, l’Unico, l’Eterno, il Santo, il Creatore del cielo e della terra: «Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e stende sul giorno l’oscurità della notte... Signore è il suo nome» (Am 5,8). Anzi i contemporanei di Gesù evitano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e cercano di sostituirlo con modi di parlare che lo evocano senza nominarlo.
[168]  Ma Gesù ha una esperienza unica di Dio; lo conosce ed è da lui conosciuto in una intimità reciproca 4-93.pngassoluta; a lui si rivolge con commossa gratitudine e totale sottomissione, come il primo degli umili e dei poveri che sanno di ricevere tutto in dono. Ma proprio perché riceve la pienezza della vita di Dio, può parlare a lui con tono familiare e può parlare di lui con autorità: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25-27).
Paternità universale
[169]  Gesù sa di essere Figlio in senso unico; non si confonde mai con gli uomini nel suo rapporto verso Dio. Parlando con i discepoli, distingue accuratamente il «Padre mio» (Mt 7,21) da il «Padre vostro» (Mt 7,11), perché Dio non è per lui Padre allo stesso modo che per i discepoli.
Eppure il regno di Dio, che in Gesù si manifesta, è la vicinanza misericordiosa e la paternità di Dio nei confronti di tutti gli uomini. Dio vuole essere “Abbà” anche nei nostri confronti; vuole che ci avviciniamo a lui con lo stesso atteggiamento filiale, la stessa libertà audace e fiducia sicura di Gesù. Lo comprenderà bene l’apostolo Paolo: «Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8,15).
Gesù da parte sua cerca in tutti i modi di risvegliare il sentimento vivo della paternità e della tenerezza di Dio. Gli uomini devono convincersi che sono amati dall’eternità e chiamati per nome; che non sono nati per caso, e non sono mai soli nella vita e nella morte. Possono non amare Dio, ma non possono impedire a lui di amarli per primo. Il figlio prodigo, nel suo folle capriccio, può volgere le spalle e fuggire di casa, per andare a sperperare i beni ricevuti; ma il Padre misericordioso aspetta con ansia il suo ritorno; gli corre incontro, lo abbraccia commosso e fa grande festa.
CdA, 823-825
CONFRONTAVAI
[170] Non è affatto semplice per l’uomo sentirsi intimamente amato da Dio. La superficialità, il disordine morale, i pregiudizi dell’ambiente, l’esperienza del male gli induriscono il cuore e gli accecano lo sguardo. Ma, se nella fede si apre alla vicinanza del Padre, l’uomo diventa un altro, con una diversa capacità di valutare, di agire, di soffrire e di amare. Sente di poter vivere il distacco dai beni materiali, la riconciliazione con i nemici, la fraternità con tutti. La conversione che il regno di Dio dona ed esige, coinvolge tutta l’esperienza e rivoluziona tutti i rapporti.
[171] Gesù vive un’intimità del tutto singolare con Dio e lo chiama familiarmente «Abbà» (Mc 14,36).
Egli rende partecipi i credenti del suo rapporto filiale con il Padre, pieno di gratitudine, fiducia, sottomissione e gioia.