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CONFRONTA I TESTI DEI CATECHISMI

CATECHISMO DEGLI ADULTI

Pazienza cristiana
[1021]  Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte 26-488.png come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un’alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. «Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano»
nota
San Cipriano di Cartagine, A Demetriano, 18.
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La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall’altra trova nella sofferenza un’occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell’amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento.
Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri
nota
Cf. Col 1,24.
: «Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo»
nota
Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 19.
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CdA, 130-132
CONFRONTAVAI
CdA 373-374
CONFRONTAVAI
CdA 855-856
CONFRONTAVAI
CATECHISMO DEGLI ADULTI
130 - 132

Liberazione dalla sofferenza
[130]  Dando compimento all’attesa, Gesù annuncia che Dio, nella sua nuova 3-73.pnge definitiva manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati e comincia a liberarli.
Rendendo visibile con il suo comportamento l’agire stesso di Dio, il Maestro va incontro a ogni miseria spirituale e materiale. Nutre con la parola e con il pane le folle stanche e senza guida, disprezzate dai gruppi religiosi osservanti. Si commuove di fronte ai malati, che gli si accalcano intorno, e li guarisce. Avvicina varie categorie di emarginati, i bambini, le donne, i lebbrosi, i peccatori segnati a dito, come i pubblicani e le prostitute, i pagani. Tende la mano a chiunque è umiliato dal peccato, dalla sofferenza, dal disprezzo altrui.
Non si limita a operare in prima persona. Coinvolge i discepoli nella sua missione a servizio del Regno; esige da tutti un serio impegno, mediante le opere di misericordia, per la liberazione, sia pure parziale e provvisoria, da ogni forma di male, fino a quando non verrà la gloria del compimento totale.
CdA, 712
CONFRONTAVAI
CdA 854-856
CONFRONTAVAI
Beati gli ultimi
[131]  Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i 3-74.pngprimi destinatari del Regno. Proprio perché sono poveri e bisognosi, Dio nel suo amore gratuito e misericordioso va loro incontro e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nessuna circostanza esteriore può annullare o diminuire: né l’indigenza, né l’emarginazione, né la malattia, né l’insuccesso, né l’umiliazione, né la persecuzione, né alcun’altra avversità.
Anzi, una situazione fallimentare può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti e i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Sono disposti a lasciarsi salvare da Dio. Sono portati a misurare il valore della propria persona non dai beni esteriori, ma dall’amore che il Padre ha per loro. Così «passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). Per farne però l’esperienza gioiosa, devono abbandonarsi al suo amore, con umiltà e fiducia, e quindi convertirsi. In tal caso possono essere beati perfino in mezzo alle tribolazioni
nota
Cf. Lc 6,22-23.
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La gioia di Gesù
[132]  Gesù stesso è povero e perseguitato, ma pieno di gioia; esulta nello Spirito Santo e loda il Padre
nota
Cf. Lc 10,21.
. Gli basta essere amato come Figlio. È lieto di ricevere tutto dal Padre e di essere nulla senza di lui. La sua povertà non si riduce a una condizione esteriore; è innanzitutto un atteggiamento spirituale, è umiltà: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29).
Egli vuole comunicare la sua gioia: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28); «La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11); «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Gesù dona una felicità, che può coesistere anche con la sofferenza, qualora non sia possibile eliminarla; anzi rende piena di significato la stessa sofferenza.
È necessario però condividere la sua comunione con il Padre, essere umili come lui, «poveri in spirito» (Mt 5,3), come egli si esprime. Il Regno è offerto a tutti, ma raggiunge effettivamente solo chi, riconoscendo la propria insufficienza e la precarietà dei beni terreni, attende la salvezza unicamente da Dio e, con la sua grazia, diventa giusto, mite e misericordioso con gli altri.